𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 31 (Nicholas)

“𝔚𝔢 𝔞𝔩𝔩 𝔥𝔞𝔳𝔢 𝔡𝔢𝔪𝔬𝔫𝔰,
ℑ 𝔧𝔲𝔰𝔱 𝔠𝔥𝔬𝔬𝔰𝔢 𝔱𝔬 𝔣𝔢𝔢𝔡 𝔪𝔦𝔫𝔢”

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(Ehm, vado a comprare un biglietto di sola andata per il Messico. Adiós)

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Odiavo la piscina per tre motivi.

Primo: la puzza di cloro, con l'olfatto sovrasviluppato, era davvero insopportabile. Mi faceva venire da starnutire.

Secondo: avevo spiacevoli ricordi legati all'acqua. Da piccolo uno dei test che più terrorizzavano era quello in cui mi lasciavano immerso per ore, in modo da verificare le conseguenze dell'assenza di ossigeno sul mio organismo. Non era fisicamente doloroso, o comunque molto meno rispetto a ciò a cui ero abituato, ma mentalmente era devastante. Quantomeno per me.

Sentivo i polmoni che bruciavano, gli organi che si ribellavano dentro di me e la testa che minacciava di esplodere. Lottavo contro le catene nel disperato bisogno di una boccata d'aria, a volte mi graffiavo anche, assalito dalla voglia di strapparmi via la pelle. In quei momenti desideravo con tutte le mie forze di poter morire e basta.

Terzo: non sapevo nuotare. Nei cinque anni e mezzo trascorsi da quando ero libero, non avevo mai avuto occasione di imparare. Né trovato il coraggio di immergermi di nuovo. Era una delle poche cose di me che neanche Seth sapeva, perché era troppo umiliante da ammettere.

Così eccomi, rintanato in un angolo come un idiota a osservarlo sguazzare avanti e indietro con l'agilità di un delfino. Senza poterlo raggiungere, dato che la sola idea di tuffarmi mi mandava nel panico. Era frustrante, anche se gradivo parecchio la vista spettacolare dei suoi bicipiti che si tendevano a ogni bracciata e della sua pelle lucida che scintillava alla luce delle plafoniere.

Era bellissimo. Era talmente stupendo che avrei volentieri passato il resto della mia vita ad ammirarlo e non mi sarei annoiato. Non credevo in Dio o, meglio, la sua possibile esistenza mi era sempre stata indifferente, ma sarei andato a stringergli la mano per aver creato un simile capolavoro.

Certo, potevo ringraziare anche sua madre. Tuttavia, poi sarebbe stato difficile trattenermi dallo sbranarla per aver gettato la sua opera d'arte in un cassonetto.

Mi raddrizzai di scatto, quando mi resi conto che Seth si era fermato sul bordo della piscina. Si passò una mano raggrinzita sulla faccia e, nell'abbassarla, il suo sguardo si incatenò per caso al mio, attraversato da un lampo di sbigottimento. «Da quanto tempo sei lì?» ansimò, scostandosi un ricciolo nero appiccicato alla fronte.

Scrollai le spalle. «Non abbastanza».

«Che cosa vuoi?»

Gli andai incontro e mi accovacciai in modo da parlargli meglio. Storsi il naso, infastidito dall'odore soffocante del cloro. «Deduco che tu sia ancora arrabbiato con me».

Seth incrociò gli avambracci sul pavimento, restando a galla. Si accigliò. «Infatti. Quindi puoi andartene, per favore?»

«Non possiamo discuterne? A te piace tanto». Avevo dovuto fare uno sforzo immenso per non lasciar trapelare la mia disperazione.

Non volevo che lo sapesse, ma ero disposto a tutto per ottenere il suo perdono. Avrei tirato giù dal cielo la cazzo di luna, se me lo avesse chiesto.

«No, non ora».

«Perché? Mi tormenti sempre sull'importanza del dialogo nei rapporti».

Seth assunse un'espressione torva. «E tu dici sempre che preferisci scopare».

Sfoderai un ghigno. «Una cosa non esclude l'altra».

Lui scosse il capo, premette i palmi a terra e uscì dalla piscina. Mentre si alzava, una cascata d'acqua grondò dal suo corpo e mi incantai a seguire le gocce che tracciavano un percorso tra i suoi addominali. Mi avvicinai e posai le mani sui suoi fianchi, sentendolo fremere nella mia presa.

