𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 16 (Nicholas)

"ℑ𝔩 𝔭𝔞𝔯𝔞𝔡𝔬𝔰𝔰𝔬 𝔡𝔢𝔩𝔩𝔞 𝔣𝔞𝔪𝔦𝔤𝔩𝔦𝔞 𝔢̀ 𝔠𝔥𝔢
𝔭𝔲𝔬𝔦 𝔞𝔪𝔞𝔯𝔩𝔞 𝔢 𝔬𝔡𝔦𝔞𝔯𝔩𝔞 𝔞𝔩𝔩𝔬 𝔰𝔱𝔢𝔰𝔰𝔬 𝔱𝔢𝔪𝔭𝔬"

꧁꧂

Ero di malumore.

Non ne capivo la ragione esatta, ma di solito non me ne serviva una. Forse c'entrava il fatto che Seth mi tenesse il broncio senza motivo, nonostante l'avessi portato a quella noiosissima fiera del fumetto brulicante di piccoli parassiti urlanti. O era colpa delle occhiatacce al vetriolo che continuava a lanciarmi la mia sorellina, oppure magari ero semplicemente io.

La rabbia faceva parte della mia natura, ancora più di quanto succedesse ai miei fratelli. Sapevo di essere diverso da loro e lo avevo accettato, ma era frustrante avere la consapevolezza che persino i miei stessi simili non potevano comprendere appieno la confusione che mi infestava la mente. I miei pensieri non trovavano mai pace, mi annoiavo con estrema facilità e anche le minime cose bastavano a farmi infuriare.

Gli istinti omicidi erano innati in tutti noi, questo era vero. Il gene della follia era stato tramandato per così tante generazioni da diventare proprio di qualsiasi De'Ath. Tuttavia immaginavo che essere affetto da un comprovato disturbo psicopatico non giovasse alla mia indole già di per sé violenta.

Così avevo deciso di rifugiarmi nella solitudine. Alle prime luci del mattino ero sceso nei sotterranei con un libro e mi ero buttato sulla dura brandina della mia vecchia cella, immergendomi nella lettura mentre dal mio telefono risuonava la playlist di musica classica su Spotify. Era l'unico posto in cui ero abbastanza certo che nessuno mi avrebbe disturbato.

Ma non avevo considerato quella piattola di Joel.

«Buongiorno! Come sta la mia drama queen preferita?» esclamò allegro, irrompendo dalla porta socchiusa. Era in metallo dorato solcato da venature rossastre e rinforzata da grosse borchie di ferro, con una piccola fessura orizzontale al centro. «Che ci fai qui? Sei nostalgico dei bei tempi andati?»

Feci un sospiro seccato. «Perché no? Almeno all'epoca potevo starmene per conto mio, ogni tanto».

«Hai scordato alcuni dettagli del tipo catene, fame e punizioni. Ma ehi, se per te ne vale la pena, chi sono io per giudicare?» Joel si scompigliò i capelli biondo cenere, poi rimase in silenzio ad ascoltare la musica per un istante. «Beethoven?»

«Chopin» lo corressi. «Ignorante».

«Preferisco Beethoven. È più cool».

Girai la pagina, emettendo un sonoro sbuffo irritato per avvertirlo che era meglio che mi lasciasse stare. Lui non parve neanche accorgersene, o più probabilmente non gliene importava. Si avvicinò e si sedette sul bordo del materasso, che si piegò con un cigolio sotto il suo peso.

Si chinò su di me, spostandomi un dito per vedere il titolo sulla copertina. «George Orwell, cavolo!» commentò in tono stupito. «È assurdo che ti piaccia leggere roba sofisticata, considerato che in televisione guardi gli episodi di Peppa Pig».

«Si chiama farsi una cultura. Dovresti provarci anche tu, invece di brancolare nell'abisso della tua stupidità». Mi strinsi nelle spalle, gli occhi che scivolavano da una riga all'altra. «E comunque Peppa Pig è la più grande dimostrazione dell'ipocrisia umana. Dedicare un cartone all'animale da macello per eccellenza è da veri bastardi».

