𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 55 (Arya)
"𝔗𝔥𝔢𝔯𝔢'𝔰 𝔞 𝔯𝔢𝔞𝔰𝔬𝔫 𝔴𝔥𝔶
ℑ 𝔨𝔢𝔢𝔭 𝔧𝔱 𝔞𝔩𝔩 𝔦𝔫𝔰𝔦𝔡𝔢"
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Avevo conosciuto Josh al primo anno di liceo. Era un ragazzo ricco e attraente, diventato presto popolare grazie al suo spiccato talento nel basket e desiderato da tutte. Insomma, un cliché vivente. L'amicizia tra noi era nata per puro caso durante una festa, quando il gioco della bottiglia lo aveva costretto a darmi un bacio. In seguito era venuto a presentarsi, ignaro che gli sbavavo dietro da tempo immemore.
Ci eravamo messi insieme dopo soli pochi mesi e, per la prima volta dalla morte di mio padre, ero veramente felice. Ma non era durato molto.
Josh aveva cominciato a essere geloso di Ethan, nonostante lo rassicurassi che per me era un fratello. Aveva iniziato a lamentarsi che passavo troppo tempo con i miei amici, sebbene ormai li vedessi sempre meno perché altrimenti lui si sentiva trascurato. Aveva preso a criticare qualsiasi cosa indossassi, ad alzare la voce o a chiudersi in un silenzio punitivo se non gli davo retta.
Avevo trascorso notti intere a piangere nel letto, chiedendomi come potesse essere cambiato così tanto. Alla fine avevo capito: non l'aveva mai fatto. Si era solo rivelato. E da allora la mia peggior paura era quella di commettere un altro errore di valutazione, di lasciarmi ingannare da una maschera senza vedere il mostro che si celava dietro.
Era così che mi sentivo. Tradita. Keegan non mi aveva fatto fisicamente del male, ma le sue bugie erano dolorose quanto uno schiaffo. Ero stanca di essere manipolata, di dare fiducia a chi non la meritava. E dopo avermi mentito e usata fin dall'inizio, adesso si azzardava anche a telefonarmi.
Osservai il suo nome che lampeggiava sul display e rifiutai la chiamata. Il nervosismo mi assalì. Che cosa voleva? Prendersi gioco di me?
«Non te lo hanno detto?» Seth si buttò sul divano al mio fianco, il ciondolo nuovo di zecca che gli oscillava sul petto. «È vietato essere tristi alla mia festa».
Feci un sorriso stirato. Quel ragazzo era incredibile. Era il suo compleanno e non faceva che preoccuparsi per gli altri. «Non sono triste. Ho solo gli ormoni impazziti, uno stalker pluricentenario che non capisce che deve lasciarmi in pace e sono incinta di un mezzo demone». Sospirai. «Il tutto senza poter neanche bere».
Seth mi tese un buffo pasticcino a forma di calderone. «I dolci non ti fanno male, però, no?»
Non proprio. In realtà dovevo stare attenta a mangiarne con moderazione ed evitare di assumere troppi zuccheri, ma avevo trascorso tutto il pomeriggio a guardare gli altri abbuffarsi di prelibatezze. Avevo pur sempre delle voglie da soddisfare.
Lo presi e me lo gettai in bocca, gustandomi il sapore del caramello. «Dolce? Quale dolce?»
Seth ridacchiò e i suoi occhi neri saettarono per il soggiorno fino a posarsi su Nicholas, che insieme a Joel stava svuotando un intero barilotto di birra. Il suo sguardo si illuminò all'istante. Potevo quasi vedere l'amore sconfinato che provava nei suoi confronti.
«Un po' ti invidio» commentai.
Si voltò a fissarmi. «Cosa?»
«Deve essere bello non avere il minimo dubbio su chi sia la tua metà». Adocchiai Remiel dall'altra parte della stanza e mi afflosciai contro lo schienale. «Probabilmente la mia non esiste. O, con la fortuna che ho, la incontrerò quando sarò vecchia e decrepita. Oggettivamente chi vorrebbe mai una ragazza madre perseguitata dalla sfiga?»
«Inizi a essere un pochino melodrammatica anche tu». Il tono di Seth era scherzoso.
Non era il primo a dirmelo. Speravo che fosse dovuto agli sbalzi d'umore della gravidanza, e non al legame empatico che condividevo con un egocentrico psicopatico dalle spiccate manie omicide. Con affetto, eh. «Oh, no. Non starò diventando una drama queen come Nicholas, vero?»
«Come lui? Impossibile».
«Parlate di quanto sono magnifico?» Nicholas ci raggiunse e si stese sopra di noi, con le gambe sulle mie e la testa in grembo a Seth. Mi rivolse uno dei suoi sorrisetti insopportabili. «Perché nel caso ha ragione, tesoro. Nessuno può esserlo quanto me».
«Parlavamo di quanto sei idiota, in verità. Ma anche in quello sei insuperabile». Cercai di scansarlo per alzarmi, invano. Era troppo pesante. «Potresti toglierti, per favore?»
«Ti do fastidio, angioletto?»
«Molto».
«Allora no».
Seth scoppiò a ridere e si sporse verso di me. «Se vuoi fargli fare ciò che ti pare, il suo punto debole sono le coccole. Oppure il solletico al fianco».
Nicholas corrugò la fronte. «Non è per niente vero. È sleale da parte tua darle suggerimenti del tutto sba-»
Seth prese ad accarezzargli i capelli. Lui ammutolì, le palpebre socchiuse. Sentii tutto il suo corpo che si rilassava. Le labbra mi si piegarono all'insù per la tenerezza e gli sfiorai il dorso della mano. Il suo bisogno disperato di contatto fisico mi scioglieva il cuore.
«Ehi, facciamo il gioco della bottiglia? È un classico» propose Joel, consegnando a Rhys un bicchiere di...
Trasalii. «Ma sei scemo? Non dare la birra a mio fratello!»
«Perché no? Me l'ha chiesta lui».
Rhys ne assaggiò un sorso. «Ha un buon sapore».
«Oh». Nicholas emise un verso stupito. «Ho trovato qualcosa che mi piace di quel marmocchio. Chi l'avrebbe mai detto?»
«Fantastico. La metterai anche nel biberon?» lo rimbeccai.
Mi ammiccò. «Certo, per farla dormire».
Non ero sicura che fosse una battuta. Gli pizzicai il fianco e lui si contrasse con uno spasmo, lasciandosi sfuggire una risatina.
Deena strappò il bicchiere dalle mani di Rhys e fulminò Joel con un'occhiataccia. «Ha nove anni, idiota».
«Uuh, sì, dai. Giochiamo». Gabriel si sedette a gambe incrociate sul pavimento e posizionò una bottiglia di Burrobirra in orizzontale sul tavolino. «Voglio una scusa per baciare Mary».
Layla avvampò. Mentre tutti si disponevano in cerchio, per terra o sulle poltroncine, Callum rimase immobile con un cipiglio corrucciato. «Cos'è il gioco della bottiglia?»
«È facile. Giri la bottiglia e baci la persona indicata». Appena un lampo inorridito balenò sul volto del fratello, Sky sventolò la mano in un gesto rassicurante. «Va bene anche sulla guancia, tranquillo».
Joel annuì. «Oppure un calcio agli stinchi, se ti capita Gabe».