«Scusa» sussurrai, baciandogli la mascella. Gli mordicchiai il lobo. «È questo che vuoi sentire?»

«Per cosa?»

Mi bloccai, colto alla sprovvista da quella domanda. «Per quello per cui ce l'hai con me».

Seth si ritrasse e incrociò le braccia al petto. «Che sarebbe?»

«Beh...» Cercai di mettere insieme una risposta sensata, ma alla fine mi arresi e allargai le braccia. «Perché rimuginarci sopra? Ormai è acqua passata, no?»

«Incredibile! Non hai neanche capito dove hai sbagliato!»
«A essere sincero, non avevo neanche capito di aver sbagliato».

Con uno sbuffo rassegnato, Seth si allontanò. Si buttò su una panca addossata al muro e cominciò a strofinarsi i capelli con un asciugamano.

Mi schiarii la gola. «Tanto per capire. Non mi hai perdonato, vero?»

Si limitò a scoccarmi un'occhiataccia.

Lo raggiunsi a passi decisi, gli allargai delicatamente le ginocchia e mi accucciai nel mezzo. «Piano B, allora».

«C-che stai facendo?» balbettò Seth incredulo.

Gli sorrisi. «Imploro il tuo perdono».

Mi sporsi e iniziai a raccogliere con la lingua le goccioline che gli bagnavano il petto, a una a una, tempestandolo di baci man mano che scendevo. Con un movimento lento sciolsi il nodo dei laccetti del suo costume, senza staccare gli occhi dal suo volto neanche per un istante.

Seth si irrigidì, ma non riuscì a emettere un suono. Anche se non avessi potuto fiutare l'odore della sua bramosia, lo conoscevo abbastanza da sapere che adorava vedermi in quella posizione. Liberai la sua erezione e la accarezzai più volte, muovendo la mano su e giù per tutta la sua lunghezza.

Il respiro di Seth divenne affannato. «Ti sto odiando» biascicò debolmente. «Non scherzo, Nik».

«Puoi fermarmi in qualsiasi momento». Posizionai pollice e indice alla base e gli leccai la punta, per poi proseguire lungo l'asta. Sentire i suoi gemiti mi provocò un senso di appagante soddisfazione. Amavo dargli piacere. «Ti basta un no».

«Fanculo» ansimò.

Ridacchiai. «Non è un no».

Stuzzicai la fessura con la lingua e la avvolsi con le labbra, intanto che le mie dita gli stimolavano i testicoli. Appena succhiai, Seth rovesciò il capo all'indietro con tale veemenza da urtare la parete e imprecò piano. Glielo presi in bocca a poco a poco, centimetro dopo centimetro, godendomi i versi che gli scaturivano dalla gola contro la sua volontà. Le sue mani si aggrapparono all'estremità della panca così forte da sbiancare le nocche.

«Nik». Pronunciò il mio nome con un tono sofferente. «Ti prego».

Esitai, incerto se mi stesse supplicando di continuare o di fermarmi. Il pensiero di fare qualcosa senza il suo permesso mi dava la nausea. Fu lui stesso a sciogliere il mio dubbio. Grugnendo, mi agguantò i capelli biondi e si spinse più a fondo con il bacino. D'istinto gli afferrai le cosce per sorreggermi, lasciando che prendesse il comando.

Tutto quello che vuoi tentai di comunicargli con gli occhi. “Sono in ginocchio per te.

Seth affondò completamente dentro la mia bocca, tanto che dovetti strizzare le palpebre quando giunse a sfiorarmi la gola. Tornò indietro e me lo infilò di nuovo, stringendomi forte la testa per costringermi a seguire il suo ritmo. Non che fosse necessario. Ero già in suo potere, lo ero dal momento in cui ci eravamo incontrati per la prima volta e gli avevo mollato un pugno. Ancora non lo sapevo, ma già allora gli appartenevo.

«È sbagliato, Nik». Seth rallentò fino a interrompersi, tirandomi indietro. Nel suo sguardo, ancora annebbiato dall'eccitazione, stava facendo capolino un guizzo di lucidità. «Non voglio».

Aggrottai la fronte. «Non vuoi me? Sicuro?» Accennai al suo amichetto turgido a pochi centimetri dal mio viso. «Perché qui sotto stai scoppiando».

Seth si sistemò il costume con un gesto stizzito. Evitai di fargli notare che, anche coperto, rimaneva comunque piuttosto vistoso. «Non voglio» ripeté, cercando di riprendere fiato. «Non possiamo sempre risolvere i problemi così».

