𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 25 (Nicholas)
"𝔏'ℑ𝔫𝔣𝔢𝔯𝔫𝔬 𝔟𝔯𝔲𝔠𝔦𝔞 𝔲𝔫 𝔭𝔬'
𝔪𝔢𝔫𝔬, 𝔰𝔢 𝔠𝔦 𝔰𝔢𝔦 𝔱𝔲 𝔠𝔬𝔫 𝔪𝔢"
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Due settimane dopo, tutta Notturn Hall ancora parlava dell'incendio scoppiato durante la notte del blackout. Non era stato devastante quanto avevo sperato, tant'è che la scuola aveva già ripreso a svolgere le lezioni, ma ero soddisfatto che avesse avuto una certa risonanza nella cittadina. Adesso Lucius sapeva che non mi sarei dato pace finché non lo avessi trovato. E ucciso, ovviamente tra atroci sofferenze.
Nella mia mente già pregustavo la sua morte. Il destino mi aveva dato una seconda opportunità per infliggergli le pene che meritava, prima di rispedirlo all'Inferno da quell'arpia che amava tanto, e non me la sarei lasciata scappare. Sarei stato fantasioso nel torturarlo, allo stesso modo in cui lo era lui durante i nostri giochi.
Al momento, però, potevo sfogare la mia rabbia soltanto bersagliando di freccette una sua fotografia attaccata all'armadio. Era ciò che stavo facendo da una quantità indefinibile di tempo, sdraiato nel letto, con della malinconica musica classica ad accompagnare la mia solitudine.
Mi sentivo sul punto di esplodere. La mia testa era affollata da così tante voci e così tanti pensieri che avrei voluto spaccarmi il cranio per tirarli fuori, nella speranza di trovare un po' di pace.
I miei fratelli li definivano i miei periodi neri e sapevano che, quando ero in quelle condizioni, era meglio starmi alla larga e rispettare i miei spazi. Persino Joel era stato meno invadente del solito, dopo che il suo primo e unico tentativo di disturbarmi era finito con un naso rotto.
«O magari è semplicemente perché a loro non importa nulla di te».
Scoccai un'occhiataccia in tralice a Lucius. O meglio, alla sua visione. Se ne stava spaparanzato sulla poltrona in un angolo della stanza, con la bocca distorta in un sorriso sardonico. Da quando mi ero confinato tra quelle quattro mura, era diventato una presenza costante.
Sbuffai. «Hai proprio rotto i coglioni. Potrei tagliarti anche quelli, che ne dici?»
«Dico che sei patetico». Il suo sguardo seguì la traiettoria dell'ennesima freccetta. «Bruciare la scuola per attirare la mia attenzione. Un tantino melodrammatico».
Scrollai le spalle. «Ti sono sempre piaciuti i falò».
«Piacevano a entrambi».
Il passato sbucò fuori strisciando dalla sua tana. Ripensai alle fiamme che danzavano nell'oscurità, ai crepitii della legna che ardeva, al sapore dolce dei marshmallow e al calore che mi pizzicava il viso. Una volta, osservando il cielo, Lucius mi aveva spiegato dell'esistenza di gruppi di stelle che insieme sembravano formare uno schema preciso, basato su linee o figure. In realtà, le costellazioni erano soltanto immaginarie, create nell'antichità per agevolare la navigazione, ma continuavano a esercitare un tale fascino che ognuna di esse conservava ancora un proprio nome.
«E tu li conosci?»
«Li imparerò tutti per te».
Scossi il capo per riscuotermi, poi mi trascinai in piedi e andai a riprendere la schiera di freccette conficcate nell'anta dell'armadio. Mentre stavo tornando indietro, Lucius comparve dietro di me e mi cinse per i fianchi. Il suo petto aderì alla mia schiena, il bacino che mi si strusciava addosso. Pur sapendo che non era reale, mi paralizzai sul posto, rigido come uno stecco di legno.
«Lo facevamo così, ricordi?» mi sussurrò all'orecchio, stringendomi in una presa soffocante. «Il mio cucciolo obbediente...»
