XXV


L'albergo che li ospitava si trovava all'interno del porto, in un edificio dalle linee spigolose e di recente costruzione, in una piazza dall'aria impersonale saturata di vetrate: era stato assicurato a tutti i presenti l'arrivo di un pullman alle diciannove per condurli al luogo della festa e la massima discrezione riguardo alla loro presenza in città, sebbene la zona portuale fosse molto trafficata la sera.

Arturo uscì sul piccolo terrazzo della sua stanza, osservando il terminal di fronte a lui e la via semi deserta ai suoi piedi, godendosi la miscellanea di odori tra pesce, salsedine e un lontano gusto di nafta, e la brezza calda sul corpo fresco di doccia; sebbene non si trovasse ai piani più elevati dell'albergo, la stanza era comunque confortevole, con una parete decorata con carta da parati a righe verticali sui toni del grigio e del marrone, un ampio letto matrimoniale dalla testiera in finta pelle testa di moro e lenzuola candide, un televisore fissato al muro con una staffa e uno scrittoio in legno bruno, dal design morbido e con su un plico di carte da lettere, buste intestate e due penne a scatto con il logo dell'hotel; a completare l'opera ci pensavano delle sedie imbottite all'eccesso in Alcantara verde oliva, una doccia con idromassaggio e un ampio quadro sui toni del grigio, raffigurante dei sassi tondi in successione, dal più piccolo al più grande.

Per paradosso, ad Arturo sembrava più piena di personalità quella stanza che quella dove dormiva da più di tre mesi.

Una parte di sé desiderò per un momento di afferrare il cellulare, immortalare quella camera d'albergo e inviarla ai suoi vecchi coinquilini a mo' di sberleffo, rivedendosi di fronte i loro sguardi menefreghisti e divertiti prima che traslocasse, ma scacciò quel desiderio con fermezza: non aveva nulla da dimostrare a quel trio di universitari sgangherati, e di certo non avrebbe smosso in loro né invidia, né soddisfazione per lui. Per la prima volta, comunque, si pentì di non possedere un profilo social attivo dove dar dimostrazione dei suoi recenti lussi.

Estrasse il cellulare per fare comunque qualche foto, notando solo allora quanto fosse tardi: avviò la playlist dove custodiva le cover che riproponeva con gli Ugo al massimo volume e iniziò a vestirsi in fretta, per poi dedicare qualche istante alla consueta riga di kajal nero sugli occhi, terminando un momento prima che un paio di colpi delicati ma decisi alla porta lo fecero sussultare; spense la musica, infilò alla meglio la camicia e aprì.

Isabella gli sembrò fatta di luce.

Indossava un vestito ricoperto di paillettes color champagne che terminava con una gonna in piume dello stesso colore, che le scivolava addosso senza aderire né celare il fisico asciutto; un paio di tacchi sottili, rosa tenue, le slanciavano le gambe snelle; il volto abbronzato era quasi del tutto struccato, ad eccezione di una riga di eye-liner scintillante sulle palpebre, una leggera passata di mascara e un rossetto appena visibile, che sembrava far emergere il naturale colorito delle labbra, invece di mascherarlo; lunghi ricci avvolgenti, in onde definite e morbide, le ornavano le spalle come una stola, e la scia fiorata dell'"Air Du Temps" ne annunciava la presenza con discrezione; uno smalto rosato era il solo ornamento delle mani, e le braccia erano nude, prive anche dei consueti regali delle sue amiche.

«Ancora così sei?» provò a scuoterlo, all'apparenza del tutto indifferente di fronte al petto scoperto di Arturo. «L'autobus arriva tra meno di mezz'ora.»

Lui non smise di osservarla senza vergogna: «Sei magnifica.»

Lo disse senza lusinga, desiderio o ammirazione, limitandosi a constatare una verità manifesta, seppur con un poco di incredulità. Isabella sbatté le palpebre un momento, piegando il capo ed esibendo due lunghi orecchini chandelier ricoperti di zirconi bianchi.

«Come?»

«Sei magnifica» ribadì lui con fermezza. «Livio sarà uno sciocco se si permetterà di lasciarsi sfuggire una donna come te.»

