𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 52.1 (Nicholas)
“ℑ 𝔠𝔞𝔫'𝔱 𝔩𝔦𝔳𝔢 𝔦𝔫 𝔞 𝔴𝔬𝔯𝔩𝔡
𝔴𝔥𝔢𝔯𝔢 𝔶𝔬𝔲 𝔡𝔬𝔫'𝔱 𝔢𝔵𝔦𝔰𝔱”
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Se davvero esisteva una qualche entità ultraterrena, dovevo averle sputato in faccia prima di nascere o magari era invidiosa della mia incredibile bellezza. Perché altrimenti non capivo che cosa avessi fatto di così grave da meritare di vivere circondato da idioti.
Un nervosismo improvviso mi era piombato addosso e dovevo trattenermi dal mettermi a gridare. Miriadi di pensieri non proprio allegri mi vorticavano nel cervello, tanto che avevo la sensazione di essere sul punto di esplodere. Ero abituato alla confusione che infestava la mia mente, ma a volte era come se qualcuno alzasse il volume e i sussurri si trasformavano in echi assordanti.
«Ti prego, dimmi che non sei venuto a lamentarti di nuovo del petauro» gemette Callum, appena varcai la soglia.
Entrai nel laboratorio sotterraneo e sbattei il pesante portone alle mie spalle. «No. Ho deciso che se a te non importa che casa nostra sia diventata uno zoo, me lo farò andare bene anch'io. Sopporterò in silenzio. Anche se mi piacerebbe tanto sapere il motivo per cui Gabe può tenere un topo volante, ma io non posso avere un cavallo».
«Menomale che sopporti in silenzio». Callum sbuffò e riprese a esaminare la bara aperta, camminando attorno al tavolo metallico su cui era distesa. Indicò la superficie interna del coperchio. «Ci sono dei graffi. Il demone era vivo quando è stato seppellito».
«Sarà morto di fame. Anche noi dobbiamo nutrirci. A tal proposito...» Sollevai il sacchetto che tenevo in mano. «Ti ho portato da bere e un taco. Sky ha voluto ordinare cibo messicano».
La sua postura si irrigidì. «Ho già...»
«Stronzata».
«Non ho fa...»
«Non me ne frega». Lo trascinai sulla sedia più vicina e gli consegnai a forza la busta. «Non era una richiesta, Callum. O mangi o ti prendo a calci in culo da qui fino all'Inghilterra, così torni anche a casa».
Lui inarcò un sopracciglio. «Sono curioso. Te lo eri preparato in anticipo questo straordinario discorso motivazionale, oppure lo hai improvvisato?»
Ero abbastanza certo che fosse ironico. Sospirai e distolsi lo sguardo dal suo, ciondolando avanti e indietro sui talloni. Feci del mio meglio per ammorbidire il tono. «Solo quello che ti va. Per favore».
Seguì un attimo di silenzio, poi Callum tirò fuori il taco dal sacchetto. Lo fissava come se si stesse preparando ad affrontare un nemico contro cui non credeva di avere nessuna possibilità di vittoria. Lo divise in due e mi porse l'altra metà.
Non mi andava molto, ma la accettai comunque. Dai tempi del laboratorio avevo imparato che mangiare da solo, con me accanto a osservarlo, lo avrebbe messo ancora più in difficoltà.
Mi appoggiai allo spigolo della scrivania e masticai lentamente, mentre cercavo di trovare un qualche spunto di conversazione per tenerlo distratto. Lanciai un'occhiata alla bara. «Perché ti interessa tanto una vecchia cassa polverosa, comunque?»
«La vera domanda è perché interessava a nostra madre». Callum diede un altro morsetto al taco, i lineamenti contratti in un'espressione meditabonda. «Stando alla registrazione di Lucius, dentro c'era il corpo del demone che hanno usato per trasformare Jayson. Quindi perché conservarla?»
Feci una smorfia. Si faceva troppe paranoie, per i miei gusti. «È interamente fatta in oricalco, che non è un metallo molto comune. Magari voleva scioglierlo e riutilizzarlo per creare dei dildi o altri strumenti di tortura per noi. Era il passatempo preferito della nostra adorabile mammina».
Callum scosse la testa. «Una volta raffreddato, l'oricalco diventa pressoché indistruttibile. Non lo si può riplasmare».
«Che cosa importa perché l'ha tenuta? Stiamo parlando di una donna che si è scopata non uno, ma ben due suoi fratelli. Non mi chiederei il perché di tutto ciò che faceva».
«E dov'è finito il corpo del demone?» mi incalzò Callum, stappando la lattina di Diet Coke.