Agii d'istinto. Afferrai il grosso libro sul comodino e lo scagliai con forza. L'immagine dell'uomo si dissolse, non prima di avermi rivolto un ghigno canzonatorio. Il tomo invece andò a schiantarsi con un tonfo contro il muro, a pochi centimetri dalla porta che si era appena spalancata.
Seth spiccò un balzo, impallidito. «Porco Thanos! Perché diavolo lanciate sempre le cose in questa famiglia?» Si portò una mano al petto, rilasciando un lungo fiotto d'aria dalla bocca.
«Ti ho mancato. Non lamentarti» borbottai. Le freccette mi erano cadute a terra, ma non avevo voglia di raccoglierle. Mi buttai di peso sul letto, distesi le gambe e intrecciai le dita dietro la nuca. «Che vuoi?»
«Ero venuto per accertarmi che fossi ancora vivo». Seth si chinò per raccogliere il libro. «Non serve che ti chieda come stai. Insomma, hai appena rischiato di ammazzarmi con Moby Dick. La risposta è ovvia».
«Sono sicuro che fosse chiuso a chiave».
«Sì, infatti. L'ho scassinata». Aggrottò la fronte. «Sul serio non mi hai sentito?»
No, ero troppo distratto dagli scherzetti prodotti dal mio cervello malato.
Mi ribaltai sulla pancia e affondai la faccia nel cuscino. «Ho detto che voglio rimanere da solo. Perché nessuno si fa mai i cazzi propri, qui?»
Nonostante non lo vedessi, percepii ogni suo singolo movimento. Ripose il libro sulla scrivania, si accostò al letto scavalcando le freccette e si adagiò sul bordo del materasso. Non mi sfiorava nemmeno, ma appena il suo odore di miele mi travolse, tutto il corpo si rilassò. La sua semplice vicinanza bastava a trasformarmi in un blocco d'argilla che poteva modellare a suo piacimento, era l'effetto che aveva su di me e lo detestavo. Eppure, gliel'avrei lasciato fare all'infinito.
«Ti conosco, brontolone». Una bonaria sfumatura di rimprovero gli permeava la voce. «Quando ti isoli, vuoi stare da solo. Non sentirti solo. Devi avere la prova che c'è qualcuno che ti vuole bene e che si preoccupa per te, a prescindere da quanto lo allontani. Quindi, eccomi a romperti le scatole».
Le sue dita si infilarono tra i miei capelli. Mi beai delle sue carezze per un istante, poi con uno sforzo immane mi ritrassi e mi sistemai sul fianco, il viso rivolto verso di lui. Se gli permettevo di toccarmi, era la fine. Sarei crollato. Ma non potevo, non volevo calmarmi. Senza la rabbia ad affogarlo, il dolore sarebbe emerso e mi avrebbe tirato a fondo con sé.
«Mi sorprende che ti interessi, considerato che mi hai ignorato per cinque mesi» commentai risentito, abbassando le palpebre.
Seth emise un verso stupito. «Pensavo che avessimo chiarito. L'ho fatto per lasciarti un po' di spazio, per stare con la tua famiglia...»
«O per liberarti di me» lo interruppi acido.
«Guardami».
In automatico mi ritrovai a obbedire. Commisi l'errore di incrociare il suo sguardo e sentii la mia determinazione vacillare. La sua espressione si era indurita, ma gli occhi neri brillavano carichi di dolcezza e mi fissavano come se fossi un bambino cocciuto a cui stava tentando di spiegare dei concetti estremamente banali.
«Trattarmi male per mandarmi via non funziona con me, okay?» mi ammonì severo. I suoi lineamenti si sciolsero nell'accenno di un sorriso. «Vieni di sotto. Cena con noi. Sono giorni che non mangi e la compagnia dei tuoi fratelli ti aiuterà di più che stare rinchiuso a giocare a freccette con l'immagine di quel bastardo davanti».
«Io ho un'idea migliore». Con uno scatto, gli agguantai la felpa e lo attirai verso di me. I nostri nasi si scontrarono e gli strofinai la punta del mio sulla guancia, per poi scendere a soffiargli un bacio leggero sul collo. Inalando avido il suo profumo, mormorai sulla sua pelle: «Smettila di respingermi. Non ho bisogno di stupide cenette famigliari, ma di questo. Di sentirmi tuo, solo tuo».