«Forte. C'è una regola apposta per me?» esclamò Gabriel con entusiasmo.
Nicholas scrollò le spalle. «Io non posso baciare nessuno, a parte il mio ragazzo, ma vi prenderò a calci molto volentieri».
«Sulla guancia non c'è niente di male». Seth lo strinse con entrambe le braccia, modellandolo in modo che poggiasse il capo sul suo petto. «Ci sto. Augurandomi di non dover baciare di nuovo Arya».
Gli diedi un giocoso colpetto di rimprovero. «Non può essere stato così terribile».
«Fammi spazio, mi querida hermana (*mia sorella adorata)». Pur essendoci ancora posto sul divano, Ethan si accomodò ai miei piedi e appoggiò la schiena contro le mie ginocchia. Si allungò verso Will, sussurrando: «Sicuro che qui ho più probabilità di riuscire a baciare Sky?»
«Per esperienza, secondo me, sì. È meglio mettersi davanti, piuttosto che vicino. Al liceo avevo una cotta per una certa Bethany Parker e ho usato questa tattica».
«L'hai baciata, quindi?»
«No, ma solo perché il suo fidanzato era grosso quanto un carro armato».
«Voglio cominciare io!» Rhys si inginocchiò accanto al tavolino e fece ruotare la bottiglia, che si fermò dopo pochi istanti proprio su Sky. Ethan gemette. «Posso darti un bacino?»
Sky sfoderò un ampio sorriso. «Certo. Vieni qui».
Rhys le saltò addosso e cercò di stamparle un bacio sulla bocca, ma lei girò il viso per deviarlo sulla guancia. Seth fece una risatina. «Credo che Ethan abbia un rivale in amore».
Nicholas scoccò uno sguardo torvo a Ethan, che sbiancò. «Se tocchi mia sorella, ti userò per fare uno spuntino».
Prima che potessi intervenire, Sky lo liquidò in tono sbrigativo: «Oh, sta' zitto». Diede una spinta alla bottiglia e parve alquanto delusa quando oscillò oltre di noi fino a Joel.
Quest'ultimo sogghignò. «Abbraccio fraterno, piccola Barbie?»
«Contaci» replicò lei, mollandogli un pugno sulla spalla.
«Cazzo, che male». Joel si massaggiò il punto colpito e posò una mano sulla bottiglia. «Per sicurezza». Guardò verso Remiel. «Nel caso ho il permesso di baciare la tua ragazza?»
Lui inarcò un sopracciglio con disappunto. «Chiedilo a lei. Arya è in grado di intendere e di volere. Anche se dubito che bacerebbe un idiota come te».
Alexander roteò gli occhi. Io invece non potei fare a meno di restare a fissare Remiel. La sua risposta era stata perfetta. Era il ragazzo ideale sotto qualsiasi punto di vista. Gentile, premuroso, mai invadente o possessivo. Se non fossi stata incinta, l'avrei scelto senza battere ciglio.
Ma non potevo decidere solo per me stessa, non più. Ero una madre ormai. Chi amava me doveva amare in egual misura anche mio figlio. Forse non era nemmeno il momento giusto per una relazione. Adesso le mie priorità eravamo noi, io e il mio bambino. E non morire nel darlo alla luce, certo.
Joel arricciò il naso. La bottiglia puntava su Mac. «Senza offesa, Cappellaio Matto, ma non sei il mio tipo».
«Nessuna offesa. Neanche tu sei il mio».
«Come no? Credevo che ti piacesse il... sai...»
Mac sbuffò. «Preferisco il cervello. Ma non credo che tu ne abbia uno».
«Ti facevo più coraggioso, fratellino» commentò Nicholas sardonico.
Joel gonfiò il petto d'orgoglio e attirò a sé Mac per il maglione, schioccandogli un bacio sulla gota. «Cerca di non innamorarti di me, però».
«Farò questo sforzo». Mac lo scacciò con una manata, mentre scoppiavamo a ridere. Appena fece girare la bottiglia, però, tutti tacquero. Io ed Ethan ci scambiammo un'occhiatina.
Isaac.
Gabriel ciondolò avanti e indietro, sospirando. «Uffa, non tocca mai a me». Si bloccò di colpo. «Ehm, perché c'è questo silenzio imbarazzante?»
«Beh, il cervello lo ha» sghignazzò Nicholas, e Seth gli diede un buffetto sulla nuca per zittirlo.
Quando Mac si mosse nella sua direzione, Isaac sgranò gli occhi verdi. Gli si posizionò di fronte e capovolse il berretto, poi accennò alla sua guancia. «Posso?»
«S-suppongo di sì» balbettò Isaac, con la faccia violacea.
Senza neppure sfiorarlo, Mac si sporse appena e strofinò le labbra sull'angolo della sua bocca. Indugiò un attimo, prima di ritrarsi e tornare al suo posto. Il gioco proseguì piuttosto tranquillo, eccetto un pizzico di tensione che non compresi quando venne il turno di Deena e la bottiglia indicò Remiel.
A un certo punto, Rhys crollò addormentato contro la spalla di Nicholas, il quale si profuse in una sequela infinita di lamentele a riguardo. Tuttavia, malgrado le proteste e i muscoli tesi, da allora non si era spostato di un solo centimetro.
La sua scusa era stata che non voleva svegliarlo, perché almeno non "rompeva le palle", ma era così poco credibile che Seth si era voltato verso di me ed eravamo scoppiati a ridere.
Dopo essere stato stritolato in un abbraccio da Gabriel, che a sua volta era stato preso a calci da Nicholas, Alexander fu costretto a partecipare al gioco. Trattenni il fiato e incrociai le dita nelle tasche, intanto che pregavo nella mente come un mantra: "chiunque tranne me, chiunque tranne me..."
Io.
Dovevo sul serio considerare l'idea di farmi un viaggetto a Lourdes.
Gabriel tirò fuori il telefono, bisbigliando in un tono udibilissimo: «Questo è materiale per il mio blog».
Le iridi cristalline di Alexander si conficcarono nelle mie e vi rimasero incatenate. La sua espressione era indecifrabile, come sempre.
Non gli avrei permesso di fare niente, e in qualche modo sapevo che non ci avrebbe provato, eppure percepivo comunque una morsa in fondo allo stomaco. Si alzò con un movimento pigro e si avvicinò a tal punto che il suo profumo mi inebriò le narici. Il suo respiro accelerato si mescolava al mio.
"Che stai facendo?" cercai di comunicargli con lo sguardo.
Alexander inarcò un sopracciglio.
La voce di Nicholas si insinuò nel mio cervello. "Potrei sbagliare, tesoro. Ma la mia impressione è che voglia limonarti".
Cazzo. Mi ero scordata la facilità con cui riuscivamo a connetterci ultimamente. Ero convinta che, con il progredire della gravidanza, anche il nostro legame si stesse rafforzando.
Di sbieco scorsi Remiel che si irrigidiva. «Possiamo chiudere questo stupido gioco?»
Joel si scompigliò i capelli biondi. «Non dicevi che non sono affari tuoi, perché la principessina è perfettamente in grado di intendere e di volere?»
Lo scrutai truce. «Sono anche perfettamente in grado di prenderti a pugni».
«Meglio di no. Potrebbe piacermi e non mi sembra il caso di ampliare la cerchia dei tuoi spasimanti».
