𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 24 (Arya)
"𝔑𝔬𝔫 𝔠'𝔢̀ 𝔫𝔲𝔩𝔩𝔞 𝔡𝔦 𝔭𝔢𝔤𝔤𝔦𝔬
𝔡𝔢𝔩𝔩𝔢 𝔠𝔬𝔰𝔢 𝔟𝔢𝔩𝔩𝔢 𝔠𝔥𝔢 𝔞𝔯𝔯𝔦𝔳𝔞𝔫𝔬
𝔫𝔢𝔩 𝔪𝔬𝔪𝔢𝔫𝔱𝔬 𝔰𝔟𝔞𝔤𝔩𝔦𝔞𝔱𝔬"
🔴
꧁꧂
Avevo un dubbio.
Se, in via ipotetica, io e i miei amici fossimo rimasti per mezz'ora a fingere di giocare a biliardo solo per spiare i De'Ath seduti al loro tavolo e li avessimo osservati tutto il tempo da lontano, finché non erano usciti dal bistrot... potevamo essere considerati stalker?
Okay, forse sì, ma a nostra discolpa non capitava spesso di vedere una famiglia di dèi greci riunita in mezzo ai comuni mortali. E, con un concentrato di bellezza di quelle proporzioni, era davvero difficile non lasciarsi rapire dalla loro presenza. Senza considerare le voci che giravano sul loro conto.
«Va bene, se ne sono andati. Adesso asciugatevi la bava». Lo sguardo di Deena rimbalzò su ciascuno di noi. «Tutti e quattro».
Layla trasalì. Era arrossita e ogni tanto si accarezzava il giubbotto lilla bordato di pelliccia fucsia. «Io stavo solo guardando. Per curiosità».
Annuii. «Anch'io. Per curiosità, e perché sono dei gran fighi. Nient'altro».
«Mi hai tolto le parole di bocca» convenne Mac, abbassando la visiera del berretto.
«Io no. Stavo sbavando sulla loro bellissima sorella di cui mi sono innamorato e pensavo ai nomi da dare ai nostri futuri figli».
Mi voltai verso Ethan, le sopracciglia arcuate verso l'alto. «Ti rendi conto che ti ha solo salutato? Una volta, tra l'altro».
«Hai sentito come ha pronunciato il mio nome, però? Quello è amore vero, hermana. Lo avverto qui dentro». Si mise una mano sul cuore con fare solenne, poi fece spallucce e aggiunse: «E almeno sono stato sincero. A differenza vostra, bugiardi infami».
Mac rigirò la stecca tra le mani e si chinò, socchiudendo un occhio per prendere la mira. «Su questo hai ragione. Arya, ormai è ovvio che hai una cotta per Remiel. Non ha senso che lo neghi».
Le punte delle orecchie mi si scaldarono. Gonfiai il petto e feci una risatina ironica. «Divertente. Parla quello che ha passato la serata a dire quanto sono belli gli occhi di Isaac» sussurrai, nonostante il locale ormai fosse quasi deserto.
«Ho anche detto che mi farei volentieri adottare dal loro fratello maggiore. Non significa nulla». Mac riuscì a mandare una pallina in una buca laterale. Camminò attorno al tavolo e si apprestò a fare un altro tiro.
Ethan mi si accostò, parlandomi all'orecchio. «Quanto scommettiamo che presto verrà a pregarci di aiutarlo a scoprire se è etero o meno?»
«Gli do al massimo un mese» replicai convinta.
«Io neanche due settimane. Chi vince, potrà scegliere la prossima maratona di film».
Scontrai il pugno contro il suo. «Ci sto».
Mac si raddrizzò, ci scoccò un'occhiata e scosse il capo. «Non voglio saperlo».
«Secondo voi di cosa discutevano?» chiese Layla. Non riusciva a smettere di dardeggiare gli occhi scuri in direzione del tavolo prima occupato dai De'Ath.
Non capivo la ragione per cui non volesse ammettere di avere un debole per Gabriel. Avevamo anche provato a farle notare che era evidente che il suo interesse fosse ricambiato, ma lei aveva liquidato la faccenda con un timido "È solo simpatico. Fa così con tutti". Nessuno di noi era d'accordo, ma avevamo deciso di non insistere troppo.
Ethan fece spallucce. «Su come sbarazzarsi dei loro cadaveri in cantina?»
La battuta mi strappò un sorriso. Accanto a me Layla prese a torcersi le dita e ne rimasi interdetta per un istante, poi mi ricordai che i suoi genitori erano molto superstiziosi. Dall'arrivo dei De'Ath in città, le avevano riempito la testa sulle oscure leggende e le presunte maledizioni che gravitavano attorno al loro cognome e al loro castello. Certo, non ci credeva davvero, ma nemmeno le prendeva sottogamba.
