XI

Il mattino dopo partimmo per la gita a Roma: un lungo viaggio in pullman dove cercai di essere più amichevole del solito con le mie compagne che nella vita di tutti i giorni cagavo abbastanza poco: erano delle suonate che parlavano continuamente di boys band e tipi che facevano gli attori, come secondo argomento avevano il gossip locale che era interessante come un documentario su come vengono fatte le graffette.

Annalisa era la Regina di queste cose, era una ragazza incapace di stare con i piedi per terra, ritagliava fotomodelli dai giornali e se li teneva nel diario, snobbando i coetanei. Aveva un bel fisico, magro e mediterraneo, ma l'aria di chi ti fa cadere tutto dall'alto. Era la personificazione della parola "snob".

Simona era la sua degna compare: la sua merce di scambio erano i pettegolezzi, te ne raccontava uno per averne in cambio uno e mezzo o due. Da lei avevo saputo alcune cose di Teodorani, e sapevo anche che lei contribuiva alla mia nomea di visitatrice di bagni maschili. Ma come diceva mio nonno "non si ammazzano i ladri di polli". Il fatto che le avessi chiesto di Teodorani le aveva acceso una luce negli occhi, come se anche io fossi finalmente entrata nel suo magico mondo del gossip.

La terza compagna di stanza era una ragazza minuta che abitava in un paesino tra Cesena e Bellaria. Si chiamava Sonia e delle tre era la più accettabile anche se aveva un tremendo accento romagnolo. So che tutte avevamo l'accento romagnolo, ma vi assicuro che il suo si sentiva molto.

Questo era quello che mi aspettava per quei tre giorni a Roma. E pur tuttavia sentivo che era necessario sfruttare quel momento, anche perchè sarebbe stato un modo perfetto per non pensare a Vale, a Riccardo e a tutto il resto. Dovevo approfittarne a costo di mascherare la mia insofferenza per molti degli atteggiamenti delle mie compagne di scuola.

Arrivati nell'anonimo albergo di una località del lungomare romano, salimmo alle camere. La nostra era una stanza piuttosto piccola, adattata a quadrupla con circa cinquanta centimetri tra un letto e l'altro. Il mobilio era vecchio, in laminato finto legno sui toni dell'abete, il bagno era altrettanto piccolo, con mattonelle bianche piuttosto dozzinali, una doccia che non stava nemmeno perfettamente chiusa, ed un miscelatore che appena veniva toccato passava da acqua ghiacciata ad ustionante.

Era la prima notte che passavo sola in una stanza da letto con delle ragazze diverse da Vale. Pensai a lungo a questa cosa, mentre sistemavamo i bagagli e le altre tre facevano battute imitando l'accento fortemente romano del tizio alla reception. Non litigai nemmeno per i letti, feci scegliere a loro dove preferivano dormire, e loro litigarono facendo a cuscinate.

Poi si cambiarono le magliette sudate dal viaggio e dalla lotta, e io guardai. Le osservai senza farmi troppo notare. Cosa avrei dovuto fare della mia vita sentimentale, dopo aver messo una pietra sopra Vale? Forse trovare un'altra Vale nelle ragazze a me vicine? O bollare quell'esperienza come una alterazione della "normalità", e ricominciare a flirtare con i ragazzi?

Sonia aveva un corpo grazioso, che strideva molto con i suoi modi di fare assai immediati e poco filtrati, una pancia piuttosto piatta, e un sorriso molto contagioso, delle tre era quella che forse rideva più spesso.

«Certo Stefy che ti odio per le tette che hai, le vorrei io» mi disse proprio lei, riportandomi brutalmente sulla terra.

Le altre due risero a denti stretti, aspettando la mia replica. Mi limitai a dire «Beh io non ti odio, le mie tette piacciono anche a me, yuhu!».

Me le tirai su gioiosamente, per stare al gioco, e questo in un certo senso migliorò l'atmosfera di quella camera. Così, tutte le paranoie che mi ero costruita, e gli appunti mentali che mi ero fatta per evitare di incappare in tensioni di stanza, praticamente svanirono.

E guardai le mie compagne, così come guardai altre compagne nelle due sere della gita, vagando di stanza in stanza, dicendo idiozie, venendo disturbate dai pochissimi ragazzi che erano presenti nelle classi, e che si approfittavano di quello status per proporre giochi idioti come il gioco della bottiglia.

«Si, però se capitano due maschi, vi baciate lo stesso!»

«Tanto è più facile che si bacino due tipe, siete in maggioranza, sono venuto apposta al Macrelli» mi rispose Vittorio, che effettivamente si era iscritto nella nostra scuola per stare in mezzo a delle ragazze.

Non volendo ritrovarmi da sola a giocare alla bottiglia con cinque maschi, gli feci il medio e tornai a cazzeggiare sui micro balconi, guardando le mie compagne in canotta o maglietta, che si godevano la temperatura mite della sera tirrenica. Spogliate degli abiti scolastici, rilassate dall'aria della gita, mi sembrarono meno distanti, in alcuni casi meno sgradevoli.

