𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 29 (Callum)

"𝔑𝔬𝔫 𝔪𝔦 𝔦𝔪𝔭𝔬𝔯𝔱𝔞 𝔡𝔦 𝔪𝔢.
𝔐𝔦 𝔦𝔪𝔭𝔬𝔯𝔱𝔞 𝔡𝔦 𝔩𝔬𝔯𝔬"

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Nicholas era disteso nel suo letto. Dato che non volevo sporcare le lenzuola di sangue, avevo dovuto togliergli la camicia. Il suo collo era già guarito, ma gli avevo somministrato una piccola dose del sedativo che nostra madre aveva creato su misura per noi. Non molto, quanto bastava per farlo riposare un po'. Forse, così, al risveglio sarebbe stato più tranquillo.

Mi passai una mano sulla faccia, seduto sul bordo del materasso. Non riuscivo a liberarmi del senso di colpa per avergli fatto male. Anche se mi capitava di minacciarli, non avevo mai sfiorato nessuno dei miei fratelli. Ero stato costretto, lo sapevo.

Persino da ubriaco Nicholas era troppo forte, non sarei stato in grado di trattenerlo fino a farlo svenire, e non potevo permettere che ferisse Rosalie. Avevo agito d'impulso. Se non fossi stato circondato da tutta quella confusione, ero sicuro che avrei trovato una soluzione migliore.

Eppure, una vocina dentro di me continuava a ripetermi che stavo diventando come i nostri genitori.

Fissai il volto di Nicholas, rilassato dal sonno. Mi chinai e con un gesto impacciato gli accarezzai i capelli biondi, sfiorandolo a malapena. Erano incrostati di sangue. «So che ora sei arrabbiato, ma ricorda che voglio solo proteggerti. Ogni mio respiro è per voi» sussurrai a fil di voce. «Scusa».

Mi alzai. Accesi la televisione su un canale a caso, scoccai un'ultima occhiata al mio fratellino speciale e uscii dalla camera. L'intera brigata mi aspettava nella sala comune. Rumorosa e invadente, come sempre.

Fu Sky a partire in quarta. «Che sta succedendo?»

«È vero che tu e Nik ve le siete date di santa ragione?» chiese Joel infervorato.

«E che lo hai drogato» si aggiunse Remiel.

Alexander fece spallucce. «Quello non è un gran problema. Anzi, mi chiedo perché non ci abbiamo pensato prima».

«Avrei una domanda anch'io». Gabriel sollevò un braccio. «Fra quanto ce ne andiamo? Perché non sono ancora riuscito a mettere in valigia il mio accappatoio a forma di Bambi. Ci tengo molto».

Mi rivolsi ad Isaac, che era l'unico rimasto al suo posto sulla poltroncina. «È il tuo turno, immagino» lo incoraggiai.

Quest'ultimo rispose con un sorriso timido, facendo scontrare le ginocchia. «Io volevo solo controllare che steste entrambi bene».

«Sul serio gli hai spezzato il collo?» La voce di Sky tradiva una nota di disapprovazione.

Joel invece mi diede un pugnetto. «Un giorno devi fare a botte anche con me».

Sbuffai. Quasi quasi preferivo essere ignorato. «Posso avere dieci minuti per darmi una sistemata o pretendo troppo?»

«D'accordo, ragazzi». Kath batté le mani per attirare l'attenzione su di sé. «È molto tardi. Andiamo a letto. Domani mattina io e Callum vi spieghiamo tutto con calma».

«Tutto cosa?» insistette Alexander corrucciato.

Remiel si grattò i capelli neri. «Quindi non partiamo stanotte come programmato?»

Scambiai uno sguardo fugace con la mia gemella, quindi scossi il capo. «No, la partenza è rimandata».

Le acclamazioni di gioia o di sollievo furono quasi collettive, tranne per Alexander che si limitò a dardeggiare gli occhi da me a Kath con diffidenza. Aveva indubbiamente intuito che stavamo nascondendo qualcosa di grosso, ma rimase in silenzio e gliene fui grato. Non avevo abbastanza energie per una conversazione del genere.

«Rimandata a quando? Faccio in tempo a...»

«Sì, Gabe, farai in tempo a trovare il tuo accappatoio».

Prima che potesse stritolarmi in un abbraccio, sgattaiolai lungo il corridoio che conduceva alla mia stanza. A passi spediti raggiunsi la porta sul fondo, la chiusi con un tonfo e diedi un giro di chiave.