«Seth ti guarda sempre come se gli avessi rubato l'ultima aletta di pollo» commentò Mac, fissandomi stupito. «Ma che gli hai fatto?»
«Non ne ho idea. È da quando l'ho incontrato alla fiera del fumetto che ho l'impressione che mi detesti». Mi strinsi nelle spalle e aggiunsi sprezzante: «Lo avrà contagiato quel simpaticone del suo amico».
Deena prese il posto del gemello al biliardo, armata di stecca. Sul serio, pareva volerla usare per prenderci a mazzate sul cranio. «Ti starà anche antipatico, Nicholas, ma non facevi che guardarlo».
Un brivido mi scivolò lungo la spina dorsale. Era un'esagerazione, a mio parere. Gran parte della mia attenzione era rivolta a Remiel, sebbene ci fosse quel frustrante e irrazionale istinto che mi spingeva a adocchiare Nicholas.
Sapevo che era soltanto attrazione fisica, che non potevo cancellarla con la semplice forza di volontà, ma odiavo non riuscire a ignorarlo. Odiavo che il mio cuore avesse sussultato, nel vedere il piccolo sorriso che aveva fatto a sua sorella; era quasi dolce, ben diverso dal ghigno insopportabile che esibiva con me.
Ethan si accorse che ero in difficoltà e venne in mio aiuto. «Entonces». Fece un passo avanti. «Dicevamo dei figli miei e di Sky. Pensavo che sarebbe perfetto se avessero il doppio cognome. Ramos De'Ath è molto musicale, a mio parere».
Mac gli sorrise. «Ti rendi conto che ha sette fratelli più grandi, vero?»
«Gabriel e Isaac sono inoffensivi. Remiel posso corromperlo, spacciandogli dei consigli su come sedurre Arya». Ethan si bloccò. «Quanto agli altri, sì, mi ammazzeranno. Ma morirò felice».
Socchiusi le palpebre, facendo una smorfia in seguito all'ennesima stilettata che mi trafisse le tempie. Non avevo mai sofferto di emicranie, eppure erano giorni che mi capitava di avere dei forti mal di testa. Quando riaprii gli occhi, Deena mi stava scrutando con un'espressione interrogativa.
«Vado un attimo in bagno» li avvisai. Non era una scusa, mi scappava davvero. Per la terza volta.
Anche Layla doveva averlo notato, infatti aggrottò la fronte. «Di nuovo? Sicura di stare bene?»
Le feci un cenno rassicurante e mi affrettai a raggiungere la toilette. Il Grumpy poteva essere anche un locale rustico, ma dovevo riconoscere che il personale era scrupoloso in quanto alla pulizia. Dopo essermi svuotata la vescica, mi lavai le mani nel lavandino e mi fermai un momento per riprendere fiato. Malgrado non fosse ancora scoccata la mezzanotte, mi sentivo esausta. Era strano per me, considerato che ero abituata a stare fuori casa anche fino a molto tardi.
Stavo invecchiando.
La suoneria del telefono interruppe il flusso dei miei pensieri. Lo afferrai e accettai la chiamata, senza neanche leggere il nome sul display. Le uniche due persone che potevano cercarmi a quell'ora erano mia madre o John. In casi estremi Rhys, come quando mi aveva ordinato di comprargli una vaschetta di gelato al pistacchio perché ne aveva voglia e il congelatore era vuoto.
«Ero sicuro che fossi sveglia, vagabonda» esordì John. Il suo tono era allegro, ma percepii una nota di stanchezza.
Sbuffai. «Mi godo la vita. Presto potrai farlo anche tu, tanto manca poco alla pensione, no?» Il punto debole di mio zio erano le battute sulla sua età, lo facevano diventare un bambino capriccioso.
«Che simpatica. Volevo dirti una cosa importante, ma quasi quasi mi hai fatto cambiare idea».
Un campanello d'allarme mi si azionò nel cervello. «Keegan?» Avevo la voce strozzata dall'emozione. Nemmeno io comprendevo il motivo per cui ero così interessata a quel ragazzo. Magari c'entrava il fatto che tutti erano convinti che avesse un legame misterioso con i De'Ath.
«Sei un tantino ossessionata, sai?» mi punzecchiò. Adesso il segnale era disturbato dalle interferenze.
Mi sentii divorare dalla curiosità. «Sputa il rospo. Si è svegliato?»
«Si è svegliato». All'improvviso John si era incupito. Fece una lunga e straziante pausa, quasi stesse scegliendo con cautela ogni parola. «Ma è scappato dall'ospedale. Non lo abbiamo ancora rintracciato».
«Scappato? In che senso?»
«Nel senso che ha aggredito i dottori e se n'è andato. A uno gli ha persino spaccato il polso».
