VIII
Diego Pistocchini aveva ventidue anni, i capelli bruciati dalle tinte per capelli e il cervello corroso dalle nozioni di immunologia.
Valutò per un istante se prendere a testate le sbobinature auspicando nell'apprendimento per osmosi, ma si limitò ad alzarsi dalla scrivania, stirare le braccia con un gesto lento e dirigersi sul microscopico balcone di casa, dove Brayan stava fumando l'ennesima sigaretta della giornata.
Si avvicinò in silenzio, osservandolo mentre sputava ampie volute di fumo bianco con aria assorta: tentò un abbozzo di conversazione zoppa che si esaurì in poche parole di circostanza, poi si godette il silenzio e il vento leggero di metà aprile.
«Secondo te Arturo sta bene?» Esordì poi Brayan, dopo aver lanciato la sigaretta dal balcone con una schicchera. Diego scrollò le spalle, incerto.
«Boh, non è mai stato tanto sul pezzo, quindi non ci faccio neanche più caso. Perché?»
«È strano. Ceh, è più strano del solito, ecco. Magari tu che sei il suo coinqui sai qualcosa.»
Diego rispose con una risata strozzata: «Non ci ho manco tempo per pensare alla mia vita, figurati parlare con altra gente. Poi lo sai com'è fatto, anche volendo parlarci, quello sta zitto, sempre zitto. In un anno l'avrò sentito dire boh, venti parole.»
«Quindici delle quali erano quei deliri allo specchio quando si chiudeva nel cesso» concluse Brayan per lui, ridacchiando. Diego scrollò le spalle.
«Erano esercizi di dizione.»
«Ho capito, ma se senti uno che nel cesso continua a dire "Tra, tra, tra, scandinàvo, facocèro" come un disco rotto non pensi agli esercizi di dizione, scusa. Ma poi perché faceva esercizi di dizione, tra l'altro?»
Un'altra scrollata di spalle: «Vuole fare l'attore, tipo.»
«Ma ha fatto l'accademia, il DAMS?»
Brayan era stato il primo a conoscere Arturo, quindici mesi prima: stavano cercando un quarto coinquilino, e lui si era palesato senza fare obiezioni sulla stanza assegnata, sulla cifra pattuita per coprire le spese e le piccole regole di convivenza che avevano stabilito Brayan e Francesco prima dell'arrivo di Diego, presentando anche due mesi di anticipo come caparra. Brayan non aveva potuto fare a meno di notare la differenza di età tra lui e gli altri e il suo modo di fare scostante e taciturno, ma non aveva fatto domande.
Col tempo, le differenze tra loro tre e lui si erano presentate con chiarezza crescente: non rideva mai alle loro battute, non si interessava delle loro vite, né tantomeno faceva menzione di come occupasse le sue giornate; sapevano che si guadagnava da vivere facendo il fattorino, per cui anche durante i pasti, le occasioni in cui si trovavano più spesso in compagnia, era assente e rientrava tardi, che tentava una carriera artistica e che il suo compleanno era il 15 ottobre, ma non amava celebrarlo. Il resto era un'incognita.
«E secondo te io lo so? Secondo me no, comunque, mi sembra troppo wild per l'accademia. Mi sa più di compagnia teatrale amatoriale, di quelle piccoline, che hanno fatto una chiamata alle arti dopo la pandemia.»
«Ma scusa fra', non chiacchierate mai prima di andare a dormire?» Lo imbeccò Brayan, serio.
«Sono troppo stanco per parlare e crollo subito, al massimo sento le sue cuffie. Ecco, se proprio vuole fare l'artista non capisco perché cazzo non faccia il cantante. L'ho sentito cantare una volta che sono rientrato a prendere una cosa e credeva di essere solo, ci ha una bella voce, è un belloccio, dovrebbe pensarci.»
Scrollò le spalle, chiudendo il discorso con un caustico: «Va be', cazzi suoi. Faccio uno squillo a Elsa e torno a studiare, va'.»
Restò per un momento in silenzio, ridacchiando al «Ciao, tesoro!» cinguettato da Diego; poi si armò di tabacco, cartina e filtro per un'altra sigaretta.
Era la sola domanda che gli avesse fatto Arturo durante la loro chiacchierata preliminare riguardo alla convivenza futura: Brayan gli aveva premesso che sia lui che Francesco avevano il vizio del fumo, lui soprattutto, domandandogli se la cosa lo tediasse.