«Dimmi che cosa devo fare, allora».

Lui si chinò. Mi intrappolò il mento tra le dita e mi obbligò a fissarlo negli occhi, così vicino che il suo respiro mi bruciava le guance. Rimasi in attesa, agognando di assaggiare il sapore dei suoi baci. «Voglio sapere che cosa c'è tra di noi».

Sospirai frustrato. «Dobbiamo proprio dargli un'etichetta? Perché non possiamo viverlo e basta?»

«Perché non lo sopporto più, Nik». Appoggiò la fronte contro la mia, chiudendo gli occhi. «Non sopporto che tu venga toccato da mani che non siano le mie».

Avrei voluto dirgli che, anche quando ero a letto con altri, nella mia mente c'era sempre e solo lui.
Avrei voluto dirgli che era l'unico che riusciva a scacciare i miei demoni e a tenere lontani gli incubi.
Ma forse non erano le cose giuste.

Si alzò e mi lasciò lì da solo, inebetito. Rimasi immobile per qualche secondo, finché l'assenza di rumori non cominciò a raschiarmi i timpani come carta vetrata. Rabbrividii e mi incamminai fuori dalla piscina.

«Cos'è quel muso lungo, fratello? Al supermercato non hai trovato i pannolini?» chiese Joel, appena entrai nel soggiorno. Era spaparanzato su una poltrona, intento ad accordare la sua chitarra.

Presi una lattina di birra dal frigo e mi gettai sul divano, fulminandolo con un'occhiataccia. «Non ti sei ancora stancato?»

Lui venne a sedersi accanto a me. «Neanche un po'» ammiccò, caricandosi in grembo il suo strumento.

«Che ti è successo?» Gabriel, ricurvo sul tavolino, distolse lo sguardo dal foglio su cui stava scribacchiando. «Magari posso aiutarti a trovare il lato positivo. Ce n'è uno in tutto, ricorda. Bisogna solo scovarlo».

Accesi la televisione e cominciai a scorrere i canali, finché non arrivai a quelli in cui trasmettevano i cartoni. Spirit, uno dei miei preferiti. «Ho provato a fare pace con Seth» bofonchiai.

Il volto di Isaac spuntò da dietro il libro che stava leggendo. Abbozzò un piccolo sorriso d'incoraggiamento. «Hai fatto bene a chiedergli scusa».

«In realtà, gli ho fatto anche un pompino».

Isaac divenne paonazzo fino alle orecchie, mentre Joel scoppiò a ridere a crepapelle. «E ha funzionato?» chiese Gabriel incuriosito.

Digrignai i denti. «Secondo te, idiota?»

«Devo essere sincero». Joel agitò una mano, ancora scosso dalle risate. «Se una ragazza lo facesse con me, la perdonerei all'istante».

«Oh, grazie. Qualcuno che mi capisce» esclamai, e ci scambiammo un cinque. «Ma ho già pronto un piano di riserva».

Gabriel prese a mangiucchiare il tappo della penna. «Ammettere i tuoi errori, portarlo al luna park e dichiarargli il tuo amore imperituro su una giostra? Pensaci, sarebbe molto romantico».

«Non essere ridicolo». Mi strinsi nelle spalle. «Chiederò un consiglio alla nostra sorellina. È la massima esperta in materia».

Isaac tossì. «Ehm, anche Sky è arrabbiata con te».

«Lo so. Devo ancora elaborare un piano per questo».

Joel pizzicò una corda della chitarra e una nota grave risuonò nell'aria. «E per la mammina del tuo pargolo, invece? Intendi riciclare la strategia che hai usato con Seth?»

Feci una smorfia. «Se non la pianti, ti spacco in faccia quel giocattolo di merda».

«Ssh, Daisy. Non ascoltarlo. Sei perfetta» mormorò lui premuroso, stringendo lo strumento con fare protettivo.

All'improvviso Gabriel spiccò un saltello e, infervorato, scarabocchiò in fretta sul foglio. Quando ebbe finito, ci rivolse un'espressione raggiante. «Non volete sapere che cosa sto facendo?»

«Stavo per dire un elenco dei tuoi neuroni, ma quello non sarebbe così lungo» risposi, bevendo un sorso di birra.

«D'accordo. Se proprio insistete, vi do un piccolo indizio». Gabriel si guardò attorno con circospezione e sussurrò: «Sto organizzando una sorpresina per festeggiare».

