XIII
Con il preziosissimo aiuto, ed il tocco caldo, di Venilla9
Avevamo entrambe riempito gli zaini con poche cose che ci servivano per viaggiare e tante aspettative.
E io non riuscivo a fare a meno di fantasticare su quali fossero quelle di Vale.
Per quanto riguardava le mie, non si trattava solo di divertimento o di dover trovare un locale nuovo dove andare a divertirci una sera, ma di tutta una gamma di emozioni molto più ampia e molto più profonda. Volevo capire veramente quale potesse essere il futuro della mia amicizia con Valeria. E questo mi metteva una gran ansia.
Quel viaggio si profilava come una pietra angolare per il nostro futuro. Sarebbe diventato il metro di paragone di tutte le successive esperienze insieme. Ce ne sarebbero state di migliori o di peggiori, ma sarebbe rimasta quella fondamentale, quella imprescindibile in ogni tipo di racconto che avrebbe riguardato noi due.
Su questo concordavamo entrambe e ce lo eravamo dette diverse volte, dopo aver ricevuto obtorto collo il benestare dei miei. Mi emozionava, e allo stesso tempo mi agitava, l'idea che anche per lei, quella vacanza, fosse una sorta di rito di nuova iniziazione per la nostra amicizia.
Per me, a questo si aggiungevano tutte le remote speranze che qualcosa tra noi potesse cambiare, evolversi rispetto a una semplice amicizia. O che avrei trovato almeno il coraggio di dirle quello che provavo.
Il nostro progetto era quello di viaggiare in treno la mattina per poi passare tutto il resto della giornata a cazzeggiare zaino in spalla, visitare i paesi o le città, prendere il sole e dormire in posti non troppo tremendi, ripartendo la mattina dopo. Da Cervia, lungo l'adriatico fino a Taranto, poi Sibari, per poi risalire dalla sponda tirrenica fino a Genova, poi Milano, Venezia, e ritorno a Cervia in dodici giorni.
Valeria, il fatidico giorno della partenza, fremeva come una bambina che stava per entrare al luna park. I nostri genitori ci salutarono calorosamente, con l'aria più preoccupata che commossa. Li vedemmo scambiarsi brevi commenti mentre ci sistemavamo nei sedili e pensammo che stessero sicuramente parlando male della nostra idea, troppo campata in aria, troppo lasciata al caso.
Ci lasciammo cullare dallo sferragliare del treno, perdendo i nostri sguardi oltre la cornice del finestrino, con una cuffietta del discman ciascuna nelle orecchie e la stessa musica in testa.
Ma a dispetto di ogni previsione, non si rivelò per niente semplice, anzi, fu veramente difficile, perchè scoprimmo di avere un livello di adattamento molto diverso. Una diversa soglia di tolleranza alla fame, alla stanchezza ed alla qualità della pulizia nei posti dove dovevamo dormire.
E poi, detta come va detta, non sopportavo quel suo atteggiamento sopra le righe: non perdeva mai occasione per guardarsi su qualsiasi superficie riflettente, aggiustandosi la maglietta e quello che ci stava sotto. Si appoggiava ai banconi sporgendosi senza motivo, si chinava continuamente a sistemarsi le scarpe, si legava e rilegava i capelli mille volte.
Succhiava qualsiasi bibita bevuta con la cannuccia in maniera volontariamente voluttuosa, continuando a far saettare gli occhi su chi ci stava attorno, in atteggiamento "provocatorio" con i maschi, non necessariamente nostri coetanei.
Da ragazzina con mille paranoie rispetto a come gli altri la vedevano e giudicavano, si era trasformata in una che andava a caccia di sguardi, in una spasmodica ricerca di attenzioni. Probabilmente avevo anche io la mia fetta di colpa per come era diventata, visto il modo in cui l'avevo tormentata per farle riprendere consapevolezza. Il resto l'aveva fatto la natura, trasformandola da macilenta copia di Mercoledì Addams in una ragazza splendida.
E così, incanalai il rimorso per aver fatto la mia parte iniziando a fare (stento a credere alle mie parole) quella che la riprendeva, ricordandole che avere quegli atteggiamenti non era sano nei confronti di Trik. Ma lei mi ignorava o ribatteva che non ero sua madre, ed io sentivo crollare le ultime speranze di portarla vicino a me. Tutti i suoi atteggiamenti erano riservati ai maschi.
Litigammo. Praticamente per tutto, persino per gli orari di partenza alla mattina, per l'ordine con cui fare la doccia la sera, per l'ora in cui andare a mangiare.
