𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 23 (Remiel)

"𝔗𝔦 𝔭𝔲𝔬̀ 𝔪𝔞𝔫𝔠𝔞𝔯𝔢 𝔠𝔦𝔬̀
𝔠𝔥𝔢 𝔫𝔬𝔫 𝔥𝔞𝔦 𝔪𝔞𝔦 𝔞𝔳𝔲𝔱𝔬?"

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«Ragazzuoli, ho avuto un'idea!» Gabriel agitò a mezz'aria il suo cake pop, una pallina di cioccolato cosparsa di stelline colorate e infilata sulla sommità di un bastoncino. Ci guardò con aria speranzosa, ma non ottenne risposta. Senza perdersi d'animo, proseguì: «E ora uno di voi dice "Quale idea, fratello mio adorato?". Grazie di averlo chiesto, allora...»

Nicholas gli scoccò un'occhiataccia. «Perché non c'è un tasto per spegnerti?»

«Perché non sono un robot. Uuh, vi immaginate che figata se fossi un robot?»

«Beh, il nostro dottor Dolittle è sulla buona strada per diventarlo. Ha già una mano botonica» commentò Joel, dando una gomitata nelle costole ad Alexander.

Quest'ultimo sbuffò. «Bionica, deficiente».

Scossi il capo, lasciando vagare lo sguardo per il grazioso bistrot in cui ci eravamo rifugiati per un'improvvisata riunione di famiglia. Fuori infuriava ancora il temporale, sentivo il brontolio dei tuoni che faceva da sottofondo al frastuono della pioggia che si schiantava sui tetti e sull'asfalto. Speravo che le mie piante fossero abbastanza protette, nelle serre.

L'elettricità era tornata, ma spesso i lampadari sfarfallavano o si spegnevano per alcuni minuti. Il Grumpy non era molto affollato, sia perché erano le undici di notte sia per il maltempo, quindi non dovevamo preoccuparci troppo di attenzioni indesiderate. Tornare al castello sarebbe stato più prudente, considerato che stavamo pianificando un rapimento, ma anche uno spreco di tempo.

Sky smise di osservare i fulmini che ogni tanto squarciavano il cielo, oltre la finestra sulla quale si rincorrevano le gocce d'acqua. «Ipotizziamo che Keegan sia davvero un De'Ath, il che non è impossibile. I nostri zii hanno più figli sparsi per il mondo che rotelle nel cervello». Si chinò in avanti, parlando in un bisbiglio. «Di sicuro però non può essere come noi, no? Altrimenti lo avremmo percepito, in ospedale».

Gabriel scattò subito, ritto e fiero come un pavone. «Ecco, tornando alla mia idea...»

«Non ce ne frega». Joel gli tappò la bocca con la mano, ma la ritrasse subito con una smorfia disgustata. «Mi hai leccato. Che schifo».

«È una manifestazione d'affetto fraterno. Vieni che ti do anche un bacino».

«Provaci e ti ammazzo». Respingendo le braccia allargate di Gabe che volevano stringerlo, Joel mi strofinò il palmo sbavato sulla manica. Noncurante della mia occhiataccia, tornò a rivolgersi a noi. «Sentite, per me stiamo esagerando. Non ci sono prove che sto Sandokan sbucato dai boschi abbia qualcosa a che fare con noi. Mica basta avere un fascino un tantino sopra la media per essere un De'Ath».

«Un tantino?» ripeté Sky scettica. «È oggettivamente sexy».

«Non dimentichiamoci che si è svegliato da un paio d'ore e ha già pestato della gente. I presupposti per essere un De'Ath li ha». Seth si spinse ancora di più addosso a Nicholas, tentando di farsi spazio sulla panca. Gli diede un pugnetto amichevole. «Ehi, amico, non è che potresti spostarti un po'? Mi si sta addormentando la chiappa».

Lui lo guardò torvo. «E come dovrei fare? Siamo più insacchettati del cotechino a Natale. Ti do un consiglio brillante: prenditi una sedia».

«No, voglio stare qui».

«Oppure potresti metterti sulle sue gambe, anche se credo che sarebbe scomodo. Il soldato là sotto, sai» li canzonò Joel.

Nik gli sferrò un calcio da sotto il tavolo, facendolo gemere. «Chiudi il becco o ti scanno». Poi però adocchiò Seth e, con una scrollata di spalle, lo udii mormorargli: «Ma se vuoi, fai pure».

«Il marchio». La voce di Isaac era poco più di un sussurro. Si grattava l'avambraccio attraverso la lana del maglione e continuava a deglutire, quasi avesse la gola secca. «Dovremmo controllare se ha il marchio».