Increspai le sopracciglia. «Festeggiare cosa?»

«L'arrivo in famiglia di Arya e del nostro nipotino, ovviamente!»

«E la tua futura paternità» aggiunse Joel beffardo.

Emisi un ringhio sommesso e mi sforzai di concentrarmi sul cartone animato. I miei pensieri però tornavano sempre nello stesso punto, in quell'angolino remoto della mente in cui avevo relegato quella scomoda verità. Perché sì, ormai avevo accettato che biologicamente il semino nella pancia dell'angioletto fosse mio. L'odore era inequivocabile.

Ma non potevo permettermi di rifletterci neanche per un istante. Era troppo assurdo, troppo terrificante, troppo e basta. Avevo accettato di essere un mostro persino peggiore dei miei fratelli, forse mi piaceva anche. Eppure, malgrado tutte le mie terribili azioni, avevo bisogno di cullarmi nell'illusione di non somigliare a Lucius.

No, non avrei spezzato nessun innocente come lui aveva spezzato me.
No, non sarei mai diventato padre.
No, non mi importava niente di quella cosa.

Isaac si stropicciò un lembo del maglione. «Che tipo di sorpresa, esattamente?»

Prima che Gabriel aprisse bocca, Callum comparve nel salotto. Senza badare a noi, si diresse verso il portone con un'andatura spedita. Al posto dei soliti completi, indossava una semplice giacca nera chiusa da una zip e aveva dei guanti di pelle. Era chiaro che non volesse attirare l'attenzione.

«Dove vai così di corsa, fratellone?» gli urlò dietro Joel, che aveva preso a lucidare la sua Daisy con un panno. «Come primo appuntamento, la tua pupa criminale ti porta a fare una rapina insieme?»

«Vado a prendere Keegan. Saremo tutti un po' più tranquilli, quando sarà rinchiuso nei nostri sotterranei».

Mi alzai con un balzo e lo inseguii in giardino. Il cielo era nero, rischiarato dal chiarore argenteo della luna. Vicino ai recinti, vidi Alexander impegnato a dare da mangiare a un manipolo di gatti, che gli si strusciavano contro le gambe facendo le fusa. Dall'altra parte, Remiel stava innaffiando le sue piante.

Prima o poi, avrei dovuto regolare i conti anche con loro.

«Vengo con te» borbottai a Callum, affiancandolo. «Muoio dalla voglia di conoscere questo bimbo sperduto».

Lui aprì la portiera del SUV. «Non voglio fargli del male, Nicholas. Non ancora».

«Perfetto, allora. Nemmeno io».
«Ma se vuoi ucciderlo da quando era in coma».

«Mi conosci. Sono di umore molto mutevole». Mi sedetti sul lato del passeggero e richiusi lo sportello. «Adesso voglio farci amicizia».

Callum infilò le chiavi e, mentre metteva in moto, mi rivolse un'espressione scettica. «Hai cambiato idea perché anche Lucius lo vuole morto, vero?»

Scrollai le spalle. Appena partimmo, iniziai a premere convulsamente il tasto per cambiare stazione della radio. Alla fine, rinunciai e la spensi. «Niente, la musica moderna fa schifo. Preferisco di gran lunga Beethoven, Chopin o Cacavski... una cosa del genere. Non so come si pronuncia». Diedi uno strattone alla cintura che mi raschiava il collo. «Odio questi aggeggi. Se non ci fosse quell'allarme insopportabile, non la allaccerei neanche. Tanto è inutile per noi».

«Sei particolarmente lamentoso» commentò mio fratello.

«Sto avendo un brutto periodo». Gli feci un sorriso sardonico. «Ma tu sarai contento che io mi sia ripreso il titolo di più odiato della famiglia in un colpo solo. Anzi, una botta sola. Personalmente, lo considero un record».

Callum mi adocchiò di sfuggita. «Hai pensato che potresti avere una piccola parte di responsabilità?»

Gonfiai il petto, indignato. «No, non direi. Perché deve essere sempre colpa mia? Sky ha dei gusti raccapriccianti in fatto di uomini, è risaputo. L'ho anche risparmiato solo per farle un favore. Quanto a Seth, come potevo immaginare che quella ragazzina fosse così fertile? Insomma, non l'ho mica fatto apposta...»

«Dovevo starmene zitto» sbuffò Callum.

