VI. I want to talk with Louis
Harry inciampa per la quinta – o forse sesta – volta nei suoi stessi passi: agita un bel po' le braccia, riacquista l'equilibrio e riprende a camminare a passo spedito verso la macchina; ignora il fatto che si tratta dell'auto di Liam e che non ha mai avuto il permesso di guidarla, perché non gliene importa niente. Deve andarsene. Deve tornare a casa sua. E dimenticare.
Quando è a soli pochi metri dal cancello, una mano lo afferra per la spalla sinistra e lo costringe a voltarsi. Non gli serve guardare per capire di chi si tratta; si limita a tirare pugni alla cieca e ricominciare a piangere, con il volto premuto contro il tessuto della maglietta del suo migliore amico.
Non è un ragazzo emotivo, Harry, ma sembra che le lacrime non vogliano starsene al loro posto nemmeno a pregarle. Di solito piange per cose davvero gravi, oppure per altre davvero stupide – come un vaso rotto o un cucciolo morto –, ma questa volta è diverso: si tratta di un pianto isterico, irritante e incontrollabile, che nasce dal profondo e che si irradia in ogni parte del suo corpo, come se fosse vivo e riuscisse a manovrarlo.
Harry non si sente stupido, per questo, ma solo spaventato.
Liam non fa niente per allontanarlo; gli accarezza la schiena con movimenti circolari della mano destra e continua a ripetere che va tutto bene, anche se non è proprio così che stanno le cose. Aspetta altri cinque minuti, poi allontana appena il suo amico e inclina la testa per guardarlo. Harry ha gli occhi rossi, le guance umide e sta tremando in maniera preoccupante, ma almeno non gli sta rivolgendo i peggiori insulti di questo mondo. I sobbalzi si riducono a sempre meno frequenti brividi nel giro di qualche minuto. Liam sospira, un suono rassicurante, poi mette un braccio attorno alle spalle di Harry e se lo stringe al fianco; non dice niente, perché non saprebbe che cosa dire, e si limita solo a camminare di nuovo verso la casa, controllando che Harry non tenti di scappare.
Hanno bisogno di parlare, parlare sul serio e senza chiudere le serrature di nessuna parte importante – una cosa che Harry sicuramente non ha mai fatto, ma che Liam ha fatto per tanto tempo.
Quando varcano la soglia, non compare nessuno a sbarrare loro la strada e Liam conduce l'altro su per le scale, verso il primo piano. C'è un lungo corridoio interrotto da molte porte, le più vicine delle quali Harry vede che sono decorate dalle più svariate fantasie e recano scritto ognuna un nome diverso. Si fermano di fronte a quella che riporta un Liam disegnato in nero.
Liam abbassa la maniglia e lascia che sia Harry a entrare per primo.
L'interno della stanza è illuminato dalla luce che entra dalla finestra. È la comune camera di un adolescente, con letto, armadio, scrivania, tappeto, poster alle pareti... e un sacco da boxe appeso in un angolo. Harry la studia un istante con curiosità, per poi strisciare i piedi verso l'enorme materasso e sedersi. Liam non fa in tempo a raggiungerlo, che solleva le mani, intimandogli di fermarsi, e «Quindi cosa sei? Un mutante?» sussurra, tra labbra tremolanti e occhi rossi di pianto.
L'amico sospira. «Qualcosa del genere.»
«Perché non me l'hai mai detto?»
Liam si gratta la testa e si inginocchia ai piedi del letto, sempre tenendo le distanze da Harry. Sta tremando; non vuole fargli venire un altro attacco di panico. «Secondo te ci è permesso andare a dire alle persone che ci trasformiamo in lupi?»
«No, ok, ma... I tuoi genitori lo sanno?»
«Loro—Mio nonno. Lui... è stato un Alpha e me ne ha parlato quando ha capito che quello che ha passato lui stava accadendo anche a me.»