«Fumiamo sempre sul balcone, eh» aveva spiegato, mettendo letteralmente le mani avanti, «però l'odore di siga c'è, se dà fastidio dà fastidio, mica giudico.»
«No, tranquillo, nessun problema. Ve le girate o sono quelle già fatte?»
Brayan era rimasto spiazzato per un istante: «Io me le giro. Come mai?»
Aveva scrollato le spalle, sorridendo: «Una curiosità così, per chiacchierare.»
A posteriori, considerato quanto poco avessero chiacchierato davvero, quella domanda gli suonò ancora più bislacca: sigillò la sigaretta e la accese con un gesto distratto e automatico.
Dal primo momento in cui si era presentato gli era apparso come un'anima in fuga: non aveva i modi affettati di chi scappa per paura, né la fretta di chi rifiuta le conseguenze, ma appariva sfuggente e intimorito, come se lo stesse inseguendo un temporale e lui fosse in abiti estivi; dieci giorni prima aveva segnalato di aver avuto un problema di gravissima entità, rintanandosi nella stanza che condivideva con Diego e uscendo solo per usare il bagno, in silenzio e in punta di piedi, ed era trascorsa una settimana da quando aveva dormito fuori casa. Da allora, ogni mattina usciva presto e rientrava nel tardo pomeriggio, sempre tentando di non farsi vedere e incastrando i suoi orari di rientro con quelli delle lezioni pomeridiane dei coinquilini, infilandosi in camera da letto per spogliarsi, farsi poi una doccia e palesarsi dopo ancora a cena. Aveva barattato il suo silenzio con la proposta di spolverare e lavare i pavimenti per le due settimane successive, e tutti l'avevano ritenuto uno scambio equo e comodo.
Brayan l'aveva studiato da distante: non si riteneva una persona dalla sensibilità spiccata o dotata di grande intelligenza emotiva, ma l'aveva mosso la genuina curiosità sul perché un giovane uomo di ventotto anni avesse deciso di dividere un appartamento già piccolo con tre ragazzi senza voler legare con nessuno.
Non ricordava di averlo mai visto sorridere, o perlomeno un giorno in cui emanasse serenità e buonumore; le rare volte in cui si univa alle loro conversazioni dispensava chicche di cinismo acido dopo lunghi silenzi in cui, aveva notato, non osservava quasi mai i volti dei suoi compagni e sembrava piuttosto rivolgere la sua attenzione alla gestualità; quando l'aveva visto leggere, si trattava sempre di spessi tomi thriller o classici di dimensioni ridotte, mai manuali di recitazione, testi teatrali o letture di svago; non si univa alle sessioni settimanali di videogiochi, e quando erano riusciti a coinvolgerlo in una partita a Hotel aveva acquistato di proposito i terreni meno remunerativi per perdere la partita in fretta.
Provava a mantenere un distacco altezzoso, come se avesse voluto porsi al di sopra di loro. In realtà risultava sul loro stesso piano, solo escluso.
Brayan si era dato la spiegazione che Arturo tentasse di scendere a patti con una solitudine che gli era stata imposta e nella quale non era ancora capace di muoversi a proprio agio, e che tentasse quindi di mediare tramite la compagnia di qualcuno di non troppo vicino a lui. Dava la colpa a un'ipotetica ex moglie che aveva provato a rinchiuderlo in un ufficio e a tarparne le ambizioni artistiche, riversando su di lei e su un'immaginaria cattiveria la responsabilità dei dieci giorni appena trascorsi.
Dall'altra parte della casa, Diego stava salutando Elsa giustificandosi con l'incapacità di comprendere qualcosa dei suoi appunti medici che Brayan non riuscì neppure a decifrare: aspirò vorace l'ultima boccata di fumo amaro, lanciò il mozzicone giù dal balcone e aprì gli appunti di scienze delle costruzioni, accendendo le cuffie al massimo.
***
La batteria martellata dei Judas Priest si interruppe con uno stacco netto, lasciando nelle orecchie di Arturo un leggero acufene per una manciata di secondi: si sedette su una panchina vuota, il più possibile distante dal chiacchiericcio degli anziani e dal parco giochi, sfilò gli auricolari, abbandonò la testa sullo schienale e inspirò a lungo, aspettando che il battito cardiaco si regolarizzasse.
Prese il cellulare in mano, osservando la chat di WhatsApp di suo fratello: sebbene fossero già trascorsi tre giorni da quando l'aveva ricevuto, quel "Ma se ti trasferissi da me, così ti eviti spese e sconosciuti in mezzo alle palle?" scritto senza preamboli o saluti non aveva smesso di strappargli un sorriso. Tipico di Romeo: aveva sempre nutrito fastidio verso i convenevoli fini a se stessi e tendeva a saltare subito al nocciolo della questione senza tappe intermedie.