Scrollai le spalle. «Non ne ho idea. Trovare un cadavere ammuffito non è in cima alla lista delle mie priorità». Gli diedi una gomitata scherzosa. «Ma abbiamo ancora un pezzetto di Justin nella cella frigorifera, se hai voglia di carne fresca».
Roteò gli occhi e bevve un lungo sorso. «C'è anche un'altra cosa che non mi torna. Nel video Lucius ha detto che Vivianne ha adottato altri otto bambini, dopo il successo dell'esperimento con te. Otto, Nicholas. Otto più uno è uguale a nove».
Lo guardai interrogativo. «Sì, grazie. Le addizioni le so fare. E allora? I calcoli sono corretti. Noi siamo in nove...» Una fitta mi trapassò il petto e d'istinto sfiorai il mio ciondolo. Eravamo in nove.
"A causa tua, Zero. L'hai uccisa tu". Serrai i pugni, tentando di scacciare la voce di Lucius.
A giudicare dall'ombra che gli guizzò sul volto, anche Callum doveva aver pensato a Kath. «E Keegan da dove arriva? Non lo ha nemmeno menzionato».
Keegan. Ero stato così preso dalla mia sete di vendetta che mi ero scordato che ci fosse anche lui sulla scacchiera. Lo avevo sempre relegato al ruolo di un banale pedone, così che non avevo prestato molta attenzione a lui.
Mi sfregai le mani per ripulirle dalle briciole, accigliato. «Dove vuoi andare a parare?»
Callum non rispose. Inghiottì l'ultimo boccone e si scolò ciò che restava della lattina, assorto nelle sue riflessioni. Potevo quasi sentire gli ingranaggi del suo cervello che ronzavano frenetici. «Non ne sono sicuro» sentenziò infine.
Feci un cenno verso l'uscita. «Dai, andiamocene. Non sopporto più di stare in questo buco».
«Solo un momento». Si tirò in piedi e chinò il capo. «Non ti ho ancora chiesto scusa».
Mi bloccai, colto alla sprovvista. «Per?»
«La notte in cui Lucius lo ha aggredito, Seth mi aveva chiamato, ma non ho sentito il telefono. Mi dispiace. Se gli fosse successo qualcosa per colpa mia...»
«Sta' zitto». Gli diedi uno schiaffetto sulla faccia, poi lo agguantai senza tanti complimenti e premetti la fronte contro la sua. «La colpa è solo di quel bastardo, e gliela faremo pagare per tutto ciò che ha fatto alla nostra famiglia».
Callum annuì. «Non vedevi l'ora di restituirmi la sberla, eh?»
«Ci puoi scommettere». Sfoderai un ghigno. «Dato che siamo in argomento, che hai combinato con Rosalie? Avete scopato?»
Si allargò il colletto della camicia, mentre un intenso rossore gli si propagava sulle guance. «Che? No. Abbiamo solo dormito. Separatamente. Mi sono addormentato sul suo divano, tutto qui».
«Però me lo diresti se lo aveste fatto?»
«No».
Emisi un mugugno lamentoso. «Non è giusto. Io ti dico sempre tutto».
«Purtroppo lo so» borbottò lui, aprendo la porta.
Ritornammo nel mausoleo. La lapide si spostò fino a ricoprire la botola e risalimmo i gradini per uscire in giardino, tra le grinfie di un vento gelido. Il cielo era un uniforme drappo d'inchiostro, spoglio di stelle, su cui era stata ricamata un'esile falce di luna avvolta in nubi eteree.
Il mio sguardo fu subito calamitato su una figura sotto il portico e un sorriso spontaneo mi affiorò sul viso. Mi era mancato, nonostante fossimo lontani da neanche dieci minuti. Era sempre così. Iniziava a mancarmi nel momento stesso in cui smettevamo di stare insieme.
"Sei patetico, Zero".
Callum mi adocchiò e l'angolo della bocca gli si piegò all'insù. «Buonanotte».
Lo salutai distrattamente e mi incamminai in direzione di Seth. Allungai le braccia ai lati del suo corpo e mi aggrappai alla balaustra, sussurrando al suo orecchio in tono mellifluo: «Il fumo uccide, tesoro. C'è scritto sulla scatola».
Seth rabbrividì. «Com'è andata con lo zuccone? Sei riuscito a fargli mangiare qualcosa?»
«Non quanto avrei voluto» ammisi avvilito.
«Poco è meglio di niente».
«Suppongo di sì». Gli stuzzicai il lobo con la lingua. Fremette, i battiti del suo cuore che acceleravano. Sentivo l'eccitazione trasudare dalla sua pelle. «Credo che ce l'abbia ancora con te perché gli hai rotto un fanale».
«Tecnicamente sei stato tu» replicò, espirando anelli di fumo. «Perché eri troppo impegnato a canticchiare Shake It Off di Taylor Swift».