«Tranquillo, santo fratellino». Ancora a un soffio dal mio viso, Alexander mi portò una ciocca corvina dietro l'orecchio. «Non la bacerei mai».
Nell'istante in cui si raddrizzò, mi parve di udirlo aggiungere a voce bassissima, quasi un segreto tra di noi: «Non così».
Lo osservai allontanarsi e una scarica elettrica mi scese lungo la spina dorsale. Mi tirai in piedi. «Okay. Gioco finito. Voglio parlare col mio ragazzo».
"Sbaglio, oppure ho sentito dell'eccitazione, angioletto?"
Fulminai Nicholas con un'occhiataccia. «Chiudi il becco tu».
Sfoggiò un sorrisino innocente. «E chi ha parlato?»
Ignorandolo, presi per mano Remiel e ci incamminammo verso l'uscita. Mi sforzai di fingere di non accorgermi dello sguardo di Alexander che ci seguiva attraverso il salotto.
«Ehi, aspetta». Nicholas indicò Rhys, che gli si era avvinghiato con un braccino. «Devi liberarmi dal rospetto».
«E perché mai? È ovvio che ti adora. Mi dispiacerebbe separarvi» replicai, prima di chiudere la porta alle mie spalle.
Remiel si appoggiò alla balaustra, piegato in avanti, con lo sguardo perso in lontananza. «È carino questo posto. C'è molta pace».
Lo affiancai e gli sfiorai il gomito col mio. «Anche al castello. Se si esclude il casino che fanno i corvi».
«Sì, ma quella è una pace che sa di morte. Come il silenzio di un cimitero. Qui si sente la natura, la vita. Mi piace».
Sorrisi. Adoravo la sua sensibilità. «C'è una domanda che vorrei farti...»
«Lo so. E sì, Alexander aveva ragione». Ruotò il capo verso di me. Un dolore palpabile scintillava nell'oceano racchiuso nei suoi occhi. «Arya, combatto contro ciò che sono da tutta la vita. Convivo ogni singolo istante col desiderio di nutrirmi, di abbandonarmi ai miei peggiori istinti. Non puoi neanche immaginare quanto sia difficile anche solo starti così vicino. È un'esistenza che non augurerei a nessuno, tantomeno a mio nipote».
Tentennai. «Per i tuoi fratelli è diverso, però».
«L'autocontrollo è questione di carattere e di pratica. Me lo ha spiegato anni fa il dottor Stone. Si può allenare, certo, ma ciò non cambia la nostra natura. Siamo demoni. Uccidiamo». Riprese a fissare l'orizzonte contornato dalle ombre aguzze degli alberi, espirando bruscamente. «Non voglio spaventarti. Anzi, detesto non riuscire a essere quello di cui hai bisogno. Tuttavia non ho intenzione di mentirti, né di farti promesse che non so se sarei in grado di mantenere».
Mi mordicchiai la parete interna della guancia. «Lo capisco. Comprendo le motivazioni che ci sono dietro e non pretendo che la mia scelta ti piaccia. Ma amo questo bambino. Non mi importa che sia maschio o femmina, umano o demone. Lo amo. E, per qualche assurda ragione, amo la famiglia che stiamo costruendo. Anche se è...»
«Disfunzionale e completamente pazza?»
«Già». Mi lasciai andare a una risatina, che venne spezzata da un singhiozzo. Feci scivolare la mano lungo il suo braccio e incastrai le dita con le sue. «Non voglio che cresca odiando ciò che è, Remi. A voi è stato insegnato fin da piccoli a considerarvi dei mostri, ma mio figlio merita di avere una storia diversa. Deve averla. E se tu non riesci ad accettare te stesso, come puoi accettare lui o lei?»
Remiel osservò le nostre mani unite e strusciò il pollice sulle mie nocche. Dei brividi mi percorsero il corpo, mentre tracciava cerchi invisibili sulla mia pelle. «Ti amo».
Tacqui. Una parte di me avrebbe voluto urlargli che lo ricambiavo, l'altra non era convinta che fosse vero. Era il bravo ragazzo che non avevo mai cercato, l'esatta antitesi di Josh. Forse per questo mi piaceva: mi dava certezze, quando sentivo che tutto il mio mondo stava crollando.
Ma era giusto stare con qualcuno perché era la scelta facile? Di sicuro più semplice che prendere in mano i resti della propria vita e capire che, alla fine, rimetterli insieme era compito solo nostro.
«Sono innamorato di te dal giorno in cui ti ho vista sgattaiolare via dal letto di mio fratello».
«E non scordiamo che ho vomitato nella tua macchina» feci notare.
Un sorriso avvilito gli si dipinse sul volto. Rilasciò un sospiro profondo e incrociò il mio sguardo. «Ma amare una persona è sapere anche lasciarla andare, perché vuoi il meglio per lei. Io non lo sono. Nessun De'Ath lo è. Avresti dovuto scappare il più lontano possibile da noi fin dall'inizio».
«Remi...»
«Non voglio figli, Arya. Non come me. Almeno finché non riuscirò a smettere di disprezzare ciò che sono, e non so se questo accadrà mai».
Annuii e chinai il capo. Un groppo mi si era formato in gola. Remiel mi prese il mento e mi fece sollevare il volto, per poi asciugarmi una lacrima sulla guancia. «Prometto però che ti resterò accanto. Sempre. Come amico. Se me lo permetterai». La sua mano si abbassò e posò il palmo sul mio ventre. «E cercherò di essere un bravo zio, per quanto possibile».
Avrei voluto baciarlo, invece lo trascinai in un abbraccio e adagiai il mento sulla sua spalla. «Noi due siamo la definizione di persona giusta al momento sbagliato» mormorai.
Una risatina gli si riverberò nel petto. Affondò le dita nella mia chioma corvina e scese lungo la schiena, prima di sciogliersi dalla mia stretta. Mi fece un cenno col capo. «Torniamo dentro?»
«Tu vai. Arrivo subito». Un'espressione indecisa gli comparve sul volto e mi affrettai a rassicurarlo: «Solo qualche minuto. E poi se fossi in pericolo, Nicholas se ne accorgerebbe».
Rimasta da sola, mi sedetti sui gradini del portico e trassi una boccata d'aria. Era meglio così, lo sapevo. Non ero pronta ad avere una relazione. Non finché quella storia non fosse finita. Ero sempre andata allo sbando, lasciandomi guidare dall'impulsività e dal bisogno di riempire il vuoto che la morte di mio padre aveva scavato dentro di me.
Ma adesso basta. Dovevo imparare a stare bene con me stessa, fare pace col passato e capire che cosa volevo dal mio futuro.
E se non ne avessi uno?
Il dubbio affiorò all'improvviso, più reale e concreto che mai. Lo scacciai, o feci del mio meglio per riuscirci. Eppure, la paura mi perseguitava. Un terrore viscerale che non smetteva di soffocarmi e restava lì, silente, pronto ad agguantarmi in ogni occasione.
Un fruscio mi fece trasalire e rizzai di scatto la testa. Scorsi una sagoma che si stagliava accanto all'albero sotto cui di solito riposava Keegan, triste e solitaria. I vestiti neri si mescolavano alle tenebre, ma la cicatrice risplendeva di uno scintillio argenteo sulla carnagione diafana.
