𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 27 (Arya)
"𝔔𝔲𝔞𝔫𝔱𝔦 𝔢𝔯𝔯𝔬𝔯𝔦 𝔰𝔦 𝔣𝔞𝔫𝔫𝔬,
𝔠𝔬𝔫 𝔩𝔢 𝔪𝔦𝔤𝔩𝔦𝔬𝔯𝔦 𝔦𝔫𝔱𝔢𝔫𝔷𝔦𝔬𝔫𝔦"
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Non sapevo come reagissero di solito le ragazze della mia età alla scoperta di una gravidanza indesiderata. Io feci la cosa più spontanea del mondo: scoppiai a piangere. Rimasi per mezz'ora rannicchiata sul pavimento della mia camera con la schiena premuta al letto, le braccia strette attorno al collo di Balto e il volto affondato nel suo folto pelo ormai fradicio.
Amavo i cani. Avevano tante qualità che la maggior parte delle persone non possedevano, in particolare due: non giudicavano mai e ti capivano sempre. A volte fin troppo, dato che sapeva che ero incinta ancora prima di me. Doveva essere la ragione per cui era diventato così protettivo nei miei confronti nelle ultime settimane, si stava prendendo cura del nuovo membro della famiglia.
Famiglia.
Quella parola fece scattare qualcosa nel mio cervello. Sollevai la testa, asciugandomi le lacrime sulla manica della camicetta con un gesto brusco. Lanciai un'occhiata alla sveglia sul comodino, che segnava le quattro del pomeriggio. I De'Ath se ne erano già andati?
Il cuore cominciò a galoppare così forte che pensai mi avrebbe rotto qualche costola. Non potevo affrontare tutto da sola, anzi non volevo farlo. Dovevo parlare con Nicholas. Forse avrei peggiorato la situazione, ma non mi importava. Ne avevo bisogno.
Balzai in piedi. Balto ululò e mi seguì di corsa, mentre uscivo dalla camera e sfrecciavo giù per le scale. Mi infilai il giubbotto al volo e afferrai le chiavi della macchina di mia madre. Sulla soglia mi bloccai. Se la mamma fosse tornata dal parco con Rhys e non mi avesse trovata, dopo lo stato pietoso in cui mi aveva visto prima, sarebbe di sicuro andata nel panico. Strappai un post-it giallo, ci scribacchiai la prima bugia che mi venne in mente e lo attaccai al frigo.
Un applauso per essere riuscita a prendere una decisione responsabile, grazie.
Nonostante ci fossi stata già diverse volte, dovetti usare il navigatore per arrivare fino a Crystal Lake. Avevo già un pessimo senso dell'orientamento in condizioni normali, era meglio non metterlo alla prova da sconvolta e arrabbiata. Perché sì, ero furiosa.
Con me stessa, per essere stata così stupida da fare sesso senza precauzioni con uno sconosciuto. Con Nicholas, perché il birillo era suo e spettava pure a lui ricordarsi di mettere un dannato preservativo. E, soprattutto, ce l'avevo con la sfiga che sembrava perseguitarmi.
Avevo solo commesso un errore.
Okay, più di uno. Sbagliavo molto spesso.
Ma rimaneva comunque ingiusto.
Suonando il clacson all'impazzata ed esagerando un po' a premere il piede sull'acceleratore, giunsi al castello in una decina di minuti. Il cancello che conduceva all'immenso giardino era spalancato come al solito. Parcheggiai sull'erba, vicino alla fontana, e scesi.
Appena udii i versi dei corvi appollaiati sugli alberi, i peli mi si rizzarono sulla nuca. Il cielo era terso, una distesa di un azzurro immacolato privo di nuvole, e il sole mitigava il freddo vento invernale. Eppure, quello scuro maniero di pietra appariva così tetro e imponente da farmi paura.
Raggiunsi il portone principale e cominciai a tempestarlo di pugni. C'era un battente arrugginito in realtà, ma pendeva dalla bocca di un teschio piuttosto inquietante e non osavo toccarlo. Nell'istante in cui colpii il legno, però, l'uscio si dischiuse e mi accorsi che era soltanto accostata.
«Figurati, non è mica terrificante» commentai in un sussurro, scivolando poi oltre la fessura.
Il salotto era deserto. La fila di camini era spenta, quindi nell'aria aleggiava un gelo che mi graffiava le ossa. Il silenzio spettrale mi faceva accapponare la pelle. «Ehm, scusate?» Inghiottii un groppo e mi sforzai di parlare più forte. «Scusate, c'è nessuno? Sono Arya».