Mi abbandonai all'indietro e poggiai la nuca contro il legno, abbassando le palpebre. Presi dei respiri profondi, nella speranza di scacciare la morsa d'ansia che mi attanagliava il petto. Il cuore sembrava minacciare di schizzare fuori dalla gabbia toracica.

Tremante, estrassi il flacone dalla tasca e inghiottii un paio di pillole. Andai in bagno e mi sfilai la camicia macchiata qua e là di sangue. Esitai quando fu il turno della canotta, ma alla fine mi costrinsi a toglierla. Ogni volta che facevo la doccia, coprivo lo specchio con un telo in modo da evitare di scorgere il mio riflesso.

Mentre mi lavavo, però, era difficile ignorare le tante cicatrici che mi segnavano il corpo; nel sentirle in rilievo sulla pelle, brucianti al tocco, provai la stessa fitta di disgusto con cui ormai avevo imparato a convivere.

Purtroppo o per fortuna, ero perseguitato da altri pensieri. La scoperta della gravidanza di Arya era stato un vero e proprio shock, che non ero certo di aver ancora metabolizzato del tutto. Non mi era mai neanche passata per l'anticamera del cervello la possibilità che uno di noi potesse avere figli. Men che meno Nicholas. Non sapevo come comportarmi, per la prima volta mi sentivo smarrito.

Mi rivestii in fretta e asciugai i capelli, dopo averli tamponati con un asciugamano in microfibra. Spalmai dell'olio di argan e infine li pettinai attentamente. Mi sfiorai la barba, storcendo poi il naso. Era di pochi millimetri più lunga del giusto. Probabilmente quel pensiero mi avrebbe tormentato, finché non vi avessi posto rimedio.

«Callum». Kath bussò alla porta. «Possiamo parlare?»

Feci scattare la serratura e aprii, ritrovandomela di fronte. L'espressione tesa sul suo viso mi fece irrigidire. «Tutto bene?»

«No. Abbiamo un problema».

Inarcai un sopracciglio. «Puoi andare avanti. Questa parte non è molto scioccante».

Spostò il peso da una gamba all'altra, mordendosi l'interno della guancia. «Sono preoccupata per Seth. Mi ha detto di aver litigato con Nik e che ha bisogno di stare per conto suo, ma con la storia delle taglie non mi piace che vada in giro da solo. Se gli accadesse qualcosa...»

Annuii. Sarebbe stata la goccia che faceva traboccare il vaso della sanità mentale di nostro fratello, già in precario equilibrio. «Lo riporterò a casa».

Kath abbozzò un debole sorriso. «Tu?»

«Perché no?»
«Ehm, Seth è fragile al momento. È ferito. Gli serve un po' di... sensibilità».

Roteai gli occhi grigi. Il mio piano era caricarmelo in spalla e buttarlo a forza in macchina, in realtà. «Me la caverò. Vai a riposare».

Ritornai nella sala comune, che era deserta e silenziosa. Dovevano essere andati tutti a dormire finalmente. Estrassi il telefono e feci partire la chiamata, mentre mi incamminavo verso le scale. Appena rispose, non persi tempo con i convenevoli. «Dove sei?»

«Allora lo hai, il mio numero» bofonchiò Seth, dall'altra parte. Dai rumori di sottofondo, come il fruscio del vento e lo stridio degli pneumatici sull'asfalto, dedussi che fosse all'aria aperta. «Che gran bastardo».

Presi a scendere i gradini. «Dimmi dove sei».

«Altrimenti? Mi costringi a mettermi uno dei tuoi fazzoletti del nonno per una settimana?»

Aggrottai la fronte, bloccandomi a metà della rampa. «Innanzitutto, si chiamano fazzoletti da taschino, o pochette. Non fazzoletti» precisai irritato. «E ti conviene dirmelo, Septimus, perché ti troverei comunque. Anche se dovessi cercarti per la città fiutando il tuo odore».

Lui ridacchiò. «È divertente immaginarti a sniffare i miei vestiti tipo cane da caccia».

«Lo sarà molto meno, quando ti trascinerò indietro a calci».

«Nik ha ragione a definirti un rompiballe, sai?» Lo udii rilasciare un sospiro. «In ogni caso, non scomodarti. Ho solo fatto una passeggiata per deprimermi in santa pace. Ora sto tornando». E riattaccò.

