Trasformazione

Stavo bruciando.
Mi sentivo andare a fuoco, letteralmente.

Ma partiamo dall'inizio.
Sono Malcolm, ho 24 anni e sono di Boston.
E sono un vampiro.

All'inizio di tutto eravamo una coppia normale, sempre se si può definire normale un ragazzo con i capelli verdi a spazzola e gli occhi castani e una ragazza con i capelli bianchi e gli occhi grigi.
Andavamo a scuola insieme, eravamo inseparabili.
Tutto questo finché una notte la sorpresi.
Senza volerlo, una cosa inaspettata tanto per me quanto per lei.
Eppure scoprii il suo segreto.
E non fu affatto piacevole.
Da quel momento il nostro legame divenne altalenante.
La passione si alternava alla paura, la malinconia al disprezzo.

E quella notte...

Quella notte ero stato morso.
Ricordo bene tutto.
Mi aveva morso lei.
Glielo avevo chiesto io.
Perché l'amore alla fine aveva vinto.
Io e lei eravamo due metà.
Il suo essere non avrebbe rovinato la nostra sintonia.
Né il mio.
Insieme avremmo superato tutto.
Quella notte, comunque, non sarà mai dimenticata da nessuno dei due.
Ira mi teneva compagnia.
Posso dire che mi ha salvato, portandomi negli inferi.
Il morso non era stato poi così doloroso.
Sembrava... piacevole.
Poi, però, tutto è diventato nero.
E io sono andato a fuoco.
Nel vicolo buio, con la testa sul grembo di Ira e la Luna a farci compagnia, il mio sangue stava lentamente andando a fuoco.
Ogni mia vena, arteria era invasa da sangue bollente.
Ricordo che sudavo.
Peggio, ero bagnato fradicio, i vestiti attaccati alla pelle.
O forse era la pioggia.
Poco importava.
L'unica cosa che ricordo, oltre a questo, era il dolore allucinante.
Dappertutto.
Come se stessi cadendo nel vuoto.
Come se fossi stato infilzato di miliardi e miliardi di aghi spessi qualche centimetro.
Come se mi fossi schiantato al suolo dopo una caduta di centinaia di metri.
Come se qualcosa mi stesse lentamente mordendo ogni singolo angolo del mio corpo, con denti aguzzi.
Ora che ci penso, la parte più dolorosa era sicuramente il collo.
Mi pareva di avere solo il corpo.
La testa era come staccata da tutto.
Il collo bruciava, come se una lama stesse ripetutamente incidendo nello stesso punto, sempre più profondamente, con una lentezza estenuante.
Una mano fredda era solo un piccolissimo sollievo, sulla mia guancia.
Ira, la mia salvezza.
Mi è stata accanto tutto il tempo.
Le sono grato di questo.
Tutto vorticava intorno a me.
Ero sospeso.
E schiacciato.
Mi sentivo accaldato.
Rabbrividivo però al minimo soffio di vento.
Aghi ghiacciati sulla mia pelle.
Fiamme dentro il mio corpo.
Non vedevo, non sentivo.
Ero perso.
Di ragionare non v'era tempo, né possibilità.
Il mio cervello era in uno stato di pressione troppo grande.
Poi, piano piano, ricordo che iniziai a sentire un battito.
Il mio battito.
Il mio cuore.
Un dolore atroce a tutti gli angoli del corpo.
Gli organi schiacciati, modellati, annodati, brucianti.
Il cuore batteva fortissimo.
Mi assordava.
Bruciore sotto l'epidermide.
Bagnato in volto, in corpo.
Probabilmente era anche il mio sangue.
Il collo mi doleva profondamente.
Ore strazianti di dolore atroce.
Come se, pezzettino per pezzettino, la mia pelle si stesse lacerando.
Ed ecco quello che ricordo.
Il battito forte, eppure sempre più lento.
Non credo di poter convincervi di averlo sentito rompersi, eppure credetemi.
Perché io c'ero. E anche Ira.
Ed entrambi lo abbiamo sentito.
Stridio delle unghie sulla lavagna, ecco.
Poi, niente più battito.
Le vene non più a fuoco.
La carne non più maciulata.
Gli organi non più accartocciati.
Niente più coltelli, né aghi, né fuoco.
Una gran sete.
Ed eccola la mia Ira.
Aprire gli occhi fu la cosa più difficile che potessi fare, ma lo feci.
E i suoi occhi grigi mi riempirono di sentimento.
I capelli bianchi bagnati incorniciavano entrambi i nostri visi.
-Ti amo Malcolm.- ricordo che mi disse.
Poi,la gola andò a fuoco.
Lo stomaco ritornò ad accartocciarsi.
L'esofago vibrava.
La mia gola emetteva gorgoglii simili a ringhi.
Non mi accorsi subito che sanguinavo.
Ma dopo un po' qualcosa di caldo e bagnato mi bagnò il mento.
E allora mi accorsi che le gengive mi dolevano come se fossero state staccate a pezzi e riattaccate alla bell'e meglio.
Mi asciugai con la manica, e qualcosa mi strappò il tessuto.
I miei canini.
Con la lingua cautamente li analizzai, sentendone la punta affilata.