Il respiro di Seth si fece pesante. Aveva piegato la testa di lato in un gesto meccanico, per espormi meglio la sua gola. Sciolse con delicatezza il pugno in cui serravo il tessuto e si tirò indietro. «Abbiamo messo dei paletti, Nik». Le sue iridi si posarono sulle mie labbra e un lampo di bramosia vi balenò dentro. Deglutì. «Però possiamo parlare».
Feci una smorfia. «Preferisco scopare».
«Non risolve i tuoi problemi».
«No, ma è una piacevole distrazione. Al contrario, parlarne è inutile e noioso. Non ci tengo a frignare per la mia esistenza da schifo, grazie». Lo scansai in maniera rude e mi incamminai. Mi bloccai a metà strada dall'uscita, accorgendomi che non mi stava seguendo. «Ti muovi o devo prenderti in braccio?»
Seth sorrise. «Ti ho convinto a unirti a noi, allora?»
«Per forza. Sei un gran rompicoglioni».
Scendemmo insieme in soggiorno, dove c'era la mia famiglia quasi al completo. Joel era chino sul tavolino con un cipiglio pensieroso, assorto in una partita a carte con Gabriel. Quest'ultimo lo osservava dalla parte opposta, le gambe incrociate sul pavimento, mentre intingeva distrattamente le patatine fritte nella nutella.
Su una poltroncina, Isaac si infilava in bocca una forchettata dopo l'altra di couscous di verdure, reggendo un libro aperto tra le gambe. Sky era spaparanzata sul divano, appoggiata contro la spalla di Remiel, ed entrambi divoravano un gigantesco hamburger. Alexander stringeva una lattina di coca cola, ma la sua attenzione era completamente rivolta alla televisione. Era parecchio teso, probabilmente perché i protagonisti del film erano un cane e un bambino.
Kath era impegnata a fare delle pose assurde su un tappetino. Al nostro arrivo, però, sfoggiò un ampio sorriso e si alzò. Mi passò un involucro tondo di carta bianca, una confezione di patatine fritte e una birra, mimando poi un "grazie" a Seth che finsi di non notare. Mancava soltanto Callum.
«Sei risorto finalmente, fratello!» Raggiante, Gabriel sventolò una mano in segno di saluto. Sembrava che non ci vedessimo da un'eternità.
Joel sollevò il capo. «È troppo presto per fare battute su De'Ath tornati dalla morte?»
«Sì» lo rimbeccarono Sky e Remiel in coro.
Roteai gli occhi. «Mi avete già stufato. Credo proprio che me ne andrò a cenare in camera».
Seth non mi diede il tempo neanche di girarmi. Si abbandonò su un divanetto libero, mi agganciò la cintura dei jeans con un dito e mi costrinse a sedermi accanto a lui. Mi tenne un braccio avvolto attorno alla vita, senza disturbarsi a esercitare la minima pressione.
Sapeva che non sarei mai riuscito a sfuggire alla sua presa, per quanto debole potesse essere. Se mi voleva lì, il mio corpo si sarebbe rifiutato di muoversi finché non mi avesse lasciato.
Scartai il mio cheeseburger e ne strappai un morso. Incrociai per caso lo sguardo di Sky, velato da una malcelata preoccupazione, e le ammiccai. Per tutta risposta, mi mostrò il dito medio e si voltò con fare impettito. La pietra che mi batteva nella cassa toracica si sgretolò un altro po'. Mi mancava da morire la mia sorellina.
Mi buttai contro lo schienale. «Comunque, datemi degli aggiornamenti su quello che è successo nel mondo esterno nell'ultima settimana».
«Ho creato un blog!» strillò Gabriel con entusiasmo. Gesticolava all'impazzata, facendo tintinnare le perline colorate dei braccialetti. «Per pubblicare le mie barzellette. Devo ancora mettere a punto alcuni dettagli, ad esempio come chiamarlo. Volevo fare un giochino di parole con il nostro cognome, ma è difficile da abbinare a qualcosa di comico».
Joel sogghignò. «Che ne pensi di "Battute che ti faranno venire voglia di suicidarti"?»