«Non ho potuto fare a meno di ascoltare. Ti sei appena lasciata, per caso?»
Il gelo mi penetrò fin nelle ossa e balzai in piedi. La rabbia mi montò nel petto, affogando il pianto. «Sul serio?» sbottai, raggiungendolo di corsa. Il vento soffiava sempre più forte, coprendo le mie parole. «Mi pedini anche, adesso?»
Keegan rimase immobile con la spalla appoggiata al tronco. «Che altro avrei dovuto fare? Beccarti da sola è un'impresa ardua. Sei sempre circondata da seccanti demoni in erba con cui non mi va di litigare».
Mi fermai di fronte a lui. «So che hai delle carenze comunicative, ma ti svelo un segreto: quando una persona non risponde alle tue chiamate, di solito è perché non vuole parlarti».
«Sì, immaginavo che fossi un po' arrabbiata».
«Un po'?» ripetei sarcastica. «Sei un bugiardo. Non hai fatto altro che mentirmi fin dall'inizio».
Si raddrizzò, lasciando cadere le braccia robuste lungo i fianchi. I primi bottoni della camicia erano slacciati e lasciavano intravedere le cicatrici sul suo torace. «In teoria ero senza memoria, quindi non stavo proprio mentendo».
Contrassi la mascella. «E nella pratica vorrei darti un pugno».
L'angolo della sua bocca si piegò all'insù. Il suo sguardo saettò verso il casolare ed emise uno sbuffo. «Sto facendo in modo che non ci sentano, ma non abbiamo molto tempo. Perciò sarò breve». Tornò a fissarmi. «Mi dispiace. Non era mia intenzione usarti».
«Allora perché lo hai fatto? Se il tuo obiettivo era uccidere Jayson per riavere i tuoi poteri, a cosa ti è servito cancellarti la memoria?»
Inclinò il capo di lato. «Ci credi se ti dico che l'ho fatto per te?»
Feci un verso sarcastico. «No, per niente».
«Peccato. Quasi tutto ciò che faccio è per te».
Le punte delle orecchie mi si scaldarono. Non avevo mai avuto così tanta voglia di fare del male fisico a qualcuno. «Mi credi davvero così ingenua da continuare a farmi manipolare? Sei un demone pluricentenario. Io un comunissimo essere umano. Non ho niente di speciale».
Inarcò un sopracciglio con disappunto. Sembrava quasi offeso. «Niente di speciale? Solo un folle lo penserebbe di te». Si protese in avanti e accostò il viso al mio, quasi volesse confidarmi un segreto. Mi imposi di non arretrare. «Per quanto mi riguarda, sei l'unica cosa che conta al mondo».
Deglutii. «Perché sono incinta?»
«Sei incinta perché sei speciale. Non il contrario».
Ero confusa. «Che cosa significa?»
«Scoprilo, piccola detective» mi ammiccò.
Prima che potesse allontanarsi, lo afferrai per il colletto e lo spintonai contro l'albero. Non mosse un solo muscolo. Sorrise, guardandomi con un sentimento che sconfinava nell'ammirazione. «Hai minacciato di fare del male alla mia famiglia. E poi? Ucciderai anche me alla fine, vero?»
«Ammetto che mi sono lasciato andare. Ma devi concordare che quei piccoli De'Ath mettono a dura prova la pazienza».
«Sei un bastardo» sputai.
«Credevo che fossero il tuo tipo». Ridusse la voce a un sussurro roco, tanto che faticai a udirlo sotto le folate del vento, malgrado fossimo così vicini che i nostri nasi si sfioravano. «Sono il tuo mostro, Arya. Non avrai mai nulla da temere da me. Non tu».
Aggrottai la fronte. «Perché? Che cosa vuoi? Dimmelo. Voglio saperlo».
«Al momento il tuo perdono. Non desidero altro».
«Neanche se implori in ginocchio».
Si sporse fino a sfiorarmi l'orecchio con le labbra. Fremetti. «Ti basterebbe molto meno per mettermi in ginocchio» mormorò, poi svanì nel nulla.
Ci riaccompagnarono a casa i nostri amici. Ethan teneva sulle gambe Rhys ancora addormentato, seduto vicino a me sui sedili posteriori del furgone. Come sempre doveva aver capito che ero turbata, a giudicare da come mi stringeva la mano e mi dava ogni tanto dei piccoli baci sulla fronte.
Layla, che abitava più lontano, sarebbe tornata per conto suo, anche se Gabriel aveva deciso di andare con lei e non ne era apparsa troppo dispiaciuta.
«Domani mattina racconterò tutto a mia madre» annunciai.
Deena mi sbirciò dallo specchietto retrovisore. «Sai che lo dici da circa tre mesi?»
«Stavolta sono seria. Sarà la prima cosa che farò».
Mac tamburellò le dita sul volante. «Quindi scenderai a fare colazione e le dirai "Mamma, aspetto una progenie demoniaca"?»
«Io proverei con un pizzico d'ironia» suggerì Ethan.
«Che ne pensate di questo?» Mi schiarii la gola in modo enfatico. «Mamma, sono incinta. Mamma, sono incinta. Il padre è Nicholas, che in realtà è un demone psicopatico con una passione per i cuori umani e il vizio di squartare la gente. Inoltre, dovremmo trasferirci tutti quanti dai De'Ath, perché un'organizzazione segreta di scienziati pazzi vuole rapire mio figlio per usarlo come cavia. Ah! A Seth sono piaciute le tue polpette, comunque».
Ethan increspò le sopracciglia, pensieroso. «Okay, forse così è un po' troppa ironia. Ma non è male, secondo me. Le basi ci sono. Eviterei il riferimento ai cuori umani e alla gente squartata per ora, però».
Mac fece spallucce. «Non saprei. Se tua madre scoprisse che ha sbudellato Josh, Nicholas guadagnerebbe parecchi punti».
«Era comunque una persona» lo ammonì Deena.
«Sì, una persona de mierda». Ethan arricciò il naso. «Secondo me sarebbe la suocera più orgogliosa del mondo». Si corrucciò. «No, aspettate. Visto che Arya non sta con Nicholas, ma lui è il padre di suo nipote, si può definire comunque sua suocera? Come funziona?»
«Non importa. Tanto lo ha ucciso Jayson». Mi abbandonai contro lo schienale e mi coprii la faccia con le mani. «Magari potrei dirle che sto solo ingrassando».
Deena emise un verso sarcastico. «E quando dovrai partorire, cosa ti inventerai? Un ritiro spirituale?»
«È geniale». Ethan batté il pugno sul palmo. Il movimento brusco fece ciondolare la testolina di Rhys, posata sul suo petto. «Poi, dopo che il bambino sarà nato, ci basterà disegnargli una cicatrice a forma di saetta sulla fronte e metterlo fuori dalla porta di casa con una lettera che ci obbliga a tenerlo».
«La cosa preoccupante è che siete talmente deficienti da esserne in grado» commentò Deena esasperata.
Non me la sentii di darle torto.
Quando il furgone si accostò davanti al nostro cortile, scorsi la figura minuta di mia sorella che si stagliava come un inquietante avvoltoio pronto ad accanirsi sulle nostre carcasse. Frequentavo dei demoni ed ero stata quasi aggredita da un mostro d'ombra, eppure lei rimaneva la creatura più terrificante con cui avessi mai avuto a che fare.