«Disse quello che si nutre di esseri umani, pur avendone uno come scopamico».

Notai di sbieco il ghigno che gli si era formato sulle labbra; era ovvio che lo avesse detto con l'intento di provocarmi, ma non gli avrei dato quella soddisfazione. «Ora siamo amici, senza scopa» borbottai indifferente.

«Non vorrai dirmi non avete combinato nulla nei giorni che avete passato soli soletti, nella città del peccato!»

«Sei venuto quaggiù solo per fare del gossip? Nel caso sappi che esistono riviste molto avvincenti a riguardo, chiedile in prestito a Sky e smettila di rompermi».

«Quanto siamo suscettibili». Joel mi strappò il libro dalle mani. Gli rivolsi un ringhio minaccioso, ma si limitò a ridacchiare. «Una di queste sere andiamo a berci qualcosa insieme? Puoi portare anche il tuo amichetto Pocahontas, purché non mi smolliate per mettervi a pomiciare in un angolino».

«Non puoi chiederlo a qualcun altro? Di sicuro i fratelli non ti mancano».

«Sì, ma con te c'è meno competizione. Io rimorchio le ragazze, tu i ragazzi e siamo a posto».

Sistemai meglio il cuscino dietro la schiena. «Sono bisessuale, cretino».

«Con preferenza maschile». Joel mi diede un colpetto sul fianco, assumendo un'espressione da cane bastonato. «Forza, Nik! Ti ricordo che devi ancora farti perdonare per essere andato a spassartela a Las Vegas, senza di me».

«Spassarmela non è il termine che userei. A parte per una mediocre abbuffata, è stato abbastanza monotono». Ripresi il libro con un gesto brusco, ma continuai ad avvertire il suo fiato sul collo. Le opzioni per liberarmene erano due: ammazzarlo, o accettare. La seconda era quella meno faticosa, e tutto sommato non mi dispiaceva. «D'accordo. In effetti, ho bisogno di scaricare un po' di tensione».

Joel mi rifilò un pacca esultante sulla pancia, poi balzò in piedi con uno scatto felino. «Pensavo che dovremmo trascinarci dietro anche papà orso. Lo vedo parecchio nervoso in questo periodo, secondo me del sano esercizio fisico lo aiuterebbe a rilassarsi... se capisci cosa intendo» concluse con un sorrisetto malizioso.

Lo guardai al di sopra del libro. «Sembra uno dei tuoi piani non tanto geniali per rabbonirlo, prima di dargli una brutta notizia».

Sghignazzando, lui si diresse verso l'uscita. Poi però si voltò, prendendo a camminare all'indietro. «Ah, Nik! Il tuo umano del cuoricino ha preparato i waffle per colazione, ma se non ti sbrighi a venire dovrai accontentarti dei pancake spacca-denti della cuoca killer!» E corse fuori dalla cella.

Rimasi a fissare la porta per una manciata di secondi, intanto che un piccolo sorriso affiorava sulle mie labbra.

Joel aveva una strana adorazione per me che non mi sapevo spiegare. Spesso avevo addirittura la sensazione che cercasse di imitarmi, come se fossi il suo esempio da seguire nella speranza di ottenere la mia approvazione. E, anche se per quasi tutto il tempo era insopportabile quanto le canzoncine nei film Disney, una parte di me si era ripromessa di fare tutto ciò che era in mio potere per non deluderlo.

Forse perché anch'io in passato avevo avuto un modello a cui ispirarmi, un eroe da voler rendere orgoglioso a qualsiasi costo, e proprio la mia devozione aveva permesso a Lucius di ferirmi più profondamente di quanto i miei genitori avessero mai fatto.

Non volevo che il mio fratellino sperimentasse quel dolore, quello che solo la fiducia cieca e la lealtà incondizionata potevano infliggere.

Dato che non avevo perso la concentrazione, gettai il libro in disparte e mi alzai. La stanza era angusta, priva di finestre. Un anello arrugginito spuntava dal centro del pavimento di granito, dove un tempo era attaccata la catena delle manette. Sulla roccia scura delle pareti erano presenti dei graffiti che avevo inciso da bambino con gli artigli per la noia. Perlopiù rappresentavano figure stilizzate che avrebbero dovuto essere la mia famiglia o patetici tentativi di scrittura.