«È un po' lunghino e non mi fa una buona pubblicità. Io avevo in mente più una cosa come "Risate fino alla morte"».
Seth mi rubò una manciata di patatine dal cartone. «E questo ti farebbe buona pubblicità?»
«Quando vi ho chiesto degli aggiornamenti, mi riferivo a qualcosa di utile. Non alle vostre stronzate» mugugnai con un sospiro seccato.
«Dopo i tuoi fuochi d'artificio, quella zona della scuola è ancora chiusa». Remiel mi guardò con un'espressione d'accusa. «La polizia sta facendo delle indagini per trovare il responsabile dell'incendio. Questa è la versione che hanno fornito all'opinione pubblica. Pare che qualcuno nel dipartimento abbia insabbiato la faccenda dei cadaveri carbonizzati».
«Callum è convinto che c'entri lo sceriffo» aggiunse Sky.
Isaac interruppe la sua lettura. «Ho sentito dire che, per ora, il loro principale sospettato è Keegan. Lo tengono in custodia». Stropicciò l'angolo della pagina, nervoso. «Speriamo che non abbia dei guai per colpa nostra».
La birra mi andò di traverso, facendomi tossire. Un rivolo mi colò sul mento e lo asciugai bruscamente sulla manica. «Si è preso il merito del mio incendio?» gridai, punto sul vivo. «Appena lo becco, giuro che gli stacco la testa e la uso come soprammobile. Non lo conosco e già...» La voce mi morì in gola.
La mano di Seth si era insinuata sotto la mia maglia. Con l'indice aveva preso a tracciarmi dei ripetuti cerchi sulla pelle, poco sopra l'anca, scatenandomi una serie di scosse elettriche in tutta la schiena. Qualsiasi minaccia stessi formulando si era trasformata in un'accozzaglia di pensieri confusi e insignificanti.
Mi voltai verso di lui, che sorrise. Mi passò il pollice sul labbro e si succhiò la salsa che aveva raccolto dal polpastrello, con una lentezza tale che per poco non gemetti come un cretino.
Alexander batté il telecomando sul bracciolo della poltrona, gli occhi incollati alla televisione. «Ve ne state zitti?»
«Che c'è, tenerone?» Joel gettò una delle sue carte sul tavolo. «Hai paura che il cagnolone non riesca a tornare sano e salvo dal marmocchio?»
«Cagnolona. È una femmina, idiota».
Gabriel si sporse verso Alexander e gli rifilò delle pacche rassicuranti sul ginocchio. «Ssh, tranquillo. Andrà tutto bene. Cioè, di solito i cani fanno una fine terribile in questo genere di film, ma sono sicuro che non è questo il caso. Okay, sicuro no. Un buon sessanta percento, ecco».
Lui lo colpì sulla nuca con il telecomando. Gabriel gemette e si ritrasse, massaggiandosi il cespuglio di ricci tinti di rosa. «Uffi, ho detto sessanta. È più della metà. Questa violenza è ingiustificata» farfugliò in tono capriccioso.
«Ragazzi, non litigate» urlò Kath dalla cucina.
Inghiottii l'ultimo boccone di panino e feci per pulirmi le dita. Esitai, poi le porsi a Seth. «Vuoi leccarmi anche queste?»
Prima che potesse rispondere, venne attratto da un punto oltre di me. Aggrottò le sopracciglia e il disgusto si dipinse nella sua espressione, facendogli arricciare il naso in quella sua maniera particolare che lo rendeva quasi ridicolo. E carino, molto carino. «Sto per vomitare» biascicò, tappandosi la bocca.
Ci misi un attimo a capire la ragione del suo comportamento.
Callum era entrato in soggiorno. La sua camicia bianca era schizzata di sangue, con le maniche arrotolate fino al gomito e delle impronte rosse sul colletto, che dovevano essere dovute al suo tic di sistemarlo. Si era già lavato le mani, ma la faccia presentava ancora qualche goccia cremisi. Per una volta, i suoi capelli corvini erano spettinati, sebbene mantenessero la solita piega da perfettino.
Feci un sorrisetto. «Allora non ti sei rammollito del tutto».