«Oh, grazie! Era questa la mia idea!» esclamò Gabriel entusiasta, con lo stecco del cake pop che gli sporgeva da un angolo della bocca. «Cioè, non proprio. Io avevo pensato di porgli una serie di domande per testare la sua sanità mentale, ma anche questo può funzionare».

Seth si incupì di colpo. «Il marchio sarebbe il vostro tatuaggio sulla schiena, giusto? Quello che dice che siete di proprietà della setta di scienziati pazzi».

«Come fai a saperlo?» Sky tratteneva a fatica un sorrisetto. «Compare soltanto con il calore. Tu e Nik lo avete fatto sotto la doccia bollente?»

Joel sfoderò un ghigno. «Ne avete fatte di cose sozze, voi due, eh».

«I miei istinti omicidi stanno raggiungendo dei picchi storici» sibilò Nicholas.

«Concentratevi, per favore». Il rumore di uno schiocco di dita ci fece voltare tutti verso Callum, che ci osservava con un'espressione corrucciata. «La nostra priorità adesso è trovare Keegan. Anche se non sappiamo chi o cos'è, non possiamo permettere che la polizia lo prenda prima di noi. È già abbastanza rischioso che sia stato in ospedale».

Appoggiata contro la spalla di Alexander, Sky si portò una ciocca bionda dietro l'orecchio. «Potrebbe essere ovunque. Come lo troviamo?»

Mi sporsi con i gomiti puntellati sul bordo del tavolo. «Se è appena uscito dal laboratorio, sarà come noi sei anni fa. Quindi è da solo, in un mondo che non conosce e nel bel mezzo di un temporale. Che fareste al suo posto?»

Gabriel rifletté un attimo. «Mmh, un ballo nudo sotto il diluvio?»

«Una scopata» asserì Joel convinto. «Ha vent'anni e non è mai stato con un essere femminile in vita sua. In pratica è Callum 2.0».

Sky roteò gli occhi azzurri al soffitto, giocherellando con l'anello che portava all'indice. Notai Nicholas che la sbirciava mentre ripeteva quel gesto meccanico, frutto di una vecchia abitudine, e l'ombra di un sorriso gli spuntò sul volto. Era un suo regalo, lo sapevo. Fin da piccoli erano sempre stati legatissimi e, sebbene fossero bravi a nasconderlo, ero certo che entrambi stessero soffrendo per la freddezza del loro rapporto nelle ultime settimane.

A lei sarebbero bastate delle banali scuse per perdonarlo al volo, non avevo dubbi. Peccato che Nik fosse un idiota narcisista incapace di ammettere i propri errori. Anzi, era probabile che ancora non avesse neppure compreso cosa ci fosse di sbagliato nel torturare il ragazzo della propria sorella e minacciarlo di morte, cosicché la mollasse.

«È ovvio che starà cercando un riparo» si intromise Alexander, che teneva le iridi di ghiaccio fisse in un punto dall'altra parte del locale. «Al chiuso e isolato, il più vicino possibile all'ospedale».

Callum concordò con un cenno. «Ho chiesto alla Bailey di tenermi aggiornato sulle ricerche della polizia. Ha delle talpe nel dipartimento...»

Gabriel lanciò un gridolino stridulo, facendo girare alcuni dei presenti. «Belline le talpe! Ce ne può dare una?»

Callum ignorò la sua interruzione. «Qualsiasi novità la verremo a sapere. Non ci vorrà molto. Dobbiamo solo portare un po' di pazienza».

«Fantastico. Adesso ci affidiamo a quegli idioti degli umani» brontolò Nicholas. Seth aspirò rumorosamente dalla cannuccia del suo milk-shake, ma lui sventolò una mano come per scacciare una mosca. «Ti ho sempre detto che sei un idiota. Preferisci stare a lamentarti per il dolore al culo, invece di andare a prenderti una sedia. Dimmi tu se non è da idioti».

«MARY, MA QUANTO SEI CARINA CON QUEL GIUBBOTTO! CHE MARCA È?» strepitò Gabriel a squarciagola, sventolando il sombrero a mo' di saluto.

Joel si sollevò dalla panca, con il busto ruotato di novanta gradi. «Ehilà, bellezze. Posso unirmi a voi?» urlò con un sorriso sornione. Poi aggiunse più piano: «C'è anche la tua principessina, Remi».

Mi sentii arrossire, ma non potei che seguire la traiettoria del suo sguardo con uno scatto così repentino da farmi scricchiolare il collo. Arya e i suoi amici erano raccolti attorno al tavolo da biliardo e fissavano nella nostra direzione. Lei stringeva la stecca con forza, quasi era un miracolo che non l'avesse ancora spezzata in due. Layla era paonazza per l'imbarazzo, al contrario di Deena che pareva soltanto seccata. I ragazzi invece confabulavano tra di loro.