Lei lo zittì troppo tardi, mettendogli un indice sulle labbra con evidente preoccupazione. Arturo fu assalito dallo stupore, mentre una sorta di impulso elettrico alla base del capo, giusto sopra la nuca, gli annebbiò i sensi per un istante: stentò a riconoscere la ragazza timida e professionale che gli si era presentata qualche tempo prima e che, ne era certo, non si sarebbe mai permessa di mettergli le mani sul viso con tanta audacia. A maggior ragione, sapendo quanto fossero una fonte di attrazione e desiderio per lui, rendendolo l'equivalente di prendergli il viso e metterlo in mezzo al seno.

«Ma sei pazzo a parlare in mezzo al corridoio?» lo redarguì con un sussurro concitato, spingendolo in camera e chiudendosi la porta alle spalle. «Ci sentiranno tutti, lui per primo!»

Lui le prese la mano con fermezza, spingendola lontano da sé e sorridendole, giocoso: «Come se lui non sapesse, o perlomeno sospettasse, che te lo sei portato dietro per questioni scevre dal lavoro. E come se avesse potuto sentirci davvero.»

Lei gli rivolse un'occhiata in cerca di compassione, flettendo le labbra all'ingiù allo stremo, trasformandosi in una caricatura dell'apprensione.

«Come mai sei venuta?» si informò Arturo, abbottonando la camicia con metodo.

«Gli altri sono giù nella hall che aspettano, Romeo si è messo a chiacchierare con un collega e tu non arrivavi più, per cui sono salita.»

«Manca mezz'ora» si giustificò, infilando il panciotto a fantasia paisley grigio perla in finta seta, acquistato pochi giorni prima e giudicato da Romeo un'esagerazione. «Quanto scommetti che tra cinque minuti sarò pronto e scenderò?»

Isabella sospirò, abbassando lo sguardo: «Sì, scusa, è che per me deve essere tutto molto incasellato, molto rigoroso, per me siamo già in ritardo. Non posso farci nulla. Scusa se ho alzato la voce, prima.»

Arturo sorrise, addolcito: «Non preoccuparti, non ti devi giustificare. Anzi, già che ci sei, potresti stringere di più il panciotto, per favore?»

Era una scusa, una maniera del tutto sua di assolvere e concedere lo slancio di ardimento di poco prima: Isabella strinse la fettuccia sulla schiena di Arturo con un gesto deciso, soffermandosi poi un momento per accarezzarlo da sopra il panciotto con finta distrazione, come se cercasse un'ulteriore giustificazione.

«Non ti facevo tipo da paisley» si affrettò a rompere il silenzio, temendo un'intimità che non desiderava gestire, allontanandosi di un paio di passi da Arturo. «Ti avrei visto bene con una giacca damascata, magari rossa, non so.»

Arturo rise, abbassando il colletto della camicia e sistemando il farfallino, uguale al gilet: «Il damascato non mi piace, mi sa di divano da vecchia zia che ti pizzica le guanciotte e ti chiama "Chicco" anche se hai trent'anni. E riguardo al colore, per quanto fossi tentato, mi sembrava ingiusto mettere qualcosa che attirasse più sguardi su di me che su Romeo» terminò, estraendo dalla valigia una boccetta di profumo dal gusto salino, pungente, la stessa fragranza che usava da quasi dieci anni. Isabella si imbarazzò un poco.

«Spero di non fare quella figura io, allora.»

«Tu brilleresti comunque» constatò con distacco, infilando la giacca e sistemandoci dentro un fazzoletto ripiegato, che riprendeva il decoro di gilet e papillon. «Pronto!» concluse, strizzando un occhio a Isabella.

«L'hai preso il cellulare?»

«Non lo porto, ho... Ok, ho scordato qualcosa, lo confesso» borbottò, rovistando in valigia e ritrovando un souvenir da un viaggio a Londra: un orologio a cipolla in finto argento rodiato, decorato con una corona in rilievo sul piccolo coperchio a scatto, le cifre romane sul quadrante e le punte delle lancette decorate con ghirigori curvi, che sistemò in un taschino del panciotto, assicurando la catena accanto a un bottone. «Ora sono davvero pronto» confermò, senza perdere l'entusiasmo furbesco di poco prima.

Isabella non gli rispose, limitandosi a sistemargli il bavero della giacca per farlo aderire meglio al colletto della camicia, stirandoglielo addosso e osservandolo con rigore: «Meglio.»

Lo osservò un momento in viso e arrossì un poco, restituendo spazio alla versione più timida e restia di sé: «Scendiamo a braccetto per far ingelosire Livio?»

Arturo scoppiò a ridere: «No. Non hai bisogno di me, fidati.»