Non trattenni una risata incredula. «Com'è possibile, scusa? Keegan è pelle e ossa. Il chihuahua del mio coach avrebbe più probabilità di stendermi di lui».
«Sarà stata l'adrenalina. Non è questo il punto» rispose John con fare grave. «Arya, quel ragazzo è pericoloso. E instabile. L'infermiera che lo assisteva era con lui quando ha ripreso i sensi. Ne è uscita indenne, ma ha raccontato che farneticava frasi sconnesse e non sembrava neanche consapevole di trovarsi in ospedale».
Scattai sulla difensiva. «È spaventato, non pericoloso».
«Lo dici dall'alto dei dieci minuti che avete passato insieme, mentre era in stato confusionale?»
Aprii la bocca per protestare, poi la richiusi subito dopo. Bandiera bianca. Su questo aveva ragione.
Avrei voluto fargli altre domande, ma John cambiò argomento in una maniera così repentina da farmi intuire che Keegan era stato solo un pretesto per contattarmi. «Dove sei, comunque?»
«A casa» mentii.
«Ringrazia che non ti si allunga il naso come a Pinocchio». Sospirò dall'altra parte della linea e lo udii bisbigliare "Charles al femminile". «Se tua madre tornasse dal lavoro e scoprisse che tu ed Ethan siete in giro con questo temporale, le verrebbe un infarto. Non dovreste farla preoccupare in questo modo».
«A nostra difesa, siamo usciti prima che esplodesse il finimondo». Una fitta alla testa mi provocò un lamento sommesso e mi appoggiai al lavandino. «Ma ora torniamo a casa, promesso. Anche perché sono a pezzi».
«Stai male? Devo venire a prenderti?» replicò John all'istante, e già lo immaginavo con le chiavi dell'auto in mano.
Sorrisi tra me e me. Spesso mi chiedevo se sapesse quanto ero felice che non avesse abbandonato la nostra famiglia, dopo la morte di papà. «No, tranquillo. Mi accompagnano i miei amici».
«D'accordo, piccola peste. Mandami un messaggio, però, appena sei arrivata».
Gli assicurai che l'avrei fatto, lo salutai e rimisi il telefono in tasca. Quando uscii dal bagno, mi imbattei in Deena, che aveva già un braccio proteso verso la maniglia.
«Dobbiamo andare» mi anticipò in tono sbrigativo. «I miei sono terrorizzati che a Mac possa venire l'influenza con questo tempo. Prima o poi si ricorderanno che anch'io mi ammalo, anche se da piccola non ho avuto nessun tumore».
Prima che potessi formulare una risposta adeguata, le luci tremolanti si spensero definitivamente e restammo al buio, una di fronte all'altra. Il blackout era tornato.
Nicholas mi depositò sul letto, lasciandosi scivolare insieme a me con un gesto aggraziato. Si mise a cavalcioni e piantò le ginocchia attorno ai miei fianchi, attento a non schiacciarmi sotto il suo peso. Mi contemplò per una manciata di secondi, che mi sembrarono protrarsi per un'eternità. Già mi mancava il suo tocco.
Alla fine gettò indietro il ciondolo della collana, si chinò e la sua bocca venne incontro alla mia, solo per un fugace contatto. Iniziò a scendere in una scia infuocata lungo la mia gola e proseguì nel solco tra i miei seni.
Mi stuzzicò un capezzolo e d'istinto inarcai la schiena, aggrappandomi alle sue spalle larghe. Continuò a leccarlo ancora per un po', prima di porre fine a quel supplizio e succhiarne il bocciolo turgido.
Gli conficcai le unghie nella carne, emettendo una serie di gemiti. Fece poi lo stesso con l'altro capezzolo, mentre le sue mani mi esploravano il corpo con estenuante lentezza. Aspettare era un'agonia, e il pensiero che avesse tutto il controllo non mi piaceva.
Gli infilai le dita nei capelli ancora umidi e lo spinsi verso il basso. Lui non oppose nessuna resistenza. Si rannicchiò docile tra le mie gambe e incrociò il mio sguardo, come in cerca di conferma. Nonostante i suoi modi non proprio gentili, avevo notato che non si azzardava mai a sfiorarmi senza accertarsi di avere il mio permesso.
Annuii e un sorrisetto gli si dipinse sul viso. Tenendomi ferma per il bacino, la sua lingua cominciò a fare magie dentro di me per la seconda volta. I suoi movimenti erano abili, lenti e profondi, e sapeva colpire i punti più sensibili a suo piacimento.
Sprofondai con la testa sul cuscino e gli strinsi più forte i capelli, tirandoli in modo da imporgli il mio ritmo. Man mano che accelerava, cresceva in me il bisogno di urlare, ma mi morsi il labbro per trattenermi.
