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Francesca

5 anni 26 settembre 2000

Il vento soffiava leggero, facendo danzare le tende della mia stanza mentre osservavo Daniel correre felice tra i giardini del castello. Il sole illuminava i suoi capelli scuri, gli stessi di Richard, e i suoi occhi brillavano come stelle mentre rideva, rincorrendo le farfalle che volteggiavano tra le rose. Era il mio piccolo principe, il mio miracolo.

Cinque anni. Cinque anni da quella notte in cui la morte aveva sfiorato la mia pelle fredda, sussurrandomi promesse di oblio. Mi aveva trascinata nel suo abbraccio nero, mi aveva spinto oltre il limite, ma non mi aveva portata via. Non poteva. Perché Daniel aveva bisogno di me. Perché Richard aveva bisogno di me.

Richard.

Sorrisi mentre lui si avvicinava, il suo sguardo intenso posato su di me come un marchio. Il tempo non aveva cancellato nulla tra noi. Il desiderio, la passione, il tormento, tutto ardeva ancora come fuoco sotto la pelle. Mi baciò la guancia, le sue labbra calde e familiari, e mi accarezzò il ventre con una delicatezza che contrastava con la sua natura oscura.

Ero di nuovo incinta.

Un altro bambino. Un’altra anima che sarebbe cresciuta nel nostro mondo fatto di ombre e luce, di amore e distruzione.

«Stai bene?» La sua voce era un sussurro contro la mia pelle.

Annuii, ma dentro di me sapevo che la felicità era fragile. Perché il passato non muore mai davvero. Perché l’oscurità che ci aveva avvolti un tempo non ci aveva mai davvero lasciati andare.

Guardai il castello alle mie spalle, il regno che mio padre mi aveva restituito. Dopo anni di guerra, di sangue, di perdite, ora tutto era nelle mie mani. Ero l’imperatrice, la donna che un tempo aveva rinunciato a tutto per seguire il proprio cuore. Ora avevo entrambi. Il potere e l’amore.

Ma a quale prezzo?

Richard intrecciò le sue dita alle mie e insieme osservammo Daniel giocare. Il nostro futuro. Il nostro erede.

Il sole tramontava all’orizzonte, tingendo il cielo di rosso e oro. Un presagio? Un segno? O solo la bellezza crudele del destino che si dipingeva davanti a noi?

Sospirai, chiudendo gli occhi per un istante.

Daniel mi guardava con i suoi grandi occhi scuri, così simili a quelli di suo padre, e io mi sentii per un momento sopraffatta dall'amore che provavo per lui. Lo abbracciai forte, inspirando il profumo dei suoi capelli, il profumo della mia famiglia, della mia vita.

Richard ci osservava con quel suo sorriso storto, quell’espressione che solo io sapevo leggere davvero. Era cambiato in questi cinque anni. Non era più l’uomo perso nel caos, nella rabbia, nell’oscurità. Adesso era un padre amorevole, un marito presente, un uomo che cercava di costruire qualcosa di diverso, di più stabile. Certo, restava pur sempre Richard. Continuava a fumare, ma con moderazione, e ogni tanto lasciava emergere il suo lato più oscuro. Ma per Daniel, per me, aveva trovato un equilibrio.

Questi cinque anni avevano cambiato tutti noi. La famiglia si era allargata, nuove vite erano nate, nuove alleanze erano state forgiate. I miei gemelli, Francesco e Antonio, erano arrivati come un dono, due piccole tempeste pronte a stravolgere tutto. Mio padre, dopo anni di solitudine e peccati, aveva deciso di sposare Vera, una donna forte, capace di tenergli testa. Con lei, le sue figlie avevano trovato un posto in questo mondo fatto di potere e sangue.

Una di loro, mia sorellastra, aveva sposato Mattheo, un boss potente, un uomo con cui era meglio non scherzare. I loro figli, Antonio e Salvatore, erano già destinati a grandi cose.