«Louis—»
«Lui è il capo, perché ha una discendenza diretta come me... Gli ho lasciato il ruolo senza tanti problemi, senza reclamare nulla, perché non mi interessa comandare. E poi mi ha aiutato molto. Io sono in questa merda da un paio di anni, mentre Louis da cinque.» Liam si interrompe, guardandosi le dita delle mani, poi si stringe nelle spalle. «È un bravo ragazzo, Harry, solo che non gli va a genio questo inconveniente.»
A Harry sfugge una risata sarcastica. «Sono io l'inconveniente?»
«Tu non avresti dovuto essere in quel bosco, ieri sera.»
Oh, stai a vedere che adesso è colpa sua.
Harry evita di fare battute solo perché si sente in pericolo – e odia doverlo ammettere, soprattutto se è di Liam che sta parlando –, perciò pensa a che cosa chiedere, perché ci sono così tante domande che gli frullano nella testa e a cui deve dare una risposta.
«Puoi... spiegarmi tutto? Insomma, posso sapere cosa ti è successo?»
Liam scuote la testa. «Sono segreti, Harry. Se c'è qualcuno che può dirteli, quello è Louis, e immagino che tu adesso non abbia molta voglia di parlare con lui.»
Harry annuisce appena. «Posso sapere qualcosa?»
«Mmh... Noi siamo i buoni. Tieni a mente questo, ok?»
Non sa se prenderlo come un incoraggiamento o un motivo in più per essere terrorizzato. Ma è Liam, Cristo! Sono cresciuti insieme e può fidarsi di lui. Non importa se nel giro di un'ora ha scoperto che è un lupo mannaro e che vive – anche – in una casa sperduta con una sua setta personale.
Perciò è ok.
«Va bene» dice.
«Ottimo.»
L'imbarazzo che segue è quasi asfissiante e rischia di farlo impazzire.
Liam deve percepire la stessa cosa, perché si solleva da terra e tossisce. «Tu, vuoi—Insomma, vuoi che ti riporti a casa?»
Harry valuta le possibilità. Può scappare a gambe levate, chiudere fuori il mondo e tagliare per sempre i ponti con Liam; può prenderlo a schiaffi per avergli mentito e poi farsi riportare a casa; può fare un milione di cose che comprendano il fare finta di niente e rimandare a un futuro remoto l'eventualità di venire a conoscenza di tutta la storia.
Ma queste possibilità sono le più sensate e ovviamente le più stupide. Perciò, deve fare l'opposto e seguire il suo primo istinto, andando incontro ai problemi di petto.
«Voglio parlare con Louis.»
Forse è lo sguardo che subito gli rivolge Liam, il modo in cui inclina leggermente il capo di lato come se stesse cercando di capire se Harry sia impazzito o meno, ma esprimere quella semplice intenzione ad alta voce suona così incredibilmente ridicolo... e non crede di essere il solo a pensarlo.
Però, «D'accordo» Liam dice, annuendo. «Ti accompagno da lui.»
E si volta, si volta senza pensarci due volte e senza accertarsi che Harry voglia davvero seguirlo; dà come per scontato che lo faccia, perché, ok, è stato Harry a decidere, ma lo dà seriamente per scontato! Solo lui trova che sia assurdo?
Harry inspira a pieni polmoni, agita entrambe le mani per allontanare la tensione – anche se non funziona – e segue il suo migliore amico.
La camera da letto di Liam costituiva un porto sicuro, un territorio esterno ed estraneo all'abitazione della quale effettivamente fa parte; rimettere piede in quest'ultima rende all'istante Harry molto nervoso, specie perché la casa sembra essere sprofondata in un silenzio ancora più denso. Il branco ha preso alla lettera l'invito del proprio capo ad allontanarsi, perché non si sente nulla, nemmeno i comunissimi suoni che dovrebbe produrre un luogo abitato.
Con grande terrore di Harry, vanno a bussare direttamente alla camera dell'Alpha, a una porta dipinta di nero con un Louis vivacemente disegnato sul legno. Gli risulta automatico chiedersi chi ne sia l'autore, se ognuno di loro si occupi della propria porta o se ci sia un singolo artista in mezzo al gruppo... Un interrogativo stupido.