Pensandoci bene, in effetti mi aveva avvisato che venivano spesso in questo bistrot.

«Quando vuoi, splendore» strillò Ethan in risposta, mostrando un pollice all'insù.

Sky ridacchiò. «Ha abboccato il pesce sbagliato, mi sa».

«Per forza, sono irresistibile». Joel spintonò Gabriel giù dalla panca. «Levati, Cenerentola. Devo andare a rimorchiare una delle tre».

«Delle due. Mary ha gusti più sofisticati».

Lo stomaco mi si contrasse. Prima ancora che ne fossi consapevole, lo avevo acciuffato per la camicia e obbligato a rimettersi seduto. «Abbiamo una missione. Non mi sembra il caso di farci distrarre».

«Perché no? Finché la pollastra di papà orso non ci dà qualche informazione, non possiamo fare nulla».

Callum inarcò un sopracciglio. «La mia che?»

«Per una volta, Joel non ha detto una cosa stupida. Mi sto annoiando e quelle dame hanno bisogno di compagnia». Nicholas scoccò un'occhiata a Seth. «Devo alzarmi».

«Affari tuoi» replicò lui risentito, bevendo il suo milk-shake al caramello salato.

Il suono di una notifica riportò il silenzio e gli occhi si puntarono su Callum, che stava estraendo il telefono. Ne approfittai per voltarmi di nuovo verso Arya. Per un attimo instaurammo un contatto visivo e lessi la gratitudine sul suo viso; probabilmente pensava che avessi voluto salvarla dall'ennesima situazione che rischiava di far trapelare il suo segreto su quanto accaduto con Nicholas.

In realtà, la mia intenzione era solo di evitare che Joel ci provasse con lei. Non c'era una ragione in particolare, a parte forse il fatto che era un cretino di prima categoria nei rapporti con l'altro sesso e Arya meritava di meglio. Di sicuro, qualcosa di più di un De'Ath.

«Mi ha scritto la Bailey...»

«Ti ha mandato qualche cuoricino?» ammiccò Joel.

Callum finse di non averlo sentito. «Nessuna pista concreta, ma è stato avvistato un ragazzo molto disorientato che si aggirava nei paraggi della scuola. È andata una pattuglia a controllare, ma non lo hanno trovato. Il cancello era chiuso ed era tutto tranquillo».

«Ha senso. La scuola non è troppo distante dall'ospedale» commentai, corrugando la fronte. «E, se è stato trasformato, scavalcare un cancello per lui è piuttosto semplice».

Alexander assunse un'espressione diffidente. «Qualcosa non va. Siamo sicuri che la fonte sia affidabile?»

«A me basta». Nicholas si sfregò le mani. Il broncio che aveva sfoggiato finora stava svanendo, rimpiazzato da un'espressione quasi eccitata. Accennò a Seth col mento. «Ma prima, uno di noi deve riaccompagnarlo da nostra sorella».

Il diretto interessato balzò in piedi, colto alla sprovvista. «No, voglio venire anch'io! Non puoi decidere per me!» protestò indignato.

Nicholas fece spallucce. «Buffo, l'ho appena fatto. Tu non vieni».

«Sono d'accordo. Ci saresti d'intralcio». Callum consegnò le chiavi dell'auto a Isaac. «Noi prendiamo l'altra macchina. Tu porta Septimus al castello».

Nostro fratello annuì, visibilmente sollevato di poter tornare a casa.

«Mi chiamo Seth, porca miseria! Vuoi ficcartelo in quella zucca vuota?»

Callum fece finta di non sentirlo. «Gabriel, vai anche tu con loro».

«Nuu, perché devo stare in panchina?» piagnucolò lui, con il labbro inferiore sporgente.

«Perché ho abbastanza mine vaganti in squadra».

A quella frecciatina, Nicholas e Joel si scambiarono uno sguardo d'intesa, ma non proferirono parola.

«E poi non hai esattamente i vestiti ideali per un eventuale scontro, se fosse necessario» feci notare, indicando il suo abito cremisi.

Gabe si studiò le unghie smaltate in varie tonalità di verde. «Combatto alla grande con i tacchi».

«Muoviamoci». Callum gettò delle banconote sul tavolo, pagando il conto anche per Seth, che ne rimase di stucco. Poi si raddrizzò il bavero della giacca. «A meno che non abbiate altri dubbi...»