Non potei impedire però di abbandonarmi a un gemito prolungato, quando mi portò sull'orlo del baratro. Nicholas si raddrizzò e le dita presero il posto della lingua per le battute finali, cosicché potesse ammirare compiaciuto il suo operato. «Che altro desideri, tesoro?» mi chiese poi, ancora inginocchiato tra le mie cosce.
Mi sollevai e gli impressi un bacio con foga, assaggiando il mio sapore sulle sue labbra. Senza staccarsi, lui mi rigettò all'indietro sul materasso. Si distese sopra di me e mi riempì completamente con un'unica decisa stoccata, che mi colse alla sprovvista. Un grido mi scaturì dalla gola, subito soffocato dall'unione delle nostre bocche.
Lo circondai con le braccia e ribaltai le nostre posizioni, facendolo uscire da me. Nicholas mi assecondò, per niente infastidito dall'idea di cedermi le redini della partita. Anzi, pareva divertito. Mi accomodai sul suo addome scolpito, bloccandogli entrambe le braccia con le ginocchia, e gli premetti il palmo aperto sul petto per tenerlo giù. Un lampo guizzò nei suoi brillanti occhi blu, che mi scrutavano eccitati.
La sua bellezza mi tolse il fiato per un attimo. La sua pelle era così bianca che le gocce di sudore, che la imperlavano, sembravano tanti piccoli diamanti. I capelli splendevano alla luce della lampada, simili a una corona dorata. Il suo fisico era perfetto, forte ma affusolato, con un'eleganza quasi felina.
Aveva l'aspetto di un angelo, ma il ghigno tentatore di un diavolo.
Mi spostai sul suo inguine e lo feci entrare di nuovo. Lo obbligai ad affondare con estrema calma, stimolandolo intanto con l'ausilio di una mano. L'altra era aperta sulla sua pancia e lo teneva inchiodato al letto, pur sapendo che avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi momento se avesse voluto.
Nicholas si lasciò sfuggire un grugnito e fremette per quella tortura, ma rimase immobile come gli avevo ordinato. Era impaziente, bramava di avere di più, eppure avevo la sensazione che adorasse stare al mio gioco.
«Te» mormorai, accogliendolo fino in fondo con una spinta. «Voglio te».
☠︎︎☠︎︎☠︎︎
Mi svegliai di soprassalto, con le lenzuola avvinghiate alle gambe e il rombo dei tuoni nell'aria. Mi misi a sedere, ansimante, e scostai i capelli corvini dalla faccia. La stanza era immersa nel buio, tranne per il debole chiarore lunare che filtrava dalle persiane. La sveglia a led segnava le tre e venti, quindi dedussi che l'elettricità fosse tornata.
Camminai a tentoni fino al bagno e schiacciai l'interruttore. Mi spruzzai un getto d'acqua fredda in faccia e rilasciai un lungo sospiro, afferrando i bordi del lavandino con entrambe le mani fino a sbiancare le nocche. Cercai di regolarizzare il respiro, man mano che il cuore iniziava a rallentare.
Non riuscivo a smettere di fare quei dannati sogni su Nicholas. Sapevo che erano stralci di ricordi della nostra notte insieme, ma ormai era trascorso più di un mese e non aveva significato nulla per nessuno dei due.
Era stato solo un errore dettato dall'alcol, tutto qui. Perché non potevo solo andare avanti?
"Perché ti è piaciuto e vorresti rifarlo" rispose una vocina nella mia mente.
La ignorai. Ripensai alla promessa fatta a Deena e sibilai tra me, come fosse un mantra: «Basta con i cattivi ragazzi, Arya. I cattivi ragazzi non sono cosa sana». Feci una pausa di riflessione. «Sogna Remiel, al massimo».
Siccome avevo la gola secca, e il pensiero di tornare sotto le coperte non mi allettava, decisi di andare a bere. Uscita in corridoio, passai davanti alla camera di Rhys e sbirciai dentro per controllare che il temporale non lo avesse spaventato. Quando lo vidi accoccolato a Balto, con il viso immerso nella sua folta pelliccia, mi rilassai. Il cane sollevò la testa, mi guardò e poi tornò a dormire.
Accostai la porta e scesi in soggiorno. Presi un bicchiere e mi avvicinai al frigo, sperando che fosse rimasta della spremuta. Prima che potessi aprirlo, tuttavia, il mio sguardo si posò sulla finestra affacciata sul giardino. Una sagoma era accovacciata al riparo sotto la tettoia del capanno, dove mio padre faceva i suoi lavoretti d'artigianato.
Strizzai gli occhi, protendendomi verso il vetro rigato dall'acqua. Misi a fuoco una figura minuta, appallottolata su sé stessa, con una carnagione così pallida da risaltare nelle tenebre circostanti.
