I. I saw a werewolf

Qualcuno si starà facendo delle grasse risate alle sue spalle.

Harry credeva che i licantropi fossero dei mostri metà uomo e metà animale peloso, con zanne, artigli, occhi iniettati di sangue e fame di carne umana: il ritratto ideale di un incubo di tutto rispetto balzato fuori dai suoi stessi sogni.

Invece, non sono niente del genere.

Questo coso che gli è appena comparso davanti agli occhi non ha l'aspetto del demonio al quale ha sempre pensato e sul quale ha sempre basato le sue convinzioni folkloristiche. Harry ha una strana fissa per i film horror e per quei libri con una trama vista e rivista che uniscono il sangue paranormale alle storie d'amore, ma adesso si sente tanto preso per il culo.

L'animale in questione è un lupo, un lupo stupendo. Non è uno di quei cani spelacchiati che vede spesso nei documentari: è grande il triplo, ricoperto di un folto pelo castano scuro, con sfumature tendenti al caramello; ha zampe gigantesche che potrebbero staccargli la testa dal collo senza il minimo sforzo fisico e una muscolatura possente, più simile a quella di un orso; i suoi occhi, vivi, attenti e consapevoli, stanno scavando dentro di lui, infondendo nel suo corpo un senso di vuoto e di fastidio, come se una presenza incorporea gli stesse strisciando addosso alla ricerca del punto perfetto in cui insinuarsi per prendere il controllo. E sono azzurro ghiaccio.

Sembra uno di quei lupi giganti di Twilight, ecco.

Harry prende una veloce e silenziosa boccata di ossigeno quando la bestia volta il muso verso destra; ha trattenuto il fiato tanto a lungo che sente i polmoni bruciare. Si azzarda anche a compiere un veloce passo indietro, una mossa che si dimostra all'istante un enorme sbaglio, perché il lupo scatta, un ringhio squarcia il silenzio del bosco, e i piedi di Harry si inchiodano al suolo, mentre con un solo balzo l'animale lo raggiunge. Il suo alito caldo gli si insinua tra i ricci. È più alto di lui. Una strana luce balugina nelle sue nere pupille di predatore, ma dura un solo istante, il tempo necessario perché Harry accetti il fatto di essere morto.

Sta per morire.

Non è per spavalderia o per menefreghismo che accoglie in modo così tranquillo la cosa: è solo troppo spaventato per muoversi o per tentare di mettersi in salvo.

Chiude gli occhi. Sussurra un «Forza», con voce spezzata, al quale risponde un secondo ringhio più rauco.

Non ha pensato a sua madre, che di sicuro continuerà ad assillarlo anche nell'aldilà, o che lo riporterà in vita per ucciderlo una seconda volta con le sue stesse mani. E non ha nemmeno restituito le venti sterline che deve a Caroline – sua sorella potrebbe imparare a evocare i morti solo per riaverle indietro. Non ha pensato a molte delle cose che dovrebbe fare prima di passare a miglior vita e le sta catalogando una dopo l'altra solo ora che si è reso conto di non avere più molto tempo a disposizione.

Fa tutto abbastanza schifo.

All'improvviso, una serie di ululati spezza il silenzio. Harry sobbalza e crolla in avanti, mentre i versi si prolungano nel buio, insistenti, rendendo l'ambiente più tetro di quanto già non sia; gli uccelli scappano dagli alberi e la terra trema, ma pensa che sia solo frutto della sua immaginazione. Il licantropo indietreggia e lo guarda, digrignando i denti e annusando l'aria, voltandosi poi quasi con dispiacere; manda un potente ululato al cielo e sparisce nel folto del bosco.

Se ne è andato.

Harry inspira profondamente, il volto ancora premuto nel terreno. Sta cercando di contare fino a dieci, senza fretta, per preservare una certa calma e dell'altrettanta sanità mentale, giusto l'indispensabile per non dare in escandescenza. Quando il fatidico ultimo numero occupa la sua mente, si impone di sollevarsi. Gattona fino al suo zaino, abbandonato in mezzo al fango e alle foglie secche; si pulisce i ricci dai residui di terra e fruga nelle tasche dei jeans alla ricerca del cellulare. Dopo essersi rimesso in piedi a fatica, digita con dita tremanti il numero di Liam – perché non si è ancora deciso a memorizzarlo, ovvio. Controlla che oltre ai graffi all'altezza delle ginocchia non ci sia nient'altro, nessun segno di guerra di cui preoccuparsi. Sua mamma lo strozzerà per aver bucato i pantaloni, ma è un dettaglio al momento non così importante. Al quinto squillo, la voce impastata dal sonno del suo migliore amico risponde. Harry si teletrasporterebbe dall'altra parte solo per saltargli al collo e per baciarlo dalla gioia che gli procura il solo sentire la sua voce, ma ha ancora quel minimo di dignità per desistere dal volerlo fare davvero.

«Harry, ci sei?»

Si guarda intorno, rendendosi poi conto che la voce proviene dal telefono appoggiato al suo orecchio.

Ok, calma. Va tutto bene. Dentro, fuori; dentro, fuori.

«L-Liam?» La domanda gli esce stridula e strozzata. Tossisce, in imbarazzo.

