𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 17 (Arya)

"𝔔𝔲𝔞𝔫𝔡𝔬 𝔦𝔫𝔡𝔬𝔰𝔰𝔦 𝔞 𝔩𝔲𝔫𝔤𝔬
𝔲𝔫𝔞 𝔪𝔞𝔰𝔠𝔥𝔢𝔯𝔞, 𝔟𝔞𝔡𝔞 𝔟𝔢𝔫𝔢
𝔠𝔥𝔢 𝔫𝔬𝔫 𝔡𝔦𝔳𝔢𝔫𝔱𝔦 𝔦𝔩 𝔱𝔲𝔬 𝔳𝔬𝔩𝔱𝔬"

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«È assurdo» esclamò Deena per l'ennesima volta. «Menomale che doveva essere una festa tranquilla».

Era lunedì. Dato che il giorno prima mia madre mi aveva costretta a rimanere reclusa in casa, io e i miei amici avevamo deciso di riunirci al bar vicino al nostro liceo prima dell'inizio delle lezioni. C'eravamo tutti, anche Mac, sebbene con le guance arrossate e i postumi dell'influenza che aveva avuto nel fine settimana.

«Come ha potuto Eleanor invitare un idiota come Andrew Stevenson? È un depravato del cavolo che approfitta della sua nomea di stella del basket per molestare le ragazzine del primo anno!»

Layla sospirò, sfiorandosi il livido sulla guancia con aria distratta. Stava mescolando il suo succo con la cannuccia da almeno una decina di minuti, senza pronunciare neanche una parola.

«Dai, cambiamo argomento» suggerì Mac, dando una gomitata alla gemella.

Deena però era troppo indignata per cogliere il messaggio. «Non può passarla liscia».

«Non lo farà. E, nel caso in cui quella mierda la toccasse di nuovo, potrei prendere spunto dal pazzo papino dei De'Ath. Oppure assoldo uno di loro per farlo». Nonostante fosse una battuta, il tono di Ethan era gelido. Fece un cenno non tanto velato verso Layla. «Ahora hablamos de otras cosas».

Mac annuì, esplodendo in un violento colpo di tosse. «Già, ad esempio il motivo per cui ad Arya i ragazzi fighi cadono letteralmente addosso».

«Sul cofano, in questo caso» ammiccò Ethan.

Feci una smorfia sarcastica. «Se siete tanto interessati, posso spacciarvi dosi di sfiga quando volete. Ne ho in abbondanza».

Layla ridacchiò e si lasciò coinvolgere nella conversazione. «Novità su di lui?»

«Keegan?» Scossi il capo. «John ha promesso di tenermi aggiornata, se dovesse svegliarsi. Ma è strano. Nel suo organismo non sono state rinvenute tracce di sostanze o altro, quindi ancora non si sa cosa lo abbia ridotto in quello stato».

Deena rovesciò una bustina di zucchero nel suo caffè. «Hai avuto fortuna che ti abbia coperta».

Era vero. John mi aveva riferito che Keegan era fisicamente incolume; a quanto pareva, non gli avevo fatto nemmeno un graffio e anche i medici avevano escluso un qualsiasi possibile trauma cranico. Le sue condizioni non erano colpa mia, pertanto non c'era ragione per cui tutti in città dovessero essere informati che lo avevo trovato io -e tantomeno che ero stata sul punto di investirlo.

La sola persona con cui mio zio era stato completamente sincero sugli avvenimenti di quella notte era proprio la mamma. Lo avevo pregato di non farlo, perché il pensiero di un incidente avrebbe riportato a galla dei brutti ricordi, ma lui si era rifiutato di mentire. Non su una cosa del genere.

«Non credo che servirà molto» replicai, fissando il mio cornetto mangiucchiato sulla punta. Avevo lo stomaco sigillato. «Rhys va in giro a spiattellare a chiunque la storiella del ragazzo che ho ucciso e che è resuscitato».

«Secondo voi è davvero un De'Ath?» Mac si aprì la sciarpa, o meglio una delle sciarpe che indossava. Per quanto facesse freddo, era probabile che stesse soffocando sotto tutti quegli strati.

Provai un moto di compassione. I suoi genitori avevano accettato di farlo venire a scuola, a patto che si imbacuccasse come se dovesse partire per il Polo Nord. Sapevo che erano molto apprensivi nei confronti del loro figlio maschio a causa di ciò che aveva passato da piccolo, ed era comprensibile.

Ma capivo anche il desiderio di libertà di Mac che, pur di uscire dalla campana di vetro nella quale lo tenevano rinchiuso, spesso finiva per cacciarsi nei guai insieme a me, Ethan e Layla. Ne era un esempio la festa a cui ci eravamo imbucati.

