II. Where did you see it?
Dopo la scomparsa del lupo, la natura sembra essersi risvegliata: i fruscii dai cespugli, gli insetti nel buio e le grida degli uccelli sono dei rumori più che rassicuranti; per Harry è come poter tornare a respirare, senza preoccuparsi che qualcosa possa sentirlo e prendere l'estrema decisione di ridurlo a un mucchietto di ossa.
Sa che passerà notti insonni a causa di quello che è appena successo; sa che non si sveglierà più urlando per via dell'ultimo film horror visto nel buio della sua stanza, ma per colpa di un essere soprannaturale che ha scombussolato ogni cosa, non per illusione e nemmeno per lo sfizio di qualche regista strapagato. E se scava a fondo nelle sue stesse convinzioni, oltre il muro di negazione, realizza che è accaduto. Da piccolo pensi sempre che un mostro possa uscire da sotto il letto per mangiarti, ma bastano le parole confortanti di mamma e papà per farti capire che non esiste niente del genere; cresci e non hai bisogno di sentirtelo dire, perché lo sai da te. Ma cosa fai se quello su cui si basa una parte delle tue certezze viene spazzato via dai singoli fatti avvenuti in un periodo minuscolo della tua vita, in una sola notte? Harry detesta dover mettere in discussione tutto, eppure ha visto con i suoi stessi occhi quell'affare. L'unica spiegazione plausibile è che è successo: ha visto un lupo mannaro.
Come racconterà questa cosa a Liam? Come guarderà negli occhi il suo amico – il suo tranquillo e razionale amico, con la testa sulle spalle, che ha sempre trovato stupida la sua passione per il dark fantasy – per rivelargli di aver visto una specie di esperimento da laboratorio? Il problema è pressoché questo: se Liam fosse un ragazzo aperto a nuove esperienze, non si starebbe facendo simili paranoie, ma Liam ha sempre dato l'impressione di credere solo in qualsiasi cosa abbia data di nascita, morte e dimostrazione scientifica... Un cazzo di licantropo non ha dimostrazione scientifica!
Harry si infila le mani nei capelli. Si trova ormai a una decina di metri dal limitare del bosco; vede le luci soffuse delle prime case e i rumori soffocati provenienti dalla strada. La sua bicicletta è ancora abbandonata malamente nell'erba e, se potesse parlare, Dio-solo-sa quali insulti Harry riceverebbe. La solleva a fatica, i muscoli delle sue braccia protestano per lo sforzo; scarta l'idea di salirci e comincia a spingerla, camminando verso casa.
La sua modesta dimora dista neanche un chilometro dal buco verde in cui si è andato a cacciare e si trova segregata in mezzo a qualche decina di abitazioni simili. È più che sicuro che i vicini lo spieranno mentre varcherà la porta, perché: "Povera Rose... Deve essere davvero impegnativo badare a un figlio di quell'età". La vecchia che abita di fronte a loro ha la mania di curiosare dalla finestra qualsiasi spostamento riguardante la famiglia Styles; la coppia che risiede alla loro destra è sempre pronta a far capolino da dietro le tende; e la famiglia sulla sinistra offre una madre pettegola e depressa che gode nel ricordare continuamente a quella di Harry che non è saggio lasciarlo rincasare così tardi. È abbastanza seccante e inquietante, considerando il fatto che lo sentono, perché non importa che ora sia, né quanto lui stia attento: uno di loro riesce sempre a sentirlo.
Harry ha ormai abbandonato qualsiasi proposito di non farsi vedere, o di nascondere a sua madre le proprie gite notturne (anche se mezzanotte non è niente; una volta è uscito di casa verso le due del mattino, perché non riusciva a dormire). Ecco: questo è quello che succede quando si vive in una paesino inglese di poche migliaia di abitanti. A Rose basta avere la certezza che quella di suo figlio non sia una dipendenza dalla droga, né un disturbo dissociativo, e nemmeno la fratellanza all'interno di una banda di delinquenti.
Parole sue, non di Harry.
I lampioni mandano fasci di luce sul marciapiede; qualche gatto randagio si muove nell'ombra; i sacchi dei rifiuti sono disposti in fondo ai vialetti e ad accompagnare Harry c'è un interessante odorino di discarica. Fruga in cerca delle chiavi e le sfila dal taschino anteriore dello zaino, mentre conduce con una mano la bici attraverso il giardino. La luce della camera di Caroline è accesa.