***

La festa si svolgeva in un'elegante villa in stile liberty, edificata nei primi anni del Novecento e fresca di ristrutturazione: si ergeva vicino alla stazione dei vigili del fuoco e il cancello affacciava diretto sulla via Aurelia, ma a separare la villa dalla strada ci pensava un viale in mezzo a una vegetazione curata e rigogliosa; gli ampi spazi interni erano suddivisi su due piani e collegati da una scala in marmo bianco col corrimano in ferro battuto; le grandi finestre dai vetri ocra, con decorazioni smaltate, fornivano alle sale una naturale luce calda, e una porta finestra di recente costruzione e sistemata per conformarsi all'ambiente affacciava su una terrazza, da cui si accedeva a una porzione privata di spiaggia.

Per fortuna, non avevano ecceduto con decorazioni o suppellettili, limitandosi a qualche tavolo dalle linee essenziali per sistemare il buffet e le vettovaglie e sedie, divani e poltroncine in rafia, sistemando le casse per il DJ set successivo sulla sabbia; altre casse piccole ma potenti proponevano una selezione di musica morbida, sensata solo come sottofondo, quel tanto da rendere la situazione più cinematografica.

Per quanto si trattasse di un incontro tra creativi, le chiacchiere finivano sempre per vertere su questioni affaristiche: si parlava di visualizzazioni, argomenti d'interesse popolare e creazione di contenuti di conseguenza, sponsor e collaborazioni sospese tra l'amicizia e la convenienza.

«È sempre così» aveva detto Livio con aria distratta e un calice in mano, pieno dal loro arrivo, mentre Arturo osservava Romeo, fasciato in un abito blu reale semplice e un iris giallo all'occhiello, chiacchierare con un collega in gessato grigio. «Alla fine, la comunicazione efficace e il sapersi vendere è la base di tutto, e per quanto sembri facile seguire le tendenze, è tutta un'enorme rottura di coglioni.»

Arturo aveva sbuffato in risposta: «Sembra una di quelle feste aziendali da film. Mi aspetto che tra poco arrivi un tizio con una lavagnetta con disegnato un grafico a torta e la bacchetta in mano.»

«Secondo me si stanno annusando tra tutti. A quello che ho capito, dopo le dieci dovrebbe attaccare il DJ, a quel punto si balla, si fa finta di niente e magari finisce anche in bolgia, ma adesso stanno studiando le tattiche per l'anno nuovo, che qua si è tutti colleghi e tutti amici, ma quando ci sono dei soldi di mezzo partono le mazzate. Sarò sincero, io se non ci fosse la prospettiva del DJ set dopo me ne sarei tornato in albergo dopo dieci minuti.»

Arturo aveva riso: «Io odio la discoteca, quindi figurati.»

Dovette ricredersi.

Il suo ultimo ricordo legato alla vita notturna risaliva all'adolescenza, pressato in una calca studentesca per una festa di fine anno scolastico, con un DJ appena ventenne schiavo del missaggio automatico e un'organizzazione pressapochista da parte dei rappresentanti d'istituto. Era quindi impossibile competere con la struttura titanica di chi poteva permettersi l'affitto di una villa dove disseminare bottiglie di champagne e un giocoliere dei dischi, che guidava i presenti tra le decadi con il solo uso sapiente delle note: esaltava bassi, attenuava ritmi, dedicava spazi silenti con maestria, mentre il suono si propagava sulla spiaggia fino a disperdersi in mare.

Arturo si lasciò coinvolgere in fretta, cedendo all'arrivo dei Boney M e del battimani di "Rasputin", pur ostinandosi a rimanere ai lati senza gettarsi nella mischia, a differenza di un Romeo euforico e privo di coordinazione che si muoveva lungo la spiaggia come una pallina impazzita; addirittura, si ritrovarono a saltare abbracciati, improvvisando in un inglese maccheronico quello che, Arturo ne era certo, si trattava del brano che stavano cantando nella fotografia che campeggiava nello studio di Romeo.

La nottata terminò in fretta, in contrasto alla stessa lentezza con cui era iniziata.