In teoria era vero. Ma era stato lui a proporre di mettermi alla guida al ritorno dalle grotte, quindi non era una mia responsabilità che avevamo rischiato di schiantarci contro un albero. Alzai un dito. «Non è esatto. Ho sterzato per evitare un procione psicopatico che attraversava la strada».
Ridacchiò. «Non c'era nessun procione, piccolo bugiardo».
«Sì, invece. Per una volta che risparmio un altro essere vivente, anziché ammazzarlo, meriterei una medaglia». Lo circondai all'altezza dei fianchi e gli depositai un bacio sul collo. Il suo pomo d'Adamo si mosse su e giù. Inspirai con avidità il suo odore, per poi storcere il naso quando la puzza di tabacco mi invase la narici. «Odio quella roba».
Seth fece un ultimo tiro e gettò via il mozzicone. «Lo so. Infatti sto cercando di fumare di meno per te».
Si abbandonò alla mia stretta, appoggiando la schiena al mio torace. Un tremito mi percorse la spina dorsale. «Non ti dà fastidio stare così, no?» chiesi nervoso.
«No, perché dovrebbe? A me piacciono gli abbracci da dietro». Seth reclinò il capo sulla mia spalla e mi sfiorò la mascella con la punta del naso. «Non sono sempre una brutta cosa, sai?»
Posai le labbra sulle sue in un contatto fugace. «Ti va di guardare qualcosa? Ho bisogno di coccole».
Seth si girò in modo da incatenare gli occhi ai miei. Mi persi nell'oceano nero delle sue iridi, l'unico mare in cui non avevo paura di annegare. «Certo. Che film vuoi vedere?»
«Quello che vuoi. A me basta che mi fai le coccole».
Seth sorrise e si impadronì della mia bocca. Portò una mano dietro la mia nuca, nel frattempo che le nostre lingue danzavano e si stuzzicavano a vicenda in un bacio famelico. Il suo sapore era inebriante. Lo attirai ancora di più a me, quasi con disperazione, bramando di annullare qualsiasi distanza tra i nostri corpi. Non ero mai stato così consapevole dei vestiti che portavo addosso, la sola irritante barriera rimasta tra di noi.
Seth mi spinse all'indietro fino a farmi aderire al portone e, dopo un paio di tentativi maldestri, riuscì a inserire la chiave nella serratura. Lo sollevai per il retro delle cosce e dovette avvinghiare le gambe attorno al mio busto. Quando la mia erezione strusciò contro la sua attraverso il tessuto, mi lasciai sfuggire un verso roco.
Richiuso il portone con un calcio, lo trasportai attraverso il soggiorno e lo gettai sul divano. Seth sprofondò tra i cuscini con una risatina e rimasi incantato ad ascoltare quel suono meraviglioso. Si allungò per afferrare il colletto della mia camicia e mi tirò sopra di sé, riprendendo a baciarmi con un desiderio che sfociava nella necessità.
Quando mi staccai per riprendere fiato, puntellato sulle ginocchia per non schiacciarlo, mi presi qualche secondo per bearmi della sua vista e un'emozione senza nome mi fece gorgogliare lo stomaco. Gli passai la punta dell'indice lungo i contorni del viso, dalla tempia fino alla guancia, toccandolo a malapena come se fosse una reliquia inestimabile.
Avevo il folle terrore di sentirlo svanire tra le mie mani, di vederlo sgretolarsi assieme a tutte le poche cose belle che la vita mi aveva concesso. Così belle che stentavo a credere che fossero reali, e non il frutto della mia immaginazione, l'ennesima illusione concepita dalla mia mente.
«Che c'è?» ansimò Seth, appoggiandosi sui gomiti.
Scossi il capo per scacciare quei pensieri e affondai il viso nell'incavo del suo collo. «Non capisco che cosa ho fatto per meritarti».
Mi depositò un bacio sulla tempia. «Hai strappato il cuore all'idiota che voleva aggredirmi e mi hai quasi rotto il naso».
«Ah già». Scoppiammo a ridere all'unisono, poi tornai serio e incrociai il suo sguardo. «Mi odio ancora per averti fatto del male».
«Eri spaventato. Considerati tutti gli orrori che hai subito, non mi sorprende che non nutrissi grande fiducia nel genere umano».
«Non ce l'ho neanche ora». Gli scansai un ricciolo dalla fronte. «Ho fiducia solo in te».
«Non credo di essere l'unico umano a piacerti» obiettò in tono eloquente.
Sbuffai. «Sì, ci sono un altro paio di eccezioni. Non dirlo all'angioletto, però. È già abbastanza rompicoglioni».