Rimasi fermo a osservare lo schermo per un istante. Iniziavo a capire perché andasse così d'accordo con mio fratello: aveva la sua stessa vena melodrammatica.

Scesi in soggiorno e mi sedetti sul divano, in attesa. Dopo una ventina di minuti, il portone si spalancò. Il mio cuore si fece più leggero. Non ero affezionato a lui, e non mi sarebbe importato granché della sua incolumità. Ma era il solo che riusciva a farmi scorgere ancora un barlume del vero Nicholas, quello con cui ero cresciuto, e non avrei mai permesso che si spegnesse. Non volevo perdere anche quel poco che ne restava.

Seth entrò, gettò il giubbotto sull'attaccapanni e solo allora si accorse della mia presenza. Un lampo perplesso gli balenò nello sguardo. «Come puoi avere una messa in piega perfetta a quest'ora?»

Lo fissai, colto alla sprovvista da quella domanda. «Non vado mai a dormire spettinato. Non sono un barbaro».

«Sei più diva di Gabe» commentò Seth con una smorfia divertita. Poi però chinò la testa e cominciò a ciondolare sul posto con le mani nelle tasche. Parlò in un timido sussurro. «Come sta?»

«Fisicamente bene».

Lui fece un cenno d'assenso, tutt'altro che rassicurato. Attraversò il salotto e si abbandonò su una poltrona davanti a uno dei camini. Le fiamme gli danzarono sul volto, lanciando dei bagliori rossastri tra i ricci scuri. Ne scansò uno che gli ricadeva sulla fronte e iniziò ad attorcigliarselo attorno all'indice.

Feci per alzarmi. Mi bloccai, le parole di Kath che mi rimbombavano nella mente. Se c'era una cosa in cui ero non ero affatto bravo, era consolare la gente, ma fare un tentativo non costava nulla. «Presumo che abbiate discusso per la questione del bambino».

«Gli ho detto che non sa provare niente» mormorò Seth, senza nemmeno voltarsi. Il suo tono era sofferente. «Non lo credo davvero, ma so che lui lo pensa di sé stesso. Avevo promesso di non fargli mai del male e l'ho colpito dove era più vulnerabile...»

Mi spazzolai nervoso dei pilucchi inesistenti dalla camicia. Non sapevo il motivo per cui lo stavo aiutando. Era sano e salvo, che stesse male non mi doveva interessare. Eppure, mi ritrovai a battere il palmo sul divano. «Vieni qui».

Seth obbedì titubante e si lasciò scivolare accanto a me, guardandomi come se fossi un alieno. «Stiamo per avere un momento toccante?»

«Sta' zitto».
«Devo mettere della musica romantica?»

Lo fulminai con un'occhiataccia e si ammutolì. Mi schiarii la gola, muovendomi a disagio. «Per Nicholas non è facile capire i sentimenti. Ciò che per la maggior parte delle persone è scontato, per lui non lo è. Non lo fa apposta, è il modo in cui funziona il suo cervello. Questo non significa che non ci tenga. Ti perdonerà, forse lo ha già fatto».

Terminato il discorso, ero senza fiato e continuavo ad aggiustare i polsini in maniera nevrotica. Probabilmente avevo appena sparato delle inutili banalità, ma non mi era uscito altro. No, l'empatia non faceva per me. Era meglio limitarmi a pensare di fare o dire cose gentili, perché facevo pena nel tradurli in gesti o parole.

Seth si accigliò e sperai che non si fosse reso conto di quanto fossi a disagio. «Come lo sai?»

«Perché lo conosco, persino più di te. Odia il mondo intero, ma quando inizia a voler bene a qualcuno è per sempre. A prescindere da ciò che faccia». Mi strinsi nelle spalle. «Anche se è discutibile come lo dimostra».

«Questa volta è lui che deve fare il primo passo».

Mi sfuggì un mezzo sorriso. «Buona fortuna».

«Visto che stiamo avendo questa surreale chiacchierata a cuore aperto». Seth mi rivolse un sorrisetto. «È vero che hai una cotta per Rosalie?»

«Chiacchierata finita. Buonanotte» bofonchiai, tirandomi in piedi.

Lui scoppiò a ridere, crollando all'indietro sul bracciolo del divano. Protese le braccia verso di me. «Vuoi un abbraccio come ringraziamento?»

«Dipende. Vuoi che ti spezzi la colonna vertebrale?»