La maggior parte dei presenti cedette alla stanchezza e al desiderio di visitare la cittadina che li ospitava la mattina successiva, adducendo alla scusa di dover essere presentabili in caso di fotografie con gli ammiratori; alcuni si gettarono in mare in preda all'euforia e arrivarono in albergo battendo i denti dal freddo e coi vestiti ancora umidi addosso; pochi, tenaci avventori resistettero, cedendo alla proposta di Romeo di terminare la serata nella sua stanza con un paio di bottiglie di vodka e una cospicua mole di intenzioni immorali, che tradiva negli occhi ancora vivaci e arrossati dal principio di sonno.

Arturo, Isabella e Livio rimasero con lui e altri sei irriducibili, di cui non Arturo non memorizzò i nomi nonostante li avessero ripetuti più volte, per mera cortesia, ritrovandosi invischiati in una proposta di "Obbligo o verità".

«Come se avessimo quattordici anni» borbottò Arturo tra sé, accomodandosi ai piedi del letto.

«Va be', ci sta» lo rassicurò una ragazza dai grandi occhi blu, l'accento bolognese e le mani curate, con dita affusolate e unghie ben smaltate di azzurro (Matilde? Matilda? O forse Maria?). «Alla peggio se ti imbarazzi chiami verità e inventi una cazzata» aveva concluso semplicistica, sistemandosi a gambe incrociate sul pavimento, alla sua destra. Da sinistra, Livio osservò la scena senza vedere nulla, ancora annebbiato dalla musica, dal buio della spiaggia e dal sonno.

«Avendo scelto io il gioco, inizio io» esordì Romeo, solenne, ponendosi al centro del cerchio che i presenti avevano improvvisato. Sorrise, voltandosi con teatralità e indicando Isabella.

«Isa, mio fulgido braccio destro e anche sinistro, dimmi: obbligo, o verità?»

Isabella gli sorrise in risposta, lo stomaco in preda al subbuglio e un leggero tremolio che le scuoteva le gambe, ma non la voce: «Obbligo.»

«Inizi alla grande!» commentò divertito un ragazzo dalla erre blesa, occhiali dalla montatura spessa e voce acuta. Isabella lo ignorò.

Arturo sorrise.

«Devi dare un bacio all'uomo più bello in questa stanza.»

Lei sorrise, divertita: «Meno male che hai specificato uomo, altrimenti Anna non avrebbe avuto scampo.»

La terza e ultima ragazza presente, dai lunghi capelli corvini e il sorriso sghembo ma dolce, si portò le mani al petto con tenerezza: «Ma sei un tesoro!»

Romeo le fece un cenno imperioso per zittirla, serio.

«Accetti o paghi pegno?»

«Fa quasi paura» commentò con una risata sfiatata un giovane uomo alto, esile e il più ubriaco di tutti i presenti: la ragazza con gli occhi azzurri lo zittì con una gomitata tra le costole.

Il volto di Isabella fu oscurato per un istante dal dubbio: risucchiò un momento le labbra all'indietro, abbassando lo sguardo sul pavimento e tornando in fretta su Romeo, recuperando la fierezza assunta poco prima: «Accetto.»

Il tempo parve dilatarsi.

Isabella si alzò con fermezza, nonostante le gambe avessero ripreso a tremare sui tacchi e le rendessero l'andatura incerta, contro una falcata ampia e precisa.

Si fermò di fronte a Livio, abbassandosi un poco fino ad appoggiare le mani sulle sue cosce, prima di sorridergli a labbra strette, ora in preda a un timore sincero e subdolo che le stringeva lo stomaco in una morsa, confluendovi il sangue e rendendole gli arti tremuli.

Qualcuno tentò di azzardare un commento, che fu zittito da Romeo con un soffio infervorato.

Isabella si voltò verso Arturo. Lui si limitò a guardarla in viso, conciliante. Lei osservò Livio e rise, mentre il tremore iniziava a scuoterle le dita.

«Ho paura» confessò in un sussurro appena udibile, senza però smettere di osservare il volto di Livio con ostinata decisione.

Livio sollevò una mano per accarezzarle una guancia con tenerezza.

«Fallo e basta. Che vuoi che sia?»

Isabella lo osservò immobile, stregata da quanta dolcezza potesse contenere una coppia di iridi castane. Sollevò una mano tremante per ricambiare la carezza, non riuscendo a esprimere in altro modo la sua gratitudine per quella comprensione inaspettata. Livio continuò a sorridere, incoraggiante.

Il tempo riprese a correre.

Isabella smise di tremare, chiuse gli occhi e, con un gesto repentino che sfuggì a tutti i presenti, prese tra le mani il volto di Arturo e lo baciò.

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