Ethan deglutì rumorosamente. «Vuole ucciderci, mi sa».
«Togli il mi sa. Quello è il suo sguardo omicida» commentai, sganciando la cintura. «Non è che potremmo venire a dormire da voi?»
Mac scosse il capo. «Scordatelo. Non vogliamo rischiare che la sua ira funesta si abbatta anche su di noi».
Deena concordò con un cenno. «A proposito, che hai combinato stavolta, Arya?»
«Ehi, non è mica sempre colpa mia». Okay, quasi sempre sì. Ma c'era una grossa differenza.
«Adiòs, amigos. È stato bello conoscervi». Ethan si caricò in braccio Rhys e scendemmo dal furgone. Appena varcammo il cancello, sventolò la mano. «Ehi, hermanita. Che succede? La tua serie tv preferita è finita bene?»
«Male» lo corressi.
«No no, bene. Non credo che sia amante dei lieto fine».
Eryn mi puntò contro uno sguardo accusatorio. «La mamma piange. Ed è colpa tua».
Ovviamente, figurati. Iniziavo a sospettare di avere il dono di combinare casini anche solo respirando. Pestai un piede a terra. «Ma non ho fatto niente!»
«Infatti tra le cose che non hai fatto c'è parlarle del mini De'Ath che stai per sfornare. Mamma è convinta che glielo tieni nascosto perché pensi che ti giudicherà».
Ethan sollevò un dito. «Noi lo chiamiamo baby Nik».
Il mio cuore mancò un battito. Sgranai gli occhi. «Lo sa? Glielo hai detto tu?»
«Ma ti pare? So mantenere i segreti. A differenza di te, che neanche sai farlo con i tuoi». Eryn incrociò le braccia sul petto, i boccoli ramati mossi dal vento. «È un'infermiera, genio. Hai avuto nausee mattutine per settimane e ora stai magicamente lievitando. Davvero credi che non sospetti proprio nulla? I neuroni non sono un ornamento, Arya, prova a usarli di tanto in tanto».
«Non urlate, uffa» mugolò Rhys, stropicciandosi gli occhi con i pugnetti. Sbadigliò. «Posso avere altra birra?»
Quando un lampo furioso balenò sul volto di Eryn, forzai un sorriso. «Sta scherzando. Non gliel'abbiamo data. Vero, Ethan?»
«Assolutamente. Non faremmo mai nulla del genere».
«Alla fiera del fumetto lo hai perso. Adesso lo hai fatto bere. Alla prossima uscita lo venderai all'asta?» Senza attendere una mia risposta, Eryn si girò e spalancò la porta.
Racimolai tutto il mio coraggio ed entrai per ultima. Affrontare Jayson mi aveva fatto di gran lunga meno paura di questo. Mia madre era sul divano, accoccolata tra le braccia di John. Malgrado la tensione, la scena mi provocò un moto di tenerezza.
Non avevo mai capito perché molti figli ritenessero imbarazzanti le effusioni d'affetto tra i loro genitori. Io adoravo vedere i piccoli gesti con cui si amavano e avrei fatto qualsiasi cosa perché mio padre potesse darle un'ultima carezza, o un bacio. Quindi non potevo che essere contenta che ci fosse John a offrirle quello stesso conforto, pur non stando insieme.
Mia madre si affrettò ad asciugarsi le lacrime, rivolgendomi un sorriso dolce. «Tesoro».
Ethan mi sfiorò il gomito. Spostai il peso da una gamba all'altra e buttai fuori le parole più difficili che avessi mai pronunciato: «Ehm, credo di doverti spiegare come stai per diventare nonna».
Ci radunammo attorno al bancone dell'angolo cottura, persino Eryn aveva deciso di rimanere. Ethan voleva portare Rhys in camera sua, ma lui si era opposto, lamentandosi che non era giusto escluderlo da una riunione di famiglia. Cominciai a raccontare dalla mattina in cui mi ero svegliata al castello e ripercorsi tutto ciò che era accaduto da allora. Mentre parlavo, Balto tenne il muso appoggiato sul mio grembo e poterlo accarezzare mi diede la forza di costringermi a rivivere la notte del rapimento di Josh.
L'incredulità, l'orrore e un'altra miriade di altre emozioni si susseguirono nelle espressioni di mia madre. Eryn rimase impassibile, fredda e immobile come una statua di ghiaccio. Rhys invece si dimostrò il più curioso ed entusiasta, specialmente per quanto riguardava il lato soprannaturale della storia.
Avevo un bisogno terribile di sfogarmi, così andai a briglia sciolta, senza tralasciare neppure un dettaglio, utile o meno. Tranne i particolari sulla dieta alimentare dei De'Ath e sui rischi della gravidanza. Avevo anche edulcorato un pochino la descrizione sulla reazione di Nicholas alla scoperta del bambino.
Alla fine, il silenzio che piombò nel soggiorno aveva un che di surreale.
Fu Rhys a infrangerlo, battendo emozionato le manine. «Quindi il mio fratellino avrà i poteri come Superman?»
«Nipote. Tu sarai lo zio» chiarì Ethan.
«Ma gli zii sono vecchi».
John aggrottò la fronte. «Io non sono vecchio».
«Non mi sembra questa la parte su cui soffermarsi». Eryn si agitò sullo sgabello. «Com'è possibile che siano demoni?»
Mi strinsi nelle spalle. «Te l'ho detto. È una maledizione che risale a Keegan. È un loro vecchissimo antenato».
«Sì, grazie, ti ho ascoltata. Ma è impossibile. La magia non esiste».
Non seppi come replicare. Io stessa non avevo mai creduto a leggende, maledizioni e tutte quelle cose che si leggevano nei libri fantasy, prima di rimanere intrappolata nell'orbita dei De'Ath. Ancora adesso avevo un mucchio di domande.
Chi aveva trasformato Keegan, prima ancora che nascesse? Stando al mito, erano stati gli dèi per punire i suoi genitori. Ma era possibile?
Mi pentii di non averglielo chiesto.
Uno stridio mi fece trasalire, strappandomi alle mie riflessioni. Mia madre si era alzata dalla sedia e stava venendo verso di me. Singhiozzava. «Piccola mia». Mi strinse in un abbraccio, uno di quelli che mi facevano tornare bambina. Dovetti compiere una fatica immane per non scoppiare a piangere. Balto ci saltò addosso per unirsi a noi. «Perché non me ne hai parlato? Non ti avrei mai lasciata sola. Non c'è niente che non farei per te, così come per Eryn, Ethan e Rhys. Sono la vostra mamma».
«Perché avevo paura di deluderti. E perché...» Esitai. Incrociai lo sguardo di Ethan, che annuì serio. Dovevo essere sincera. Glielo dovevo. «Ci sono dei rischi. Per la gravidanza. Ma i De'Ath sanno chi mi può aiutare. Dobbiamo solo trovare Thomas Stone».
Mia madre si ritrasse, quasi fosse stata scottata. Rhys sembrava confuso. Ma a cogliermi alla sprovvista fu Eryn. «Sei una stronza» urlò all'improvviso, per poi precipitarsi su per le scale.
La fissai fino a che scomparve al piano superiore. Non mi aspettavo che la prendesse così male.