Sfiorai con l'indice i segni storti sotto uno degli omini, che erano una versione infantile e analfabeta della parola "papà". Ma, quando avevo scolpito quella parola, non stavo pensando ad August De'Ath.

Che idiota ero stato, a credere che qualcuno avrebbe davvero potuto volermi bene.

«Ti ho amato, Zero. Sai che è la verità» mi sussurrò Lucius, abbracciandomi da dietro. «Solo non nel modo in cui volevi tu».

Per un attimo risentii le sue mani che mi stendevano con dolcezza sul letto mentre si posizionava sopra di me, rividi il me bambino che chiudeva gli occhi e ripeteva all'infinito nella sua testa i numeri da zero a otto. Era un giochino che avevo insegnato a Callum per calmarsi durante gli attacchi di panico, ma lo avevo inventato ben prima.

Scossi il capo, rinchiudendo di nuovo il fantasma nella gabbia dei ricordi che avevo eretto nel cervello. Infilai il telefono in tasca e tornai di sopra. Nonostante non fossero nemmeno le nove di domenica, c'era già il caos.

Seth e Gabriel si stavano contendendo l'ultimo waffle in un vero e proprio inseguimento, con Remiel in mezzo che cercava di negoziare la pace e Joel che si godeva lo spettacolo dal divano. Isaac li osservava portandosi di tanto in tanto un cucchiaio di cereali alla bocca, seduto accanto a Sky che urlava qualcosa a proposito dei suoi trucchi. Alexander invece disegnava sul suo taccuino, le cuffie sulle orecchie, del tutto estraniato dal caos che lo circondava.

«Io ne ho mangiati solo due!» piagnucolò Gabriel, sfrecciando dall'altra parte del tavolo con la cialda sollevata in alto.

Seth lo rincorse. «Io neanche uno! E li ho cucinati! È mio di diritto!»

«IL CIBO È DI CHI LO PRENDE PRIMA!»

Remiel scosse il capo, incredulo. «Ma non potete dividerlo a metà?»

«Non voglio metà waffle! Lo voglio tutto!» urlò Seth. Tentò invano di placcare Gabriel, che gli sgusciò sotto il gomito.

«Gabe, se sei stato tu a toccare i miei rossetti, giuro che ti sfiletto come un pesce!» strillò Sky furiosa.

«Mi servivano per fare un disegno di arte astratta!»

A quel punto, lei afferrò sul serio un coltello acuminato dal cassetto.

Gabriel lanciò un gridolino atterrito e si nascose dietro la sedia di Alexander, usandolo come scudo. Quest'ultimo sbuffò, si girò e gli strappò la cialda con un movimento rapido, quindi cominciò a mangiarla.

Seth fece per protestare, ma appena ricevette uno dei suoi sguardi di ghiaccio deglutì, facendo una risatina. «Ma sì, te lo lascio. Solo perché mi stai simpatico, eh».

«Queste pacifiche scenette di amore famigliare mi mancavano» esordii, unendomi a loro nel soggiorno. «I tuoi strilli invece no, sorellina. Giuro che arrivavano fino a Las Vegas».

Sky fece una smorfia e scagliò il coltello verso di me. Lo schivai e quello rimbalzò con un clangore metallico contro il muro, dopo essere volato davanti a Seth che rimase pietrificato sul posto per un istante.

«In nome di Gesù bambino, potreste non lanciare cose potenzialmente letali? Cazzo!» sbottò infine, lasciandosi scivolare su uno sgabello. Era bianco come un lenzuolo. «Scusate se ho quell'orribile difetto umano di poter morire».

Inarcai un sopracciglio, osservandolo. Aveva ancora un livido giallognolo in via di guarigione sul volto, semicoperto dai riccioli neri che gli invadevano la fronte, ma per il resto i tagli e i graffi si erano ormai rimarginati. «Hai ripreso a parlarmi, allora?»