Harry non aveva preso in considerazione l'eventualità di rimanere solo con Louis, ma Liam gli dice che non ha intenzione di fare da terzo incomodo in una conversazione che deve riguardare esclusivamente loro due, dal momento che è Louis che decide per il bene del branco. Harry chiede, con velata ironia, se il senso dietro la cosa sia che lui è ovviamente un problema e Liam non risponde alla domanda, limitandosi piuttosto a stringersi nelle spalle e a lasciarlo solo di fronte alla porta.
Ha forse sottinteso che Louis potrebbe ucciderlo? Potrebbe ritenerlo un pericolo per il bene della loro squadra di randagi e farlo sparire per sempre?
Stupendo. Ora Harry si sente davvero ispirato ad affrontarlo.
Prende una bella boccata d'aria, si passa una mano tra i ricci e poi scuote entrambe le braccia, come se si stesse preparando per una corsa a ostacoli; compie anche qualche saltello sul posto, giusto per scaricare la tensione, e si accinge a picchiare timidamente il pugno contro la porta.
«Hai finito?»
Il suono cupo della voce di Louis, proveniente da dentro la stanza, lo fa sobbalzare e allontanare di scatto, come se un'improvvisa fiammata lo avesse colpito in pieno volto.
Ne uscirò pazzo, lo so.
Harry cerca di riprendere il controllo dei battiti del proprio cuore, poi si riavvicina con più convinzione e abbassa la maniglia, senza perdere tempo nelle buone maniere ora che sa di poter essere sentito. Dopo aver spalancato la porta – addosso, una determinazione che non crede gli appartenga – e aver sollevato il capo per ostentare una certa sicurezza, la vista della stanza lo lascia spaesato.
La camera di Louis è un quadrato con le pareti di due colori: quella nella quale si trova la porta e le due laterali sono di un verde molto chiaro, mentre il muro opposto all'ingresso è di un bellissimo blu notte. Un letto a due piazze è sistemato al centro della stanza, con la testiera contro la parete di sinistra; una scrivania colma di pennarelli, fogli di carta, libri e involucri di merendine si trova dalla parte opposta ed è circondata da una libreria enorme. Ci sono due armadi, un comodino, un tappeto, un lampadario e una grande finestra... C'è fondamentalmente tutto quello che si potrebbe trovare nella camera di un qualsiasi ragazzo e Harry si sente confuso. Non che pensasse di dover fronteggiare un ambiente tetro e puzzolente, con ossa spolpate sul pavimento e catene inchiodate alle pareti, ma qualcosa di diverso da questo di sicuro. È tutto troppo accogliente.
«Ti piace, oppure stai per dirmi qualcosa di molto offensivo?»
Harry si ricorda di non essere solo, di essere nella stanza di Louis, con Louis. L'Alpha è seduto con la schiena poggiata contro la testiera del letto e le ginocchia raccolte al petto; ha un libro tra le mani, un enorme volume rilegato.
«Oh, no io... Stavo—È molto bella, sì. Molto accogliente.» Harry si schiaffeggia mentalmente. Non era proprio così che si era immaginato la sua conversazione privata con Louis. «È tua?» Al suo sopracciglio destro inarcato, si affretta a soffocare un colpo di tosse e a scusarsi. «Cioè, voglio dire... Ovviamente è tua. Mi stavo riferendo alla casa» Harry si corregge, rosso come un pomodoro. «Alla casa, sì. È tua?»
«Di mio padre, e di mio nonno prima di lui, e prima ancora del mio bisnonno. E così via.» Louis chiude il libro che stava leggendo e lo appoggia sul comodino accanto al letto. «Ma sì, è mia.»
Harry annuisce. «È molto bella.»
Poi, Louis fa una cosa che davvero non si sarebbe mai aspettato, ma che riesce a togliergli un enorme peso dalle spalle: si mette a ridere. «Per non dire enorme?» domanda, abbracciando con lo sguardo la propria stanza.
«A-Anche quello.»