Qualcuno si schiarì la gola con discrezione, alle mie spalle. Sussultai e mi girai con un mezzo gridolino, arretrando d'istinto. Mi ritrovai davanti un ragazzo dai capelli neri pettinati alla perfezione e un paio di duri occhi grigi puntati su di me. Indossava un completo elegante, la cravatta drittissima e un fazzoletto sporgente dal taschino. Lo riconobbi subito.
Emisi un sospiro di sollievo. «Mi hai fatto venire un infarto. Di nuovo».
«Mi dispiace». La sua espressione però era impassibile. «Anche se tecnicamente sei tu che ti sei introdotta di nascosto. Di nuovo».
«La porta era aperta» mi difesi stizzita. «Anche quella del tuo ufficio lo era, se proprio vogliamo precisare».
«In tal caso, dovrò iniziare a chiudere tutte le serrature a chiave quando sei nei paraggi».
Buttai fuori l'aria dal naso con violenza. Malgrado fossi consapevole che aveva ragione, il suo atteggiamento di supponenza mi stava facendo saltare i nervi. «Mangi pane e gentilezza per colazione, immagino».
Callum inarcò un sopracciglio con disappunto, ma poi scosse il capo e mi fece cenno di accomodarmi sul divano. Non mi mossi. «Potrei sapere perché sei a casa nostra, per favore?»
«Sto cercando tuo fratello».
«Dovrai essere più specifica».
Incrociai le braccia al petto, rabbrividendo. Si congelava, cavolo. «Stronzo, biondo, con complessi di superiorità. Abbastanza specifico?»
Callum mi osservò per un istante. Anche se il suo sguardo penetrante mi metteva a disagio, mi costrinsi a reggerlo. Mi superò, si avvicinò a uno dei camini e lo accese. «Cosa vuoi da Nicholas?»
«Fatti gli affari tuoi».
Lui rigirò la legna nel camino con l'attizzatoio. Credevo che la mia risposta lo avrebbe irritato, invece un mezzo sorriso gli si formò sulle labbra. «Ti consiglio di calmarti un po', prima di parlare con mio fratello. Non ha la mia stessa pazienza».
«Non voglio calmarmi. Voglio solo sapere dove diavolo è Nicholas» sbottai, pestando un piede a terra. «Non è una domanda difficile. In camera sua?»
Dei passi riecheggiarono dal corridoio e una morsa mi strinse lo stomaco. Provai una fitta di delusione quando vidi Kath sbucare in soggiorno, con il fisico sottile fasciato da un pullover di lana e la fronte corrugata. Tra i corti capelli ramati portava un grazioso cerchietto ornato da rose rosse.
«Che sta succedendo?» chiese interdetta, dardeggiando gli occhi da me a Callum.
Quest'ultimo scrollò le robuste spalle. «Non ti preoccupare. Me ne occupo io».
Kath mi scoccò un'occhiata indagatrice, poi si rivolse al fratello. «Perché invece non ci lasci da sole? Sembra una situazione che richiede un pelino più di tatto» ammiccò scherzosa, mettendo il pollice e l'indice uno sopra l'altro con un minuscolo spazio a separarli.
Callum fece per protestare, ma lo sguardo categorico con cui la sorella lo fulminò lo fece desistere. Annuì e si incamminò su per le scale sbuffando, come un bambino rimproverato dalla maestra. Avevo la sensazione di aver frainteso su chi fosse davvero al comando del numeroso clan dei De'Ath.
Kath mi sorrise rassicurante. «Ti va un tè?»
Se me lo avesse proposto chiunque altro, gli avrei gridato addosso. Ma quella ragazza aveva un'aria così tenera e innocente che sarebbe riuscita a convincere un orso grizzly a ballare il tip-tap.
Mi prese sottobraccio e mi guidò in cucina, spingendomi con delicatezza su una sedia. Riempì d'acqua un pentolino e lo mise a scaldare sul fuoco. Quando aprì il mobile, notai che straripava di scatole di tè. Ce n'erano almeno una dozzina.
«Come ti piace? Lo abbiamo ai frutti di bosco, mango, vaniglia, gelsomino...»
Sbattei le palpebre. «Limone?»
«Andiamo sul classico, allora».
«Bevete così tanto tè?» obiettai perplessa.