Appena un lampo sfolgorò nel cielo, lo riconobbi.
Mi si strinse il cuore. Afferrai al volo il giubbotto, infilai gli stivali e mi precipitai fuori . La pioggia mi si rovesciò addosso e la notte mi ghermì le ossa con le sue dita gelide.
Lui nemmeno si accorse del mio arrivo. Se ne stava tutto tremante con la fronte premuta sulle ginocchia piegate, intento a sfregarsi le mani sulle braccia esili nel disperato tentativo di scaldarsi. Indossava solo il camice dell'ospedale, troppo leggero e strappato in alcuni punti. I piedi nudi erano infangati.
Mi fermai a qualche metro di distanza, per non intimorirlo. «Keegan» lo chiamai. Dovetti ripeterlo una seconda volta, più forte.
Il ragazzo trasalì e si alzò di scatto. Mi rivolse un'espressione carica di diffidenza, i muscoli tesi come se fosse pronto a correre via da un momento all'altro. Era talmente magro che, anche attraverso il tessuto del camice, erano ben visibili le costole sporgenti.
«No, non avere paura. Sono io. Ci conosciamo». Scostai il cappuccio con un movimento cauto. Le dita mi erano già intorpidite per il gelo. «Ti ricordi di me?»
Keegan mi fissò in volto per un attimo. «Arya» mormorò, e a malapena lo udii sotto lo scroscio del temporale. Il mio nome sulle sue labbra screpolate aveva un suono diverso.
Mi sforzai di sorridergli. «Esatto».
Il fragore di un tuono particolarmente violento lo fece sussultare. Arretrò fino ad appiattire la schiena contro il muro del capanno e ci si lasciò scivolare contro, girando la testa in tutte le direzioni come alla ricerca della fonte di quel rumore.
«Posso avvicinarmi?» gli chiesi, avanzando di un passo.
Keegan riportò l'attenzione su di me. Esitò, incerto. «Tu sei buona?»
Quella domanda, posta in un tono così ingenuo e infantile, mi spiazzò. «Ehm, sì. Credo».
Lui fece un cenno d'assenso, ma non sembrava del tutto convinto. I suoi occhi nerissimi mi seguirono guardinghi, mentre facevo il giro largo e prendevo posto sotto la tettoia. Mi sedetti sul gradino davanti alla porta sprangata, abbastanza lontana da non farlo sentire in pericolo, ma non troppo da non potergli parlare.
Mi strinsi nel giubbotto, infreddolita. «Perché sei scappato dall'ospedale? So che hai ferito delle persone...»
«Non volevo fare male a nessuno». Keegan chinò il capo quasi rasato, strappando un ciuffetto d'erba. Il suo corpo era scosso dai brividi, così fragile che temetti che il vento potesse spezzarlo. «C'era tanta confusione. Tante voci. E mi toccavano. È brutto quando mi toccano. Volevo solo andarmene, mi dispiace».
Increspai le sopracciglia, stranita dal suo modo di esprimersi. Somigliava quasi a un bambino. Beh, un bambino terrorizzato. «Come mi hai trovata?»
«Non lo so». Il suo sguardo si incatenò al mio e i peli mi si rizzarono sulla nuca nello sprofondare nell'oscurità delle sue iridi. «Ho seguito l'istinto e... mi ha portato da te».
Se un ragazzo normale mi avesse rifilato una scusa del genere, senza dubbio lo avrei denunciato. Ma c'era qualcosa in Keegan che mi induceva a fidarmi. Malgrado fossi consapevole che era un pensiero ridicolo, la purezza di cui era intrisa la sua voce non sembrava adatta a mentire.
Notai che si stava tenendo la pancia con una mano. «Hai fame? Posso darti del cibo, se vuoi».
«Cibo?» ripeté confuso.
«Sì, da mangiare. Per questo» e mi indicai lo stomaco. Mi alzai, facendolo rizzare di colpo impaurito. «Però devi venire dentro con me».
Keegan scoccò un'occhiata a casa mia, un guizzo sospettoso che gli balenava sul volto. «Lì?»
«Non sei costretto». Mi incamminai con studiata lentezza verso l'ingresso sul retro, guardandomi ogni tanto alle spalle. Non si era mosso. «Ma sappi che, oltre al cibo, c'è anche il riscaldamento» gridai.
Un fulmine si abbatté a poca distanza e fece vibrare il terreno. Keegan si tappò le orecchie, balzando in piedi atterrito. Varcata la soglia, rimasi ad aspettare accanto alla porta spalancata.
Lui mi guardò per un attimo, titubante. Poi prese ad avvicinarsi a piccoli passi, senza mai smettere di ispezionare i dintorni con circospezione. Mi scansai per farlo entrare e chiusi finalmente la porta, tagliando fuori il frastuono della pioggia.