«Conosco Thomas. Abbiamo fatto qualche missione insieme, quando lavorava come scienziato militare». John arricciò il naso, dando delle pacche affettuose a mia madre. «È un coglione, ma indiscutibilmente geniale. Se c'è qualcuno che può aiutare Arya, quello è lui. Non sono ancora riuscito a rintracciarlo, ma è solo questione di tempo».
Ne rimasi stupita. Non sapevo che Callum gli avesse chiesto aiuto per trovare Thomas, ma in realtà era piuttosto sensato. Pur odiandosi a vicenda, avevano un interesse comune: salvare me.
Non ero in grado di sopportare la vista di mia madre di nuovo a pezzi per colpa mia. L'avevo già fatta penare fin troppo, con tutti i guai in cui mi ero cacciata negli anni e poi la relazione con Josh. Detestavo darle altre preoccupazioni. «Vado da Eryn».
Salii i gradini in fretta e furia e raggiunsi la stanza di mia sorella. Ignorando il solito cartone attaccato alla porta, con su scritto a caratteri cubitali "No", bussai piano. «Posso?»
«Leggi il cartello» replicò annoiata.
Roteai gli occhi ed entrai. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta in cui avevo messo piede in quella camera o che l'avevo vista in generale, dato che era sempre chiusa. Le pareti erano tappezzate di poster di band rock e di moto da corsa e nell'angolo c'era la mazza con cui aveva minacciato Keegan. Su un mobiletto erano ammucchiate decine di foto di nostro padre, accanto al berretto dei Chicago Bulls che le aveva comprato quando l'aveva portata a vedere una loro partita.
Seduta a gambe incrociate sul letto, le cuffie alle orecchie, Eryn sollevò lo sguardo dal libro e sbuffò. «Non sai neanche leggere. Fantastico».
Richiusi la porta. «Che ti succede?»
«Non hai niente di meglio da fare che rompermi? Potresti stilare la lista delle cento cose da fare prima di morire». Il suo tono tradì una nota incrinata.
Un brivido mi artigliò la schiena. «Non sto morendo». Mi avvicinai e mi accasciai sul bordo del materasso. Le sfilai una cuffietta. «Non sto morendo, okay?»
Eryn scrollò le spalle. I suoi occhi lucidi continuavano a scorrere sulla pagina, ma avevo il presentimento che stesse solo facendo finta per evitare di guardarmi. Era sempre talmente scontrosa e distaccata che era facile scordare che avesse dei sentimenti.
Le diedi un colpetto scherzoso al ginocchio. «E io che pensavo che non mi sopportassi».
«Non mi sorprende che mi conosci poco. Non ci sei mai».
Mi bloccai. «Che vuoi dire?»
«Voglio dire che per te contano solo i tuoi amici». Eryn chiuse il libro con un tonfo. Il suo respiro era accelerato, affannoso, come se fosse appena liberata da un peso che la strangolava. «Non ti sei accorta di non esserci mai a casa? Anche quando la mamma soffriva di depressione e bisognava badare a Rhys, a te bastava solo uscire a divertirti con i tuoi amici. Ho dovuto ricattarti per obbligarti a stare un po' con nostro fratello. Vuoi più bene a loro che a noi».
Quelle accuse mi colpirono con la violenza di un pugno allo stomaco. In un baleno tutto ebbe senso. La ragione per cui Eryn non voleva far parte del mio gruppetto non era perché detestava me, bensì perché era gelosa di loro.
Il cuore mi si contorse nella gabbia toracica. Ero una pessima sorella. Come avevo potuto non accorgermi che stavo trascurando la mia famiglia?
«Io...» La voce mi si impigliò in gola. «No, non è così. Ti voglio bene. Ne voglio a tutti voi. Siete la mia famiglia». Posai la mano sulla sua, gelida e tremante. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto. È che dalla morte di papà ho cercato in ogni modo di... dimenticare. Che fosse con l'alcol, con le feste o con le mie stupide follie».
«L'ho perso anch'io».
«Lo so». Presi il libro, lo depositai sul comodino e allargai le braccia. «Vieni qui».
Eryn tirò su con il naso. «Non esageriamo».
Mi abbassai su di lei e la strinsi più forte che potevo. Malgrado le proteste, la sentii ricambiare la stretta per un istante, prima di iniziare a divincolarsi senza troppa convinzione. «Farò meglio, promesso» le bisbigliai all'orecchio, lasciandola andare.
Uscii e mi trascinai lungo il corridoio, con le gambe pesanti come se avessi dei macigni legati alle caviglie. Di sotto la luce era ancora accesa e udivo il confabulare di John e mia madre.
Entrai in camera e mi abbandonai con la schiena contro la porta, sospirando. Ero esausta.
Ethan mi sorrise, sdraiato sul mio letto con un braccio ripiegato dietro la nuca. «Ehi, hermana».
«Rhys?» chiesi.
«L'ho messo a letto. C'è Balto con lui. Non credo che abbia capito molto, ma non vede l'ora di avere un nipotino con dei superpoteri. Se è maschio, vuole chiamarlo Clark». Assunse un'espressione tronfia. «Sono così fiero di come sta crescendo».
Ridacchiai e mi stesi accanto a lui. «Mi ricordo quando doveva ancora nascere e tu volevi a tutti i costi farlo chiamare Sirius Black».
«Tuo padre era d'accordo con me».
«Perché era un'idea stupida. A nostro padre piacevano sempre le idee stupide».
«Seth ha ragione». Ethan mi cinse con un braccio. «Dovresti prenderlo in considerazione per tuo figlio».
Feci una risatina e mi accoccolai contro il suo petto. «Non so come farei senza di te».
«Saresti persa, ovvio».
Chiusi gli occhi. «Cretino».
Ethan appoggiò il mento sulla mia nuca, mormorando: «Stanotte dormo con te, eh, corazón?»
Sprofondai nel sonno prima ancora di poterlo ringraziare.
Davanti a me c'era una neonata.
Giaceva in mezzo al corridoio, avvolta in un lenzuolo immacolato, e mi tendeva le manine come per invitarmi a raccoglierla. Non piangeva, anzi rideva. Era il suono più puro che avessi mai sentito. I suoi occhioni mi fissavano, pieni di allegria.
Il mio cuore ebbe un tuffo. Il legame tra me e lei mi palpitò nel petto, irradiando un calore che mi si propagò in tutto il corpo. Una scia luminosa attraversava il pavimento, dai miei piedi fino al mostriciattolo.
Mi avvicinai di un passo, spinto da un richiamo recondito. Ci appartenevamo a vicenda. Percepivo il mio sangue che le scorreva nelle vene, l'oscurità della mia anima che si rifletteva nell'innocenza della sua, la mia natura corrotta che si lavava nell'oceano della sua ancora candida.
Mi bloccai proprio di fronte al fagotto. La piccola si infilò le ditina nella bocca senza denti e fece un versetto gioioso. Le labbra mi si piegarono in un sorriso spontaneo e feci per allungare le braccia tremanti.
Forse, se stavo abbastanza attento, potevo prenderla senza romperla.
Forse, se ero abbastanza delicato, potevo tenerla senza sporcarla con la mia cattiveria.
«No, non toccarla».
Mi girai di scatto. Un bambino biondo era fermo dall'altra parte del corridoio, gli occhi blu pieni di lacrime e il corpicino esile sepolto in un camice da ospedale. Riconobbi con orrore me stesso, in tutta la mia rivoltante fragilità.
