29. Il blu di una bugia

"Ero un errore della natura. Una bestia impazzita."
Andrei Chikatilo


Il corpo di Iuri è in fondo alla stanza, immobile.

Un cadavere ormai in via di putrefazione da qualche giorno, e anche se fa molto freddo, l'umidità non lo ha conservato bene. Un tanfo di morte e sangue riempie le narici di Deya, e l'istinto di vomitare è più forte che mai. 

Il corpo dorme su una poltrona che si è impregnata di rosso, ora sfumato nell'inchiostro viscoso di un polpo infervorato. Un conato di vomito le sale lungo la gola, ma lo manda giù, sforzandosi di respirare nella stanza lercia, dove soltanto la morte sembra abitare, accompagnata da una dose massiccia di terrore.

Non riesce a credere di essere caduta in trappola, né a capacitarsi di aver sempre vissuto in una menzogna.

Le guance bagnate di sale, gli occhi rossi come quelli di Iuri dopo una canna. Lui non aveva mai una parola gentile per nessuno, ma non si meritava quella fine.

Anche se non ha compreso il suo dolore dopo la morte di Derry e le ha detto che in fondo era soltanto un gatto.

Il gatto.

Gli occhi le si illuminano.

«Sei stata tu a uccidere Derry», è un dubbio così importante che non può trattenerlo neppure per semplice sopravvivenza. 

Lazar l'ha lasciata dopo un colpo alla testa, è nell'altra stanza con i polsi legati dietro la schiena. 

E ora si ritrova nelle mani di una matta. Una matta che ha dormito nel suo letto, che ha sostato fra le sue gambe. Una psicopatica con cui ha diviso la casa e i sogni, le spese e la pizza.

Ora Tiana – o forse dovrebbe chiamarla Karen? – ha un fucile sulla spalla, e mira al centro del suo petto, come se non le avesse già distrutto il cuore in pezzetti.

«Ci sei arrivata, alla fine. Non pensavo fossi così sveglia»,  le dà conferma dei suoi sospetti.

Non riesce a comprenderla, eppure ha il bisogno malsano di decifrare quella mente dicotomica e instabile. Anche se forse non è una buona idea, anche se rischia di spingerla oltre il limite. «Perché hai fatto tutto questo?»

Tiana, però, sembra felice di quella domanda. È come se non stesse aspettando altro che un invito a esprimersi, a raccontarsi. È come se bramasse di vederle gli occhi brillare di curiosità e la gola secca, prosciugata dall'inquietudine di quella storia macabra.

«All'inizio tu non eri nei piani, non eri un intralcio, anzi, pensavo potessi aiutarmi», comincia, ma quando si rende conto che sarà una storia lunga trascina una sedia vecchia e polverosa al centro della stanza buia. 

Le ombre si allungano lugubri sulle pareti, spettri affamati di storie da raccontare.

«Avrei potuto aiutarti a uscirne, se mi avessi parlato dei guai in cui ti eri cacciata», può solo mostrarsi accondiscendente se non vuole trovarsi una pallottola infilata nella testa.

«Avresti potuto... poi, però, Lazar ha iniziato a ossessionarsi con te, e io non pensavo proprio che fossi il suo tipo, ma me ne sono accorta subito», scaccia via le parole della sua coinquilina come mosche da un pezzo di pane. «Tu gli piacevi. Ti ha seguita per un po', prima del vostro incontro nel bosco. Non so perché, forse non ti aveva mai vista prima, e conosce tutti in paese», è pensierosa e sincera, sembra quasi chiedersi per un momento cos'abbia Deya che a lei manca.

La risposta non è di sicuro la sanità mentale, quella manca a entrambe. Per questo credeva che fossero amiche.

«Non ha senso», scuote il capo. Non è possibile. Non può aver ucciso delle persone innocenti per semplice gelosia. Non quadra, avrebbe dovuto uccidere lei per prima. «Tu hai fatto tutto questo perché sei innamorata di lui?»

Tiana sembra pensarci su per un istante, uno soltanto. «Più o meno, ma non proprio», le sue labbra si stirano in sorriso dal taglio scarlatto. «Mio padre nascondeva in soffitta delle foto... donne mutilate. Donne molto giovani. Le ho trovate quando è morto per un infarto, diversi anni fa, e allora ho compreso la verità su me stessa, soprattutto quando Lazar mi ha lasciata. Ero un mostro, il mio sangue era contaminato, era semplice genetica. Mi sono sempre sentita sbagliata, solo che ora sapevo perché. Ero marcia, costretta a esserlo dalla mia stessa mente, dal corpo, da ciò che i miei genitori mi hanno lasciato. Sapevo che presto o tardi quel virus mi avrebbe contaminata e mi avrebbe portata a seguire le sue tracce... ma non sapevo ancora che il mondo aveva in serbo per me grandi progetti.»