Quando mi voltai, Keegan stava esplorando il soggiorno. Osservò a bocca aperta l'orologio appeso al muro e riprodusse a mezz'aria con l'indice il movimento ritmico della lancetta dei secondi. Allo scoccare del minuto, fu meravigliato di scoprire che anche l'altra si spostava.
Venne poi rapito dalla radio, posizionata su un ripiano accanto, e prese a pigiare i tasti a caso. Prima che potessi impedirglielo, premette quello d'avvio. Nel momento stesso in cui la voce di Britney Spears riempì la stanza, Keegan spiccò un salto che lo mandò a sbattere allo spigolo del tavolino e continuò a indietreggiare, in preda al panico.
Sarebbe stata una scena comica, se soltanto non avesse avuto l'aria di un animale in trappola, forse perché aveva realizzato che la sua via di fuga era stata sbarrata.
Mi affrettai a soccorrerlo e schiacciai il pulsante, spegnendo la musica. Per fortuna, il volume era basso ed Ethan -che dormiva nella sua cameretta nel sottoscala- aveva un sonno così profondo che neanche l'Apocalisse l'avrebbe svegliato.
Keegan mi fissò con gli occhi sgranati e le guance paonazze. Tremava ancora e delle gocce gli colavano dal sottile strato di capelli corvini. Il camice, logoro e fradicio, gli fasciava il busto come una seconda pelle piena di grinze. «Scusa» sibilò in tono colpevole.
La sua tenerezza mi fece sorridere. «Tranquillo, non è successo niente. Sei al sicuro qui».
«Sei gentile» commentò perplesso. Increspò le sopracciglia. «Perché?»
«Perché non dovrei esserlo?»
Keegan tacque. Solo per un istante, ebbi la sensazione di essere riuscita a scalfire le sue difese, ma poi uno scalpiccio di passi provenne dal piano superiore e tornò a essere un compatto fascio di nervi. Un'ombra scura si fiondò giù per le scale e si fermò dietro al divano, squadrandolo con il pelo ritto sulla schiena.
Al mio fianco, Keegan si pietrificò. Era diventato cereo. «C-cos'è?»
«È il mio cane». Mi avvicinai a Balto e gli diedi una grattata dietro le orecchie, che teneva dritte come antenne. «Non ti preoccupare. È innocuo».
Quasi volesse contraddirmi, il diretto interessato emise un debole ringhio. Ne rimasi sbigottita; di solito era amichevole con tutti, persino con gli estranei. Era una caratteristica tipica degli husky, quindi non gliene facevamo una colpa, ma era innegabile che fosse terribile a fare la guardia.
Keegan deglutì. «Non dà questa impressione».
Mi inginocchiai per accarezzare Balto, tenendolo stretto per il collare. «Seduto» gli ordinai, e con riluttanza obbedì. Mi rivolsi a Keegan. «Vedi? Non ti fa nulla».
Lui si avvicinò timidamente, tentennò e infine gli porse una mano tremante. Quando Balto iniziò ad annusarla, si ritrasse un poco. Il cane però protese il muso, gli leccò la punta delle dita e mugolò un verso di approvazione.
Rilasciai il respiro, tranquillizzata. Dopo essermi accertata che avessero fatto amicizia, mollai il collare e mi raddrizzai. «Vuoi farti una doccia, mentre ti preparo qualcosa?»
Keegan si accigliò, dando delle pacche impacciate a Balto. «Doccia?»
«Sì, insomma, per lavarti».
Si limitò a scrutarmi, neanche avessi parlato in celtico.
Tolsi gli stivali, mi rimisi le ciabatte e appesi il giubbotto zuppo all'attaccapanni. Dopodiché, gli feci un cenno d'incoraggiamento e lo guidai fino al bagno adiacente al salotto. Quando accesi la luce, Keegan si perse ad ammirare il lampadario.
«Ecco, questa è la doccia». La indicai, sentendomi parecchio stupida a spiegare una cosa tanto scontata per chiunque. «Sai come funziona, no?»
Scosse la testa. Aveva uno sguardo affascinato che mi ricordava molto Rhys da piccolo, il suo genuino stupore ogni volta che imparava il funzionamento di un nuovo giocattolo o l'utilità di un oggetto mai visto prima. Stonava in maniera quasi buffa sul volto di un adolescente.
«Oh, ehm, okay». Feci scorrere l'anta e picchiettai un dito sulla manopola. «Girala a destra per l'acqua calda. A sinistra per quella fredda». Poi agitai il tubetto sulla mensola. «E questo è lo shampoo. Mettitelo sul corpo». Infine, indicai gli accappatoi. «Prendine pure uno, ma non quello verde. Altrimenti Eryn ammazza sia te che me. È tutto. Facile, no?»