«Non lo faresti mai». Arcuai un sopracciglio e Seth deglutì. «Okay, forse sì. Buonanotte».

Mi diressi verso le scale per tornare al piano di sopra. Non avevo ancora salito il primo gradino che la sua voce mi fermò. «Non dovrebbe stare da solo stanotte» sibilò con apprensione.

«Lo so».

Una volta raggiunta la sala comune, rientrai nella camera di Nicholas e crollai sulla sedia della scrivania. Mio fratello si agitava leggermente sotto le coperte, mugugnando dei versi incomprensibili. Accarezzandomi la barba con l'altra mano, presi di nuovo il telefono e cliccai sul contatto di Rosalie.

Ringraziarla mi sembrava il minimo. Le dovevo anche chiedere scusa? L'avevo ignorata per due settimane, accusandola di averci mandati dritti in un'imboscata a scuola. Non ero pronto a darle troppa confidenza, quindi optai per qualcosa di semplice.

C: "Grazie per avermi avvisato di
quello che stava succedendo"

Riposi l'apparecchio nei pantaloni. Solo per un attimo. Lo riafferrai e continuai a fissare il display a lungo, intanto che mi strappavo le pellicine delle unghie con i denti. Ero consapevole che fosse da idioti, dato che era l'una di notte, eppure non riuscivo a fare a meno di desiderare una sua risposta immediata.

Quando mi accorsi che stava scrivendo, fui scosso da un sussulto.

R: "Se avessi saputo che
il tuo intento era farti
picchiare, non lo avrei fatto"

C: "Il tuo pubblico ha
gradito lo spettacolo"

R: "Be', io no"
"Sbaglio, o hai visualizzato
subito prima?"

Mi sentii arrossire e allargai il colletto della camicia in cerca d'ossigeno. Mi spremetti le meningi per elaborare una giustificazione sensata e razionale. E meno umiliante della verità.

C: "Avevo dimenticato
la chat aperta"

Dopo qualche secondo, lei mi inviò una di quelle immagini in movimento; gif, mi pareva si chiamassero. C'era un uomo che si truccava la faccia da clown. Scrollai la testa, divertito.

Adocchiai in tralice Nicholas, che ora si era calmato e dormiva pacifico, ed esalai un sospiro di sollievo. Per fortuna non poteva vedere che stavo sorridendo come un ebete allo schermo, o mi avrebbe preso in giro fino alla sfinimento.

R: "Scommetto che ti
ho fatto sorridere,
pezzo di ghiaccio"

C: "Non lo saprai mai"

Mi svegliai con un fastidioso prurito alla punta del naso. Soffocando uno starnuto, dischiusi le palpebre e la luce del mattino mi investì. Joel mi si stagliava di fronte, intento a solleticarmi il volto con una specie di spolverino. Gabriel era al suo fianco e mi stava applicando dello smalto nero, la lingua che sporgeva dall'angolo della bocca per la concentrazione.

«Che diavolo state facendo?» biascicai assonnato, ritirando di scatto la mano.

«Io ti ho messo del fard». Joel arretrò per ammirare il suo operato e ghignò soddisfatto. «Non so cosa sia, ma ti sta una meraviglia».

«Serve per dare colore al viso». Gabriel si riappropriò del mio braccio. «Aspetta, devo finire. Ti piace lo stile punk, vero?»

Li scansai e mi sollevai dalla sedia. Lo stomaco mi si attorcigliò quando notai l'ammasso di lenzuola gettate di lato. La televisione era stata spenta. «Dov'è Nicholas?»

«A fare il tè. Da un'ora». Joel simulò l'atto di trafiggersi con un pugnale invisibile. «Ne abbiamo abbastanza da poterci riempire la piscina ormai».

Gabriel mi fissò entusiasta. «Posso aggiungerti un filo di mascara?»

«No!» sbottai indignato. «Ora sparite, o vi prendo a calci».

Loro due ridacchiarono e scapparono dalla stanza, spintonandosi a vicenda per fare a gara a chi arrivava per primo. Erano peggio dei bambini. Feci un passo e quasi calpestai il mio telefono, che giaceva a terra.

Ricordavo di aver chattato con Rosalie per un po' durante la notte, poi all'improvviso il nulla. Lo raccolsi e lessi l'ultimo messaggio che mi aveva inviato, dopo che avevo smesso di risponderle.