Per chissà quale miracolo, eravamo riusciti a catturare vivo uno dei soldati dell'agguato alla scuola e da allora era lo tenevamo nei sotterranei. All'inizio mi ero offerto io di chiacchierare con il nostro gradito ospite, ma mio fratello mi aveva proibito anche solo di avvicinarmi. Temeva che mi sarei lasciato trasportare, finendo per ucciderlo senza ricavare informazioni utili.
«E tu sei uscito dalla tua camera. Fai progressi» commentò Callum. Nonostante il tono sarcastico, il suo volto tradiva del sollievo. «Bene. Così puoi provare a convincere i bambini a smetterla con questo silenzio punitivo».
Gli altri lo ignorarono. Isaac divenne paonazzo e il suo sguardo continuò a scorrere sulla pagina, ma era ovvio che stesse fingendo. Dubitavo che fosse davvero arrabbiato, era incapace di portare rancore, quindi dovevano averlo obbligato con un ricatto morale.
Dopo sessanta secondi scarsi, Gabriel cedette. «Ciao, papà orso! Come vanno le torture?» Appena colse le occhiatacce di Remiel e di Sky, si schiarì la gola e tornò a studiare le sue carte. Fece spallucce. «È quello che ti chiederei, se ci parlassimo ancora. Invece no. Perché ce l'ho con te. Ci puoi scommettere che ce l'ho con te».
Callum scosse la testa. «Quanto siete infantili».
«Non ci hai mentito su chi ha preso l'ultimo pasticcino dal frigo. Ci hai mentito su Lucius» gli rinfacciò Sky, incrociando le braccia sotto il seno. Quel nome mi fece trasalire e il braccio di Seth mi strinse più forte. «Sai che cos'è infantile? Che ti ostini a non scusarti».
Remiel concordò con un cenno. Joel si scompigliò i capelli biondi e ruotò il busto verso Callum, puntellando un gomito sul tavolino. «Per chiarire, a me non frega nulla delle scuse. Comprami una macchina fighissima tipo una Ferrari e ti perdono al volo».
Gabriel alzò timidamente un dito al soffitto. «Ehm, tanto per sapere. Quanto sarebbe grave aver mentito sul pasticcino?»
«Vi devo ricordare che anche Nicholas lo sapeva? Perché sono l'unico che mettete in croce?» sbottò Callum irritato.
Remiel mi indicò con un gesto della mano. «Perché è uno psicopatico narcisista che pensa solo a sé stesso. Nessuno si aspetta che sia sincero».
Seth mi adocchiò, forse credendo che ci sarei rimasto male. Invece ridacchiai. «Potrei offendermi, ma in effetti è una mia descrizione molto accurata».
Alexander esalò un respiro scocciato e tenne premuto il tasto del volume, finché fu talmente alto da rimbombare contro le pareti del salotto. Quando si accorse che lo stavamo fissando tutti, sibilò a denti stretti: «State zitti».
«Come vi pare». Callum si indirizzò verso le scale a rapide falcate. Salito il primo gradino, si voltò di nuovo ed esibì un mezzo sorriso. «Vi do un altro motivo per odiarmi. Tra pochi giorni, voi e Septimus lascerete la città con nostra sorella. Qui rimarremo solo io e Nicholas per occuparci di Lucius, una volta risolto vi raggiungeremo. Buona serata».
Osservai il liquido azzurro nel mio bicchierino, sbuffando. Ero seduto attorno a uno dei tavoli nella discoteca del Coin, con il mento affondato nel palmo e un malumore terribile addosso. Accanto a me, Joel si stava preparando un drink speciale a cui aveva aggiunto della polverina bianca, che diceva di aver comprato da uno spacciatore a scuola. Non avevo fatto domande.
«Sapete cosa dovremmo fare?» intervenne Gabriel, tirando fuori un'agenda e una penna dalla borsa. «Una lista di pro e di contro sul ritorno di Lucius. È scientificamente dimostrato che aiuta a metabolizzare le cattive notizie e a vederle sotto una nuova luce».
Sollevai lo sguardo su di lui. Oggi aveva osato con un look ancora più appariscente: un gilet di paillettes argentate senza niente sotto, pantaloni viola attillati e una quantità esagerata di glitter sui capelli. Le braccia e il torace erano scoperti, cosparsi di brillantini, e aveva un luminoso ombretto dorato sulle palpebre.