«Assolutamente no!» Seth esitò, poi immusonito si rivolse ai miei fratelli. «Qualcuno gli risponda di no, per favore».

«Ha detto di no» mi riferì Gabriel, ancora acquattato dietro lo schienale.

Joel intrecciò le mani dietro la nuca, sogghignando. «Avete problemi di coppia? Di queste cose di solito si occupa la nostra bambolina».

«Stai zitto!» Sky lo fulminò con un'occhiataccia. «Ma, se proprio vuoi un consiglio, Seth, mollalo e trovati un fidanzato con dei sentimenti».

Ridacchiai. Quando le passai accanto, mi fermai a depositarle un bacio sulla guancia e sussurrai al suo orecchio: «Mi sei mancata anche tu, sorellina».

«Genietto, che hai lì? È un waffle?» obiettò Joel, sporgendosi dal divano.

Isaac ebbe un sussulto e si affrettò a richiudere il fagotto avvolto in un tovagliolo che teneva nascosto sulle gambe. Troppo tardi. Seth e Gabriel si erano già fiondati su di lui come dei falchi.

«Smettetela, ragazzi!» Kath varcò il portone d'ingresso. A giudicare dal top sportivo che le fasciava il busto e dai capelli scompigliati, doveva essere appena tornata dalla sua corsa mattutina. «Non capisco perché fate tante storie. Di là ci sono ancora i miei pancake, se avete fame».

«Eh già. Proprio baciati dalla fortuna» replicai sarcastico.

Lei andò in cucina e al suo ritorno trasportava un vassoio con una pila di informi masse bucherellate imbevute di sciroppo d'acero. La loro forma ricordava più delle palline da golf sgonfie che dei pancake.

«So che l'aspetto non è un granché, ma secondo me sono venute bene. Ti va di assaggiare, Nik?»

Feci un respiro rassegnato. «Pensavo di essere stato torturato in ogni modo possibile, ma la vita è piena di sorprese».

Lei sorrise. «Il solito antipatico».

Nonostante il rischio di rimanerci secco, le porsi il piatto e Kath mi ci mise sopra ben tre prelibate frittelle. Ne offrì anche a Gabriel e a Seth, ma proprio in quel momento i passi di Callum rimbombarono lungo le scale ed entrambi se la cavarono con la falsissima scusa di non volerlo lasciare a stomaco vuoto.

«Devo parlarti, Nicholas».

Tagliai un pezzo di pancake con la forchetta; Joel non scherzava quando li aveva definiti "spacca-denti". «È bello rivederti anche per me, fratellone».

«Devo parlarti» ribadì Callum categorico, per poi fare un cenno con il mento. «E anche con te, Septimus».

«Seth» lo corresse lui torvo. Aveva sempre detestato il suo nome completo. «Mi chiamo Seth. Non è così difficile da memorizzare: S-E-T-H. Prova tu».

«È successo qualcosa?» chiese Remiel accigliato.

«Vuole rimproverarmi per essermi comportato male a Las Vegas. Giusto?» Feci spallucce. «Ho sgominato un'intera banda criminale, dovrei meritare un premio, invece mi becco solo una ramanzina».

«Mi ero esplicitamente raccomandato di non attirare l'attenzione».

Masticando il boccone, feci un sorrisetto. «Io ho cercato di essere diplomatique come piace a te. Seth mi è testimone».

«E Sean Baker?» insistette Callum. Cogliendo la mia espressione interrogativa, precisò: «Stazione di servizio. Giugulare squartata...»

«Ah, certo. Il tipo con cui stavo per fare sesso».

«E ti pareva» bofonchiò Seth, suscitando una risatina da parte di Joel.

«A mia discolpa, poteva anche essere un maniaco». Mi alzai e presi una lattina di birra dal frigo, poi tornai seduto. «Non ha nemmeno voluto vedere i miei documenti per accertarsi che non fossi minorenne».

«Non sei minorenne».

«Questo lui non poteva saperlo».