Joel sorrise. «Io sì. La tipa con cui ti senti è un bel bocconcino?»

«Irrilevante. Qualcosa di più pertinente?»

«Ti ha spappolato lei la mano?» chiese Gabriel, puntando un dito verso la fasciatura striata di sangue.

Nicholas si alzò. «La mia pazienza è finita. Andiamo a prendere il bimbo sperduto».

Quando parcheggiammo di fronte al cortile della scuola, la corrente era saltata di nuovo. I lampioni si stagliavano nel buio pesto della notte come guardiani silenti, ma grazie alla nostra impeccabile visione notturna non era un problema per noi. Pioveva a dirotto, talmente forte che avevo la sensazione che delle uova mi si stessero schiantando sulla testa.

«I miei capelli, maledizione» borbottò Sky. Indossava un dolcevita in cashmere con fiori ricamati e paillettes, quindi non aveva un cappuccio per proteggersi.

Callum sospirò e si avvicinò alla recinzione di ferro. Non l'avrebbe mai ammesso, ma sapevo che anche lui si stava preoccupando per i suoi, di capelli. «Meglio scavalcare, così non attiriamo troppa...»

Prima ancora che potesse terminare la frase, Nicholas sferrò un violento calcio al cancello, che crollò al suolo. Anche se il tonfo metallico venne soffocato dal fragore del temporale, il nostro udito lo captò con chiarezza.

«Potevamo arrivare direttamente con un carro armato» commentai, scansandomi una ciocca bagnata dagli occhi.

Joel rovesciò il capo all'indietro e si stiracchiò, godendosi l'acqua che lo colpiva sul viso come se non avesse nessun problema al mondo. In qualche modo, riusciva a essere rilassato in qualsiasi circostanza. Da bambino lo invidiavo per la tranquillità con cui affrontava i test giornalieri e le punizioni, o per la sfrontatezza che esibiva persino davanti ai nostri genitori. Una volta lo avevo visto addirittura scherzare con gli scienziati, mentre lo collegavano alla macchina per l'elettroshock.

Solo in seguito avevo capito che mio fratello non era senza paura come pensavo, semplicemente la esorcizzava con l'ironia.

Alexander fu il primo a incamminarsi. Si muoveva con circospezione, esaminando i paraggi con lo sguardo. «Non sento nulla».

Tesi le orecchie e constatai che aveva ragione. Dalla scuola non sembrava provenire neanche un suono, cosa che mi fece agitare ancora di più. Stavolta Callum non sollevò obiezioni quando Nicholas sfondò la porta d'ingresso con un gesto pigro.

Appena varcai la soglia, portai di scatto la mano al naso in perfetta sincronia con i miei fratelli. L'unico che non fece una piega fu Alexander, mentre Callum si lasciò sfuggire una lieve smorfia. L'aria era permeata da un odore acre e pungente. Era così forte che ogni respiro mi bruciava in tutto il torace e avevo la sensazione che la testa mi si fosse svuotata, facendosi più leggera.

«Incenso» esclamò Sky, il palmo premuto sulla bocca che ne ovattava la voce.

Noi De'Ath non avevamo un buon rapporto con l'incenso. Non ci indeboliva fisicamente, ma era in grado di offuscare i nostri sensi. In quantità sufficienti li disturbava fin quasi a renderli inutili, al pari di quelli degli umani.

Non sapevamo il motivo per cui ci facesse quell'effetto, anche se Isaac ci aveva fatto notare che era sensato che non andasse d'accordo con la nostra natura. Dopotutto, era usato nelle cerimonie sacre e noi eravamo quanto di più profano potesse esistere.

Mi voltai verso Callum. Il chiarore dei lampi gli illuminava il volto, mettendo in risalto i lineamenti marcati contratti in un'espressione pensierosa. «Non hai detto di essere riuscito a depistare l'Olympus? Come ci hanno trovati? Solo loro conoscono i nostri punti deboli».

«Forse Nik ha fatto troppo baccano nella spedizione di salvataggio della sua damigella, a Las Vegas» sogghignò Joel.

Nicholas lo fulminò con un'occhiataccia, ben visibile nonostante la cortina d'oscurità che lo avvolgeva. A differenza nostra, fermi sull'uscio, si stava aggirando per il corridoio dardeggiando ovunque le iridi blu che splendevano come fiamme di fuoco fatuo. «A differenza di te che hai barattato il cervello con una noce di cocco quando eri nel grembo materno, io so coprire le mie tracce».

«Non è l'Olympus». Il tono di Callum era inequivocabile, cosa che mi fece sospettare che sapesse più di quanto volesse farci credere.