Seth sghignazzò e mi scansò per potersi alzare. Si avvicinò alla pila di dvd e li scorse con un dito. Giunto all'incirca a metà, il suo viso si illuminò come quello di un bambino. Era talmente entusiasta che, a prescindere da cosa avesse scelto, già sapevo che avrei accettato di vederlo. «Ti va bene Titanic?»
Mi va bene tutto. Io voglio solo stare con te.
Mi raddrizzai e incrociai le braccia dietro la nuca. «L'ho già sentito nominare. È un musical? Perché nel caso devo prepararmi psicologicamente».
Seth si portò una mano al petto, sconvolto. «Questa ha fatto malissimo. Nik, è la storia d'amore più famosa di tutti i tempi. E ha anche un finale tragico, come piace a te».
Sogghignai. «Quindi dovrò consolarti quando piangerai».
«Lo dici come se fosse inevitabile».
«Perché lo è, tesoro. Piangi per i film smielati anche quando finiscono bene».
Seth roteò gli occhi. Accese la televisione e inserì il disco nel lettore dvd. «Scommettiamo che non piangerò?»
«Andata. In pratica ho già vinto». Mi tirai in piedi e andai a prendere un pacchetto dal mucchio di patatine al formaggio che avevo comprato per Arya. «Quanto dura?»
«Tre ore» rispose, ributtandosi sul divano.
Sgranai gli occhi. «Tre cosa? E io che pensavo che lo shopping di questo pomeriggio fosse stato una tortura».
«Di che ti lamenti? Per te sono tre ore di coccole».
Annuii. «Giusta osservazione».
Seth allargò le braccia per accogliermi e mi ci fiondai dentro. Mi rannicchiai con la testa sul suo petto e sospirai, beandomi del suo profumo, del calore del suo corpo, della rilassante melodia dei suoi battiti cardiaci. Mi strinse con delicatezza e prese ad accarezzarmi i capelli, mentre rovistava nella busta con l'altra mano.
«Ammettilo: ti sei divertito a fare shopping». Accostò una patatina alle mie labbra.
La presi in bocca facendo in modo di sfiorare la punta delle sue dita. «È stata una pura agonia».
Mi tirò giocosamente una ciocca bionda. «Ti si sta allungando il naso come a Pinocchio, piccolo bugiardo».
«Il mio naso è perfetto» replicai, tastandolo per sicurezza.
Seth ridacchiò e mi posò un bacio sulla fronte. Esitai un istante, poi aggiunsi con una scrollata di spalle: «Però ho scoperto che scegliere le tutine per la marmocchia è divertente».
Il suo sorriso si allargò. «Allora sei proprio sicuro che sia una femmina, eh?»
Tacqui. Non lo ero affatto, ma lo speravo con tutte le mie forze. I bambini mi spaventavano, i bambini maschi ancora di più. Mi ricordavano terribilmente Zero, quel patetico esserino che non era stato in grado di difendersi, troppo debole per sopravvivere.
Quasi non mi accorsi che il film era cominciato. Non riuscivo a staccare lo sguardo dal viso di Seth, le palpebre socchiuse per crogiolarmi nella dolcezza del suo tocco. Non volevo che sparisse. Non volevo svegliarmi e scoprire che ero ancora imprigionato nella mia cella in laboratorio, che i test non erano finiti e che Lucius avrebbe giocato di nuovo con me.
«Avevo dimenticato quanto era figo Leonardo Dicaprio nei panni di Jack Dawson» commentò Seth, sgranocchiando le patatine.
Mi accigliai. «Questa è la parte in cui dovresti precisare che io lo sono molto di più».
«Secondo me gli somigli un po'».
«Adesso mi sto offendendo» mugugnai imbronciato.
«Oh, no. Significa che mi terrai il muso per... quanto? Cinque minuti?» Seth abbassò gli occhi e incrociò i miei. Increspò le sopracciglia. «Da quanto tempo mi stai fissando?»
Mi protesi verso la sua mano, sospesa a mezz'aria, per invitarlo a continuare con le carezze. «Da quanto è iniziato il film?»
«Un'ora».
«Allora da un'ora».
Seth buttò via la busta vuota di patatine. Mi intrappolò il mento tra pollice e indice per tenermi fermo e premette le labbra sulle mie. Poi scese sul mento e proseguì in una scia umida lungo il collo, evitando con cura le cicatrici. «Perché?»
Un verso gutturale mi salì dal fondo della gola e rovesciai il capo all'indietro. Il cuore mi martellava contro le costole. Col respiro affannoso, mi abbandonai contro lo schienale del divano e mi caricai Seth sulle gambe. Il suo volto era a pochi centimetri dal mio, i nostri respiri irregolari che si fondevano. «A volte mi sembra tutto un sogno».
«Tutto cosa?» chiese confuso.