Battibeccammo addirittura su quale letto occupare, una volta.
Era sempre nervosa e a volte mi sembrava che dicesse le cose giusto per contraddirmi. Ben presto finii per fare altrettanto, in una continua sfida a chi metteva più in difficoltà l'altra.
Tutto esplose a Firenze, dopo appena una settimana. Non si sentiva bene per aver preso troppa pioggia a Roma il giorno prima, in cui si era ostinata a camminare in shorts minimi e camicetta aperta in maniera indegna.
Trascinava svogliatamente i passi al mio seguito, l'umore cupo come il cielo sulle nostre teste. Tirava su con il naso e miagolava in continuazione il suo malessere, ma la conoscevo fin troppo bene per non sapere che in realtà era solo infastidita dal dover tenere necessariamente addosso il Kway, che le impediva di fare bella mostra del suo corpo come avrebbe voluto.
Trovammo un albergo non lontano dalla stazione, decisamente poco invitante. Mi costò enormi sforzi convincerla a rimanere, a non perdere altro tempo, ma quando fummo in camera, si sedette al centro del letto a gambe incrociate e, sbuffando, dichiarò che non se la sentiva di fare nulla.
«Nulla? Cioè, prima rompi che l'albergo fa schifo, e poi vuoi stare chiusa qui in questa topaia fino a domani?».
«Tanto, con questo tempo non c'è nessuno in giro!» replicò lanciando teatralmente gli occhi al soffitto per la milionesima volta nell'arco di quella mezza giornata. «E poi ti ho già detto che non mi sento bene, c'è bisogno che vedi la cartella clinica, cazzo?».
Mi agitai, perché non stava andando per nulla come immaginavamo. Le belle speranze erano finite già dopo due giorni, lasciando posto solo a incomprensioni, battibecchi e litigi. I vestiti per andare a fare furore a ballare in giro se ne stavano ancora ben riposti in fondo agli zaini, inutilizzati.
«Sai che c'è? Vado a farmelo da sola un giro per questa città, dato che ci sono.»
«Vai, vai. Tanto sei così. Te vai, non ti fermi, come un treno. Che io ci sia o no non ti cambia un cazzo. Anzi, sono un peso e lo fai vedere tutto. Sai cosa facciamo? Che me ne torno a casa e vaffanculo Stefy, fattela da sola sta vacanza. E' dal primo giorno che ti atteggi a mammina scandalizzata, come se non fossi tu quella che per mesi mi ha assillato con "a Barcellona ho fatto questo, a Barcellona ho fatto quello". Beh, sai che ti dico? Vai e continua per i cazzi tuoi!» mi sputò addosso, alzando la voce ad ogni parola.
«E cosa dovrei fare, mh? Dovrei fare come te, che ti lamenti per ogni dannata cosa dalla mattina alla sera? Dovrei passare tutto il tempo a criticare ogni cazzo di dettaglio? Da quando siamo partite, non hai fatto altro che dire nero quando io dicevo bianco, così a prescindere. Ti sei divertita, almeno? Guarda come sei ridicola: adesso usi la scusa del brutto tempo, mentre solo ieri dicevi cazzo stiamo qui a Termini che è pieno di gentaccia, cerchiamo un albergo, non piove molto!»
«Che stronza che sei, avevi detto che eri d'accordo! Adesso hai cambiato idea perchè io non sto bene e a te ti frega solo di andare in giro a farti i cazzi tuoi».
«Ma smettila, lo sai che non è perchè stai male che stai chiusa qui!».
«Ma cosa ne sai?! Ho passato tutta l'estate e tutto quest'inverno a venire da te che eri murata in casa, ti sono stata vicino nell'unico posto dove potevi stare, e tu, alla prima occasione, ciao! Bella amica di merda».
«Hai ragione» mi tremò la voce, «rimpiango Barcellona. Cazzo, e io solo so che corsa ho dovuto fare per venire da te, cazzo! La corsa! La corsa, capito?! Corsa! Ho dormito in chiesa, ho contrattato con degli immigrati, mi sono venduta un telefono, sono stata dentro un treno che prendeva fuoco, ho dormito assieme a una che conoscevo da mezza giornata! Pur di tornare da te per il tuo compleanno del cazzo! Perchè te lo avevo promesso. Capito, stronza?!»
Le ero talmente sotto il naso con l'indice alzato che mi sembrò di vedere il movimento sforzato dell'aria che usciva dalle sue narici arrossate. Gli occhi piantati nei miei con uno sdegno e una rabbia che non avevo mai visto in lei.