Callum conficcò i suoi occhi grigi nei miei. Era turbato, lo conoscevo così bene che riuscivo a leggerglielo dentro. In effetti, ero il solo che potesse vantarsi di aver visto ogni lato di lui, compreso quello più vulnerabile precluso persino alla sua gemella. Segreti e paure che aveva mostrato e confessato solo a me, e che io custodivo senza proferire parola, permettendogli di conservare con gli altri quella facciata di invincibilità che riteneva così importante.

Presto o tardi, avrebbe imparato che tutto crolla.

«Potete anche litigare più tardi. Tu adesso devi fare colazione» fece notare Kath, incrociando le braccia sul petto. Indicò i pancake bitorzoluti sul vassoio. «Li ho fatti io. A Nik sono piaciuti, vero?»

«Hai battuto la cucina del laboratorio. Ormai potresti partecipare a un talent show, per quanto mi riguarda».

Callum deglutì. «Non ho molta fame, in verità...»

«Oh oh» commentò Sky all'improvviso. Si raddrizzò di scatto, corrucciata, e dispiegò sul tavolo il quotidiano che stava sfogliando pigramente. «Potremmo avere un problema».

Callum si passò una mano sul viso. «Strano. È sempre tranquillo qui».

Kath si sporse sul giornale e lesse sottovoce. Man mano che proseguiva, la sorpresa e la confusione che guerreggiavano sul suo viso diventavano sempre più evidenti, finché si decise a fornirci un riassunto. «Ieri notte un ragazzo è stato trovato mentre vagava per strada in stato confusionale. A quanto pare, non ricordava nulla a parte il suo nome. Adesso è ricoverato nell'ospedale di Notturn Hall, incosciente ma in condizioni stabili».

«Affascinante» commentai, agitando a mezz'aria la forchetta. «Che ce ne frega?»

«Beh, è stata resa pubblica una sua foto sui social e in città è esplosa la teoria che possa essere... insomma, un De'Ath».

Un silenzio tombale piombò nel soggiorno, interrotto solo dal picchiettare della pioggia contro le finestre. I sussurri presero a fischiarmi nelle orecchie, mi sentivo sprofondare; dentro di me pregai che qualcuno spezzasse quell'insopportabile assenza di rumori.

Poi di colpo i miei fratelli si assieparono attorno al tavolo, facendo scoppiare il putiferio.

«Forte! Quindi abbiamo un altro fratello e non lo sapevamo?» domandò Gabriel in tono eccitato.

Isaac increspò la fronte, pensieroso. «Qui c'è scritto che dovrebbe avere circa vent'anni. L'età coinciderebbe...»

«Non corriamo» soggiunse Remiel scettico. «Potrebbe benissimo essere una bufala».

«Non è una mozzarella?»

«Il figlio dei fiori ha ragione. È di sicuro una stronzata». Joel si scompigliò i capelli, lo sguardo ancora fisso sull'articolo. Aveva i lineamenti contratti e il fisico sottile era irrigidito. «E poi non voglio un altro fratello».

«Nemmeno io. Sopporto a stento quelli che ho già». Sky mi scoccò l'ennesima occhiataccia.

Le ammiccai, bevendo un sorso di birra. «Sono d'accordo, siamo fin troppo numerosi. L'ultima cosa che serve a questa famiglia è allargarsi».

Alexander, che nel frattempo non aveva aperto bocca, prese il telefono dalla tasca e, dopo averci smanettato un po', lo gettò al centro del tavolo. Allungai il collo e vidi che sullo schermo c'era un post di Instagram che ritraeva l'immagine di un ragazzo svenuto su un lettino.

Nonostante l'inquadratura a mezzo busto, era evidente che fosse così magro da essere scheletrico. Aveva una cicatrice sulla faccia, dalla tempia destra al labbro. I capelli, neri come il carbone, erano rasati in un modo molto simile ai nostri quando da piccoli nostra madre ci sottoponeva alle sessioni di elettroshock.

Era un po' malconcio, eppure...

«La somiglianza c'è». Kath si grattò il mento. «Forse è umano. Potrebbe essere figlio di uno dei nostri zii, anche se ammetto che le circostanze sono abbastanza strane».