Mi slanciai in un'appassionata arringa in mia difesa nel tentativo di fargli capire gli evidenti motivi per cui avevo ragione io, in ciascuna delle dispute. Sebbene fossi abbastanza certo che non mi stesse ascoltando, era piacevole riempire il silenzio con il suono della mia voce.

Dopo aver accostato in un angolo di una stradina buia, Callum spense il motore e controllò l'orologio. «Nicholas» mi interruppe.

«Che c'è?»
«Taci».

Stavo per protestare, quando mi accorsi che aveva estratto una siringa dalla tasca dei pantaloni. Era piena di un liquido bluastro. «La tua recente smania di drogare la gente è preoccupante. Ma almeno sei stato gentile a non mettergliela nei donuts con le praline».

«Kath si è già scusata un migliaio di volte» mi rimproverò Callum, uscendo dalla macchina. «E poi l'effetto sarebbe dovuto durare la mattina intera, invece l'hai smaltita in dieci minuti. Che hai da rompere?»

Ci avvicinammo di soppiatto alla centrale di polizia. Attorno a noi, era tutto stranamente tranquillo. Passammo dall'ingresso collegato al magazzino sul retro, dove non era sorvegliato da nessuna telecamera. Anche se non mi aveva detto chi gli aveva fornito le informazioni sui punti ciechi del dipartimento e gli orari dei turni, non serviva un genio per indovinare che c'entrasse Rosalie.

Man mano che avanzavamo nel corridoio deserto, Callum prese ad annusare l'aria. «Lo senti anche tu?»

Annuii. «Sangue, incenso, polvere da sparo, sudore, un profumo di marca scadente...»

«Hai reso l'idea, grazie».

Svoltato l'angolo, trovammo i cadaveri. Erano tre. Un uomo grassoccio afflosciato a terra accanto a un manganello e a un hamburger ormai freddo. Un altro dietro una delle scrivanie, la testa schiacciata contro la tastiera e un foro sulla nuca. E una donna che stringeva ancora la pistola, accasciata davanti a un distributore automatico. Il televisore, appeso a un gancio, trasmetteva le battute finali di una partita di football.

«Oh, guarda. Ci sono dei morti e per una volta non è opera mia» commentai ironico. Il tenue odore di incenso nell'aria non era sufficiente a intaccare i nostri sensi, quindi potei acuire l'udito per controllare che fossimo da soli. «Gli artisti di questo capolavoro se ne sono già andati, comunque».

Callum esaminò i corpi degli agenti, a uno a uno. «Keegan è stato qui due settimane e loro sono venuti a prenderlo nello stesso giorno in cui abbiamo ricevuto l'avvertimento di Lucius. Non può essere una coincidenza» disse tetro.

«Ma nessuno poteva saperlo all'infuori della nostra famiglia». Gli scoccai un'occhiata furtiva, intanto che continuavo a vagare tra le postazioni. «E di Rosalie, certo».

Callum trasalì e mi fissò con uno sguardo indecifrabile. «Credi che stia facendo il doppio gioco?»

«Prima la scuola, poi questo. Per Agatha Christie servivano tre indizi per fare una prova, ma a me ne bastano due».

«Oppure Lucius ci sta prendendo in giro».

Feci un mugolio d'assenso, anche se non capivo perché si ostinasse a riporre così tanta fiducia in quella donna. Se fosse stato un altro mio fratello, avrei pensato che stesse ragionando con quello tra le gambe. Callum no, però. Era impossibile. Era quasi al limite dell'asessualità. Per quanto potesse essere un minimo attratto da lei, non avrebbe abbassato facilmente la guardia.

Mi chinai sulla carcassa del primo agente e mi leccai il labbro, avvertendo lo stomaco che si contorceva dalla fame. «Senti, non è che potrei...»

«Non mangiare i loro cuori».

«Si chiama spreco alimentare» urlai indispettito, ma lui era già scomparso in un corridoio laterale. Scossi il capo, presi l'hamburger da terra e lo intinsi in una delle pozze di sangue. «Mi accontenterò».

Tra un morso e l'altro, entrai nell'ufficio dello sceriffo e mi guardai attorno. Su una bacheca era attaccata l'immagine della stazione di servizio in cui avevo ucciso quel tizio, Sean. C'erano anche altre fotografie relative alla ricerca del ragazzo che marciva in una cella frigorifera a casa nostra. Mi venne da ridacchiare.