Si studiano per un minuto buono, il lupo con la bocca inclinata in un piccolo sorriso e l'umano con le guance rosse, gli occhi che tradiscono lacrime da poco asciugate e le stesse iridi verdi che non sanno in che direzione sia più giusto rivolgersi.
Louis sospira e si sposta verso il bordo del letto, sedendosi con i piedi ben piantati per terra. «Ascolta, Harry» comincia. «So di averti spaventato, poco fa, ma non ho nessuna intenzione di scusarmi.»
Se non altro, non sembra volerlo prendere in giro, si rende amaramente conto Harry.
«Quindi ora spiegami come mai sei ancora qui, invece di essere scappato a casa tua.»
Harry vorrebbe mettersi a ridere, perché trova che sia così ovvio... ma a quanto pare non deve esserlo poi molto, perché Louis è tornato serio e lo sta fissando con una minuscola punta di fastidio, quello che chiunque gli ha rivolto nell'ultima mezz'ora. Praticamente stanno cercando di farlo sentire fuori posto, quasi fosse lui quello con dei problemi da risolvere e non loro, loro che gli hanno confermato di essere delle creature da storie dell'orrore intorno al fuoco e marshmallow caldi. Incredibile.
Harry prende un profondo respiro; fissa Louis dritto negli occhi, perché sente che anche questo è un modo dell'altro ragazzo di giudicarlo, e di intimorirlo. «Voglio sapere di più» dice. «Voglio avere delle risposte, perché credo di meritarle... Non—Io non ho chiesto nulla di tutto questo, eppure sono qui e non farò finta di niente.»
Silenzio. Di nuovo. Altro silenzio, denso e freddo.
E Harry sente un male incredibile alla testa, come se qualcuno stesse picchiando un martello contro la sua scatola cranica.
«Sono sorpreso.» Louis solleva il mento. «Avrei dovuto dare più credito alle parole di Liam.»
Harry aggrotta le sopracciglia, confuso. «Perché? Cosa ha detto Liam?»
«Ti basti sapere che è da un anno che Liam ci assilla tutti quanti per raccontarti la verità» spiega Louis, alzandosi infine dal proprio letto. «Quindi cominciamo da questo.» Si piazza di fronte a Harry e incrocia le braccia al petto. «Nessuno di noi ha dei migliori amici come lo sei tu per Liam, quindi non è mai sorto prima il problema di dover mettere al corrente di tutto questo qualcuno di esterno al branco. Ma Liam ha te e... Beh, diciamo solo che siamo molto bravi a empatizzare e a sostenerci l'uno con l'altro, e lui non l'ha ancora ammesso ma è felicissimo di averti finalmente reso partecipe della verità.»
Questo è stato il discorso più lungo che Harry gli ha sentito articolare da che ha posato per la prima volta gli occhi su di lui.
«Oh» sussurra.
È tutto così confuso.
Non crede di avere più paura, no; non sa definire che cosa prova. Forse in questo momento avverte solo un grande affetto nei confronti di Liam e dell'importanza che gli ha sempre dato.
Questo, certo, unito al calore che sente aumentare secondo dopo secondo nelle ossa.
Louis è terribilmente attraente. È un inquietante e attraente sconosciuto dal quale ha bisogno di ottenere altre informazioni – la sua priorità.
«Che cosa vuoi fare, adesso, Harry?»
La voce di Louis lo fa sobbalzare leggermente, reclamando la sua attenzione.
È piena estate e la sua partenza per l'università non è imminente, quindi sa di poter ignorare bellamente la vocina nella testa che continua a dirgli di dimenticare tutto e di tornare alla sua vita. Liam ha deciso di "infrangere" una regola piuttosto inviolabile per lui? Che amico sarebbe se semplicemente facesse finta di niente? Sa di non poter chiedere, perché non è uno di loro... ma ha capito una cosa: in qualche modo, stanno cercando di accettarlo, o qualcosa del genere, perciò non è detto che qualche altra informazione non sfugga.
Per questo Harry prende una grossa boccata d'aria e ostenta una sicurezza che non gli appartiene, ma che spera di riuscire a rendere propria. «Avete qualcosa da mangiare?»
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