«Te. Noi. Tutto questo». Mi guardai attorno, tenendo le mani posate sul suo bacino. «Non avrei mai creduto che essere amato potesse essere così... bello. Molto bello. Lucius chiamava ciò che mi faceva amore, ma faceva tanto male e non mi è mai piaciuto. Poi sei arrivato tu. Mi hai insegnato le carezze, i baci, le coccole e che potevo dire di no. Per la prima volta, con te, ho sentito che il mio corpo era davvero mio e potevo essere io a decidere cosa farne».
Mi accarezzò una guancia. «Lucius non ti amava, Nik. L'amore, quello vero, non fa male. Mai. E non va meritato. Lo si dà e basta, senza pretendere niente in cambio».
Deglutii. Probabilmente stavo facendo la figura dell'idiota, ma ormai le parole erano sfuggite al mio controllo e avevo bisogno di liberarle. «È che non riesco ad abituarmi. È strano pensare che qualcuno possa volermi bene in questo modo, soprattutto qualcuno di puro e buono come te. Mi pare sbagliato, capisci? Sono sporco, corrotto. Il mio posto è in una gabbia, i mostri non dovrebbero...»
Seth puntellò i gomiti sulle mie spalle e mi tappò la bocca con un bacio. Un bacio casto, delicato, leggero come un fiocco di neve. «Non sei un mostro, Nik. Ti hanno solo trattato come tale. E d'ora in poi ti zittirò così ogni volta che lo ripeterai».
Sorrisi contro le sue labbra. «È una pessima strategia per farmi smettere».
Seth affondò le dita nei miei capelli e mi costrinse a stendermi sul divano. Assecondai docile i suoi movimenti, finché mi ritrovai sdraiato con il volto rivolto verso lo schermo e il suo petto che aderiva alla mia schiena.
D'istinto il contatto con la sua erezione ancora pulsante mi fece irrigidire, ma dopo un attimo riconobbi il suo odore e la tensione dei miei muscoli si sciolse. Presi il suo braccio e me lo avvolsi attorno al busto, intrecciando le dita alle mie.
Un tranquillizzante senso di protezione mi invase. Ero al sicuro con lui. Non avrebbe mai fatto nulla senza il mio permesso, tantomeno in quella posizione.
Seth incastrò il mento nell'incavo della mia spalla e sussurrò, solleticandomi la pelle col suo fiato caldo: «Sono reale e non vado da nessuna parte, d'accordo?»
Un fremito mi scosse. Sospirai e sfregai il pollice sulle sue nocche, mentre osservavo l'anello che mi aveva regalato. «Nel profondo lo so. È tutta la vita che soffro di incubi. Non potrei mai sognare qualcosa di tanto stupendo. A parte me stesso, certo».
«Deficiente».
Mi raggomitolai nella sua presa e trascorsi il resto del film a godermi le sue carezze. Adoravo le coccole, persino più del sesso. Mi facevano sentire in pace, e nella guerra per la sopravvivenza che era da sempre la mia vita accadeva di rado.
Quando udii Seth tirare su con il naso, sfoderai un ghigno. «No no, figurati. Non piangerò mica» lo scimmiottai.
«Non sto piangendo. Mi lacrimano solo gli occhi».
Mi voltai verso di lui. Le sue iridi erano di un nero lucido e scintillante, come la superficie di un lago in una notte stellata. «È l'esatta definizione di piangere, Scrat».
Mi diede un pizzicotto sul fianco. Sussultai in preda a uno spasmo, senza riuscire a trattenere una risatina, e lo guardai torvo. Detestavo quando mi faceva il solletico. «Tu che avresti fatto al posto di Jack? Ti saresti sacrificato? Io sì».
Gli posai un bacio all'angolo della bocca. «Sarei salito sulla zattera e l'avrei lasciata morire. Che cazzo gliene fregava? La conosceva da due giorni al massimo. Non è credibile».
Seth fece una smorfia divertita. «Dai, sul serio. Che avresti fatto?»
«Avrei salvato te». Feci scivolare le labbra lungo la linea della sua mascella. Infilai la mano sotto la felpa e gli sfiorai gli addominali. «Sono un demone, ricordi? Non posso morire congelato».
«Ma hai paura dell'acqua» boccheggiò, fremendo sotto il mio tocco.
«Vivere senza di te mi fa molta più paura».
Gli sollevai la felpa e mi chinai a tempestare il suo petto di piccoli baci adoranti, man mano che scendevo con estrema lentezza. Seth emise un mugolio e si inarcò appena. «N-nik».
C'era una nota d'urgenza nella sua voce. «Mmh?» mugugnai distratto, armeggiando con la sua cintura.
«È saltata la corrente».