Compie il giro intorno alla casa, per sistemare la bicicletta in garage, e per poco non si mette a urlare appena vede Liam poggiato come se niente fosse contro il muro in mattoni dell'abitazione, intento a giocherellare distrattamente col proprio cellulare.
«Oh, Cristo—»
«Chiudi quella bocca. Vuoi svegliare tutto il paese?» borbotta Liam, senza staccare gli occhi dallo schermo.
«Mi hai spaventato, cretino.»
«Mi hai detto di venire e io sono venuto» dice l'altro, guardandolo con un cipiglio poco amichevole. «Su, racconta.»
Harry vuole davvero ignorare la nota sia sarcastica che seccata nel suo tono di voce, ma ci sono un po' troppe cose che non quadrano, che lo stanno tirando matto e che gli assicureranno una futura visita dallo psicologo. Non è schizzato, no: è solo stressato, cosa normalissima per un ragazzo di diciotto anni, certo.
Primo: «Sei arrivato qui a piedi?» chiede Harry, perché è la domanda più che ovvia che gli sta martellando nella testa.
Liam picchietta un po' di volte sul cellulare, sospira e lo guarda, infilando finalmente l'apparecchio nella tasca posteriore dei pantaloni. «Mi ha accompagnato Dave.»
«E da quando tu e lui siete così in confidenza?» Harry sibila.
«Da quando tu hai deciso di svegliarmi in piena notte per farmi venire a casa tua. Mi serviva un passaggio.»
Ok, può andare... anche se non è esattamente "piena notte".
«E perché lui non è rimasto? Perché non sei entrato in casa e mi parli come se avessi—»
«Aveva altro da fare, non avevo voglia di entrare e ti parlo così perché ho sonno.»
Può andare anche questo.
«Ok.»
«Ok?»
«Sì, ok» decreta Harry.
Guarda Liam dall'alto in basso e si appoggia a sua volta al muro. La situazione risulterebbe anche comica, se dentro di sé non sentisse quel familiare desiderio di... Come potrebbe definirlo? Di vomitare.
«Posso sapere che stai facendo?» sbotta a un certo punto Liam.
Harry solleva le spalle. «Imitando la posa da duro del mio migliore amico.» Si passa una mano tra i capelli.
«Harry, ti do cinque secondi per dirmi che cosa sta succedendo, o giuro che prendo e me ne vado.»
L'interpellato si mordicchia il labbro inferiore, cominciando a muoversi avanti e indietro su un percorso di un metro per un metro. Deve decidere quali sono le parole più adatte per dire quello che deve dire. Da aggiungere all'improbabilità della situazione c'è il fatto che il suo amico si sta comportando in modo strano, una cosa che continua a distrarlo.
È da considerarsi normale che Harry abbia un'improvvisa voglia di scavarsi la fossa e morirci?
Si scuote i ricci e crolla a terra, sedendosi a gambe incrociate. Liam lo sta guardando, in attesa, la mano nella tasca in cui si trova il cellulare. Harry apre la bocca, poi la richiude; pensa alla frase che nella sua testa suona così semplice e sente la lingua arrotolarsi su se stessa per impedirgli di farla uscire. Harry, devi solo parlare. Si fa forza, convinto, sicuro, poi gattona fino alle gambe di Liam e comincia a piagnucolare.
Non era così che se l'era immaginata la conversazione.
Le sopracciglia di Liam fanno uno scatto all'indietro per lo stupore, mentre cerca di non cadere.
Decisamente non in questa maniera.
«Ho visto un lupo mannaro, Li.»
Ma nemmeno lo scossone verso l'alto era compreso nelle aspettative.
Harry si massaggia il collo indolenzito dal colpo inaspettato e nota gli occhi di Liam, sgranati, che lo stanno fissando come se fosse un fantasma: c'è un che di inquietante in essi; di solito sono proprio quelle iridi nocciola a rassicurare Harry in momenti che richiedono del conforto, solo che, adesso, la pupilla nera le ha oscurate quasi del tutto e un pozzo senza fondo sarebbe probabilmente meno spaventoso.