Feci pensieri generici sebbene erotici, trovandomi però a dover lottare con le immagini delle mie compagne che si trasformavano il Vale, così come lo aveva fatto l'immagine di Melanie a Barcellona. Stavo scivolando su una china che non volevo percorrere, così alla prima occasione, quando sentii parlare di sesso, con molta calma raccontai la mia vicenda irlandese, con dovizia di particolari ma senza fare la spavalda, quasi come se stessi parlando di una scelta sciocca, fatta un po' in fretta.

Loro ovviamente si interessarono molto, collegandoci le voci che circolavano su di me e sui bagni dei maschi, con calma olimpica spiegai tutto, ovviamente senza menzionare i sentimenti per Vale e la storia con Melanie. Ridemmo molto, soprattutto sulle storie legate a Barcellona, ed io alla fine mi sentii più leggera. Incrociai lo sguardo un paio di volte con Sonia, ma non ci vidi nulla.

E quella notte mi masturbai, molto. Consapevole di stare facendo un po' troppo rumore, ma non mi importava, avevo bisogno di qualcosa che mi facesse stare bene nell'immediato, anche se sapevo che, finito tutto, i problemi non sarebbero scomparsi.

****

Che poi, a dire la verità, questa specie di fidanzamento non fu tragico per il nostro rapporto: Vale e "Trik" come si faceva chiamare Teodorani, si vedevano poco. Lei non lo aveva nemmeno detto a casa per paura che iniziassero ad indagare e si scoprisse che non era il fidanzato distinto e studioso che i genitori si aspettavano.

«Quindi riassumiamo, signorina Pisani: va a ballare di nascosto, limona di nascosto, che altro farà di nascosto? Non andiamo tanto bene, signorina Pisani» la presi in giro quando scoprii che Trik era semplicemente uno dei visi della foto di classe, per i genitori di lei.

«Smettila! Già mi sento in colpa per tutte queste cose, non ti ci mettere».

«Ma prima o poi ce lo dovrai portare a casa».

«No dai, cambiamo argomento, mi mette ansia».

"Non dirlo a me" avrei voluto rispondere. Ma lo tenni per me, preferendo parlare di ultimi pezzi che avevo sentito per radio, e organizzare le prossime uscite nostre a ballare. E l'entusiasmo che mi restituì nel parlare di quelle cose mi fece rilassare: era la solita Vale, la mia amica del cuore, e me lo feci bastare.

Il primo Maggio eravamo a casa mia a guardare il Concertone, giusto perchè stavano suonando i Bluvertigo. Fuori le nuvole passavano rapide ed il vento era piuttosto fastidioso.

«Stefy ma allora dove andiamo per la vacanza zaino in spalla?».

«Oh, quindi la vuoi fare» risposi, quasi sorpresa.

«Certo che la voglio fare. Tanto Riccardo non viene di sicuro a fare il terzo incomodo».

Continuavano a vedersi in maniera rarefatta, ed anche un paio di pomeriggi che avevamo passato a Cesena si erano risolti semplicemente in loro due che si vedevano sotto i portici, due baci e due abbracci, dieci minuti a guardarli ballare e poi ognuno per la sua strada. Anche se in realtà Fabio continuava a guardarmi il seno, sorridermi in maniera esagerata e indicarmi quando gli riuscivano figure particolarmente elaborate.

Sabato 13 maggio, Vale si presentò a casa mia con una manata di guide turistiche prese in biblioteca, un block notes e una eccitazione ulteriore rispetto a quella solita nelle serate in cui andavamo a ballare.

«Ok, decidiamo l'itinerario» disse, piazzandosi al tavolo della cucina.

Ci immergemmo in percorsi splendidi su e giù per le Alpi e gli Appennini, fantasticando di andare oltre: Francia, Spagna, Grecia.

«Vale, non ci allarghiamo, che poi non abbiamo i soldi e ci tocca scrostare i cessi della stazione per tirare su due lire» le dissi, prendendola in giro.

«Ma sei stata un mese a Barselona senza spendere una lira!» replicò, tirandomi una gomma. E finimmo a fare a cuscinate sul divano, ansimanti.

Come sarei sopravvissuta ad una vacanza zaino in spalla con nessuno attorno se non lei, una settimana, quindici giorni o chissà quanto aveva in mente? Le guardavo il corpo accaldato dalla lotta, e immaginavo le cose più assurde, che ve lo giuro, in alcuni momenti mi sembrava di arrossire per i miei stessi pensieri.

E forse proprio per quello, volevo fare quella vacanza. Volevo avere l'ennesima possibilità di rimanere con lei, magari avrei trovato il coraggio per lo meno di dire quello che provavo. Non lo so, avevo un gran casino in testa.

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