«Anche secondo me potrebbe essere un De'Ath» sentenziò Seth, piegando la testa di lato. «Figo è figo».

Provai un'immediata antipatia per quel ragazzo, chiunque fosse. «Dovremmo ucciderlo. Per precauzione» suggerii.

«Nik, tu sì che non mi deludi mai». Joel si protese verso di me e fece scontrare il pugno contro il mio.

«State zitti». Callum non si era neanche sforzato di alzare la voce, ma il suo tono era talmente tagliente che nessuno osò disobbedire. Picchiettò un dito sul quotidiano. «Voglio andare a far visita a questo Keegan prima che si risvegli. Nicholas e Sky, dovete venire con me».

«E perché mai?» sbuffai controvoglia. «A meno che tu non voglia...»

«Non lo uccideremo». Spazientito, Callum si aggiustò il nodo già perfetto della cravatta e si sistemò meglio il colletto. «Voi due siete i migliori con i trucchetti telepatici, quindi proverete a entrargli nella mente per scoprire il più possibile su di lui. Poi decideremo cosa fare».

Io e Sky ci fissammo per un attimo, ed ero piuttosto sicuro che avessimo avuto lo stesso identico pensiero: era il peggior piano della storia. Sebbene fossimo gli unici della famiglia a riuscire a usare a comando le nostre capacità telepatiche, entrambi avevamo seri problemi a gestirle.

Per quanto mi riguardava, avevo sempre detestato usarli. Di solito si otteneva solo di provocare qualche simpatico danno irreparabile al cervello, senza che se ne ricavasse niente di utile se non uno spreco di energie e una fastidiosa emicrania. A volte mi veniva la nausea per giorni, o persino la febbre.

Erano le ragioni per cui non avevo tentato di farlo con Frank per estrapolargli informazioni su Uranus... oltre a non averne avuto il tempo, avendolo decapitato per sbaglio prima di quanto avessi voluto.

«Dato che nei prossimi giorni è probabile che saremo al centro di spiacevoli attenzioni, cercate di comportarvi bene» riprese Callum severo. «E questo vale per tutti, chiaro?»

Gabriel tossicchiò e Sky gli diede una gomitata. Remiel aggrottò le sopracciglia, osservando Isaac che però si limitò a stringersi nelle spalle.

«Tranquillo, papà orso. Stiamo facendo i bravi» lo rassicurò Joel con un largo sorriso. «La festa di ieri è filata liscia come l'olio, no?»

Provavo dei sentimenti contrastanti nei confronti degli ospedali. Da un lato mi ricordavano troppo il laboratorio in cui ero cresciuto, tra i dottori in camice e mascherina e il pungente odore di disinfettante. D'altro canto però amavo l'atmosfera caotica, non c'era mai silenzio lì. Inoltre era il regno della malattia, del sangue, della morte... tutte cose che terrorizzavano e disgustavano gli umani, ma dalle quali noi eravamo naturalmente attratti.

Quello di Notturn Hall era di dimensioni modeste, pressoché deserto, ma dopotutto era già un miracolo che un'insignificante cittadina sperduta in campagna ne possedesse uno.

Callum si diresse subito verso il bancone per chiedere informazioni mentre Sky si afflosciò su una sedia con le gambe accavallate, ancora ostinata a non rinunciare al suo mutismo selettivo. Molto selettivo, considerato che non rivolgeva la parola soltanto a me.

«Cominci a sembrare ridicola, sorellina» borbottai, sedendomi accanto a lei. Per tutta risposta, ruotò la testa dalla parte opposta. «Invece di fare questa sceneggiata da bambina dell'asilo, trovati un altro ragazzo. Quanto vuoi che sia difficile da rimpiazzare? Ti basta lanciare una moneta, tanto i tuoi standard sono così bassi che ti accontenteresti del primo imbecille che la raccoglie».

«Sarebbero le tue scuse?» sbottò Sky, girandosi di nuovo verso di me. Un fuoco di rabbia ardeva nei suoi bellissimi lapislazzuli.