E poi c’era Saverio, mio fratello. Lui aveva avuto due bambini, ma il modo in cui erano venuti al mondo era stato… particolare. Jeffrey, il migliore amico di Richard, aveva condiviso il letto con mia sorella Maria per un solo motivo: avere dei figli. Non c’era stato amore tra loro, solo un accordo silenzioso. Francesco é nati, e ora cresceva con il peso di un cognome che significava tanto, forse troppo.

Richard mi guardava come se fossi di vetro, fragile, pronta a spezzarmi da un momento all’altro. Ogni piccolo movimento, ogni respiro più affannato, lo faceva tendere come una corda pronta a spezzarsi. Forse esagerava, ma dopo tutto quello che avevamo passato, come potevo biasimarlo?

Questa gravidanza era stata un miracolo. Dopo Daniel, dopo i problemi, dopo le notti passate a piangere in silenzio per la paura di non poter più avere figli, Kiara era arrivata. E ora, dentro di me, cresceva nostra figlia. Richard diceva sempre che sarebbe stata una guerriera, una vera regina. Io sorridevo, annuivo, ma nel profondo... nel profondo avevo paura.

La maledizione.

Non ci avevo mai creduto davvero, almeno non fino a quando quella donna, Cleopatra, era apparsa nelle nostre vite. Diceva che il nostro sangue era maledetto, che nessuna donna della nostra famiglia avrebbe mai avuto una vita felice. Io non l’avevo mai ascoltata. Richard sì. E ogni volta che il destino sembrava metterci alla prova, vedevo il dubbio nei suoi occhi.

Ma Cleopatra non c’era più.

L’avevo mandata via. Lontano da noi, lontano dalla mia famiglia. Nessuno avrebbe deciso il mio destino al posto mio.

Richard mi sfiorò la pancia con delicatezza, gli occhi che si riempivano di una dolcezza che pochi conoscevano.
«Kiara…»  sussurrò, quasi con reverenza.

Era il suo sogno. Una figlia da proteggere, una bambina da crescere e amare. E io… io volevo solo che fosse felice. Che fosse libera da ogni ombra del passato.

Mi alzai, con il suo aiuto, e mi lasciai stringere tra le sue braccia. Il vento portava con sé l’odore della pioggia in arrivo, mentre la notte si stendeva su di noi.

Era tutto perfetto.

Ma sapevo che la perfezione, per noi, era solo il preludio della tempesta.

Sorrisi dolcemente, osservando Daniel mentre stringeva il pallone tra le mani con l'entusiasmo tipico dei bambini. Il sole si rifletteva nei suoi capelli scuri, illuminandoli con sfumature dorate.

«Andiamo, Daniel»  dissi con voce calma, accarezzandogli la testa.

Lui, però, arricciò il naso e scosse la testa con decisione.

«No dai!»  protestò, stringendo ancora di più il pallone al petto. «Voglio stare ancora un po’ qui, mamma!»

Incrociò le braccia sul petto in un gesto di ostinazione, guardandomi con occhi brillanti di ribellione.

«Amore, mamma deve riposarsi» cercai di convincerlo con dolcezza, posando una mano sulla mia pancia, dove Kiara cresceva ogni giorno di più.

Ma lui non voleva sentire ragioni. Fece un passo indietro, poi un altro, e prima che potessi fermarlo, si voltò e corse nel prato ridendo.

«Daniel!» esclamai, scuotendo la testa con un sorriso divertito.

Non feci in tempo a muovermi che Richard, con la sua velocità fulminea, lo afferrò e, con un gesto deciso, se lo mise sulle spalle come un sacco di patate.

«Sei un bambino molto monello, lo sai?»  disse, ridendo mentre Daniel si dimenava ridendo a sua volta.

«Papà, giù! Giù!» protestò tra le risate, cercando di liberarsi.

Richard mi guardò con un sorriso complice, e in quel momento sentii una pace profonda dentro di me. Eravamo una famiglia. Finalmente, dopo tutto il dolore, dopo tutte le tempeste, avevamo trovato la nostra felicità.