«Non proprio. Nik adora prepararlo perché dice che il suo odore lo rilassa, ma non lo beve. Quindi, la metà finisce nel lavandino». Kath travasò l'acqua bollente in una tazza e vi immerse la bustina. Mi sbirciò con la coda dell'occhio. «Che ha combinato, a proposito?»
Trasalii appena. Doveva avermi sentita urlare prima. «Nulla. O meglio, non è del tutto colpa sua».
«Non male per i suoi standard» ridacchiò lei. Aggiunse una quantità spropositata di zucchero, poi prese a mescolare. «È in giro, comunque. Qui ci siamo solo io e Callum per i preparativi per la partenza. Gli altri sono usciti per godersi le ultime ore a Notturn Hall, ma non saprei dove sono».
Mi presi la testa tra le mani, rilasciando un lungo respiro. «E quando tornerà? Ti prego, ho bisogno di parlargli prima che ve ne andiate».
«Non ti conviene aspettarlo, è in grado di stare fuori casa anche tutto il giorno in questo periodo. Ma se è urgente, puoi cercarlo in un locale chiamato Coin in cui va spesso la sera per bere e... ehm, divertirsi».
Presi la tazza fumante che mi stava porgendo e, tenendola stretta con entrambe le mani, le feci un debole sorriso di ringraziamento. Mi bagnai appena le labbra con il tè, ne assaggiai il sapore dolciastro e camuffai una smorfia di disgusto. Decisamente troppo zucchero.
Kath si sedette accanto a me, così vicina che il suo gomito sfiorava il mio. «So che non hai nessun motivo per confidarti con me, e non sei obbligata se non vuoi, ma magari potrebbe aiutarti un consiglio da qualcuno che conosce molto bene quel testone di Nicholas».
Sospirai e incrociai il suo sguardo. Era quasi ipnotico, un misto di dolcezza e di preoccupazione contornato da un sorriso premuroso che scavava fin dentro l'anima. Nonostante l'avessi vista solo poche volte, ero completamente a mio agio con lei. Prima ancora di rendermene conto, le parole mi sfuggirono senza controllo e non potei fare niente per impedirlo.
«Sono incinta».
Kath si paralizzò, la bocca deformata in un ovale perfetto. Lo stupore sul suo volto era palpabile, mentre gli occhi scendevano sul mio grembo come se si aspettasse di vedere un pancione gonfiarsi all'improvviso. «Ah» fu tutto ciò che riuscì a dire.
Deglutii a vuoto e aggiunsi: «È di Nicholas».
«Ah».
Il silenzio che ci avvolse era insopportabile, così iniziai a tamburellare le dita sulla tazza di ceramica. Il calore mi pungeva i polpastrelli sudati e l'odore del tè saliva fino alle narici, facendomi contrarre lo stomaco. Pregai tra di me di non dover rimettere di nuovo, la sola idea che mi accadesse in un posto diverso da casa mia mi mandava nel panico.
«Tu...» Kath esitò. «Sei proprio sicura che sia di Nik?»
Mi accigliai per un istante, offesa da quell'insinuazione, poi mi limitai ad annuire. I De'Ath erano una famiglia benestante, probabilmente pensavano che potessi mentire perché avevo delle mire sul loro patrimonio.
Ma Nicholas era l'unico ragazzo con cui avevo avuto rapporti negli ultimi mesi. La volta precedente era stata con Josh quando stavamo ancora insieme, ma da allora avevo continuato ad avere le mestruazioni, anche se irregolari a causa dello stress.
Per questo il ritardo di un paio di settimane non mi aveva insospettita granché, oltre al fatto che non ero pronta ad accettare la realtà. Non lo ero nemmeno adesso, a essere sincera. Mi sembrava di essere imprigionata in un sogno e che mi sarei svegliata da un momento all'altro.
Non avevo nessun dubbio: quel figlio era di Nicholas.
Anche se avrei volentieri barattato i suoi geni con quelli di uno qualsiasi dei suoi fratelli, persino quell'idiota di Joel sarebbe stato meglio. Almeno riuscivo a stare più di cinque minuti in sua compagnia senza volerlo prendere a schiaffi.
Kath inspirò profondamente. «Questo spiega il tuo odore» mormorò assente. Di colpo impallidì, forse rendendosi conto di aver pronunciato quelle parole a voce alta.
Non mi interrogai sul significato della sua frase. Riposi la tazza sul bancone e mi alzai incespicando. «È meglio che io torni a casa. Grazie di tutto».