R: "Devi esserti addormentato.
Sogni d'oro, Callum"

Risaliva attorno alle due e venti. Ne rimasi scioccato. Era da tempo che non dormivo più di quattro ore di seguito. Ficcai il telefono in tasca e, incapace di trattenermi, sistemai in fretta il letto sfatto di Nicholas finché non rimase neanche una grinza. Dopo essermi sciacquato per bene la faccia, rimosso lo smalto e spuntata la barba, scesi al piano di sotto.

I miei fratelli erano raccolti attorno al tavolo del soggiorno. In mezzo c'era un vassoio di pasticcini e un altro pieno di bignè cosparsi di zucchero a velo, insieme a due teiere ricolme fino all'orlo.

Gabriel, Joel e Sky erano così impegnati a ingozzarsi che neanche si accorsero del mio arrivo. Remiel li fissava orripilato, gettandosi di tanto in tanto un dolcetto in bocca. Isaac mi salutò con il cappuccino ancora in mano, mentre Alexander mi studiava con un'espressione indecifrabile.

Feci un cenno a entrambi, poi andai in cucina. «Come ti senti oggi?»

Nicholas mi scoccò un'occhiata torva, continuando a intingere la bustina nella tisana violacea. «Come se mio fratello mi avesse spezzato il collo» replicò imbronciato. «E tu?»

«Come se mio fratello mi avesse pestato». Stavo benissimo in realtà, ma volevo farglielo pesare un po'.

Lui scrollò le spalle. Buttò la bustina nel bidone e mi porse la tazza fumante. «Vuoi? È al mirtillo. Con latte».

Ed eccolo, il suo modo velato di riallacciare i rapporti senza farsi perdonare. Come se niente fosse accaduto. Agiva sempre secondo quello schema; se avessi accettato, lo avrebbe scambiato per un primo segnale di riappacificazione.

Invece, scossi il capo in segno di rifiuto.

«Un inglese che rifiuta il tè. Vergognoso». Ne assaggiò un sorso, fece la linguaccia e lo versò nel lavandino. «Torno in camera mia. Voglio stare da solo».

Mi spostai in modo da bloccargli il passaggio. «No, basta fare i capricci. Vieni di là e cerchiamo di risolvere la questione da persone adulte».

Nicholas serrò i pugni, ergendosi con atteggiamento di sfida. «Oppure? Prendi in prestito un altro trucchetto dal repertorio dei nostri genitori per rendermi docile?»

Sospirai frustrato. A volte era proprio infantile. In quel momento entrò anche Kath, con addosso ancora il top sportivo che indossava per fare jogging ogni mattina. «Perché non resti a fare colazione con noi, Nik?» chiese allegra, avvicinandosi al frigo.

«Non ho fame».

«Peccato. Avevo preso i donuts solo per te». Tirò fuori una scatola e la agitò, aggiungendo in tono innocente: «Con le praline».

Nicholas esitò. Sembrava che stesse combattendo una battaglia interiore. «D'accordo» cedette di malavoglia.

Kath gli consegnò la scatola e lo osservò andare a unirsi agli altri, poi si girò verso di me con un sorriso trionfante. «Ancora non hai capito quali sono i suoi punti deboli?»

Sbuffai. «Alla prima occasione, buttiamo nel bidone tutte le confezioni di tè».

«Ottimo. Così avrà un crollo nervoso».
«Se preparerà altro tè, potrei averne uno io».

Lei soffocò una risatina e la seguii in salotto. Spinsi indietro la sedia di fronte a Nicholas per permettere alla mia gemella di sedersi, quindi occupai il posto a capotavola. L'attenzione di tutti si era calamitata su di noi, ancora prima che Kath cominciasse a parlare.

«Allora» esordì impacciata. «C'è una cosa importante di cui vorremmo mettervi al corrente. Che è anche la ragione per cui non siamo ancora partiti».

Nicholas fece un verso sarcastico, addentando una ciambella con la glassa celeste. «Importante è un'esagerazione».

Sky lo indicò. «Perché quel bastardo ha un'intera scatola di donuts e noi no?»

«Perché è triste. I piccioncini hanno litigato». Joel gli pizzicò la guancia, sogghignando. «Vero che hai il cuoricino infranto, cocco di mamma?»

Nicholas lo scacciò con un gesto stizzito. «Ti stacco le dita a una a una e te le faccio ingoiare».

«Potreste...» intervenni esasperato.

Gabriel lanciò un urletto sconvolto, sovrastando la mia voce. «Volete dire che lui e Seth si sono lasciati e non lo sapevo? Voglio subito i dettagli per il mio blog!»