Tania brilla di un'aura oscura, è come se il peso del purgatorio stesso le premesse sulle spalle. È così folle e inquietante che i suoi capelli sembrano vibrare di energia elettrica, eppure non è nient'altro che un soffio di vento che filtra dalle finestre sbarrate da assi di legno mezze distrutte.

«Ho cercato di comprendere il piano di mio padre, ma non avevo idea di chi fossero quelle ragazze, e non ho trovato molto. Era stato bravo a nascondere le sue tracce, a non farsi cogliere con le mani nel sacco dalla polizia e dai giornali, scaricando tutta la colpa su un altro uomo che ha incastrato. Poi, una notte ho fatto un sogno. Mi è apparso lui di fronte, illuminato di bianco come un fantasma, e mi ha detto che dovevo uccidere tutti qui, dovevo sacrificare l'intero paese... un centinaio di abitanti. Rimanere l'unica viva, la sopravvissuta. Vendicarlo, poiché non era riuscito a compiere il suo piano di sterminare l'intero mondo, ed era certo che potessi quantomeno distruggere tutti in paese. Per questo non era ancora il momento di intralciarmi i piani e ficcanasare cercando di scoprire che fine avesse fatto Iuri. Voi dovevate essere gli ultimi, i più speciali. In realtà non sono ancora sicura di uccidere Lazar, dipende da come prenderà la scoperta. Comunque, ho avuto tante occasioni per ucciderti, non l'ho fatto solo perché non era il momento. Mi mancano ancora circa ottanta persone da fare fuori prima di voi due.»

Deya intravede uno spiraglio di luce, una speranza flebile come la fiamma di una candela esposta al vento, priva di riparo.

Non dice niente, la lascia proseguire.

«Darò a Lazar l'ultima occasione di perdonarmi, gli prometterò di non fare più la gelosa, in fondo non avrò più nessuno di cui preoccuparmi quando saranno tutti morti, non sarà neanche una menzogna», prosegue nel suo delirio, svelandole i progetti a cui ha pensato per chissà quanto tempo, arrampicandosi fra vetri rotti e memorie corrotte dagli incubi di una mente irrequieta. «Voglio che rimaniamo soli. Soltanto io e lui, qui, perché ci meritiamo un posto tutto nostro, senza le persone che ci hanno fatto soffrire, senza vedere sempre gli stessi cazzo di volti tutti uguali e tutti vecchi», il suo sfogo va avanti come un treno sui binari.

«E io che cosa c'entro in tutto questo?», ancora non ha messo insieme tutti i pezzi. Ha compreso il perché ha perduto le memorie, Tiana deve averla drogata – e in fondo, fino a qualche settimana prima aveva una relazione con un tossico, lo stesso tossico all'angolo della stanza, su una poltrona consunta e sdrucita, con le vene tagliate e il sangue che gli ha imbrattato la faccia, i pantaloni e il muro grigio alle sue spalle. Non dev'essere stato difficile procurarsi delle sostanze, ma rimane un interrogativo: perché? Perché affaticarsi tanto, quando il suo obiettivo era ucciderla?