Mi bloccai. Non era decisamente quello che mi aspettavo. Scoccai un'occhiata al televisore e mi resi conto che si era spento. Regnava un silenzio assoluto.
Provai a tendere le orecchie, ma anche dal piano superiore non proveniva nessun rumore. Anche se i miei fratelli fossero già andati a dormire, avrei dovuto sentire quantomeno i loro battiti. Strizzai le palpebre, invano. L'oscurità che permeava il soggiorno restava una cortina densa e impenetrabile. Anzi, avevo l'impressione che si infittisse sempre di più.
«Qualcosa non va» commentai, balzando in piedi. «I miei poteri non funzionano».
Seth si sistemò i vestiti e si mise a sedere. Sebbene si sforzasse di apparire calmo, il suo respiro era tremante. Odiava il buio. «Come quella notte nel bosco? Ma Alfa non può essere qui, no?» Cominciò a ruotare la testa in tutte le direzioni. «Non vedo gattoni killer in giro. E tu?»
«Non ti riferisci a Loki, immagino-»
Prima che potessi terminare la frase, un intenso bruciore mi attraversò l'avambraccio. Scostai la manica e, malgrado il buio, la cicatrice spiccò sulla mia pelle d'alabastro. Era di un rosso sanguigno e le vene attorno si erano ingrossate.
«L'ufficio di mia madre. Ci sono delle armi in oricalco». Lo tirai su di peso per il cappuccio. «Stammi vicino».
«E chi si muove». Seth mi si appiccicò come una cozza e accese la torcia del telefono. Il cono di luce scalfì a malapena la barriera di tenebre. «Gli altri staranno bene?»
«Lo saprei, se fossero in pericolo».
Avanzammo nel corridoio. Il cuore mi tuonava in gola, pompando sangue gelido nelle vene. Il sudore mi imperlava la schiena. Non avevo mai temuto la morte, in un certo senso mi esaltava addirittura l'idea di combattere contro un avversario che aveva la mia stessa forza. Senza i miei sensi amplificati, però, mi sembrava di essere nudo e vulnerabile. Era una sensazione spiacevole.
Continuai a camminare e svoltai l'angolo. Da sopra sentivo riecheggiare delle voci, stranamente remote e distorte. Mi parve di riconoscere quella di Joel, o forse di Gabriel. Anche se ero preoccupato per i miei fratelli, mi rassicurava che fossero insieme. E c'era Callum a proteggerli.
La stretta di Seth sul mio braccio di colpo si fece dolorosa. «Nik, girati».
Mi mossi di scatto, spostandomi davanti a lui per fargli da scudo. In fondo al corridoio da cui eravamo venuti, una sagoma gigantesca prese forma nell'oscurità. I suoi occhi, simili a braci ardenti, erano puntati su di me.
Spinsi Seth ancora più dietro di me. «Secondo cassetto della scrivania. Vai» sibilai.
«Non ti lascio...» obiettò, cereo in viso.
Emisi un ringhio sommesso. Non mi voltai, ma il suono frenetico dei suoi passi che si allontanavano mi fece capire che aveva obbedito. Rivolsi un sorrisetto alla creatura, i cui contorni si mescolavano alla nebbia tetra che la ammantava. «Che c'è, Jayson? Invidioso che la mamma mi ha fatto più bello di te?»
Senza produrre nemmeno un fruscio, Alfa prese la rincorsa e mi si scagliò addosso a una velocità impressionante. Mi abbassai e i suoi artigli mi strapparono solo il tessuto della camicia. Tentai di colpirlo con un calcio, ma si dissolse nel nulla come fumo.
Ruotai il capo da una parte e dall'altra, in allerta. Jayson sbucò all'improvviso dalla foschia e mi atterrò. Gli afferrai la gola con entrambe le mani e strinsi più forte che potevo, mentre le sue zanne schioccavano a un soffio dal mio viso. Avvertii le dita che penetravano a stento nella sua carne molliccia, perforando la corazza di dura pelle squamata.
Digrignai i denti. Le energie cominciavano a venirmi meno. I muscoli, tesi al massimo, erano scossi dai crampi, eppure non riuscivo a scrollarmelo di dosso. Il suo muso si avvicinava sempre di più.
«Lascialo stare, mostro del cazzo!» gridò Seth, conficcando un pugnale nella schiena della creatura.
Un guaito disumano mi lacerò i timpani. Jayson arretrò con un guizzo felino e si avventò su Seth, che ruzzolò sul pavimento. Una furia cieca mi invase. Sollevai il braccio e lo calai in un gesto secco. Una forza invisibile vibrò nell'aria e Jayson venne scaraventato contro il muro. L'impatto fu talmente violento da ricoprire la pietra di crepe.