«Ma non era per le barzellette?» obiettò Isaac interdetto.

«Ho deciso di metterci anche del gossip».

Nicholas digrignò i denti, anche se fu Alexander a interromperli strappandosi via le cuffie dalle orecchie. «Potete andare contro la vostra natura e smettere di fare gli idioti? Vorrei ascoltare».

«Sì, anch'io» concordò Remiel serio. «Chi ha ucciso Nik stavolta?»

Kath fece un sorriso tirato. «Ecco, ehm, in realtà il problema è l'esatto opposto».

La confusione si dipinse sui volti dei miei fratelli. Iniziai a contare mentalmente, certo che quella calma sarebbe durata poco. Non ero arrivato a cinque che Gabriel azzardò un'ipotesi. «Nik ha imparato a resuscitare la gente?»

«Sarebbe divertente. Così potrebbe ammazzare all'infinito Lucius, quando lo scoveremo» ammiccò Joel. «Anche se forse dovremmo chiamarlo Luciana adesso».

Kath si sporse verso di me, mormorando a labbra strette: «Un aiutino?»

Scrollai le spalle e feci scivolare il medio sul pollice per zittirli con un sonoro schiocco. «Arya Black è venuta al castello ieri pomeriggio. A quanto pare, tra lei e Nicholas c'è stata... insomma...» Mi impappinai.

«Una scopata» completò Nicholas, facendo sussultare Remiel. Era l'unico che sembrava più infastidito che sorpreso. «Una gran bella scopata, se vi interessa saperlo».

Alexander gli rivolse un'espressione gelida. «No, non ce ne frega niente».

«Ma certo!» Gabriel si prese il viso tra le mani. «Ero sicuro di averla già incontrata, quel primo giorno a scuola. Era alla festa, me lo ricordo. Visto, Remi? Avevi torto tu».

«Qual è il punto?» sbadigliò Sky annoiata. «È risaputo che Nik lo infilerebbe anche in un albero, se solo trovasse il buco».

«Il punto è che la ragazza sostiene di aspettare un figlio suo. E a giudicare dal suo odore, è sincera».

Un silenzio innaturale piombò nel soggiorno, scandito dal ritmico masticare di Nicholas che era rimasto del tutto indifferente.

Poi di colpo Joel esplose in una risata così fragorosa che scivolò dalla sedia e continuò a rotolarsi sul pavimento con le braccia attorno allo stomaco. Dopo qualche secondo, si rialzò e si asciugò una lacrima dalla guancia. «Scusate, mi è passata davanti l'immagine di Nik che cambia pannolini e non ho resistito».

«Non credo di aver capito». Gli occhi nocciola di Gabriel sprizzavano lampi di felicità. Saltellava sulla sedia, incapace di stare fermo. «STIAMO PER AVERE UN NIPOTINO?»

Aveva strillato talmente forte che ero quasi convinto che i bicchieri sulla tavola si sarebbero disintegrati. Al suo fianco, Isaac si era tappato le orecchie.

«È uno scherzo». Lo sguardo di Remiel dardeggiava ininterrottamente da me a Kath e viceversa. «Vi prego, ditemi che è uno scherzo».

Sky annuì, la bocca ancora spalancata per lo stupore. Temetti che si fosse slogata la mascella, finché non si riprese abbastanza da dire: «Non pensavo neanche che fosse possibile».

«C'è una possibilità su un milione, o anche meno...» farfugliò Isaac incredulo, abbassando le mani.

Alexander si alzò di scatto, facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento. Le sue iridi di ghiaccio erano puntate su Nicholas. «L'hai messa incinta, coglione del cazzo?»

Il diretto interessato, anziché offendersi, apparì solo seccato. «Non capisco perché pensiate tutti che io sia andato a tentativi. Del tipo "Oh, aspetta, continuiamo finché uno degli sputacchi non taglia il traguardo"».

Anche Remiel lo attaccò. «Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Quel bambino sarà un De'Ath. Sarà un mostro, come noi. Stai rovinando la vita a una ragazza innocente».

«Secondo me, il vero motivo per cui ve la siete presa tanto è che me la sono fatta prima di voi».

Alexander mosse un minaccioso passo avanti. Mi affrettai a frappormi fra i due, sollevando una mano per tenerlo lontano. Nicholas non si scompose, anzi sfoderò un ghigno compiaciuto e pescò un'altra ciambella dalla scatola. Joel seguiva la scena come se fosse al cinema e i bignè fossero i suoi popcorn.