«Perché a te vorrei scaricare tutta la colpa per i miei crimini, qualora dovessero rendersi conto che ho fatto estinguere tutto il paese», distende il volto in un sorriso rilassato, il timore di essere scoperta è sotto lo zero. Ha commesso una decina di omicidi – in base a quanto le ha detto e in base ai corpi che hanno trovato, ben nascosti fra il bosco e la nebbia, fra i tronchi e le vecchie chiese – ma non la preoccupa niente, perché ha pianificato ogni cosa. «Io speravo che tu ti costituissi da sola, spinta dal senso di colpa, ma non ero sicura che l'avresti fatto, anche se ho provato in ogni modo a farti credere che eri un'assassina, a partire da quel gatto. In fondo i sociopatici cominciano spesso dagli animali, no? Quello era solo il primo passo, poi ho cercato di instillarti falsi ricordi e di confonderli con quelli reali, ti ho portato a seppellire qualche cadavere con me nel bosco, ma eri così sbronza e strafatta da confondere la realtà con i tuoi sogni, e avevi delle strane allucinazioni in cui vedevi tutto mutare di dimensione, ma per quello non ho una risposta... insomma, eri l'omicida perfetta a cui dare la colpa. Ti ho raccontato perfino una fiaba di cui si parlava in paese molti anni fa, per tenere lontani i bambini dal bosco, l'ho fatto la notte in cui avevi bevuto così tanto da non reggerti in piedi. Speravo che ti prendessi la colpa di tutto da sola, pur di non uccidere più nessuno e farti chiudere in una gabbia sicura. Non l'hai fatto, hai continuato a indagare e ad avvicinarti a Lazar sempre di più, e allora ho sviluppato un'altra idea. Un'alternativa. Ti ucciderò alla fine, dopo essermi sbarazzata di tutti gli altri abitanti, e ti darò la colpa, visto che non ha funzionato instillarti il dubbio che fossi stata tu. Mi picchierò da sola, mi procurerò qualche taglio, qualche costola rotta, e dirò di averti uccisa perché altrimenti tu avresti ucciso me, piangerò e frignerò e la polizia crederà alla mia versione e mi vedranno come un'eroina. Lazar starà al mio gioco quando capirà quello che ho fatto per lui, comprenderà che non può esistere dimostrazione d'amore più leale di questa. Insomma, pensaci anche tu: uccidere per amore... non esiste niente di più romantico.»

I denti di Tiana scintillano bianchi nel buio come quelli dello Stregatto.

«E poi, Deya, già che ci sono, vorrei chiarire un'altra cosa, perché non vorrei ti facessi troppe illusioni», aggiunge poi, come se si fosse ricordata di una questione di vitale importanza. «Non ti ho baciata né sono stata a letto con te perché ne ero attratta. È solo che volevo capire cosa ci trovasse Lazar in te. E volevo sentirlo vicino, anche se non mi rivolgeva la parola e non voleva vedermi, quindi ho pensato che tramite te sarebbe stato un po' come farlo con lui», a quel punto si alza in piedi, sembra che il suo delirio sia giunto al termine. La raggiunge, lascia il fucile sul tavolo al centro della stanza, un'asse di legno sorretta da gambe instabili e gracili. Ha un coltello nascosto sotto la gonna, ingarbugliato a una giarrettiera blu notte. Lo sfila via, lo usa per tenerla buona mentre le lega le braccia dietro la schiena e la ferma alla sedia, stringendole bene i polsi, assicurandosi che non possa liberarsi in alcun modo.

«Ora devo sbrigarmi, dovrò uccidere parecchia gente nei prossimi giorni, ma visto che vi ho già catturati cercherò di fare veloce, comincerò con la madre di Lazar, visto che potrebbe notare la sua assenza e allertare la polizia. Ormai sono a buon punto, l'importante è iniziare l'opera, no? Ho perso il conto di tutta la gente che ho ammazzato, nascosto o fatto a pezzi. Ancora nessuno ha capito niente, ma più gente muore, più sarà evidente. E mi cercheranno. Quindi devo sbrigarmi, e voi mi avete messo fretta.»

Tiana è così convinta, megalomane e ferma sulla sua posizione da non ipotizzare neppure per un istante che non sia una buona idea lasciarli lì vivi. O meglio, è un'ottima idea se vogliono cavarsela, ma è una follia per il suo piano.

La guarda con un sorriso vispo sul volto, un ghigno felice e carico di energia.

È come se credesse di aver già vinto, invece sta solo inseguendo un sogno.

Non può riuscire a uccidere ottanta persone in un paio di giorni, a meno che non abbia nascosto da qualche parte degli esplosivi.

Un'opzione che fa paura, e Deya deglutisce la saliva e la scaccia. Non deve lasciarsi prendere dal panico.

Non è ancora finita.

Hanno del tempo a disposizione. Almeno un po'.

E quel piano fa acqua da tutte le parti. È più disorganizzato e instabile di quanto avrebbero mai potuto immaginare.

Le persone sono abituate a pensare ai serial killer come dei geni. Diffondono la convinzione errata che abbiano sempre un quoziente intellettivo superiore alla media.

Lo studio, i casi e i manuali, tuttavia, dimostrano una realtà diversa. Lazar direbbe che ci sono le eccezioni, come Hannibal Lecter, e ci sono le persone normali.

Comuni esseri umani dotati di traumi e dolori nascosti e profondi, cicatrici indelebili sull'anima.

Non per forza dei geni del male, non per forza diabolici antagonisti per storie di supereroi.

Solo anime distrutte dal dolore.

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