Anche Alexander doveva essere della mia stessa opinione. Si accigliò, tirandosi giù il cappuccio della felpa. «Se sai chi altro potrebbe farci un'imboscata, non sarebbe male metterci al corrente» sussurrò gelido.

«Siamo certi che sia una trappola per catturare noi, e non Keegan?» obiettò Sky, accostandosi a me. La sua mano si legò alla mia e gliela strinsi. Mi illusi che avesse bisogno di essere rassicurata, ma nel profondo ero conscio che fosse lei a dare coraggio a me.

Avevo messo in conto la possibilità di dover combattere. Contro Keegan però, un ragazzo che volevamo prendere vivo. Un agguato dai nostri nemici era diverso. Non c'era possibilità che ne uscissi senza uccidere qualcuno... e non volevo ricadere in quella spirale di violenza.

Non di nuovo. Non dopo aver faticato tanto per tornare a essere una versione di me abbastanza decente da riuscire a guardarsi allo specchio.

«Non ero mai stato in una scuola». Nicholas forzò un armadietto a caso e ci rovistò dentro. La sua passione per rompere le cose non avrebbe mai smesso di stupirmi. «Ma non la immaginavo così. Oh, ci sono delle chewing gum». E si infilò il pacco in tasca.

Joel rise. «Questo perché preferisci guardare i Looney Tunes, piuttosto che le classiche serie americane con le cheerleader che sculettano e...»

«Zitti tutti». Callum stava digitando sullo schermo del telefono, le sopracciglia aggrottate. «Mi sono fatto mandare una planimetria dell'edificio, con tutti i possibili punti d'accesso».

«Quindi non ce ne andiamo?» replicai sorpreso.

Sky mollò la presa sulla mia mano e avanzò di qualche passo. «Chiunque abbia organizzato questo potrebbe averci attirati qui, Cal».

«È più probabile che il bersaglio sia Keegan. Tuttavia sì, anch'io ritengo che la scelta migliore sarebbe non affrontarli alle loro condizioni, ma so già che...»

Nicholas si girò verso di noi. «Io non scappo e non me ne vado finché non ho messo dita attorno al collo di quel ragazzino».

«Ed ecco perché noi due rimarremo a cercare Keegan. Ma non gli faremo del male» lo ammonì Callum. «Voi invece tornate al castello. Tenetevi pronti a qualsiasi evenienza».

Mi irrigidii. Era la solita frase che pronunciava ogni volta prima dell'ennesima fuga: qualsiasi evenienza. E malgrado l'idea di tornare a Notturn Hall all'inizio non mi entusiasmasse, mi resi conto che non volevo andarmene. Non nel cuore della notte, non senza salutare Arya.

«Resto anch'io» affermò Alexander.

Joel gli diede manforte. «Infatti. Vogliamo divertirci anche noi».

Sky esitò e mi fissò per un attimo. Non voleva abbandonare i nostri fratelli, glielo leggevo in faccia, ma sarebbe stato umiliante se mi fossi tirato indietro soltanto io.

Provai un moto di frustrazione. Perché non potevo essere come loro? Perché per me controllarmi era così complicato?

Callum scosse la testa. «Non lo stavo mettendo ai voti. Andate a casa, fine della discussione. Remiel, conto su di te».

«A nanna, bambini. Domani c'è scuola» sghignazzò Nicholas, allontanandosi lungo il corridoio. Li osservammo sparire dietro l'angolo, con la torcia del cellulare di Callum che fendeva le tenebre.

«Allora». Joel allargò le braccia, scrutandoci a uno a uno. I suoi occhi eterocromi brillavano di eccitazione. «Tutti d'accordo che ce ne freghiamo degli ordini del vecchietto e rimaniamo comunque, vero?»

Trassi un sospiro esasperato e l'incenso mi bruciò nei polmoni, facendomi tossire. «Ho qualche chance di convincervi a fare quello che ha detto Callum?»

«No» risposero in coro, compreso Alexander.

Mi passai una mano sul viso. Siccome non aveva raggiunto la quota minima di cavolate da sparare in un giorno, Joel propose di dividerci, ma a nessuno sembrava un piano brillante. Prendemmo la direzione opposta rispetto ai nostri fratelli e cominciammo a ispezionare tutte le aule. Dato che la nostra vista sovrasviluppata era compromessa, eravamo costretti a farci luce con i telefoni.

«Callum ci ammazzerà» borbottai.

Joel si scompigliò i capelli ancora fradici. «Sarebbe meno isterico, se si decidesse a farsi la criminale gnocca».

Sky fece un sonoro sbuffo, procedendo accanto a me lungo il corridoio. «Non gira tutto attorno a quello».