Crollò tutto, crollò la mia idea che quella amicizia potesse continuare. Quella vacanza che doveva essere una pietra angolare, invece si stava dimostrando il granello che inceppava tutto.
E la baciai. Mi tuffai sulla sua bocca pensando "vaffanculo, siamo già ex amiche, peggio di così non può andare".
E lei mi si avvinghiò addosso, mi passò le braccia dietro al collo e mi aggredì con le labbra. Schiuse le mie a forza e si spinse con tutto il corpo contro di me buttandomi sul letto a fianco a lei e poi sotto di lei, premendosi su di me e creando la frizione che cercava. Completamente sorpresa da tutto quello, facevo persino fatica a riprendere il respiro, la sua lingua metteva all'angolo la mia invadendo la mia bocca come mai avrei immaginato.
Le toccai tutto il corpo, impaziente le abbassai tutto quello che potevo abbassarle con le mani mentre le sue dita mi torturavano i capelli e i nostri seni si scontravano come se fossero in guerra, peggiorando terribilmente la situazione. E poi spinsi le mie mani dove avrei voluto spingerle ogni singolo giorno nell'ultimo anno, trovando ben poca resistenza.
«Che cazzo stai facendo, Stefy?» ansimò.
«Ti amo, e adesso stai zitta, stronza» le risposi, buttandomi a capofitto con il viso tra le sue gambe. Tentò di allontanarmi con frenesia, come se l'attimo prima non mi avesse divorato le labbra e non si fosse strusciata su di me.
«Stefy piantala! Piantala non lo voglio, piantala!» gemette, con la voce sul punto di rompersi.
Ma non le risposi nemmeno, sapevo che in fondo lo voleva anche lei, semplicemente non lo accettava, perciò continuai a lapparle e succhiarle furiosamente il clitoride, fino a sentire le sue mani passare dalla resistenza all'attrazione e la sua intimità sempre più piena di umori.
Mi lasciò fare e infine mi cercò, continuando a dire frasi di opposizione che erano solo parole vuote, e io diedi fondo a tutta la mia frustrazione accumulata in un anno. Non fu romantico, non fu dolce, fu una combinazione di sfogo e passione con cui la investii fino a che non la sentii emettere gemiti sconvolti che solo nelle mie fantasie più spinte avevo sognato.
Sentivo che si aggrappava alle coperte quando aumentavo la velocità, come le stringeva mentre gemeva, urlava il mio nome sempre più vicina all'orgasmo. Era tutto ciò che avevo sognato: Esplorarla, andare più lentamente solo per il gusto di sentire come cedeva a me. E mi chiedevo se lei, anche solo una volta nella sua vita, si fosse mai immaginata tutto questo.
La feci venire dato che era una tortura anche per me, mi bagnò completamente le labbra, che mi leccai prima di baciarla quella che probabilmente sarebbe stata l'ultima volta.
Quando mi staccai ero stravolta quanto lei, entrambe con le guance rosse e con i capelli pieni di nodi. Nel suo sguardo lessi uno stupore che mi riempì il cuore, lo sentivo martellare dentro il petto, martellare per lei.
«Mi ami davvero?» mi chiese, con voce titubante.
«Si, non sai quanto, non hai un'idea! Non sai quanto ho sofferto a far finta di niente, non sai quanto ho avuto paura di dirlo, cazzo, ma ti amo».
La abbracciai. Mi abbracciò meccanicamente, facendo crescere in me l'idea che forse non riuscisse a visualizzare quel sentimento, tra noi due. Precipitai in una certa confusione, lo confesso. Così feci la scelta più sbagliata delle mia vita fino a quel momento.
Pensando che avesse bisogno di riflettere, dissi che andavo a fare la doccia.
****
Mentre ero sotto al getto, ripensando alla follia di quel tempo appena trascorso addosso a lei, la sentii parlare al telefono, poi sentii una porta chiudersi.
«Vale?» chiamai, già in agitazione.
Nessuna risposta, corsi fuori dalla doccia ancora grondante, precipitandomi fuori dal bagno, chiamandola. Ma non c'era traccia. Se n'era andata.
Mi asciugai in fretta, in tremenda fretta, cercando di chiamarla, ma non rispose a nessuna delle mie svariate chiamate. Piansi mentre urlavo contro il telefono che suonava libero, la maledissi, corsi alla stazione percorrendola come una pazza su e giù per cercarla. Ma nulla.
Scomparsa dalla mia vita.
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