Entro nel castello, il cuore che batteva forte, mentre cercavo di nascondere il respiro affannoso. Ogni passo mi sembrava un peso e, nonostante cercassi di camminare con naturalezza, il dolore alla schiena e al ventre non accennava a svanire. Mi appoggiai a una colonna, la mano che sfiorava il marmo freddo, cercando di trovare un po' di respiro, ma ogni muscolo sembrava stanco, pesante.

«Richard...» sussurrai, la voce quasi impercettibile, ma il suo nome riempii la stanza, rotolando tra le pareti vuote.

Lui si voltò immediatamente, il suo volto segnato dalla preoccupazione. I suoi occhi scuri, sempre così intensi, si fissarono sui miei, cercando di capire, di leggere in me la verità dietro quel silenzio doloroso.

«Fanny...» disse, il suo tono grave, facendo un passo verso di me. «Stai bene?»

Mi fece scivolare una mano sulla fronte, scrutandomi in viso. Non riuscivo a nascondere quanto fossi debole, quanto mi facesse male tutto, ma non volevo sembrare fragile.

Poi, con uno scatto, urlò, la sua voce che ruppe il silenzio inquietante del castello.

«Guardia!» ordinò, il comando che riecheggiava nei corridoi. «Portate Daniel nella sua camera!»

Non aspettò risposta, come se fosse pronto a combattere per proteggere tutto ciò che amava. I suoi occhi erano pieni di rabbia, ma dietro quella furia c’era solo il desiderio di tenermi al sicuro. La guardia arrivò quasi immediatamente e, con un gesto rapido, Daniel fu preso in braccio, portato via tra le mani forti dei soldati.

Richard mi guardò, il suo respiro pesante, ma la sua preoccupazione non accennava a svanire. Mi prese la mano con delicatezza, come se teme che potessi frantumarmi con un solo gesto brusco. Mi accompagnò nella nostra camera, ogni passo che facevamo insieme, il peso del dolore sembrava farsi più leggero, anche se la fatica era sempre presente.

Quando arrivammo, mi fece sdraiare sul letto, le lenzuola fredde sotto di me. Mi guardò un'ultima volta, come se stesse cercando la forza di affrontare ciò che stava per accadere. Poi si chinò, sfiorando delicatamente la mia pancia con le labbra.

«È tutto ok... Ora...» disse, la voce rotta da un'intensità che non riusciva a nascondere. La sua mano accarezzò il mio ventre, come se volesse scacciare ogni paura, ogni pensiero oscuro che potesse venire a minare la nostra felicità.

Sospirai, il suo bacio sulla pelle mi fece sentire sicura, ma non riuscivo a smettere di pensare a quello che c'era stato prima. Alla maledizione, alla lotta, ai sacrifici. Ma sapevo che, in quel momento, Richard sarebbe stato lì per me, come sempre.

La stanza sembrava stringersi attorno a me, l'aria diventava sempre più densa, mentre il dolore si faceva sempre più forte. Le contrazioni arrivavano a ondate, ogni spasmo più intenso del precedente. La bambina dentro di me scalciava, come se volesse uscire, come se non potesse più aspettare. Sentivo il battito accelerato nel petto, la mia respirazione diventata affannosa, quasi come se l'aria mi sfuggisse dalle mani.

«Richard...» Sussurrai, la voce tremante, quasi soffocata. «Ti prego... chiamala... chiamala... la dottoressa... Non riesco a respirare..»

Ogni parola era un lamento, un urlo soffocato che si perdeva tra il mio fiato corto. Richard mi guardò, il suo viso segnato dalla paura, i suoi occhi scuri colmi di ansia. Senza pensarci due volte, prese il telefono con mani tremanti, la sua voce ferma quando parlò con la dottoressa, ma il timore che gli brillava negli occhi non sfuggì al mio sguardo.

Il dolore cresceva, la mia mente si perdeva nei vortici di sensazioni che non riuscivo più a controllare. La pancia, che una volta mi sembrava un luogo di protezione, ora mi opprimeva, un peso insostenibile che non riuscivo a scrollarmi di dosso. La bambina, lì dentro, sembrava voler uscire subito, come se il tempo non fosse più dalla nostra parte.