«Sono stato nella cella di Keegan». Callum mi raggiunse. Quando mi voltai, mi accorsi subito dalla sua postura tesa che era agitato. «Sono certo di aver fiutato l'odore di Arya. È così particolare che è difficile confonderlo ed era ancora piuttosto forte, quindi è recente».

Per un istante, un brevissimo e insignificante istante, un tremito mi si arrampicò su per la spina dorsale. Non era preoccupazione, ovviamente. Non ero affezionato né a quella ragazza, né tantomeno al mostriciattolo che portava in grembo, ma immaginare che gli uomini di Uranus li avessero catturati mi turbava più di quanto fossi disposto ad ammettere.

Mi costrinsi a mantenere un'indifferenza non del tutto autentica. «Magari ci risolveranno il problema».

Callum mi ignorò. «Credo che stia indagando sulla morte di suo padre. Era lo sceriffo che ci ha aiutati a sfuggire all'Olympus. È stato investito sei anni fa».

«Buon per lei. I padri fanno schifo».

«Ti prego, se mai dovesse parlartene, non rispondere così» commentò esasperato, scuotendo la testa. «Comunque, ho seguito le tracce fino agli archivi. Ci sono buone probabilità che non siano riusciti a catturare nemmeno Keegan».

Mi limitai ad annuire, strappando un altro boccone.  Solo allora i suoi occhi grigi si posarono sull'hamburger sporco di sangue e fece una smorfia disgustata. «Sei serio?»

«Che c'è? Hai detto di non mangiarli, non di non usarli come salsa» obiettai stranito.

Lui esalò un respiro rassegnato, mi fece un cenno e tornammo al SUV. Mentre guidava, mio fratello continuava a tamburellare le dita della mano destra sul volante e con l'altra tentava di aggiustarsi un colletto invisibile, scordandosi di non avere addosso la camicia. Pur non essendo in grado di provare empatia, ormai riconoscevo i suoi tic nervosi.

«Dato che faccio schifo con queste cose, te lo chiederò» esordii, divorando l'ultimo pezzo di hamburger. «Sei turbato per Rosalie?»

«No».
«Stai mentendo?»
«No».

«Mmh, d'accordo. Mi sembrava di sì». Feci spallucce. «Allora devo farti una domanda a riguardo, con scopi puramente scientifici».

Callum sospirò. «Sono sicuro di non volerla sentire».

«Se Rosalie confessasse di averci traditi e si offrisse di farti un lavoretto per scusarsi, la perdoneresti?»

«Decisamente non volevo».

Per una volta decisi di non insistere e accesi la radio, fermandomi su una canzone di Taylor Swift. Era una dei pochi cantanti che mi piacevano, forse poteva tirarlo su di morale. Con me funzionava.

Quando accostammo davanti al castello, feci per scendere. Callum mi bloccò per il gomito e mi fece girare verso di lui. «Dobbiamo far parlare il nostro ospite. Abbiamo sprecato abbastanza tempo» affermò in tono asciutto.

Impiegai un attimo a ricordarmi del superstite dell'agguato a scuola, che tenevamo ancora prigioniero. Sogghignai. «Vuoi che ti aiuti a torturarlo? Un mio amico consiglia gli aghi nei polpastrelli, ci hai già provato? Oppure posso usare la telepatia, anche se non prometto di non friggergli il cervello».

«No. È ben addestrato, la tortura è inutile. E la telepatia è troppo rischiosa, potresti ucciderlo prima di ricavarne qualcosa. Ho trovato un altro modo per farlo parlare, solo che... beh, meglio non dirlo a Kath. Non approverebbe». Callum mi scoccò un'occhiata penetrante. «Sei con me?»

Un sorrisetto sadico si aprì sul mio viso. «Sai che adoro fare il cattivo, fratellone».

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Angolo Jedi

Fa calduccio qui in Messico.

Scherzi a parte, vi chiedo scusa. So che questo capitolo non è un granché, ma è un periodo schifoso e la mia scrittura un po' ne risente. Però spero che vi abbia messo almeno un tantino di curiosità.

Ci sarà davvero un traditore o una traditrice? Chissà🌝

Voglio approfittarne per spezzare una lancia in favore di Nicholas. Vi assicuro che non lo fa apposta (non del tutto) a non capire i sentimenti propri o degli altri. Anche se può risultare odioso, ricordate che la sua mente funziona in un certo modo e su questo non ha alcun controllo. A me fa abbastanza tenerezza, se devo essere sincera.

P.s. Prima o poi avrete anche un bacio tra lui e Seth, eh. Forse🕺

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