Avvertivo il bisogno impellente di andarmene, prima che la sorpresa per la notizia scemasse e venisse rimpiazzata da un'espressione di pietà. Di sicuro avrebbe pensato che solo una poco di buono poteva rimanere incinta a diciotto anni, e non avevo la forza sufficiente per affrontare anche i pregiudizi della gente.
«Arya, aspetta!» Kath mi venne dietro, ma non tentò nemmeno di fermarmi. «Non credo che dovresti dirlo a Nicholas. Non ora. Al momento è molto turbato da seri problemi di famiglia e non reagirebbe...»
Lui turbato? Lui? Perché, io non lo ero?
Attraversando a passi pesanti il soggiorno, mi voltai a fissarla. «Sì, beh, fonderemo un club» sputai rabbiosa.
«Arya, per favore...»
Tirai con veemenza il portone e uscii. Puntai spedita verso la macchina di mia madre, mi tuffai dentro e accesi il motore. Kath era a braccia conserte sull'uscio e mi guardava avvilita. Con una fitta al cuore, girai l'auto e mi allontanai dal castello.
Dopo aver percorso pochi chilometri, però, accostai sul bordo del campo brullo che fiancheggiava la strada e premetti la fronte contro il volante. Piansi di nuovo, sentendomi più sola di quanto lo fossi mai stata in vita mia.
Quando entrai nella discoteca, nugoli di stelle già ammiccavano nel cielo cobalto. Ethan si era offerto di venire con me, ma avevo rifiutato. Gli avevo chiesto però di coprirmi, nel caso mia madre tornasse prima dal lavoro e non mi trovasse nel mio letto. Speravo di non metterci molto.
Il Coin era gremito. Corpi che si agitavano come anguille si ammassavano sulla pista da ballo, illuminata da accecanti fasci di luci colorate che vagavano per la sala. La musica era sparata a tutto volume. L'aria, intrisa dell'odore di alcol e sudore, sembrava palpitare di frenesia.
Subito, il frastuono mi piovve addosso come una martellata nelle orecchie e il cuore mi schizzò nel petto. Non per la paura, ma per l'euforia. Era difficile per il mio animo da festaiola resistere all'impulso di lasciarmi trascinare da quel divertimento.
Mi destreggiai a gomitate tra la folla, tenendo d'istinto una mano sulla pancia. Mi ero vestita in maniera semplice, con una camicetta verde scuro non troppo scollata e una gonna lunga fino alle caviglie, per evitare di attirare attenzioni indesiderate. Eppure, al mio passaggio ricevetti comunque diverse occhiate languide.
Schivai qualsiasi tentativo di approccio e continuai a guardarmi attorno, finché individuai una famigliare testa riccioluta. Attorno a uno dei tavoli, Seth stava giocando a carte con un uomo dai capelli rasati. Aveva un'espressione concentrata e le labbra serrate in una linea sottile.
Avanzai a fatica nella sua direzione. Se c'era lui, era probabile che Nicholas fosse nei paraggi.
Appena fui abbastanza vicina, gli picchiettai un dito sulla spalla e chiesi senza preamboli: «Dov'è il tuo inseparabile amico?»
Un lampo di sorpresa balenò sul volto di Seth nel vedermi, poi si tramutò in fastidio nel metabolizzare la mia domanda. Corrugò la fronte. «Tu hai un'ossessione, lo sai, vero?»
Lo osservai. Al contrario di me, si era messo in tiro; indossava una sgargiante camicia satinata con frou-frou - molto in stile anni Settanta -, dei pantaloni attillati e una cravatta allentata attorno al collo. Era più carino di quanto mi ricordassi.
«Senti, non me ne frega se sono nella tua lista nera per non so quale assurdo motivo, okay? Ho bisogno di Nicholas» replicai, chinandomi per poterlo sentire meglio.
«Spiacente, non sono il suo segretario. Cercatelo da sola». E tornò a dedicarsi alla partita a poker.
L'uomo seduto di fronte sghignazzò e si diede una manata sulla gamba. «Perché non ti unisci a noi, piccola? Magari mi porti fortuna».
Lo ignorai e mi accomodai invece sulle ginocchia di Seth, lasciando quest'ultimo di stucco. «Tu sei pazza» commentò terrorizzato, spalmandosi contro lo schienale per mettere più distanza possibile tra di noi. «E non in senso buono».
«Se non mi dici subito dove diavolo posso trovare Nicholas» gli sussurrai all'orecchio, sbirciando i rotoli di banconote sul tavolo. In totale dovevano esserci almeno cinquemila dollari. «Racconterò a quell'idiota che stai vincendo perché conti le carte».