«Lo difendi, Callum? Davvero?» Alexander mi fissò, fremente di rabbia. Il suo tono era glaciale. «Da quando abbiamo lasciato la comunità, abbiamo passato tre anni a cercarlo... e per cosa? Non fa che combinare casini, ammazzando qualsiasi essere vivente che commette l'errore di respirare. Non vale neanche la metà del disturbo che ci siamo presi per ritrovarlo».

Nicholas balzò in piedi, ma avevo previsto la sua reazione. Subito lo afferrai per la spalla e lo rispinsi a forza contro lo schienale. Lui prese a dimenarsi come un animale in trappola, costringendomi a rafforzare la presa. Mi augurai che avesse ancora in circolo un po' del sedativo che gli avevo iniettato, o non sarei riuscito a tenerlo buono a lungo.

«State esagerando!» La voce di Kath tranciò l'aria come un pugnale che squarciava una tenda, forte e categorica. Non c'era nessuna traccia di sorriso sul suo volto. «Non sappiamo ancora quali siano le intenzioni di Arya. Potrebbe anche scegliere di non tenerlo. In caso contrario, dovremo capire come agire a riguardo e lo faremo assieme. Siamo una famiglia».

Trasalii. Non avevo preso in considerazione che Arya avrebbe potuto decidere di abortire. La logica mi imponeva di pensare che sarebbe stata la cosa migliore, tanto per me e i miei fratelli quanto per quella piccola creatura destinata a nascere con il male nel sangue.

E io ero sempre razionale. Avevo smesso da tempo di permettere ai sentimenti di intralciarmi dal fare ciò che era giusto per i miei fratelli, anche a costo di essere odiato da loro.

Allora perché percepivo un sapore acre impastarmi la bocca? Perché speravo con tutto me stesso che mia sorella si sbagliasse?

«Restare qui fino alla fine della gravidanza sarebbe rischioso» proseguì Kath esitante. «Ma se ce ne andassimo e l'Olympus scoprisse dell'esistenza del bambino, farebbe di tutto per...»

«Al diavolo. Io non vado da nessuna parte». Alexander uscì a passo di marcia dal soggiorno, urtando per sbaglio Seth che era appena spuntato dal corridoio.

Quest'ultimo rimase immobile sulla soglia per un attimo, la fronte corrugata, per poi ridestarsi quando il tonfo con cui venne chiuso il portone d'ingresso fece tremare le pareti. «Una colazione alla De'Ath, immagino».

«Particolarmente originale». Joel ridacchiò. «Nik ha ingravidato Arya col suo pistolino magico e Alexander e Remi si contendono il titolo di patrigno dell'anno».

Remiel lo guardò torvo. «Strozzati con quei dolcetti e sta' zitto».

Allentai la stretta sulla spalla di Nicholas, per poi mollarla del tutto. Non era più necessaria. Alla comparsa del suo migliore amico, si era afflosciato sulla sedia come se avesse esaurito le energie e lo scrutava con l'aria di un cane bastonato.

Mi domandai per l'ennesima volta quale assurdo potere possedesse quel ragazzo per riuscire a renderlo così vulnerabile.

«Buongiorno» lo salutò Nicholas con una nota speranzosa. «Vuoi un donut?»

Seth deglutì. Evitando di guardarlo, andò a sedersi dall'altra parte del tavolo e arraffò una manciata di pasticcini. Se ne stava ricurvo, a testa bassa, quasi volesse rimpicciolirsi il più possibile. Un'ombra di delusione balenò sul viso di Nicholas, che sembrò sgonfiarsi.

«Io sì. Grazie, neopapino». Joel si allungò per prenderlo, ma venne bloccato da un ringhio sommesso. Sghignazzò. «Sai che, con il super olfatto, sentirai tutta la fragranza della popò?»

«Quanto andrai avanti con queste battute di merda?» sibilò Nicholas.

Joel rise più forte. «In effetti, questa lo era proprio».

Gabriel proferì in un colpo di tosse. Gli sguardi saettarono su di lui, che stava smanettando con il telefono. «Famiglia, ho bisogno di aiuto. Sto ordinando su Amazon i cartoncini per l'annuncio, ma sono indeciso sul colore. Non sapendo se è un maschio o una femmina, potremmo puntare su un bel rosso ciliegia». Sollevò il capo. «Che dite?»