Afferrai il pugnale caduto a terra e mi alzai barcollando, stremato. I poteri mentali mi prosciugavano. L'ultima volta che avevo usato un'onda psichica era stata a quattordici anni, sempre in maniera quasi involontaria, quando avevo fuso - o così credevo - il cervello a mio padre. All'epoca ero svenuto poco dopo, ma ora non potevo permettermelo. Dovevo proteggere Seth.
Jayson si rialzò uggiolando e si scaraventò verso di me. Non ebbi il tempo di reagire. Ci fu uno sparo, poi un lamento e la creatura scomparve. Dal sibilo che mi aveva sfiorato l'orecchio, il proiettile doveva essere in oricalco. Callum mi affiancò subito, la pistola ancora sollevata. «Stai bene?»
Lo ignorai e mi precipitai da Seth. Mi inginocchiai accanto a lui e lo aiutai a mettersi supino. Trasalii. La felpa era lacerata sul fianco e fiotti di sangue sgorgavano da un taglio profondo. Lo stomaco mi si contorse e un'ondata di rabbia mi montò nel petto.
«Non è niente, Nik. Solo un graffietto» borbottò Seth con una smorfia sofferente.
Nonostante avessi una gran voglia di insultarlo, non risposi. Ero paralizzato dall'orrore. Davanti agli occhi mi balenò l'immagine di mia sorella accasciata nel fango, morente.
Callum ci raggiunse e si caricò un braccio di Seth attorno alle spalle. «Portiamolo di là. Fai luce con la torcia».
Obbedii meccanicamente. Raccolsi il telefono e li seguii nel soggiorno, reggendomi ogni tanto alla parete con la mano che stringeva il pugnale. Aveva anche iniziato a pulsarmi la testa. Nel salotto era radunato il resto della famiglia.
Sky si girò di scatto. «Che è successo?»
«Alfa?» chiese subito Remiel, venendoci incontro.
«Sì. È ancora qui, da qualche parte». Callum depose Seth sul divano. «Uno di noi ti accompagnerà in ospedale. Intanto tu cerca di non sporcare troppo».
Lui gemette. «Dovresti vincere il premio Nobel per la simpatia, te l'hanno mai detto?»
Isaac gli si avvicinò e prese a tamponare la ferita con una coperta. Remiel deglutì e serrò i pugni, indietreggiando un poco. Lo fulminai con un'occhiata minacciosa. Un essere umano sanguinante era una tentazione golosa, per un demone in astinenza.
Gabriel tossicchiò. Indossava un accappatoio a fiori e una cuffietta da notte storta da cui fuoriuscivano alcuni bigodini. «Scusate, so che forse non è il momento adatto, ma avete visto Alberico? Sono un po' preoccupato».
«Ma non potevi almeno vestirti?» obiettò Joel.
«Non è colpa mia se stavo facendo il mio trattamento serale».
Una sensazione ormai famigliare prese a dibattersi dentro di me. Avvertii il legame che mi trascinava nella mente irrequieta di Arya, nei suoi pensieri turbolenti, ma scossi il capo per respingerlo. Qualunque problema avesse, dubitavo che fosse grave quanto il mio. Dovevo restare concentrato.
Rafforzai la presa sul manico del pugnale. «Basta chiacchiere del cazzo. Vado a cercare quel bastardo. In fondo è una tradizione che sia io ad ammazzare i nostri parenti meno graditi».
Alexander fece un cenno. «Non credo che dovrai cercarlo».
L'oscurità si addensò come un mantello. In automatico mi posizionai davanti a Seth e a Isaac sul divano, mentre gli altri serravano i ranghi attorno a noi in un atteggiamento protettivo. La creatura superò i miei fratelli e si lanciò dritta su di me, troppo rapida anche per la mira impeccabile di Callum. Scartai di lato e la colpii col pugnale, ma la lama fendette solo l'aria. Si era dissolto nel buio ancora una volta.
Joel aggrottò la fronte. «Nik, ho l'impressione che gli stai un po' sul cazzo».
Qualcosa mi piombò sulla schiena e crollai sul tavolino, che cedette sotto il mio peso. Un rigagnolo caldo mi colò lungo il collo. Callum gettò via la pistola scarica e mi strappò di dosso Jayson, che gli affondò i canini nella spalla per liberarsi.
Alexander afferrò il demone e lo mandò a schiantarsi contro la credenza. Remiel gli conficcò prontamente un attizzatoio nel ventre. Jayson lo spezzò in due con i denti, per poi tuffarsi nella mia direzione. Sky e Joel si frapposero fra me e la creatura, pronti a difendermi.
Ma non avevo alcuna intenzione di stare a guardare. Kath era morta per colpa mia. Non avrei lasciato che accadesse di nuovo. Dovevo attirarlo lontano da loro.