Seth si irrigidì. «E tu come lo sai?» bisbigliò a denti stretti.
Mi accigliai. «Ah, no, era una stronzata che mi stavo inventando. Non credevo che barassi davvero».
«Non so dove sia Nik, d'accordo? Conoscendolo, sarà andato a scopare in un privé». La sua voce era impregnata di rabbia. «Ora, gentilmente, ti puoi alzare?»
Assecondai la sua richiesta. «Potresti avvertirlo che lo aspetto al bar? Per favore, è importante».
Seth sospirò e fece un cenno d'assenso.
Mi diressi verso il bancone, per poi accasciarmi sul primo sgabello libero che trovai. Avrei tanto voluto bere fino a dimenticare il casino in cui mi ero cacciata, ma non potevo, quindi ordinai soltanto dell'acqua tonica. Presi a massaggiarmi le tempie, sbadigliando.
La spossatezza era normale all'inizio di una gravidanza? Dovevo assolutamente andare a farmi visitare. Ma come potevo farlo, senza che l'intera Notturn Hall lo venisse a sapere?
Un ragazzo mi affiancò. A giudicare dalla puzza che emanava e dall'andatura strascicata, doveva essere alticcio. «Ehi, come ti chiami?» biascicò, circondanomi con un braccio.
Esitai solo per un attimo, disorientata. A quel punto, però, qualcuno me lo aveva già strappato di dosso con violenza. Malgrado il baccano, udii il suo polso scricchiolare nella morsa d'acciaio di Nicholas quando glielo torse. «Lei è con me. Sparisci» ringhiò in tono gelido, spingendolo via.
Lo fulminai. «Stai a cuccia. Non sono con te».
Nicholas attese che il ragazzo si fosse dileguato e si buttò sullo sgabello accanto, col gomito puntellato sul bancone e il busto ruotato verso di me. I capelli biondi erano arruffati e la camicia nera aveva alcuni bottoni slacciati, tanto che potevo vedere il ciondolo dei De'Ath pendergli sulla pelle liscia del petto.
Mi sorrise. «Un semplice "grazie" sarebbe bastato, tesoro».
«So rifiutare da sola le avances di cretini ubriachi».
«Ne sono certo, ma sentivo il fetore della sua eccitazione. Non avrebbe accettato un no, te lo assicuro».
Roteai gli occhi. «Sei un segugio per pervertiti? Vuoi un biscottino come premio?»
Nicholas ridacchiò. Quel suono mi scatenò un brivido lungo la colonna vertebrale, simile a una scossa elettrica che andò a terminare nel basso ventre. «Mi è stato riferito che mi reclamavi con una certa insistenza. Posso offrirti un bloody mary, così ne parliamo?»
Bloody mary, il mio cocktail preferito. Lo avevo bevuto alla festa, durante il nostro primo incontro, ma non credevo che se lo ricordasse.
«Stando alla mia ultima esperienza, preferisco rimanere sobria con te» commentai, bevendo un sorso di acqua tonica. «E comunque è un argomento da affrontare in privato».
Nicholas arcuò un sopracciglio, nello stesso modo saccente di Callum. Ma fatto da lui era molto più irritante rispetto al fratello. «Allora non avresti dovuto seguirmi in un night club, ti pare?» sogghignò.
Assottigliai le palpebre, risentita. «Ero venuta a cercarti al castello. Non è colpa mia se la tua priorità nella vita è infilarlo in ogni buco che trovi».
«Ecco il perché delle venti chiamate perse da parte della mia sorellona». Nicholas estrasse il cellulare e scorse i messaggi di Kath. «Mi ha anche scritto che eri così sconvolta che ha dovuto farti un tè. Hai la mia ammirazione per essere sopravvissuta».
Scossi la testa, tentando di nascondere le labbra incurvate all'insù. Iniziavo a pensare di averlo giudicato troppo in fretta. Era odioso, arrogante e metteva a dura prova la mia pazienza, ma dovevo ammettere che riusciva a essere anche non del tutto sgradevole ogni tanto. Forse avrei dovuto almeno provare a conoscerlo, prima di condannarlo.
Vuotai il bicchiere e mi tirai in piedi. «Balliamo».
Nicholas mi fissò dal basso per un lungo momento, poi mi imitò. «Come vuoi, amore. Starò al tuo gioco».
Lo guidai fino al centro della pista e mi fermai. Nicholas mi cinse il fianco con delicatezza, mentre io gli agganciavo un braccio dietro la nuca. I nostri corpi aderirono alla perfezione, incastrandosi come pezzi dello stesso puzzle, e le sue dita affusolate si intrecciarono alle mie.