«Harry.» Un fruscio. «Va tutto bene?»

Va tutto a meraviglia! Stavo per diventare un pasticcio di carne umana, ma va tutto alla grande.

Si gratta la nuca e annuisce. «Sì. Cioè, no.» Calcia stizzito un sasso e «Sì, ci sono» dice.

«E stai bene?»

«Perché dovrei stare male?»

Gli sembra di sentire una risata sotto lo sbuffo esasperato di Liam, ma decide di non farci caso.

«Perché, Harry, è quasi mezzanotte, mi hai chiamato, mi hai svegliato e mi stai parlando come se ti trovassi sotto il sequestro di qualche serial killer.»

Beh, Harry pensa, l'avrei preferito.

È come se i fili dal suo cervello alla sua bocca si fossero scollegati, lasciandolo incapace di formulare qualcosa di coerente. A causa dello spavento, è inizialmente crollato alla vista del lupo; poi si è – non sa dire come, né perché – rialzato con l'intento di fronteggiarlo, o almeno di provare terrore in una posizione eretta che non a contatto con terra bagnata, insetti e schifo vegetale. È rimasto paralizzato, consapevole di non potersi allontanare dalla forza di quello sguardo né dalla potenza di quella presenza animale. Se, sconfitto, avrebbe accettato un simile destino, infischiandosene per un attimo dell'idea di morire, ora tutto il peso di quello che stava per accadere gli è crollato addosso. C'è un senso di casino che gli occupa la mente; ci sono quei conati di vomito a scuotergli le viscere; e c'è la consapevolezza che ciò che ha visto non è reale. Non può esserlo! Nessuna spiegazione logica a confermarlo. Una persona sana di mente, normale, si sarebbe istantaneamente messa a correre e avrebbe usato tutte le energie a sua disposizione per cercare di mettersi in salvo, per scappare, perché questo fanno gli esseri umani in una situazione di pericolo. Ma non è ciò che ha fatto lui... Lui è rimasto fermo! Che si sia spaventato, che abbia implorato, che si sia rialzato e che poi abbia aspettato, non conta, perché nessuna di queste azioni ha incluso l'istinto naturale della fuga in una situazione di pura, chiara e semplice morte.

Non riesce a dare un senso a ciò che è successo, ma nemmeno alle sue stesse reazioni.

Magnifico.

O ha un assoluto bisogno di dormire, o si è fumato qualcosa senza nemmeno rendersene conto – ed è la dimostrazione al fatto che non regge simili stronzate adolescenziali.

«Harry, cazzo. Rispondi!»

«Scusa, scusa» balbetta Harry, massaggiandosi le tempie. «Scusa, Liam. Solo... Puoi venire da me?»

«Cosa?!»

Ecco, Probabilmente avrebbe dovuto aspettarsi una reazione del genere.

«Hai idea di che ore sono? Fuori è buio. E fa freddo!»

«Ti prego... Non te lo chiederei se non fosse una cosa importante» Harry supplica, sfilandosi un'altra foglia dai capelli; la calpesta irritato sotto ai piedi. «Devi venire qui.»

«Non puoi spiegarmi il perché?»

«Se avessi voluto ricevere una seduta psichiatrica al telefono, avrei chiamato mia madre. Per favore

Uno sbuffo e un'imprecazione. Harry è sempre più convinto del fatto che ci sia qualcun altro con Liam, ma non intende fare domande. Loro due hanno fatto un patto, all'alba della loro amicizia: niente interrogatori, di nessun genere; non è stata una sua decisione – e questo avrebbe dovuto e dovrebbe insospettirlo –, ma non vuole irritare il suo migliore amico.

Si mordicchia le labbra quando il segnale viene coperto; avverte bisbigli scomposti, irriconoscibili, sicuramente di più persone perché dubita che Liam si sia ridotto a parlare da solo.

«Ok. Sarò lì tra cinque minuti.»

«Grazie. E Liam...»

«Sì?»

Perché dovrebbe metterci cinque minuti se ce ne vogliono qualcosa come dieci, in macchina, da casa sua a quella di Harry? Anche correndo ci metterebbe troppo tempo. Potrebbe aver modificato la sua auto per copiare quei veicoli infernali alla Fast and Furious e non averglielo mai raccontato, temendo un discorso moralista, però è davvero l'ultimo dei suoi problemi pensare al modo in cui Liam lo raggiungerà. Basta che arrivi, no? Non importa nient'altro, o almeno crede.

«Nulla. Solo non andartene, se arrivi a casa mia e io ancora non ci sono.»

«Perché? Si può sapere dove sei?»

«Ti ho detto che ne parliamo dopo» sibila Harry, con crescente nervosismo. «Ti aspetto.»

Harry preme il pallino rosso sullo schermo del telefono e nasconde il cellulare nel retro dei jeans. Un secondo dopo aver chiuso la comunicazione, si sente in colpa per averlo fatto. Liam sta per andare a casa sua e lui gli ha riattaccato il telefono in faccia, e nemmeno per un buon motivo.

Scrolla il capo e si infila lo zaino in spalla; comincia a camminare sul sentiero che anni di scampagnate umane hanno creato nel fondo erboso, per essere certo di poter ritrovare la via d'uscita.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top