Joel smise di mescolare il suo cocktail e infilò in bocca il cucchiaino. «Pro: è senza cazzo».
Annuii. «Altro pro: posso ammazzarlo. Di nuovo».
«Che vi dicevo?» Emozionato, Gabriel prese a scribacchiare sul foglio. «C'è sempre un aspetto positivo in tutto».
«Contro: conosce ogni nostra debolezza meglio di chiunque altro, dato che ha contribuito a crearci». Sky fece una smorfia, mordicchiando la cannuccia che sporgeva dal suo calice. «Callum potrebbe non avere torto a voler farci andare via».
Ero felice che avesse accettato di unirsi a noi, anche se continuava a non rivolgermi la parola, tranne per gli insulti. Significava che la mia compagnia non le era così insopportabile e lo consideravo un minuscolo passo verso la riconciliazione.
Gabriel schioccò le labbra in segno di disapprovazione. «Non mi piace questo pessimismo, signorina».
Ecco, di lui invece avrei volentieri fatto a meno. Ma si era nascosto nel bagagliaio e ce ne eravamo accorti solo quando, dopo aver parcheggiato, la sua voce acuta aveva strepitato: «Ragaaazzi, mi potreste aprire?» Quello aveva spiegato il nauseante profumo floreale che aveva infestato la macchina per l'intero tragitto.
«È quello che ho detto anche a Seth. Non l'ha presa bene» bofonchiai, vuotando il mio shottino. «Sarebbe più al sicuro con voi. Voglio solo proteggerlo. Perché nessuno apprezza le cose gentili che faccio?»
«Definisci "cose gentili"». Sky mi riservò un sorriso sprezzante. «Perché, per esperienza, posso affermare che non sono il tuo forte».
«Gli ho fatto notare che mi sarebbe stato difficile concentrarmi su Lucius, se ero impegnato a salvargli il culo. Non saprebbe difendersi neanche da una vecchia zitella col deambulatore».
Joel inarcò le sopracciglia, stupito. «Accidenti, fratello! Eri in vena di romanticismo».
«Forse avresti dovuto essere più delicato». Gabriel prese lo spicchio d'arancia dall'orlo del suo bicchiere e se lo spremette in bocca. «Secondo voi, il Sex on the beach si chiama così perché chi lo ha inventato lo stava facendo sulla spiaggia?»
«Ma sono stato delicato» protestai, ignorando la sua domanda. «Ho anche specificato bellissimo culo. Non è un complimento che faccio a tutti».
Sky roteò gli occhi. Joel scoppiò a ridere e mi diede una pacca sulla schiena, per poi trangugiare il suo cocktail speciale. «Potresti andarci a letto per farti perdonare».
«Non vuole. Continua a blaterare che devo risolvere i problemi con un approccio più adulto». Mi alzai. Il movimento brusco mi fece barcollare e dovetti sorreggermi al tavolo. «Vado a prendere un altro drink. E a rimorchiare qualcuno».
Sky mi afferrò per il gomito, quasi d'istinto. «Non hai bevuto abbastanza? Anche noi De'Ath abbiamo dei limiti».
«Preoccupata?» la stuzzicai.
«Neanche un po'». Mi liberò e si strinse nelle spalle. «Fare cilecca con la tua conquista sarà un colpo pesante per il tuo ego, ma sono problemi tuoi».
«Nessun pericolo, sorellina. Sono in pausa dalle donne».
Per colpa del fastidioso angioletto che mi tormenta nei miei sogni.
Mi diressi verso il bancone, aprendomi un passaggio tra la calca di corpi maschili e femminili che si muovevano al ritmo della musica. Il frastuono era così assordante da rilassarmi. Adoravo la confusione, il rumore. Nel caos potevi trovarci di tutto; vi erano racchiuse infinite possibilità e ti teneva ancorato al presente. Era adrenalina. Era vita. Era l'esatta antitesi del silenzio, così vuoto da farti sentire il bisogno di riempirlo con pensieri e ricordi.