Aggrottai la fronte. «Scuse per cosa, esattamente? È il tuo caro Benjamin che ti ha mollata. Non ho nessuna colpa io».

«Hai minacciato di ucciderlo, dopo avergli spaccato le gambe». Una signora non molto distante da noi ci fissò scandalizzata e Sky le fece un gesto con la mano, aggiungendo sbrigativa: «Metaforicamente».

«Se fosse stato veramente innamorato di te, avrebbe preferito morire piuttosto che lasciarti». Le passai un braccio dietro la schiena, stringendola un poco. «Tu meriti di meglio».

Sky si divincolò bruscamente alla mia stretta. «No, è che sei un bastardo possessivo».

«Preferisco definirmi un affettuoso fratello maggiore».

«I cagnolini sono affettuosi. Tu sei solo un grandissimo...»

«Volete smettere di urlare?» ci interruppe Callum. Aveva un'espressione esausta, nonostante fossimo a malapena a metà mattinata. «Stando all'infermiera, Keegan non può ancora ricevere visite. In teoria».

Sky si alzò, stiracchiandosi. «Perfetto. Possiamo tornare a casa?»

«No, per questo ho detto "in teoria"».

Sfoderai un sorrisetto malizioso. «Hai usato l'arte della seduzione perché facesse uno strappo alla regola?»

Callum roteò gli occhi. «Ho letto il numero della camera. Andiamo».

Ci incamminammo in direzione dell'ascensore. Un ragazzo che ne stava uscendo urtò la spalla di Sky, le chiese scusa con un sorriso da ebete e rimase imbambolato a fissarla trasognante per un momento di troppo.

«Sai, amico, il vantaggio di morire in ospedale è che la strada per l'obitorio è breve» commentai in tono mellifluo.

Lui impallidì e fuggì via di corsa, intanto che noi entravamo nella cabina. Callum schiacciò un tasto e, appena le porte si chiusero, sospirai. «Spero che la stanza del bell'addormentato non sia troppo lontana, altrimenti sarà un miracolo riuscire ad arrivarci senza che qualcuno ci provi con la nostra sorellina».

«Il vero miracolo sarebbe se tu tenessi il becco chiuso».

Callum socchiuse le palpebre, esasperato. «Mi fate venire voglia di suicidarmi».

Quando l'ascensore si fermò, percorremmo un lungo corridoio bianco e svoltammo l'angolo. Aspettammo il passaggio di un'infermiera con un carrellino e, quando fu abbastanza lontana, ci infilammo oltre la porta sul fondo. Callum si affrettò ad abbassare gli oscuranti interni, sbirciando di tanto in tanto per verificare che non passasse nessuno.

Keegan era disteso sul lettino, coperto fino al petto dalle lenzuola. Le braccia esili erano abbandonate lungo i fianchi, con l'ago per la flebo infilato nella vena e dei tubicini che lo collegavano all'elettrocardiogramma. Aveva le guance scavate e la pallidissima pelle d'alabastro sembrava traslucida, come se non avesse visto il sole per anni interi.

Sky fu la prima ad avvicinarsi. Lo osservò per qualche secondo, poi fece schioccare la lingua. «Il suo odore è umano».

Me ne ero accorto anch'io, ma non era una prova schiacciante. I nostri poteri si indebolivano progressivamente quando eravamo feriti o affamati, fino al punto di poter quasi scomparire. E lui era conciato davvero male.

Mi avvicinai, scostai le coperte e gli tirai lo scollo del camice da paziente che indossava. Sky stava per protestare, probabilmente indignata dalla mia mancanza di tatto, ma si bloccò quando il suo sguardo si posò sul petto scoperto del ragazzo. Era solcato da cicatrici; alcune erano piccole e spesse, altre tonde, altre ancora lunghe e sottili tracciate con una precisione quasi chirurgica.

«Non male». Lanciai un'occhiata a Callum. «Ha una collezione più ricca della tua. Invidioso?»

Lui mi ignorò. «Sbrigati, Nicholas».

Sorrisi. «Come vuoi, fratellone. Ma non lamentarti se riduco la sua testolina a un colabrodo».