«Non ne stai approfittando per toccarmi il sedere. Considerami stupita».
«Sono un bastardo con un codice morale». Abbozzò un sorrisetto e si protese in avanti, così vicino che il suo respiro caldo mi bruciava sul viso. «Ma dammi il permesso e ti toccherò in punti di cui non sapevi neanche l'esistenza».
La sua voce vellutata mi fece tremare le gambe e mi augurai che non potesse percepire anche la mia, di eccitazione. Da sopra la sua spalla, scorsi in lontananza Seth che ci fissava dal tavolo con un'espressione omicida. «Perché il tuo migliore amico mi detesta?»
La bocca di Nicholas mi sfiorò la guancia. Un contatto casuale e fugace che continuò ad ardermi sulla pelle, anche dopo essersi interrotto. «Niente di personale, angioletto. Non gli piacciono mai le persone con cui faccio sesso».
«Smettila di chiamarmi così» esclamai, ritraendomi per guardarlo negli occhi.
«Perché?»
«Mi dà fastidio».
Nicholas scoppiò a ridere. Mi fece fare una mezza piroetta e a metà mi attirò di nuovo a sé, bloccandomi con la schiena schiacciata al suo torace scolpito. Le mani erano posate sul mio bacino in una stretta decisa ma non forte, come se volesse farmi sapere che potevo liberarmi in qualsiasi momento. La leggera barba del suo mento mi pizzicò la pelle sensibile del collo e fremetti di piacere.
«So che mi vuoi, angioletto».
Girai la testa e la punta del mio naso si scontrò con il suo. Il mio respiro accelerò. «Dovresti smettere di comportarti come se fossi tu ad avere potere su di me». Mi strusciai contro il suo inguine e godetti dell'effetto che gli facevo. «Perché è ovvio che è il contrario».
A Nicholas sfuggì un gemito roco. «Facciamoci quella chiacchierata, ti va?»
Non lo lasciai prendere l'iniziativa. Lo afferrai per un lembo della camicia e lo trascinai nel corridoio deserto che conduceva all'uscita di emergenza. Mi accorsi dello sguardo di Seth che ci seguiva, prima che svoltassimo l'angolo e scomparisse dal mio campo visivo.
Quando mi voltai, Nicholas si sporse per baciarmi. Gli premetti l'indice sulle labbra per allontanarlo, poi abbassai la mano e la insinuai sotto la sua camicia. Con il palmo aperto, esercitai una lieve pressione sul suo addome e lo costrinsi ad arretrare fino a sbatterlo contro il muro. Avere il comando della situazione mi inebriava e dovevo sforzarmi per mantenere la lucidità.
Lui rimase immobile a guardarmi, le iridi blu che brillavano di bramosia. E di curiosità. «Mossa audace, tesoro. Ma non credo che tu sappia come proseguire» mi sfidò con un ghigno.
«Voglio solo chiarire una cosa».
Gli accarezzai la pancia, dura e piatta. Appena scesi a giocherellare con il bordo dei jeans, i suoi muscoli si tesero e cominciò ad ansimare. Provai a cogliere dei difetti, ma persino il profilo visibile delle costole o le cicatrici sulla gola sembravano arricchire la sua bellezza, piuttosto che intaccarla.
Aveva un corpo così stupendo che mi chiesi se Dio non gli avesse dato un pessimo carattere, per compensare tutta la perfezione che gli aveva concesso nell'aspetto. E la consapevolezza che fosse a mia completa disposizione rendeva il desiderio di osare di più un bisogno quasi doloroso.
Portai il volto a pochi centimetri dal suo e sussurrai: «Se mai dovesse succedere di nuovo qualcosa tra di noi, sarà quando lo dico io e come lo dico io». Gli toccai il rigonfiamento sulla patta attraverso il tessuto e lo sentii espirare bruscamente. «Capito?»
«Hai grinta, angioletto». Il suo sorriso si allargò, scavandogli una fossetta all'angolo della bocca. «Ora capisco perché ti ho portata a letto».
«Stronzo».
Nicholas ammiccò. «E questa è la ragione per cui tu hai portato a letto me».
«Bene». Indietreggiai e mi sistemai i vestiti con le mani tremanti, portandomi poi una ciocca corvina dietro l'orecchio. Avevo il fiatone, come dopo aver corso una lunga maratona. «Adesso possiamo parlare».
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