Odiavo le persone e loro odiavano me, ma la solitudine mi terrorizzava.
Mi accasciai su uno sgabello e feci un cenno al barman. Lanciai un'occhiata al ragazzo dall'altra parte del bancone. Nell'ultima mezz'ora lo avevo controllato spesso e mi ero accorto che non perdeva mai di vista il nostro tavolo. Prima non ero certo che l'oggetto delle sue attenzioni non fosse Sky, ma ora che il suo sguardo deluso esplorava la sala alla ricerca di qualcuno...
Mi slacciai i primi bottoni della camicia, poi ordinai uno shottino di bourbon per me e un Cosmopolitan da mandare al ragazzo, indicando che era da parte mia. Ne aveva già presi un paio, ne ero sicuro. Appena lo ricevette, guardò nella mia direzione e sfoderai un sorrisetto. Indugiò un istante, ma non rifiutò il mio invito silenzioso a prendere posto vicino a me. Non era timido, meglio così.
«Grazie per il drink» esordì lui, sedendosi.
Scrollai le spalle. «Mi sembrava il minimo, dopo il tempo che hai passato ad ammirarmi da lontano».
Ridacchiò. «Che ne sai che ammiravo proprio te? C'erano altri due tipi niente male al tuo tavolo».
«Hai buon gusto per i cocktail. Ho sperato che valesse altrettanto per i ragazzi». Mi sporsi in avanti, in modo che potesse sbirciarmi il petto, e gli sussurrai: «E poi sento la tua eccitazione».
Come avevo previsto, la interpretò come una battuta e il suo sorriso si allargò. Seguì una lunga e noiosa conversazione per fare conoscenza, di cui però non registrai nella mente nemmeno il suo nome. Mi limitavo a rispondere con frasi di circostanza e provocazioni non eccessive, cercando di tenere il focus sempre su di lui.
La gente adorava parlare di sé, la faceva sentire importante.
Alla fine, il ragazzo mi prese per mano e mi portò sulla pista da ballo. Questo non fu sgradevole. Preferivo esprimermi con il contatto fisico, piuttosto che a parole. Ciò che dicevo di rado piaceva agli altri. Il mio corpo, al contrario, piaceva a tutti. D'altronde, era probabilmente l'unica cosa di me che potesse interessare a qualcuno.
«Che ne dici di trovarci un angolino tranquillo?» bisbigliai al suo orecchio, dopo una decina di minuti. Stava andando troppo per le lunghe e la mia pazienza era agli sgoccioli.
«Non so. Mi sembri parecchio ubriaco».
«Lo sei anche tu».
Lo afferrai e lo trascinai in mezzo alla folla fino a raggiungere uno dei privé. Tirai le tende, mi lasciai cadere di schiena sul divanetto di pelle e mi caricai a cavalcioni Mister Cosmopolitan -come lo avevo ribattezzato.
«Aspetta». Aveva già il respiro affannato e lo sguardo annebbiato dal desiderio. «Non ho i preser...»
«Non me ne frega. Non ho malattie». Non potevo averne né trasmetterle, un altro vantaggio concesso dalla mia natura.
Non gli permisi di insistere, ammesso che ne avesse l'intenzione. Gli agguantai il davanti della felpa e mi avventai sulle sue labbra. Lui ricambiò all'istante con la stessa foga, le mani tremanti che prendevano a sbottonarmi la camicia. Quando si staccò dalla mia bocca, mi prese il mento e mi piegò il capo in modo da avere libero accesso al mio collo.
Anche se doveva già averle viste, si bloccò comunque. «Queste cicatrici...»
«Facciamo finta che non ci siano» tagliai corto.
Per fortuna, entrambi eravamo più che disposti a saltare i preliminari. Si affrettò ad armeggiare con la mia cintura e presto ci eravamo disfatti dei pantaloni. Mentre sprofondava dentro di me, rovesciai la testa all'indietro e chiusi gli occhi. Provai a immaginare di essere con Seth, invano. Quello non era il suo odore, quelle non erano le sue carezze, quelli non erano i suoi baci.
Un'altra immagine fece capolino con prepotenza nella mia mente, insieme all'eco di una voce che mormorava: «Non dimenticare che sei mio, Zero».