«A proposito di De'Ath». Deena mi guardò con i suoi occhi celesti, accigliata. «Tu oggi pomeriggio non cominci i lavori socialmente utili con Alexander?»

Deglutii, intanto che il peso che avvertivo sul petto si faceva ancora più pesante. Anche se era stupido da ammettere, il pensiero di rimanere da sola con il più agghiacciante dei fratelli De'Ath mi riempiva d'ansia. Ovviamente non ci avrebbero abbandonati a noi stessi, saremmo stati sorvegliati, ciò però non allentava il senso di disagio e irrequietezza che mi provocava quel ragazzo.

Se non avesse avuto uno sguardo assassino che minacciava di affettare la gente, impresso in faccia in qualsiasi momento, forse sarebbe stato d'aiuto.

Ethan mi strinse la mano. «Andrà bene. Magari è meno terrificante di quello che appare».

«Se non altro, avrete delle intense conversazioni» commentò Mac divertito.

«In effetti le sue espressioni da "vi trucido tutti se mi respirate troppo vicino" sono parecchio eloquenti».

Scoccai a entrambi un'occhiataccia. «Grazie, voi siete proprio bravi a consolare».

«Sempre a tua disposizione, hermana». Ethan indicò la mia brioche. «Vuoi una mano anche con quella, già che ci siamo? Quando sei nervosa, hai poca fame. Meglio non sforzarti».

«Che premuroso». Spinsi il piatto verso di lui. «Tieni, scroccone».

Layla si alzò di scatto dalla panca. Era pallida e fissava fuori dalla finestra. Si scansò le lunghe trecce scure, afferrò la borsa e, dopo aver depositato i soldi sul tavolo, sussurrò a fil di voce: «Scusate, devo andare. Ci vediamo in classe» e uscì in fretta e furia dal bar.

«Non sta bene» dichiarò Deena.

«Nessuno starebbe bene, al suo posto». Mi strinsi nelle spalle. «Andrew le ha dato uno schiaffo perché lo ha rifiutato. Lei lo nega, ma probabilmente avrebbe fatto anche di peggio, se non fosse intervenuto il misterioso ragazzo di cui non vuole dirci nulla».

Mac aggrottò la fronte, tossendo. «Secondo voi chi è?»

«Non lo so. Ho bevuto così tanto che a malapena ricordo chi fosse presente». Ethan si ripulì le dita dalla briciole. «Ma ha tutta la mia stima. Spero che gli abbia fatto male».

Deena fece un gesto impaziente. «Non importa adesso. Dobbiamo convincerla a denunciarlo. Non puoi raccontarlo a tuo zio, Arya? È lo sceriffo!»

Mi mordicchiai il labbro, incerta. «Non sarebbe meglio aspettare che Layla sia pronta? Farlo senza il suo consenso mi sembra un tradimento»

«E se nel frattempo Andrew dovesse riprovarci?»

Ethan prese a fischiettare, studiandosi le unghie con fare innocente.

Lo ignorai. «Per ora limitiamoci a starle accanto il più possibile». Feci una pausa. «Ed evitiamo le feste per un po', eh».

«Chi sei tu? Cosa ne hai fatto di Arya Black?» ribatté Mac stupito, facendoci scoppiare tutti a ridere.

Pagammo il conto e ci incamminammo in direzione della scuola. Tirai su il cappuccio del giubbotto, rabbrividendo. La pioggia mi fece tornare in mente che avevo dimenticato a casa il giacchetto di Nicholas, che avevo recuperato quando l'ambulanza aveva portato via Keegan.

Il ragazzo era svenuto durante l'attesa, crollando con la testa appoggiata alla mia spalla. Siccome non avevo idea di cos'altro fare, ero rimasta immobile ad aspettare, senza osare sfiorarlo nemmeno per scrollarmelo di dosso. E poi stava tremando così forte che mi dispiaceva negargli un po' di calore umano.

Ci fermammo nel corridoio e, mentre stavo recuperando i libri dall'armadietto, notai Remiel a qualche metro di distanza che chiacchierava con sua sorella. Per una frazione di secondo, le sue scintillanti iridi verde mare incrociarono le mie.

Lo salutai con un sorriso, ma lui si girò dall'altra parte e mi passò davanti con indifferenza.

«Ciao, Ethan» disse invece Sky, per poi proseguire senza dargli il tempo di rispondere.

Mac era a bocca aperta. «Da quando conosce il tuo nome?»

«La vera domanda è da quando sa della mia esistenza» obiettò Ethan incredulo, seguendola con lo sguardo. «Non che mi lamenti».