«Ma è un toccasana per l'umore. Perché io e Nik siamo così arzilli e divertenti? Perché facciamo tanto sesso» disse lui in tono saccente. «Alexander è l'incarnazione della verginità e guardalo, pare sempre che i suoi randagi gli abbiano fatto pipì sul cuscino. Con affetto, eh, fratello».

Il diretto interessato rallentò appena, pur precedendoci di un paio di metri. «Magari so solo stare in compagnia di una ragazza, senza pensare di andarci a letto. Prendi appunti, potresti imparare».

«Hai appena fatto una battuta. Porca miseria, sono fiero...»

Rifilai a Joel uno schiaffo alla nuca. «Taci».

«Ahi! Uffa, dov'è quello stupido di Gabe quando serve? Voi siete troppo noiosi».

Stavolta fu Sky a dargli una sberla e ripeté in sussurro minaccioso: «Taci». Lui emise dei mugugni di protesta piuttosto infantili, ma le obbedì.

Entrammo nell'aula delle prove di teatro, che doveva essere la medesima impiegata per il corso di musica. Infatti, da una parte c'era un ventaglio di sedie disposto davanti a un piccolo palco, con costumi di scena e attrezzature varie sparpagliate sul pavimento. L'altra metà era occupata da strumenti musicali tra cui spiccava uno stupendo pianoforte a coda, anche se a catturare l'interesse di Joel fu la chitarra adagiata contro la parete.

«Non male. Certo, non quanto la mia Daisy, ma non male» commentò, pizzicandone una corda.

Sky fece un verso di scherno. «Non è un po' da sfigati dare un nome a una chitarra?»

«Ne avete dato uno anche al porcellino che spacciate per un gatto. Almeno Daisy non passa le giornate a criticare tutti con uno sguardo inquietante». Joel saltò sul palco e giocherellò con il microfono spento. «Sono giunto alla conclusione che preferisco la scuola di giorno».

Lo guardai. «Perché a quest'ora non c'è nessuno a tessere le tue lodi, mentre fai il coglione?»

«Esattamente».

«Siete i mostri meno discreti della storia, sapete?»

Ci voltammo all'unisono. Una squadra di nere figure corazzate sembrava essere sbucata dal nulla, le armi sollevate verso di noi. Indossavano degli strani caschi con una visiera e i loro stivali non producevano neanche un fruscio, man mano che si avvicinavano a passi lenti e studiati. Ne contai sedici, ma si mimetizzavano talmente bene nel buio che avrebbero potuto essere anche di più.

Arricciai il naso. La puzza d'incenso si era intensificata, come se ognuno dei soldati -o quello che erano- ne fosse cosparso. In un baleno Sky e Alexander si erano già piazzati ai miei lati mentre Joel scese dal palco con un saltello. «Siamo alunni» annunciò, sfoderando un ampio sorriso. «Molto diligenti».

Uno di loro scoppiò in una risata sguaiata. Era impossibile capire quale stesse parlando, ma era la stessa voce di prima. «Siete i figli di Vivianne. Appartenete all'Olympus. Ho sentito che sono anni che stanno cercando di rimettervi nelle vostre gabbie».

Sky gonfiò il petto. «Hanno mandato voi a fare il lavoro sporco?»

«Nah, non siamo al servizio del governo. La nostra è più un'opera di disinfestazione».

«Ma che fantastico buffet» gridò Nicholas allegramente, irrompendo nell'aula. «Posso unirmi alla festa?»

I soldati ebbero a malapena il tempo di reagire, prima che si avventasse sul più vicino con un guizzo felino. Lo atterrò e gli bastò un morso per squarciargli la gola, trapassando le protezioni della divisa come se fossero di gomma. Un suo compagno tentò di intervenire in suo soccorso, ma Callum gli spezzò il collo con un gesto disinvolto. Il tutto era avvenuto in un battito di ciglia.

L'istante dopo l'aria era invasa dagli spari. Non erano proiettili normali, lo percepivo dal sibilo caratteristico che emanavano uscendo dalla canna. Erano in oricalco e, come tutto ciò che era di quel metallo, facevano male.

A Nicholas non sembrava importare. Schizzava a destra e a sinistra a una velocità pazzesca, dilaniando corpi e strappando arti, gli artigli che stridevano sull'armatura. Attaccava alla cieca, in preda a una foga brutale che lo faceva somigliare più a un animale che a una persona.

L'unico motivo per cui non lo avevano ancora nemmeno sfiorato era Callum, che gli copriva le spalle. Era incredibile come riuscisse a uccidere senza spargere che poche gocce di sangue.