Harry si fa piccolo sotto quello sguardo e «Liam, mi fai male» sussurra, in riferimento alle dita dell'altro serrate intorno alle sue braccia.
Questo non serve a calmare Liam, che comincia a scuoterlo, spaventato – da cosa, Harry non lo sa. «Dove? Dove l'hai visto?»
«N-Nel bosco. Stavo f-facendo una passeggiata e—È comparso all'improvviso da dietro gli a-alberi.»
«E perché mai sei andato a girovagare là dentro a quest'ora? Sei impazzito?!»
Harry riesce a scorgere giusto una punta di pazzia nello sguardo del suo amico. Le volte in cui Liam ha perso il controllo si possono contare sulle dita di una mano e non si può considerare questa al pari delle altre. Prima di tutto, non avrebbe nemmeno dovuto prenderlo alla lettera, ma mettersi a ridere e ricordargli che è un coglione se crede davvero nei licantropi; poi, non era questo che Harry aveva immaginato, perché Liam sembra sapere qualcosa, ed è ciò che lo preoccupa più di tutto il resto; inoltre, gli sta facendo veramente male.
«Non è la p-prima volta. Quando non ho sonno f-faccio sempre un giro» si difende Harry, adesso leggermente sollevato sulle punte, mentre i polpastrelli dell'altro gli marchiano la pelle e lo trascinano secondo dopo secondo in un supplizio sempre maggiore.
«Stammi a sentire» Liam comincia, lasciandolo andare con uno strattone. «Non avvicinarti al bosco mai più e fatti trovare pronto fuori casa domani alle sette di mattina in punto.»
«Cos—»
«Fai quello che ti dico e basta, Harry. Hai capito?»
Harry lo guarda, visibilmente sconcertato da tutto quello che gli sta riservando la serata. E lui che ha sempre considerato la sua vita monotona... Ora può sdraiarsi a letto e ricredersi per aver sottovalutato le sue stesse avventure. Si schiaffa una mano sulla guancia e annuisce, indietreggiando di un passo quando Liam estrae il cellulare e si mette a picchiettare sullo schermo.
Gli occhi neri di Liam lo guardano per un secondo, prima di spostarsi verso il cielo scuro; il ragazzo fissa l'infinito con uno sbuffo e lascia una pacca sulla sua spalla, prima di superarlo e uscire dal cortile della casa. Harry resta immobile, con quello che teme possa essere un principio di emorragia interna nel punto in cui Liam ha stretto la sua pelle.
Si limita ad aprir bocca solo quando l'amico si volta e «Da quanto vicino l'hai visto?» domanda.
«Avrei potuto toccarlo.» Harry segue il tremolio delle proprie mani, mentre lo dice, e non è sicuro di essere stato convincente, perché Liam risponde con un ghigno divertito e riprende a camminare sotto le stelle.
Non sembra importare a nessuno dei due che è piuttosto tardi e che deve fare la strada a piedi. A Harry non di sicuro. Si strofina i palmi contro la pelle per far ripartire la circolazione, poi entra in casa.
Rose sta russando sul divano in salotto, con un programma televisivo ancora in onda davanti a lei; Harry sfila il telecomando dalla sua presa, spegne l'apparecchio e la copre con una coperta; sale poi le scale per andare in camera sua. Supera la stanza di Caroline, dalla quale esce un basso sottofondo di musica pop, ed entra nella propria lasciando che la porta si richiuda da sola dietro di lui. Cade di pancia sul letto. Non scalcia via le scarpe sporche di terra e nemmeno si toglie i vestiti luridi di dosso. Soffoca un ringhio di frustrazione contro il piumone.
Quando di preciso la sua squallida vita si è trasformata in un caso degno di premonizioni? Il suo unico pensiero per l'indomani mattina dovrebbe riguardare solo la colazione, invece, adesso, ha già deciso che uscirà di casa alle sette e che si farà portare da Liam... in qualsiasi posto l'altro voglia portarlo. Perché è chiaro che Liam sa. Harry non sa ancora che cosa, ma sarebbe pronto a scommetterci dei soldi che qualcosa c'è.
Liam sa, probabilmente tutto, e lui non si sente più stupido, no.
A questo punto, si sente decisamente fottuto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top