Increspai le sopracciglia. «Non faremo nessun annuncio».

«Sicuro? Ci sono anche i glitter in omaggio».

«Potremmo appendere uno striscione con su scritto "Baby Nik in arrivo" a un elicottero e farlo sventolare per la città» suggerì Joel.

Gli scoccai un'occhiataccia. «Ascoltatemi bene. Nessuno all'infuori di questa famiglia, più Septimus, deve venire a conoscenza del bambino. Dovremo fare in modo che anche Arya lo tenga segreto, sperando che non sia tardi».

Remiel si accigliò. «Non possiamo coinvolgerla. Non se lo merita. Per cosa poi? Un bambino che passerebbe la sua esistenza a rimpiangere di essere nato?»

«A proposito». Gabriel si voltò verso Seth. «Il fatto che Nik stia per avere un bebè ha in qualche modo influito sulla vostra rottura?»

Lui si rabbuiò. «No, figurati. Era il mio sogno proibito» borbottò sarcastico.

«Davvero? Nel mio sogno proibito c'è Beyoncé che...»

«È per questo che sei arrabbiato?» Nicholas si raddrizzò sulla sedia, fissando Seth allibito. «È stato un incidente. Ti ho già detto che non significa nulla per me».

Sky fece una smorfia rassegnata. «Non ci credo che questo idiota stia per diventare padre».

L'ultima parola sembrò colpire Nicholas con la violenza di una mazzata. Sbiancò, le mani che tremavano. «Mi avete davvero rotto le palle» sbraitò, sferrando un pugno sul tavolo. Stranamente non lo sfondò, ma le caraffe di tè strabordarono e bagnarono la tovaglia di pizzo con ricami di corvi. «Non mi importa un cazzo di questa storia. E nemmeno a voi dovrebbe. Sapete su cosa dovreste concentrarvi, invece? Ammazzare Lucius. Il che è difficile se prima non lo troviamo».

«Nik» lo chiamò Seth preoccupato.

Nicholas lo ignorò. Prima ancora che avessi il tempo di muovermi, si era già alzato. Cercò di spintonarmi via con veemenza e... niente. Non riuscì neanche a spostarmi, nonostante io non avessi tentato di fermarlo in alcun modo.

Nicholas si paralizzò, studiandosi le mani perplesso. Poi un guizzo sospettoso gli balenò nello sguardo e si girò verso Kath, le palpebre ridotte a due fessure. «Hai drogato i donuts, vero?»

Avrebbe avuto senso.

La sostanza creata da nostra madre poteva essere ingerita, oltre che inoculata, ed era appositamente inodore e insapore per ingannarci. In dosi sufficienti neutralizzava i nostri poteri, lasciando però la mente lucida. Quantità più abbondanti erano in grado di stordirci, o anche di stenderci.

Lei assunse un'espressione colpevole. «Solo un pochino. Ma tra qualche ora starai già benissimo». Fece una breve pausa, poi puntualizzò: «Giusto un lieve mal di pancia, magari...»

Ero già pronto alla sfuriata di Nicholas, quando il suono di una notifica riecheggiò nel silenzio carico di tensione. Presi il telefono, con un calore intenso che mi bruciava le guance all'idea che potesse essere Rosalie.

Il mio cuore rallentò nel constatare che il messaggio proveniva da un numero sconosciuto. Leggendolo, il sentimento senza nome venne rimpiazzato da un'altra sensazione molto più sgradevole.

"Capisco che non hai nessuna ragione per fidarti di me, ma devo avvertirti.
Sono quasi certo che gli uomini che vi hanno aggrediti al liceo siano al servizio di Uranus.

Vogliono il ragazzo che la polizia tiene in custodia e probabilmente stanno solo aspettando il momento opportuno. Uccidetelo prima che lo prendano.

Keegan è pericoloso, Uno. Credimi.

L."

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Angolo Jedi

Odio questo capitolo, soprattutto la seconda parte. Ho avuto un mezzo blocco e sono stata tentata di cancellarlo parecchie volte. Ammetto però che amo scrivere dal punto di vista di Callum🖐🏻

Comunque, spero che almeno a voi sia piaciuto. La trama si sta complicando a poco a poco, ma prometto che tutti i pezzi andranno a incastrarsi tra di loro. Almeno in teoria.

Grazie mille per leggere FoS.

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