«Amore, fai un respiro profondo,» mi disse Richard, ma la sua voce era un sussurro, come se anche lui avesse paura di rompere il fragile silenzio che ci circondava. «Lei è forte, tu sei forte. Ce la faremo.»

Ma il mio corpo sembrava non ascoltare le sue parole. Ogni respiro che cercavo di prendere si faceva più corto, più affannoso, e la sensazione di soffocare mi sovrastava. La pancia si contrasse di nuovo, e stavolta fu come una pugnalata diretta. Il sudore mi bagnava la fronte, mentre sentivo una morsa stringermi la vita.

Il dolore mi paralizzava, ma la presenza di Richard accanto a me mi dava quel minimo di conforto che riuscivo a strappare a quella maledizione di sofferenza. Non ero più sola. Anche se il mondo intorno a me sembrava diventare sempre più buio, sentivo la sua mano stretta alla mia, il suo tocco caldo sulla pelle.

Poi, finalmente, sentii la porta aprirsi, e una voce familiare mi chiamò.

«Francesca!» La dottoressa era entrata di corsa nella stanza, il suo sguardo rapido e deciso. «Cosa sta succedendo? Richard, hai chiamato?»

Richard, che sembrava sollevato, annuì con vigore. «Sì, è tutto pronto. Non riesce a respirare bene. La bambina... sta... scalciando forte.»

La dottoressa si avvicinò velocemente al letto, mettendo una mano sulla mia pancia per sentirne i movimenti. «Francesca, devi cercare di rimanere calma,» disse con tono deciso ma rassicurante. «La tua bambina sta bene, è solo che il travaglio è molto forte. Respira lentamente e cerca di rilassarti. Ti aiuterò, promesso.»

Sentivo che le sue parole erano sincere, ma il terrore che mi serpeggiava dentro non se ne andava. Richard mi guardava, i suoi occhi pieni di preoccupazione, ma anche di una forza incredibile che mi faceva sentire protetta. «Vai avanti, amore,» disse, il suo respiro ancora affannato, ma deciso. «Fai quello che devi fare. Io sono qui.»

Sospirai, cercando di concentrarmi sulla sua voce, sul suo amore che mi circondava. Mentre la dottoressa si preparava, il dolore aumentava ancora, ma in qualche modo, le sue parole e la sua presenza riuscivano a calmarmi, anche se solo per un attimo.

«Ti amo, Fanny,» mi disse Richard, mentre la dottoressa si preparava per il parto. «Andrà tutto bene. Te lo prometto.»

Mi sentivo completamente persa. Ogni respiro era una lotta contro il mio stesso corpo. Le contrazioni sembravano inarrestabili, ogni spasmo un pugno al cuore, ogni battito del mio cuore un colpo alla testa. Il sangue che continuava a uscire, le urla soffocate, i singhiozzi che mi facevano sentire come se stessi annegando.

«Francesca, devi resistere, la tua bambina sta arrivando,» la voce della dottoressa penetrò il buio che mi stava avvolgendo, ma non riuscivo più a sentirla come prima. Il dolore mi paralizzava, mi faceva dimenticare dove fossi.

Richard era accanto a me, come sempre, la sua mano che mi stringeva la mia, ma non riuscivo più a percepirla come una presenza solida. Sentivo che stava soffrendo quanto me, ma non potevo fare nulla. Non riuscivo a fare nulla.

«Respira, amore. Concentrati su di me. Respira.» La sua voce tremava mentre mi guardava, la sua espressione contorta dalla paura, ma il suo amore non era mai stato così evidente. Mi guardava con quegli occhi che avevano visto tutto di me, ma ora non riuscivano a tenermi al sicuro.

«Richard...» Sussurrai, la voce rotta, «Ti prego... » Eppure non c'era più nulla che potessi dire. Sentivo che il mio corpo stava lentamente abbandonandomi. La mia mente stava affondando nel buio, e i ricordi cominciavano a diventare sfocati, lontani. Mi sembrava di stare dentro un sogno, uno di quei sogni in cui ti senti impotente e incapace di svegliarti.