Richiusi lo sportello. «No, la vera domanda è perché diavolo Remiel mi evita».

Deena emise un sospiro. «Vedo che avete preso il nostro proposito di stare alla larga dai De'Ath proprio sul serio, eh».

Fummo tra gli ultimi a entrare in classe.

Joel e Remiel erano già al loro posto, in fondo all'aula, con Gabriel seduto davanti che cercava di infilare una matita nel naso di Alexander. Quest'ultimo era intento a disegnare come sempre, le grosse cuffie sulle orecchie, ma ogni tanto sollevava la testa e guardava il fratello con l'aria di chi stava premeditando un omicidio.

Il banco di Andrew Stevenson, vicino a Eleanor, era vuoto. Deena andò a posizionarsi accanto a Layla.

Mac si abbandonò sulla sua sedia in prima fila e si liberò dal groviglio di sciarpe, per poi rivolgere a Isaac un largo sorriso. «Ti sono mancato?» gli chiese scherzoso, interrotto da un colpo di tosse.

Lui cominciò a stropicciare l'angolo della pagina, il viso che si tingeva di un vivace rosso pomodoro. «S-stai bene?»

«Sì sì, ho solo avuto qualche linea di febbre. Ora è tutto okay». Fece una breve pausa, poi gli si avvicinò un poco. «Quando ci vediamo? Sai, per il lavoro di letteratura. Ti va bene a casa mia?»

Io e Ethan, dietro di loro, ci scambiammo uno sguardo complice e ridacchiammo all'unisono.

Di colpo, Isaac era passato alla sfumatura violacea di una melanzana e a fatica lo sentii balbettare: «Non so. Devo, ehm, mi serve il permesso di mio, ehm, fratello. Non...»

L'ingresso del professor Winkler pose fine al suo supplizio, spegnendo il brusio che percorreva i banchi. Dopo aver fatto l'appello e averci ricordato che mancavano pochi giorni alla consegna del compito, iniziò a spiegare la vita di un autore, ma io ero troppo occupata a confabulare con Ethan da dietro i nostri astucci.

Avevamo appena deciso che a pranzo avremmo tormentato Mac per il suo evidente tentativo di rimorchiare Isaac, quando la voce dell'insegnante ci fece ammutolire. «Volete rendermi partecipe della vostra conversazione? Mi piacerebbe molto».

Il mio cuore sobbalzò, ma poi mi accorsi che il severo sguardo smeraldino di Winkler era puntato verso le ultime file e mi rilassai.

«Volentieri! In realtà stavamo parlando proprio di lei!» esclamò Gabriel entusiasta, ciondolando le gambe avanti e indietro. «Joel dice che ha la faccia da castoro, ma secondo me non è vero. Il coach scorbutico, quello sì che somiglia a un castoro. Ha i denti un po' sporgenti. Lei invece ricorda di più un orso. Uno coccoloso però, non cattivo, come Yoghi».

Un lampo perplesso guizzò sul volto dell'uomo per un attimo, infine le sue labbra si incurvarono verso l'alto. «Credo che sia meglio separare i fratellini De'Ath, nelle mie ore». Accennò a me e a Ethan. «E anche voi, Cip e Ciop».

«Ma noi vogliamo stare viscini viscini!» protestò Gabriel.

Joel si allungò per mollargli un calcio. «Parla per te. Bella ragazza batte fratello, per quanto mi riguarda».

«Non ci penso proprio. Tu, signorino Annoiato, fai scambio con Black. Ti voglio davanti, così facciamo amicizia» riprese Winkler, zittendolo con un dito quando fece per lamentarsi. «Gabriel De'Ath vai al posto della signorina Mclean. Vediamo se riesci a distrarre anche la più tranquilla delle mie studentesse».

Layla avvampò per l'imbarazzo, osservando Gabriel che le si avvicinava. I suoi ricci castani, spruzzati di arancione, ballonzolavano a ogni saltello. Io invece mi lasciai scivolare accanto a Remiel, che si stava rigirando la penna tra le dita sottili e sembrava vagamente scocciato.

«Ehi» mormorai.

Mi rispose con un cenno, ma non potei fare a meno di notare che mi guardava a malapena. «Come...»

«Black, la bocca chiusa» mi rimproverò il professore esasperato.

Gli mostrai un pollice all'insù. Aspettai che fosse tornato a dedicarsi alla lezione, poi presi un foglio e ci scarabocchiai sopra: "Ce l'hai con me per qualcosa?", e lo porsi a Remiel.

Lui lo lesse, aggrottò la fronte e scosse la testa.