«Non farle del male, Nicholas» mi implorò Zero. La sua vocina era incrinata dai singhiozzi. «Non rovinarla. Non spezzarla come ha fatto lui con me, ti prego. Nessuno potrà più aggiustarla, se lo fai».
Riportai lo sguardo su mia figlia. Aveva smesso di ridere e adesso si agitava tutta, piagnucolando spaventata. La coperta bianca era imbrattata di sangue.
Il terrore si impadronì di me. Arretrai fino ad appiattirmi contro il muro, scivolai a terra e mi rannicchiai con le ginocchia al petto. Mi strinsi forte le gambe, in preda all'orrore, mentre ripetevo in un sussurro disperato: «Scusa, scusa, scusa...»
Zero si sedette al mio fianco, posando la testa sulla mia spalla. «Non la ucciderai come hanno ucciso me. Promettimelo, Nicholas».
«Te lo prometto».
Mi svegliai di soprassalto. Il cuore mi batteva all'impazzata, così forte da schiantarsi contro le costole. Respiravo a fatica. Mi tirai a sedere e cercai di riprendere fiato, una mano premuta sul petto. Ero terrorizzata. No, non io. Nicholas lo era, persino più di quanto lo fosse dopo gli incubi su Lucius.
Scoccai un'occhiata a Ethan. Dormiva a bocca aperta, in una posa scomposta che mi ricordava tanto Gabriel, con le braccia sopra la testa e una gamba a penzoloni. Non lo avrebbe svegliato neanche una cannonata.
Socchiusi le palpebre e mi aggrappai al legame, che corse da me come un cagnolino obbediente. Mi apparteneva ormai.
"Stai bene?"
Attesi, senza ottenere nessuna risposta. "Nicholas" lo chiamai. Ancora niente. Con ancora addosso gli abiti che avevo messo alla festa, scivolai giù dal letto e mi lasciai guidare dal vincolo che ci univa. Lo sentivo pulsarmi dentro, dibattersi con violenza. Se lo sentivo con tanta intensità significava che era vicino.
Scesi le scale e aprii il portone d'ingresso. Nicholas era lì, seduto a terra con il mento sulle ginocchia, tremante. Portava una felpa un po' abbondante, probabilmente di Seth. Attorno a lui c'erano delle lattine di birra vuote.
Corrugai la fronte. «Che stai facendo?»
«Mi godo il panorama, tesoro» rispose sarcastico.
Perché era appostato fuori da casa mia?
Poi pensai a tutto ciò che avevo provato quella notte, a quanto mi aveva fatto male vedere mia madre piangere per colpa mia o rendermi conto degli errori che avevo commesso con Eryn, con la mia famiglia. «Eri preoccupato per me?»
Nicholas si strinse nelle spalle. «Ogni tanto dormo qui, da quando mia sorella...» Ammutolì. La sua sofferenza si riverberò in me, facendomi contrarre lo stomaco. «O meglio, sto qui e basta. Cerco di non dormire. Immaginavo che, se mi avessi scoperto, ti saresti incazzata».
I miei fratelli mi avevano raccontato che spesso tornava all'alba, stanco e stremato. Adesso ne capivo la ragione. Mi avvicinai e mi sedetti al suo fianco. «Perché lo fai?»
«Non ha importanza». Le sue labbra si incurvarono in una piega amara. «L'incubo è stato abbastanza chiaro, no? Fallirò comunque, a prescindere da ciò che faccio. Hai ragione a odiarmi, angioletto».
«I sogni non contengono delle verità assolute, Nicholas. Era solo una proiezione delle tue paure. Non vuol dire che sarai un cattivo padre. O come Lucius». Esitai, poi aggiunsi in tono scherzoso: «E non fare il melodrammatico. Non ti odio».
Mi sbirciò di traverso. Un guizzo speranzoso balenò nel blu dei suoi occhi, che brillava vivido nel buio. «No?»
«No. Non fraintendermi, ci ho provato, ma me lo hai reso parecchio complicato».
Nicholas si rannicchiò contro il muro e si cinse le gambe con le braccia, lo sguardo perso nel vuoto. La stessa posa che aveva nell'incubo. Lo fissai. Era scosso dai tremiti. Pur sapendo che era un demone spietato con una forza sovrumana, mi appariva più vulnerabile che mai. Addirittura indifeso.
Mi tirai in piedi. «Vieni dentro, dai».
«Sicura? L'ultima volta che sono venuto dentro, con te, abbiamo fatto un casino».
Non sapevo se cedere alla tentazione di ridere o di prenderlo a calci. «Sai che sei un deficiente, vero?»
Nicholas sogghignò. Al contrario delle mie aspettative obbedì senza protestare: mi seguì nel soggiorno e si accasciò docile sul divano. Malgrado l'ironia dietro cui tentava di nascondersi, aveva ancora un'espressione impaurita.
«Ti posso preparare qualcosa?» Cominciai a rovistare tra gli sportelli. «Un tè, magari?»
Emise un mugolio lamentoso. «Tu hai solo quello al limone. Non mi piace».
«Lo so. Da quando l'ho detto a mia madre, compra anche quello al biancospino per farti contento». Gli mostrai la scatola degli infusi. «È abbastanza originale per te?»
Nicholas batté le ciglia. «Lo compra apposta per me?» ripeté perplesso.
«Conosci qualcun altro con un'ossessione per le tisane?»
Rimase in silenzio per qualche secondo, poi chinò il capo e parlò rivolto al pavimento. «Vorrei una cioccolata calda, in realtà. Acquosa e con tanto zucchero. Kath me la faceva così».
Provai una fitta di tristezza. «D'accordo». Gliela preparai in pochi minuti, premurandomi di abbondare con lo zucchero, e gli porsi la tazza fumante. «Ho fatto del mio peggio, giuro».
Nicholas la afferrò e ne assaggiò un sorso. Fece una smorfia. «Disgustosa. Non quanto la sua, ma può andare. Grazie».
Gli strinsi una spalla. «Non c'è di che». Un pensiero mi folgorò e mi suonai una sberla in fronte. «Non muoverti. Devo mostrarti una cosa».
Prima che Nicholas potesse reagire in qualsiasi modo, mi tuffai su per le scale e ritornai nella mia camera. Frugai nel cassetto del mio comodino, trovai ciò che cercavo e scesi di nuovo. «Tieni» dissi, crollando accanto a lui sul divano. «È da un po' che volevo fartela vedere, sia a te che ai tuoi fratelli, ma mi sono sempre scordata».
Increspò le sopracciglia. Prese l'ecografia e la osservò con attenzione. Poi si irrigidì, la bocca spalancata per lo stupore. Le mani gli fremettero. «È quello che penso?» sussurrò con voce strozzata.
Feci un cenno d'assenso. «Non si vede molto ancora, ma sì. È il nostro bambino. O bambina».
Nicholas abbassò lo sguardo sull'immagine e la sfiorò con la punta dell'indice. A poco a poco, un sorriso tenero affiorò sul suo volto. «È davvero uno sputacchio».
Gli diedi una spintarella. «Piantala, cretino».
«Cosa? Non puoi negarlo, tesoro. Ha le dimensioni di una nocciolina».
Sbuffai divertita. Nicholas si curvò in avanti, i gomiti puntellati sulle cosce, senza smettere di guardare incantato l'ecografia.