La dottoressa continuava a lavorare, ma la sua faccia cominciava a farsi più tesa, mentre si concentrava sul parto. Richard, nel frattempo, non staccava gli occhi da me, il suo respiro affannoso, ma non mi diceva nulla. La sua presenza era come una roccia nella tempesta. Non c'erano parole che potessero consolarci, ma i suoi occhi erano più forti di qualsiasi cosa potesse uscire dalla sua bocca. Mi guardava, come se stesse cercando di imprimere ogni dettaglio del mio volto nel suo cuore.

Ogni movimento della dottoressa, ogni suono che proveniva dalla stanza sembrava distorto, lontano. E poi, un urlo di una vita che si stava strappando dal mio corpo. Era finita. La bambina era fuori. Il piccolo essere che avevo portato dentro di me per nove mesi era finalmente qui.

Mi sentivo svuotata. Un vuoto profondo si era aperto dentro di me, ma quando la dottoressa mi mise la bambina tra le braccia, il mondo sembrò fermarsi. La guardai, piccola e perfetta, con la pelle delicata e le mani che cercavano di afferrare qualcosa, mentre il suo pianto straziava il silenzio della stanza. La guardai e la strinsi al petto, la sua testa piccola poggiata contro di me, il suo respiro calmo che iniziava a prendere ritmo.

La baciai sulla fronte, le labbra tremanti per l’emozione e il dolore. «Ti amo, piccola,» sussurrai, il cuore in tumulto. Eppure c'era qualcosa dentro di me che mi diceva che non avrei mai avuto abbastanza tempo per darle tutto l'amore che merita.

Mi guardai attorno, cercando di concentrarmi su Richard, ma la realtà cominciava a sfumare. La dottoressa non smetteva di guardarmi con preoccupazione, ma non riuscivo a percepire pienamente le sue parole. Il sangue continuava a fluire, troppo, troppo per il mio corpo che ormai non rispondeva più. La sensazione di debolezza mi paralizzò, mentre il sangue che perdevo sembrava essermi sottratto dalla vita stessa. Non avevo più forze.

Richard, vedendo il mio volto diventare pallido, si accorse che qualcosa non andava. La sua mano si strinse attorno al mio braccio, ma non riuscì a fermare il tremore che attraversava la mia pelle. La dottoressa continuava a parlare, ma le sue parole suonavano lontane, come se venissero da un'altra dimensione.

«Richard, amore...» La mia voce era appena un filo di respiro. «Devi dire ai nostri figli che li amo... che sono persone magnifiche... e che... non farmi dimenticare... non farmi dimenticare Daniel...»

Il mio corpo si stava spegnendo, il cuore che batteva con sempre meno forza. Ogni battito sembrava un'agonia, ma lo sapevo. Sapevo che non ce l'avrei fatta. La vita mi stava sfuggendo, come una fiamma che si spegne sotto il vento freddo. Eppure, il mio ultimo pensiero fu per loro: per Daniel, il mio amore, e per la piccola Kiara che ora avevo fra le braccia.

«Non puoi lasciarmi, Fanny, ti prego,» la voce di Richard mi penetrò come un colpo al cuore. «Devi restare con noi.» Ma io sapevo che non c'era più nulla che potesse tenermi legata a questa terra. E non mi importava più.

Le sue mani erano forti, ma il suo viso era rigato dalle lacrime. Le sue labbra tremavano, e il dolore che leggevo nei suoi occhi mi distruggeva. Eppure, la morte non era mai stata così dolce, come se il mio amore per lui e per i miei figli fosse stato l'unico legame che mi legava ancora alla vita.

«Richard... ti amo... sempre.» Il mio ultimo respiro si spense con quelle parole, sussurrate con tutta la forza che mi rimaneva. Poi, chiusi gli occhi.

Il mondo si oscurò. Il silenzio fu assoluto.

E con lui, me ne andai.

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