E, all'improvviso, la consapevolezza che Lucius fosse vivo mi crollò davvero addosso. Si abbatté su di me, cogliendomi indifeso, senza la corazza di odio e rabbia in cui mi ero rifugiato dalla notte del blackout.
Non colpì Nicholas, colpì Zero. Colpì il bambino che per nove anni era stato usato come un giocattolo, il debole esserino che era stato ucciso centinaia di volte, ma non era mai riuscito a morire.
Lucius era vivo.
L'uomo che prometteva di insegnarmi i nomi delle stelle, ma mi costringeva a inginocchiarmi tra le sue gambe.
L'uomo che mi dava le caramelle per consolarmi dopo i test, ma mi metteva a quattro zampe come un cane sotto di lui.
L'uomo che mi aveva dato i ricordi più belli della mia infanzia, ma anche gli incubi peggiori.
«Devo fare una doccia» farfugliai, nell'esatto momento in cui il ragazzo si separò da me.
«Cosa devi...»
Lo spinsi via in malo modo, mi rivestii e me ne andai dal locale. Non salutai neanche i miei fratelli. Salii su un taxi, sbraitai all'autista di portarmi a Crystal Lake e per tutto il viaggio osservai il cielo trapunto di luci argentee, strofinandomi le braccia in maniera convulsa. Avevo la sensazione che il suo tocco fosse ovunque, impresso in ogni centimetro della mia pelle.
Giunto al castello, mi tuffai subito sotto il getto bollente della doccia. Ci rimasi talmente a lungo da ustionarmi, ma non funzionava. Le sue dita erano in ogni goccia d'acqua che mi bruciava il corpo, nel tepore che mi avvolgeva, persino nell'aria che respiravo.
Mi asciugai, infilai i boxer e tornai nella mia camera. Lucius mi aspettava, steso sul letto, con un ghigno trionfante sulla faccia. Cercai di urlargli di andarsene, ma il risultato fu solo un umiliante rantolo strozzato. Con un gesto furente buttai giù la libreria, noncurante del fracasso provocato dalla moltitudine di volumi che rovinavano a terra, poi uscii sbattendo la porta.
Camminando come un automa, scesi al pianoterra e mi intrufolai in una delle stanze degli ospiti. Era illuminata da un chiarore soffuso, proveniente da una abat-jour accesa sul comodino. Individuai il profilo di una figura sepolta sotto una montagna di coperte e una massa di riccioli neri che spuntava sul cuscino.
Mi avvicinai di soppiatto e mi sdraiai delicatamente sul bordo estremo del materasso, il più lontano possibile da lui. Rimasi immobile a fissarlo, girato su un fianco, le orecchie tese per ascoltare la melodia del suo cuore. A poco a poco i miei battiti rallentarono per adeguarsi ai suoi, lenti e regolari, e i muscoli iniziarono a distendersi.
Ero al sicuro, adesso. Nessuno mi avrebbe più toccato contro la mia volontà, non qui.
Quasi avesse percepito la mia presenza, Seth dischiuse le palpebre. I suoi occhi scuri e assonnati furono subito calamitati nei miei e rilasciò un sospiro catartico. «Non faremo sesso, Nicholas. Non intendo essere la tua distrazione».
«Non voglio fare sesso. E neanche parlare» risposi in un sussurro. «Voglio solo stare con te». Ricacciai il groppo che mi si era incastrato in gola. «Rispetterò i tuoi paletti. Non mi avvicinerò, se non vuoi. Ma non mandarmi via». Ti prego.
Lo sguardo di Seth si intenerì. Abbozzò un sorriso dolce, uno di quelli con cui avrebbe potuto farmi fare tutto ciò che voleva. «Vieni qui, rompiscatole».
Non me lo feci ripetere. Mi rintanai tra le sue braccia, rannicchiandomi in posizione fetale con la testa premuta contro il suo petto. Seth mi posò il mento sulla nuca, fletté le gambe e il suo fisico robusto si chiuse attorno al mio raggomitolato, come a volermi fare da scudo.
«Non ti lascio da solo, Nik». Un bacio casto mi si depositò tra i capelli. «Mai».
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