Dopo un attimo di titubanza, allungai la mano e gli accarezzai i capelli. Sentivo il bisogno di proteggerlo. Forse per il legame, forse perché sapevo quanto poco affetto avesse ricevuto nella sua vita. Non lo amavo, eppure c'era un sentimento ancora più profondo ad attirarmi verso di lui.
Chissà come, questo adorabile bastardo era riuscito a ritagliarsi un posto nel mio cuore.
I muscoli di Nicholas si rilassarono ed ebbi l'impressione che si stesse sciogliendo sotto le mie carezze. Non c'era nulla di romantico. Anzi, somigliava a un bambino che implorava disperatamente per un briciolo di amore, per un contatto umano diverso dagli abusi e dalle violenze a cui era abituato.
Si voltò verso di me. «Se ci stai provando, angioletto, devo avvisarti che sono fedele al mio fidanzato».
«Non ci sto provando». Ritirai il braccio, accigliata. «Ma è triste che pensi che qualcuno possa essere gentile con te solo per portarti a letto».
Fece spallucce. «Non immagino altro motivo per cui chiunque dovrebbe tenere a me. Seth è l'unico idiota che non si è ancora accorto che non ho nulla da dare, a parte il mio indiscutibile fascino».
«Mi hai salvato la vita. Due volte. E, anche se ogni tanto sei un grandissimo stronzo narcisista, è ovvio che faresti di tutto per le persone che ami. Ti sei quasi fatto uccidere da tuo padre per me, Seth e nostra figlia». Gli sfiorai la schiena senza riflettere. Si paralizzò all'istante, il corpo teso in un fascio di nervi, eppure mi lasciò fare. Mi fermai per non turbarlo. «C'è del buono, Nicholas. Sei tu che non lo vedi».
Il suo pomo d'Adamo si mosse su e giù. «Voglio...» Si pinzò il labbro inferiore tra i denti, torturandolo fino a sanguinare. Il taglietto si rimarginò subito. «Vorrei essere il papà che ho sempre voluto. Il papà che volevo che Lucius fosse con me. Ma non sono sicuro di esserne in grado. È spaventoso il potere che i genitori hanno sui figli. Possono distruggere le loro vite ancora prima che inizino a viverle, possono spezzarli in frammenti così piccoli da rendere impossibile aggiustarli». Scosse il capo. «Nessuno dovrebbe avere un potere del genere».
Mi sfuggì un singhiozzo. Mi asciugai una lacrima sulla manica del maglione e gli cinsi le spalle con un braccio. «Mi dispiace per le cose orribili che ti hanno fatto. Non le meritavi. Nessuno al mondo le merita. Ma ci sono anche genitori che usano quel potere per fare del bene ai loro figli, per guidarli e proteggerli. Perché li amano. È questo che fanno i veri genitori, Nicholas».
«Ho paura di non esserne capace».
«Anch'io. Ma lo affronteremo insieme. Siamo sulla stessa barca, ricordi?»
«Sì, il Titanic» borbottò.
Entrambi scoppiammo a ridere. Nicholas bevve ciò che restava della cioccolata e posò la tazza sul tavolino. Finsi di non notare che aveva infilato l'ecografia in tasca.
Lo agguantai per il polso e lo obbligai ad alzarsi. Non si oppose. «Andiamo a fare una passeggiata. Ho un'idea».
Inarcò un sopracciglio. «Non sono un cane. Porta a spasso la tua palla di pulci».
«Come vuoi». Mi indirizzai verso la porta. «Ci vado da sola. Se qualcuno dovesse aggredirmi, sarai il primo a saperlo».
Piantò i pugni sui fianchi e rovesciò il capo all'indietro. «Milioni di ragazze nel mondo e io ho messo incinta la più rompicoglioni» sospirò, fissando il soffitto.
«Milioni di ragazzi nel mondo e io ho fatto sesso con un demone egocentrico che non usa il preservativo».
«Non sono egocentrico. Ma avresti come minimo dovuto definirmi stupendo, o bellissimo». Nicholas strappò il mio giubbotto dall'attaccapanni e me lo lanciò in faccia. «Almeno copriti. Fa freddo. Bisogna dirvi tutto, a voi umani».
Non sono egocentrico, diceva.
Indossai il cappotto e uscimmo. Era ancora notte fonda, le stelle ammiccavano su uno sfondo nero come la pece. Mi affrettai a tirare su la cerniera fino al mento per ripararmi dall'aria gelida. Ero piuttosto certa che avrebbe apprezzato ciò che avevo in mente.
«Stavo pensando» esordii, mentre camminavamo uno accanto all'altra.
«Sono stupito. Da quando hai preso questa brutta abitudine, angioletto?»
«Idiota». Lo scrutai torva. «Se dovesse essere una femmina...»
«Lo è».
«Il suo secondo nome potrebbe essere Kathlyn. Se vuoi».
Nicholas inciampò e girò la testa verso di me. «Davvero?»
Annuii. «Non potrà mai conoscerla, ma almeno avrà per sempre un pezzo di lei».
«D'accordo. Sì, mi piace». Si schiarì la voce, quasi sul punto di spezzarsi. «Magari, se Seth mi dà il permesso, ne facciamo un secondo e lo chiamiamo Charles. A Remi non darà fastidio tanto, no?»
Una morsa mi serrò il cuore. «Ci siamo lasciati. Ma non mi va di parlarne, per favore. Soprattutto non con te».
«Ecco perché il mio fratellino era giù di tono». Mi circondò con un braccio e mi tirò verso di sé, mormorando al mio orecchio: «Tranquilla, ne hai altri tra cui scegliere. Così rimane tutto in famiglia».
Lo scansai e gli scompigliai i capelli. Ridacchiai, quando chiuse gli occhi e si protese verso la mia mano per avere un'altra carezza. «Allora Seth ha ragione. Adori le coccole» lo canzonai.
«Sei insopportabile». Si ritrasse con un broncio infantile e si guardò attorno. «Perché siamo nel parco?»
Lo presi per mano e lo accompagnai fino alle altalene. «L'ultima volta, quando siamo venuti tutti insieme, non facevi che guardarle. Ho capito che volevi salirci, ma ti vergognavi».
«Ho vent'anni. È un po' tardi per imparare ad andare in altalena».
Allargai le braccia a indicare il parco. «Non c'è nessun altro. Sarà un segreto tra di noi».
Nicholas mi rivolse uno sguardo diffidente. «Lo dirai ai miei fratelli?»
«No».
Fece per sedersi sul sedile, ma si bloccò. «Mi prenderai in giro?»
«No». Mi tracciai una croce invisibile sul petto. «Lo giuro».
Nicholas si aggrappò alle catene dell'altalena e cominciò a dondolare con fare impacciato. Trattenni un sorriso intenerito. Non volevo che pensasse che lo stavo deridendo.
«Possiamo restare qualche minuto?» chiese timidamente.
Mi sedetti su una panchina e accavallai le gambe. «Tutto il tempo che vuoi».
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Angolo Jedi
Chiedo umilmente scusa per il terribile ritardo. Siamo ormai agli ultimi capitoli e devo stare attenta a far tornare tutto sto casino di trama. Ho un'ansia assurda⚰️
Preparatevi perché sta per andare tutto allo scatafascio. Vi voglio bene❤️
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