I miei fratelli non esitarono a gettarsi nella mischia, Joel per primo. Ululava come un forsennato e rideva così forte da sovrastare il baccano delle pistole. Un soldato comparve proprio di fronte a me. Sky gli diede uno spintone e lo mandò a spiaccicarsi contro il muro. A giudicare dalla veemenza dell'impatto, e dalle grida disperate, doveva essersi frantumato la colonna vertebrale.

Io invece rimasi impalato ad assistere alla scena. Avvertivo il mostro dentro di me che si dibatteva per liberarsi, la mia indole violenta che mi richiamava come il canto seducente di una sirena. Era un male vivo, atavico. Niente appariva più giusto e naturale che abbandonarmi a esso, finché mi tornavano alla mente gli insegnamenti del dottor Stone.

Togliere la vita a qualcuno è sbagliato.
Puoi scegliere di essere buono, Remi.

Una morsa salda mi circondò il polso, trascinandomi lontano dal centro della sparatoria. Malgrado le fitte terribili alla testa, il mio istinto prese il sopravvento e sferrai un pugno al mio assalitore. Avrei dovuto decapitarlo in teoria, ma quello deviò il colpo con una smorfia seccata.

«Non c'è di che» borbottò Alexander, lasciandomi andare. La stretta della sua protesi era peggio di una tenaglia. «Idiota».

Ero in bilico tra ringraziarlo o rinfacciargli che anche lui mi aveva colpito il giorno della rissa. Prima che potessi decidere, però, si era già precipitato ad assalire un soldato che mirava alla schiena di Joel. Gli strappò l'arma di mano e la usò per frantumargli la visiera, poi gli sparò in un occhio.

Un movimento furtivo vicinissimo a me mi fece sobbalzare. Intravidi una sagoma che, seminascosta dal sipario in un angolo del palco, sgusciava via dietro le quinte con uno scatto repentino.

I miei pensieri andarono subito a Keegan e mi tuffai al suo inseguimento. Quando lo raggiunsi nella saletta d'attesa, chiamai il suo nome. Ero già in procinto di balzargli addosso, ma poi fece una cosa che non mi aspettavo: si fermò. E si girò.

Mi paralizzai. La paura strisciò in ogni mia terminazione nervosa e pensai che il cuore mi sarebbe esploso nel petto. Il suo battito sempre più frenetico mi pulsava nelle orecchie e sembrava escludere qualsiasi altro rumore, anche quello del temporale che imperversava di fuori. Scossi il capo, o quantomeno ci provai. Il mio corpo si rifiutava di obbedire ai miei comandi.

Lucius mi fissò con un'espressione che avrei definito sollevata. «Ciao, Tre».

La sua voce mi fece tremare. Non perché fosse minacciosa, anzi era profonda e gentile, quasi accarezzava le parole. Ma era un suono che avevo sperato rimanesse rinchiuso nei ricordi del passato.

All'improvviso Lucius sollevò la pistola verso di me e fece fuoco.

Ero abbastanza rapido da schivarlo, ma non riuscii a muovere un muscolo, inchiodato dallo shock. Il proiettile passò a pochi centimetri dal mio viso e mi superò. Sentii un gemito strozzato, poi il tonfo di qualcosa che si afflosciava.

Mi riscossi con un sussulto e lanciai un'occhiata alle mie spalle. Un soldato in armatura si contorceva rantolante a terra, le mani che premevano spasmodiche sulla ferita, mentre una pozza vermiglia iniziava a dilagare sul pavimento. Lo aveva colpito sotto il casco, esattamente nel punto di giuntura del collo.

Sapevo che non poteva avermi mancato. La sua mira era infallibile.

Aveva voluto salvarmi.

Tornai a guardare di fronte a me. Appena mi accorsi che Lucius si stava avvicinando, mi costrinsi ad arretrare. Incespicai e scivolai all'indietro, con lo stomaco sigillato dal terrore. Attutii la caduta con i palmi tenendo lo sguardo fisso su di lui.

«Tu...» balbettai. Le mie corde vocali erano tese come quelle di un violino. «Tu sei morto».

Lucius abbozzò un sorriso mesto. «In un certo senso, sì. Vorrei che ci fosse il tempo per spiegare». Si accovacciò a distanza di sicurezza, le mani posate sulle ginocchia. Un lampo gli rischiarò il volto, stanco e scavato, ma erano i suoi occhi neri ad avere un che di diverso. Sembravano meno scuri. «Typhous. È questa la chiave. Dillo a Uno, per favore».