Presi il pugnale e corsi verso il portone principale. «Vuoi me, giusto? Eccomi. Forza, bestiaccia, andiamo fuori a giocare» gridai a squarciagola.
Jayson scavalcò il divano con un salto e mi inseguì. Quando uscii in giardino, il gelo della notte mi investì. Dal cielo cadeva una pioggia fitta e gli ululati del vento erano assordanti. Accelerai più che potevo, ma non fu abbastanza. Alfa mi comparve davanti, affiorando dal banco di tenebre, e si gettò su di me. D'istinto mollai il pugnale. Rotolammo sull'erba fino a che il demone riuscì a sovrastarmi, le zampe piantate sulle mie braccia.
Ci fu un brevissimo istante in cui pensai che fosse finita, e mi sentii stranamente tranquillo. Ero già morto centinaia di volte, dopotutto.
«No! Fermo!»
Arya.
Per qualche assurda ragione, l'angioletto era a pochi metri di distanza. Procedeva a piccoli passi, leggermente ricurva, con la mano protesa in avanti come se stesse cercando di fare amicizia con un gattino. Malgrado l'espressione determinata, la sua paura riverberava dentro di me attraverso il nostro vincolo.
La creatura si bloccò. Rizzò il muso verso di lei e, non senza esitazione, scese dal mio corpo. I suoi occhi rossi erano incollati su Arya, al cui passaggio l'oscurità sembrava diradarsi leggermente. Adocchiai il punto in cui si trovava il pugnale e con cautela iniziai a strisciare sui gomiti.
Al mio movimento il demone fece per voltarsi, ma la voce di Arya richiamò la sua attenzione. «Jayson. È così che ti chiami, vero?»
La creatura non dava segni di aver compreso, eppure l'espressione sul suo muso deforme si era fatta meno feroce. Quasi umana. Forse aveva capito almeno il suo nome. Rimase immobile a fissarla, poi lentamente il suo sguardo si abbassò sulla sua pancia. Ringhiò.
Successe tutto in un battito di ciglia. Jayson si avventò su Arya nello stesso istante in cui le mie dita sfiorarono l'impugnatura. E nello stesso istante in cui giunse Alexander. Spinse via l'angioletto e le zanne della creatura si chiusero sul suo pugno sollevato, incastrandosi nel metallo della protesi. Le cinse il busto con il braccio libero per immobilizzarla e la capovolse verso di me, urlando: «Nicholas!»
Spiccai un balzo e, con un gesto secco, recisi la gola di Jayson.
Uno zampillo di sangue nero mi schizzò in faccia. Il mostro emise un gorgoglio e si contorse in un ultimo spasimo, prima di afflosciarsi come un palloncino bucato. La nebbia scomparve e le luci si riaccesero in lontananza dentro il castello.
Alexander lasciò andare la carcassa. Controllò la protesi ormai distrutta e arricciò il naso. Si rivolse ad Arya, accasciata al suolo. «Stai bene?»
Lei annuì e si rimise in piedi, pallida come un fantasma.
«Sto bene anch'io. Grazie per l'interessamento» sbuffai.
Lanciai un'occhiata a Jayson e inorridii. Le spoglie del mostro avevano ceduto il posto al cadavere di un ragazzo che non aveva mai vissuto. Era rannicchiato, con la pelle bianca tutta scorticata e uno squarcio da una parte all'altra del collo. La luna si rifletteva nei suoi occhi vitrei, ora dello stesso blu zaffiro dei miei, e aveva una peluria castana sul cranio.
Sembrava più giovane rispetto all'età che avrebbe dovuto avere, come se la trasformazione ne avesse rallentato la crescita. Dimostrava a stento quindici, sedici anni.
Per la prima volta nella mia vita, uccidere non mi diede nessuna soddisfazione. Perché lì disteso avrei potuto esserci io. A separare me e Jayson c'era la sottile linea di un esperimento fallito e un altro che aveva avuto successo. Che crudele ironia: Vivianne mi aveva creato per salvarlo, invece ero stato io a sopravvivere. Il figlio reietto. La cavia.
Alexander si chinò su Jayson e gli calò le palpebre. «Dopo la vita di merda che hai avuto, ti meriti di riposare in pace».
Quelle parole mi riscossero. «Seth» sussurrai, per poi sfrecciare verso il castello.
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Angolo Jedi
Capitolo più breve del solito perché odio così tanto come sia venuto che ho preferito dividerlo in due parti. È un periodo davvero brutto per me e la mia scrittura ne risente. Scusate.
Non voglio dare false speranze, ma il finale della storia non dovrebbe essere troppo lontano. Non faccio promesse, però. Sapete quanto sono lenta💀
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