La proposta lo allettava più di quanto volesse ammettere a se stesso: non solo per una serie considerevole di comodità legate all'economia, alla privacy e al silenzio, e neppure per comprendere meglio le dinamiche lavorative di suo fratello; ripensava spesso al quadro nello studio e di come, al contrario delle sue stesse aspettative, avesse squarciato una sorta di porta stagna della sua emotività e avesse permesso a un miscuglio di tenerezza, commozione e nostalgia di sgorgare, per quanto limitato. Per la prima volta, dopo un periodo che andava oltre la sua stessa fuga dalla sua famiglia, si era sentito accolto.
Il dito gli scivolò sul tasto per riprodurre il brano successivo: sul suo petto, dove aveva abbandonato gli auricolari incastrati nella canottiera, si fecero strada una chitarra acustica pizzicata con gentilezza e il contrappunto di qualche nota elettrica.
Arturo rise: «Sul serio?»
Con la coda dell'occhio notò un uomo guardarlo con aria stranita, prima di constatare che aveva il cellulare in mano e rivolgere lo sguardo altrove, mentre negli auricolari Rob Halford esordì con dolcezza e struggimento a raccontare di albe, incubi e timori; Arturo infilò l'auricolare sinistro, tornando sulla chat di Romeo.
"Outside the birds begin to call, as if to summon up my leaving."
Arturo non credeva al destino: l'aveva sempre ritenuto una scelta di comodo per le persone intimorite dagli eventi e che assistono con passività alla vita piuttosto che sperimentarne ogni aspetto e possibilità. Ciononostante, il tempismo della selezione casuale del suo cellulare nel ripescare una traccia che non ascoltava da molto e con un testo tanto calzante alla sua situazione lo stupì al punto da fargli quasi cambiare idea.
"It's been a lifetime since I found someone, since I found someone who was there."
Prese coraggio e iniziò a digitare con lentezza esasperante, come se la tecnologia degli smartphone non gli fosse familiare: a differenza di suo fratello esordì con uno sfibrante "Ciao Alfa, come stai? Ti sei ripreso?" che cancellò del tutto poco dopo.
"I waited too long, and now you're leaving."
Si forzò a guardare avanti, mentre le dita guizzavano veloci sullo schermo: vi gettò un'ultima occhiata per controllare l'eventuale presenza di errori ortografici e premette invio distogliendo lo sguardo.
A dieci chilometri di distanza, sotto una pioggia di bassi martellanti sparati fuori dall'impianto sparso per tutta casa, Romeo udì con precisione la suoneria dedicata ai messaggi di suo fratello: ordinò all'intelligenza artificiale di zittire l'impianto e, senza neppure sbloccare lo schermo, aprì l'anteprima del messaggio con i polsi tremanti. Di fronte all'asciutto "È ancora valida la proposta?" non trattenne un urlo di gioia e soddisfazione.
"Oh, please, don't take it all away."*
***
Tornò a casa con calma, senza il passo svelto e furioso con cui di solito aggrediva la strada. Abbandonò la compagnia aggressiva dei Judas Priest e si lasciò accompagnare da una selezione italiana tra Matia Bazar e Lucio Dalla. Ignorava quanto sarebbe durato quell'istante di felice leggerezza, per cui decise di goderselo fino in fondo.
Entrò in casa senza far caso all'orario, palesandosi sulla soglia della cucina, dove aveva sentito Brayan e Francesco chiacchierare: li salutò con un gesto sbrigativo e annunciò, mentre dava una piccola busta da lettere a Brayan, che nel giro di una decina di giorni avrebbe svuotato la sua parte di armadio. Francesco commentò con un laconico «Ok» privo di interesse; il volto di Brayan sembrò invece accendersi all'improvviso, con un ampio sorriso e una nota di dolcezza nella voce quando gli confessò di esserne contento.
Per la prima volta in quattordici mesi, aveva visto Arturo felice.
-
* "Fuori, gli uccelli iniziano a cantare come per celebrare il mio addio /
È passata una vita da quando ho trovato qualcuno, da quando ho trovato qualcuno che sarebbe rimasto con me /
Ho aspettato troppo a lungo, e adesso te ne stai andando /
Oh, ti prego, non portarti via tutto"
Da "Before The Dawn" dei Judas Priest.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top