Anche se non ero certa di credergli, decisi di fare un tentativo. Alla peggio mi sarei beccata un sonoro rifiuto. Mi protesi verso il suo banco e bisbigliai: «Io e i miei amici stasera saremo al Grumpy. Non so se lo conosci, è un bistrot. Ci andiamo spesso a mangiare o a giocare a biliardino. È divertente. Potresti venire anche tu, se ti va».

Stavo pensando di dar retta al consiglio di Ethan di usarlo per ricavare informazioni sulla sua famiglia? Sì, e mi sentivo davvero in colpa.

Lo facevo solo per quello? Assolutamente no.

Finalmente Remiel smise di prendere appunti e si girò, fissandomi con un'espressione malinconica. «Arya, non fraintendermi, mi stai simpatica. Ma onestamente preferisco non fare amicizia. Con nessuno, intendo, non con te» si affrettò a specificare, muovendosi a disagio sulla sedia. «Tanto non resteremo per molto».

Sussultai per la sorpresa. «In che senso? So che state ristrutturando, ho dato per scontato che vi foste trasferiti in modo, insomma, definitivo».

«Quello è solo perché mio fratello Callum è ossessionato dall'ordine e non sopportava che il castello cadesse a pezzi. Abbiamo fatto il minimo indispensabile». Remiel si sistemò il ciuffo moro che gli si piegava sul lato della fronte. Incrociò le braccia sul banco. «Ce ne andremo tra un mese o due. È sempre così. Quindi non ha granché senso farsi degli amici, no?»

Dalla sua voce trapelava una nota di amarezza che mi rattristò. «Ma non potete provare a convincerlo?»

«Ne dubito. Callum crede che sia la cosa migliore per la nostra famiglia, e di solito è irremovibile quando si tratta di...» Ebbe un istante di esitazione. «Non importa. Comunque, non cambierà idea».

Un moto di frustrazione mi assalì. Non avevo legato abbastanza con nessuno dei De'Ath per essere veramente dispiaciuta della loro partenza, anzi Nicholas e Joel li avrei volentieri spediti oltreoceano senza problemi.

Ma in quel modo sarebbe sfumata anche la possibilità di indagare sul ruolo della loro famiglia nella morte di mio padre. Ammesso che ci fosse qualche correlazione, certo. Non avevo ancora prove a riguardo.

«Non capisco. Perché avete tanta fretta di andarvene?»

Remiel contrasse la mascella e per la prima volta i suoi lineamenti si indurirono, perdendo la loro tipica dolcezza. Potevo quasi immaginare il suo cervello che attivava la modalità "chiusura a riccio", come succedeva sempre quando gli ponevo interrogativi troppo personali. «Nessuna ragione in particolare. Abbiamo soldi da spendere e viaggiamo spesso, mi pare di avertelo detto».

Increspai le sopracciglia, interdetta. «Okay, ma se non vi piace più la vita errante, perché non restare? Per un po', almeno».

«È complicato» tagliò corto Remiel, afferrando la penna. Il suo tono era seccato. «Ora però voglio ascoltare la lezione».

Mi costrinsi a non insistere. Mi volta anch'io in direzione della lavagna, su cui il professore stava tracciando uno schema col gesso, e incrociai per caso lo sguardo di Alexander, che mi stava sbirciando da sopra la propria spalla. I suoi occhi di un azzurro trasparente mi fecero accapponare la pelle. A fianco c'era Deena, che tuttavia era assorta ad ascoltare la spiegazione dell'insegnante.

Mi sforzai di far finta di nulla per un po', ma alla fine trovai il coraggio di fronteggiarlo. «Puoi smettere, per favore? Sei inquietante».

Impassibile come una statua, Alexander scrollò le spalle e tornò a chinarsi sul suo blocco. Nonostante lo vedessi farlo ogni giorno, mi resi conto solo allora che usava la mano destra, ma impugnava la matita in una maniera strana, quasi innaturale. Avevo l'impressione che i suoi nervi fossero particolarmente... rigidi.

Dentro di me, mi chiesi che cosa disegnasse; se era coerente con il suo carattere, i suoi fogli dovevano essere pieni di mostriciattoli spaventosi e cose raccapriccianti.

Il suono della campanella mi riscosse da quei pensieri. Mi alzai con uno sbadiglio e vidi un bigliettino ripiegato proprio sul confine tra il mio banco e quello di Remiel. Il ragazzo si era già dileguato, ma ero sicura che fosse da parte sua. Lo presi e lo srotolai. La grafia era sottile e un tantino sbilenca.

"𝑀𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒, 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑜𝑙𝑒𝑣𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑏𝑟𝑢𝑠𝑐𝑜.
𝑀𝑖 𝑓𝑎𝑟𝑜̀ 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑜𝑛𝑎𝑟𝑒"

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