Mi chinai su Keegan e gli appoggiai la punta dell'indice sulla tempia, inspirando profondamente. Chiusi gli occhi. Feci del mio meglio per nascondere il nervosismo... quanto odiavo quei poteri!

Avvertii all'istante la mia mente che entrava in connessione con la sua e tentai di intrufolarmi dentro, come un serpente che strisciava in una fessura molto stretta. Qualcosa però mi respinse, una barriera invisibile contro cui ebbi la sensazione di andarmi a schiantare. Un gemito sommesso mi sfuggì dalla bocca. Anche a Keegan doveva aver fatto male, a giudicare dalla sua smorfia sofferente.

Premetti il palmo sudato sulla sua fronte e provai di nuovo a sfondare quel muro psichico. Una fitta lancinante mi attraversò il cranio, ma io continuai ad assalirlo, consapevole che fosse una gara a chi dei due riuscisse a sopportare meglio il dolore. Il corpo del ragazzo cominciò a tremare. Il suo battito accelerò, al pari dei bip emessi dal macchinario.

«Nicholas» mi chiamò Callum a mo' di avvertimento.

«Lo so» ringhiai. «È lui che sta rompendo le palle».

D'un tratto, sentii uno sbuffo contrariato e poco dopo Sky afferrò la mia mano libera, intrecciando le dita alle mie. Quel contatto mi diede una spinta talmente forte che fu come irrompere con un ariete nella memoria di Keegan, che venne colto da uno spasmo.

Brandelli di ricordi mi esplosero davanti. Frammentati, vaghi, nebulosi. Un vortice di immagini, di suoni, di emozioni che si mescolavano tra di loro, si rincorrevano e sfumavano appena cercavo di agguantarli. La maggior parte erano troppo veloci, persino per i miei riflessi, ma riuscii a cogliere dei flash.

Un bambino che singhiozzava rintanato nel buio.
Una voce femminile che sussurrava: «Devi fidarti di me».
Una sala operatoria piena di apparecchiature e chirurghi vestiti di nero.
Una stanza con la finestra sbarrata da una grata.
Una ragazza dai capelli neri sotto la pioggia.

Poi di colpo l'aria mi venne strappata dai polmoni e mi ritrovai sdraiato in un luogo angusto e soffocante, immerso nelle tenebre. Potevo muovermi a stento, un bruciore intenso mi serrava la gola. E allora la percepii: la solitudine. L'avevo provata spesso nella mia vita, credevo di conoscerla bene, ma quella era diversa: terrificante, assoluta, così atroce che rasentava la disperazione. Un vuoto che mi dilaniava.

Infine un fascio di luce mi accecò e venni sbalzato fuori. Crollai in ginocchio, ansimante, con la testa che mi pulsava e una miriade di pensieri incasinati che mi affollavano la mente. Mi resi conto della presenza di Sky accanto a me, intenta a fissarmi preoccupata, il suo braccio che mi cingeva la schiena.

«Stai bene?» chiese Callum, porgendomi la mano.

«Di solito non cado a terra urlando, quando sto bene, fratello». Malgrado il tono scontroso, lasciai che mi aiutasse a sollevarmi.

«Che hai visto?»

«Un gran casino». Osservai per un attimo Keegan, che era ancora in preda ai tremiti. «Non so chi o cosa sia, ma è stato nel laboratorio. Ne sono sicuro. E conosce la mia sveltina».

Callum inarcò un sopracciglio. «La tua...»

La porta della camera si aprì e comparve un'infermiera grassoccia che ci fulminò con uno sguardo severo. «Voi cosa state facendo? Questo paziente non può ricevere visite!»

Sky fece un passo avanti. «Abbiamo sbagliato stanza. Ci dispiace. Ce ne andiamo subito».

Dato che barcollavo come un ubriaco, fui costretto con mio disappunto ad accettare di essere sorretto da Callum per camminare. Prima di uscire, scoccai un'ultima occhiata a Keegan e non potei fare a meno di pensare che soffocarlo nel sonno sarebbe stata una soluzione molto più semplice.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top