Mi limitai a osservarlo con la bocca dischiusa. Uno scalpiccio provenne dal palco e Lucius si raddrizzò. Mi ammiccò con un sorriso triste e se ne andò correndo dalla porta secondaria collegata al corridoio. Scomparve con una rapidità sorprendente, per un semplice essere umano.

I miei fratelli si riversarono nella saletta. Nicholas arrivò per ultimo, la bocca e i vestiti grondanti di sangue. Stringeva un ammasso informe e, solo quando lo addentò con un verso appagato, capii che era un cuore. Joel gli stava accanto, intento a leccarsi le dita macchiate di rosso.

«Perché diavolo non siete andati a casa?» sbottò Callum. Eccetto per i capelli corvini scompigliati, aveva un aspetto ancora impeccabile. Non si era nemmeno sporcato il completo. «Era così difficile darmi retta per una volta?»

Sky incrociò le braccia al petto. «Volevamo aiutarvi».

«Parla per te». Joel scrollò le spalle. «Io volevo solo fare casino».

Alexander si chinò sul cadavere ormai immobile e aggrottò la fronte. Lo scosse con la punta della scarpa, rivolgendosi a me. «Chi gli ha sparato?»

Mi tirai su barcollando e mi spazzolai i pantaloni dalla polvere. Ero ancora scosso dai tremiti. Mia sorella non mancò di notarlo. «Che hai, Remi?» chiese allarmata, sfiorandomi il dorso della mano.

Joel aggrottò la fronte. Dalla sua faccia trapelava un velo di apprensione, nonostante si sforzasse di mantenere il suo sorrisetto strafottente. «Sì, fratello. Sei così bianco che potremmo usarti come mozzarella per la pizza».

«Io ci sto, purché la pizza non la cucini Kath» replicò Nicholas. Era l'unico che pareva alquanto disinteressato alla mia salute, troppo impegnato a gustarsi il suo pasto.

La mia attenzione però era puntata su Callum. «Lucius è stato qui. Ha ucciso lui il soldato. Voleva che ti riferissi che la chiave è Typhous, non so il significato». Sputai fuori tutto in tono robotico, senza neanche rendermene conto.

Il silenzio che piombò nella stanza era surreale. L'odore d'incenso aleggiava nell'aria, meno intenso e fastidioso. Nessuno osava fiatare. Sky sembrava trattenersi a stento dal vomitare, i suoi tratti delicati distorti in una maschera di puro orrore. Alexander era pietrificato. Anche se il suo sguardo gelido non tradiva la minima traccia di emozione, continuava a contrarre la mascella.

Joel era diventato cereo e le sue labbra erano piegate in una linea sottilissima, eppure lo sgomento non gli impedì di fare uno dei suoi soliti commenti. «Ma quindi ora è senza cazzo?»

«Tu lo sapevi?» affrontai Callum, i pugni serrati lungo i fianchi. Se ne stava a testa bassa, impassibile come una statua. «Sapevi che era vivo?»

Sky dardeggiò gli occhi da uno all'altro. Erano lucidi, ma sapevo che non avrebbe pianto; odiava farlo in nostra presenza. «Callum. Lo sapevi e non ce lo hai detto?»

Ci fu un suono flaccido. Nicholas aveva buttato via ciò che rimaneva del cuore e adesso marciava verso di me, imbrattato di sangue. Mi afferrò per il maglione e mi diede una scrollata. «Dov'è?» ringhiò.

«Non lo so». Cercai di divincolarmi, ma invano. La rabbia amplificava i nostri poteri e in quel momento lui era furioso. Una luce folle gli animava lo sguardo. «È scappato».

«È troppo tardi, Nicholas. Dobbiamo andarcene» soggiunse Callum corrucciato. «E lascia nostro fratello».

Con mia sorpresa, Nik non si oppose. Mi liberò e si girò verso Joel. «Dammi l'accendino».

«Che vuoi fare?» chiese Sky.

«Accendo un bel falò per il bastardo».

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Angolo Jedi

Ve lo devo dire: durante tutta la stesura, ho avuto l'impressione che questo capitolo non avesse senso. E ancora adesso non sono convinta, ma Nicholas che bruciava la scuola era una scena a cui non potevo rinunciare.

Ah sì, e poi dovevo far comparire Lucius. Scusate. Ribadisco che non giustifico né approvo niente di ciò che fanno/hanno fatto o faranno i miei personaggi✋🏻

Già che ci sono, ringrazio voi che state seguendo questa stramba storia con interesse. Siete pochi, ma non avevo mai pensato che a qualcuno potesse piacere leggere di questi pazzerelli disagiati, quindi va bene così.

Grazie mille, mi state dando una forza immensa in un periodo molto buio.

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