Keegan, che era ancora concentrato sull'anta scorrevole, non si accorse subito che gli avevo rivolto una domanda. Annuì più volte. «Facile».
Mi allagherà il bagno.
Appena feci per chiudere la porta, il ragazzo la bloccò con uno scatto della mano. Le sue labbra si mossero e, anche se non articolarono nessun suono, bastò la sua espressione implorante a farmi capire.
La lasciai socchiusa e mi indirizzai verso il bancone. Avevo fatto pochi passi, quando udii il soffione che si attivava. Seguito da un lamento tipo "ahi".
«Calda è a destra» gli rammentai.
Me ne andai ridacchiando. Balto mi aspettava spaparanzato sul divano, gli occhi fissi in direzione del bagno. Gli diedi un buffetto affettuoso, poi aggirai il bancone e tirai la maniglia del frigo. Rovistai un po' al suo interno per scovare qualcosa di commestibile, finché trovai lo scatolone con gli avanzi della pizza e li ficcai nel microonde per scaldarli.
Durante l'attesa, le parole di John si ripresentarono nella mia mente. La cosa giusta da fare era chiamarlo e avvertirlo che Keegan era a casa mia. Era senza dubbio la scelta più intelligente.
Ma quella era anche la mia occasione per parlargli da sola, per cercare di scoprire il suo legame con i De'Ath. E, sebbene mi fidassi di mio zio, non si era dimostrato una grande sorgente di verità sull'argomento.
Dopo una decina di minuti, la pizza era già sul piatto, ma di Keegan nessuna traccia. Non sentivo più il rumore della doccia, perciò doveva aver finito. Mi avvicinai alla porta del bagno e bussai, giusto per non rischiare di coglierlo nudo. «Posso?»
Ottenni un distratto verso d'assenso. Mi sporsi dentro con cautela e rimasi di sasso. Keegan si stava guardando allo specchio con la fronte aggrottata, tastandosi il volto come se appartenesse a qualcun altro.
A colpirmi, però, erano stati i segni in rilievo che gli solcavano la pelle, lasciati esposti dall'accappatoio color panna aperto sul petto e stretto attorno ai fianchi da un nodo malfatto. Erano lunghi e sottili, alcuni così dritti che sembravano essere stati incisi con una precisione chirurgica.
Mi schiarii la gola per segnalargli la mia presenza.
Keegan percorse con l'indice la linea della cicatrice ricurva sul suo viso. Dalla tempia attraversò la guancia e scese fino all'angolo della bocca. «Questo sono io?» chiese, accennando al suo riflesso.
«Sì, sei tu».
Lui si passò una mano sui capelli cortissimi e storse il naso, quasi non gli piacesse ciò che vedeva. Non ero granché d'accordo; adesso che era ripulito dalla terra e dal fango, profumato di shampoo alla vaniglia e senza quegli stracci sporchi addosso, era diventato decisamente carino. Okay, anche qualcosa in più che carino.
Annusò l'aria e il suo stomaco brontolò. «C'è un buon odore».
Gli sorrisi. Feci fatica a non pensare che la somiglianza con i fratelli De'Ath era sempre meno vaga. «È la pizza. Ti piace?»
«Non so neanche cosa sia».
«Vieni a scoprirlo». Gli consegnai un paio di pantofole e lo accompagnai di nuovo in soggiorno.
Nonostante il mio invito ad accomodarsi, Keegan ciondolò un po' sulle gambe prima di accettare di sedersi. Sembrava a disagio e non mi perdeva di vista nemmeno per un istante.
Sollevò un trancio di pizza e sbirciò Balto, che aveva sfoderato il suo solito sguardo da disperato. «Ha fame?»
«No, ignoralo. È solo ingordo». Mi lasciai scivolare sulla sedia, trascinandola indietro per non stargli troppo vicina. «Ti va di chiacchierare un po', nel frattempo?»
«Posso continuare a mangiare?»
«Certo».
«Allora sì».
Scoppiai a ridere, ma mi ricomposi subito. «La notte che ci siamo incontrati. Che cosa ci facevi nel bosco? Stavi scappando?»
«Non lo so». Keegan strappò un pezzo di pizza. Sussultò e per poco non lo sputò dalla bocca, farfugliando: «Calda, calda».
«Soffiaci sopra prima» gli suggerii, con le labbra piegate all'insù. «Comunque, puoi dirmi che cosa ricordi di quella notte?»
«Te». La naturalezza della sua risposta mi provocò un calore sulle guance, ma lui era troppo impegnato a litigare con i fili della mozzarella per notarlo. «E quel coso enorme con cui mi hai colpito».
Incrociai le braccia al petto, indignata. «Si chiama macchina e non ti ho colpito». Feci una pausa e aggiunsi: «Solo di striscio».