Ricordo che fu piacevole sentirli così lisci e affilati.
Guardavo il vuoto mentre facevo gli accertamenti del caso, ma poi cominciai a connettere le immagini che vedevo col cervello.
Ogni singolo angolo del volto di Ira, le più piccole pelurie bionde sulla mascella, la più piccola vena all'angolo dell'occhio, il rosso della muscolatura sottopelle, erano accessibili ai miei occhi.
Ma io ero in piedi, lontano da lei di due o tre metri.
Questo dettaglio non l'ho descritto, perché nemmeno io ricordo di essermi alzato e allontanato da lei in fretta.
La velocità con cui viaggiavano i miei occhi era assurda.
Per un attimo mi sembrò di avere dei leggeri giramenti di testa.
I canini erano rientrati da soli.
Una specie di carezza alle gengive.
Poi, un'odore buonissimo.
Non familiare, ma come se lo fosse.
Non lo avevo mai sentito,ma sapevo cosa apparteneva quel profumo.
Sangue.
Umano.
Persi ogni interesse per la mia trasformazione.
Mi lanciai verso l'odore.
Non rispondevo delle mie azioni.
Ricordo che in quel momento pensai di essere come un giaguaro che corre i dietro alla sua preda.
Avevo istinti animali.
Non mi rendevo conto di correre velocemente, se non quando, abbassando gli occhi per puro caso, mi accorsi di non toccare terra se non per qualche passo ogni 30.
Una sensazione di libertà.
Adrenalina pura.
Ira mi seguiva.
Mi aveva aspettato per cenare.
E ora avremmo avuto la nostra serata romantica.
Pieno di persone, in piazza.
La mano fredda della mia metà mi teneva fermo, mentre insieme sceglievamo la cena.
Un bambino orfano all'angolo della strada.
I morsi della fame erano indicibili.
Non ricordo granché di ciò che avvenne dopo, se non fosse che mi ritrovai sul bordo del lago, con la mia metà al fianco, mentre il bambino si dimenava spaventato.
-Lasciatemi!- urlava lui.
Povero piccolo.
Lo avremmo salvato.
Non era vita la sua.
-Andrà bene.- diceva Ira, rassicurandolo.
Ma ero troppo affamato.
I canini sbucarono da soli, lacerandomi la carne delle gengive e del labbro.
Il bambino a terra. Io a cavalcioni sopra il suo misero corpo.
Il suo collo...
E mi posai su di lui con la bocca.
-Andrà meglio ora.- dissi, ma le parole erano impastate di saliva e sangue.
E morsi.
Il suono della carne che si strappava.
Il rumore del battito che rimbombava nelle mie orecchie.
Per un attimo ricordo di aver pensato di avere ancora un cuore.
Il gusto del sangue era agrodolce.
Mi riempiva la bocca a getti caldi.
Come se non avessi toccato da bere per anni in un deserto.
Mi era difficile trattenermi.
Il sangue degli innocenti ha un retrogusto dolciastro.
I bambini sanno di sangue e miele.
Le vergini di sangue e fragole.
Gli uomini di sangue e tabacco.
Un ringhio di fame mi fece staccare, e porsi il bambino a Ira, paziente, in attesa.
Fu un dolore fisico staccarsi da quella prelibatezza.
A turno bevemmo e ci dissetammo, mentre il cuore cominciava lentamente a rallentare.
Il sangue stava finendo.
La pelle era più raggrinzita.
Più grigiastra.
Gli occhi erano vitrei.
Privi di vita.
E poi, il suo battito cessò.
Come lo abbandonammo non ricordo.
Dovevamo andare.
Corremmo veloci, verso la foresta.
A casa nostra.
Volavamo inseguiti dall'alba.
Le nostre mani intrecciate.
La pelle fredda, morta, ci rendeva caldi di emozione.
Non c'era altro posto dove avrei voluto stare.
Nascosti dalla letale luce del sole, abbracciati, a prometterci l'eternità, eravamo felici.
È stato un grande passo, ma ci siamo ripromessi le nostre anime dannate con questo gesto.
Può sembrare strano che due morti assetati di sangue possano provare emozioni.
Lo so. Sembra strano anche a me.
Il nostro cuore non batte, le nostre aure sono macchiate di peccato, nel nostro sangue scorre demonio.
Eppure il nostro sentimento ci lega più di ogni altra promessa.
La mia trasformazione è stata sicuramente la fine. E ora c'è un nuovo inizio.
Forse un giorno mi farò raccontare quella di Ira.
A volte mi chiedo se ho sbagliato.
Forse non avrei dovuto farlo, mi dico.
Forse avrei dovuto dimenticarla e ricominciare.
Ma non credo.
Anche adesso, ripensandoci, rifarei tutto.
La mia Ira è il mio tutto, per lei ho pagato il prezzo della dannazione eterna.
Ma se di eterno vi è anche l'amore, questa immortalità non può che essere piacevole.

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