Keegan mi lanciò un'occhiata. Mi parve di scorgere un lampo divertito nelle sue iridi scure come pece, ma era probabile che lo avessi soltanto immaginato. «Tu sai chi sono?» sibilò avvilito.
Scossi il capo. «No, mi dispiace. Non ricordi niente della tua vita? Che ne so. La tua casa, la tua famiglia... I tuoi genitori, magari».
«Ci sono delle immagini, nella mia testa. Ma sono molto confuse». Keegan esitò, ingoiando il boccone. «Non credo che siano cose belle».
«Quella notte, mi hai detto che c'era un posto in cui non volevi che ti riportassi. A cosa ti riferivi? Qualcuno ti ha fatto del male?»
Una smorfia di sofferenza gli affiorò sulla faccia e si avvolse meglio nell'accappatoio, come per proteggersi. «Possiamo non parlarne?» supplicò con un tremito nella voce.
«Giusto. Hai ragione. Scusa». Provai a combattere con me stessa, ma alla fine trionfò il bisogno di sapere. «Solo un'ultima domanda. Il nome "De'Ath" ti è famigliare?»
Keegan ci rifletté per un lungo momento, corrucciato. Masticò lentamente, inghiottì e infine sussurrò: «No».
Per la prima volta, non ero sicura che fosse sincero.
«Arya» mi richiamò. «Posso fartela io una domanda?»
«Spara».
Mi guardò sconcertato per quella parola, ma non approfondì. «Dove sono?»
«A casa mia» replicai di getto.
«Sì, fin lì mi era chiaro».
Solo allora compresi. «Ah, sei a Notturn Hall». Era ovvio che non significasse niente per lui. «Illinois» precisai. La sua espressione si fece ancora più smarrita. «Stati Uniti d'America?» Il vuoto assoluto. «Perdonami, ma esattamente cosa sai? Di cultura generale, intendo».
Keegan prese un altro trancio e ci soffiò sopra. «Mai fare la doccia fredda e la pizza è buona». Dardeggiò gli occhi su Balto, che gli aveva posato il muso sulle ginocchia per impietosirlo. «E questo è un cane».
La mia bocca formò un'ovale perfetto. Quanto traumatica doveva essere la sua amnesia per poter cancellare anche le conoscenze più basilari in quel modo? Era assurdo. Anzi, era impossibile. O no?
«Che diavolo stai combinando?» sbottò una voce.
Keegan sobbalzò, facendo cadere il cornicione sul piatto. Mi girai di scatto, mentre Balto correva scodinzolante a salutare Eryn.
Era immobile alla base delle scale, con una mazza da baseball in una mano e il telefono nell'altra. I ricci ramati erano arruffati e indossava il suo pigiama su cui era stampata la faccia imbronciata di Mercoledì Addams con la scritta "This is my happy face".
Nonostante l'orario, il suo sguardo era attento e vigile. Appena il ragazzo fece per alzarsi, gli puntò contro la mazza. «Muovi un solo muscolo e ti apro il cranio come un uovo».
Lui si fece piccolo piccolo, anche se dubitavo che sapesse cosa fosse un uovo.
«Eryn, stai calma». Mi tirai in piedi. «È Keegan, il ragazzo dell'incidente. L'ho trovato di fuori sotto il temporale e...»
«Fammi capire». Mia sorella mi fissò. Era talmente furiosa che quasi mi aspettavo le uscisse del fumo dalle narici. «Sto qua sbuca dal bosco in stile Cappuccetto Rosso, si fa un pisolino ristoratore, ricompare misteriosamente davanti a casa nostra... e tu lo inviti a entrare nel cuore della notte?»
«Okay, messa così può sembrare un po' da idioti» ammisi.
«Perché è da idioti! Potrebbe essere uno psicopatico!»
Agitai le braccia. «Puoi abbassare la voce? Sveglierai la mamma».
«Me ne posso andare?» squittì Keegan, guardando terrorizzato la mazza.
Eryn sbuffò frustrata, digitò qualcosa sul telefono e se lo portò all'orecchio, l'arma ancora ben salda nel pugno. «Non ci provare. Ti conviene startene buono fino all'arrivo della polizia, oppure giuro che ti faccio perdere la memoria un'altra volta».
«Non so cosa stiate facendo, chicas» intervenne Ethan assonnato, spuntando dal sottoscala. Si stiracchiò con uno sbadiglio. «Ma è rimasta della pizza per me?»
꧁꧂
Angolo Jedi
Nel caso non si fosse capito, faccio davvero schifo con le scene esplicite. Spero che questa "prova" non vi abbia dato fastidio... anche perché, lo ammetto, mi piacerebbe inserirne minimo un'altra. Se non mi viene voglia di seppellirmi prima, eh.
P.s. Grazie per leggere FoS.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top