Raccontami di te -5-

Tra ventanni sarai più infastidito dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto. Perciò molla gli ormeggi, esci dal porto sicuro e lascia che il vento gonfi le tue vele. Esplora. Sogna. Scopri.
Mark Twain.

Narratore esterno.

Da quel fatidico momento era passato soltanto un giorno. Nel cuore del giovane Michael era rimasto quel gesto indelebile come un tatuaggio, il ricordo del tocco delicato di quella dolce fanciulla regnava nei suoi occhi per tutto il tempo da all'ora. Era incredibile quanto fosse stata genuina conoscendolo soltanto da poco tempo. Non aveva preso in lei il sopravvento, la paura della vista brutale alla quale era stata costretta ad assistere, probabilmente non ne aveva nemmeno parlato con nessuno, e aveva fatto una mossa cosi rischiosa per il puro e innocuo gusto di difendere e aiutare il prossimo. Non era importante il fatto che fosse Michael Jackson ad aver bisogno di aiuto, anche perché come sappiamo non era una fan, ma anche se lo fosse stata questo sarebbe passato in secondo piano. Una cosa sola non riusciva proprio ad accantonare quel ragazzo. Solo una domanda, fra le tante, non smetteva di picchiettare all'uscio della testa neanche per un solo istante: Perché lei poteva capirlo bene?
Dall'altra parte Annie continuava la sua solita vita quotidiana, scuola, lavoro, migliore amica e casa. La noia e la monotonia regnava in casa Hamilton, aveva l'agenda ben programmata e il tempo di pensare non lo aveva mai avuto. Anche se, ogni tanto, il piccolo richiamo della curiosità e della premura di sapere come stesse quel giovane ragazzo lo aveva. Cercava di non soffermarcisi più di tanto, sapeva che mai l'avrebbe rivisto, continuare a pensarci l'avrebbe solo incupita di più.
Sperava solo riuscisse a scappare da quell'orrendo mostro il prima possibile.

I passi furibondi si facevano strada verso la camera della giovane ragazza, lo scricchiolio acuto della porta fece sobbalzare in aria sia ella che la migliore amica, Stella.
"Ma dico, e i soldi dove sono?!" Urlò la madre della giovane entrando prepotentemente dentro la stanza. "Sul tavolo." Rispose Annie seccata. "Non hai preso la cifra in più? Ma che diavolo combini?!"
"Stai scherzando?" Rise istericamente la fanciulla. "Non eri stata tu a dirmi che non andava bene prendere decisioni sul denaro senza un tuo consulto? Adesso non va bene nemmeno questo?"
"Accidenti sei stata via un giorno intero! A quel punto dovev-" La ragazza interruppe la madre.
"Non mi andava di chiedere altro denaro okay? Non va mai bene niente di ciò che faccio, hai sempre da obbiettare e ridire su tutte le mie mosse. Sai che c'è? Dovevi andarci tu a fare quello stupido servizio, cosi prendevi il denaro che volevi senza venire a lamentarti con me!"
"Non usare questo tono con me Annie!" Sbuffarono entrambe sotto lo sguardo fermo di Stella. "Non capisco i tuoi cambi di opinione."
"Ah i miei cambi di opinione?!" Rise nervosa. "Incredibile." Si alzò dal letto seguita dalla migliore amica, avvicinandosi alla porta.
"Non penserai di uscire vero?"
"Non che abbia molta scelta, sai com'è, lavoro." Prese la giacca e superò la porta sbattendola, lasciando sul ciglio l'amica.

"Non la riconosco più Stella... Non è più la mia Annie." Una lieve lacrima scese dall'occhio sinistro della donna. "Margaret, ci vorrà tempo per aggiustare la sua situazione. Non tornerà tutto apposto subito, la storia tossica con George l'ha segnata a fondo, non possiamo pretendere che adesso sia come la Annie di un anno fa."
"Almeno con te ancora parla, fra noi due il dialogo è diventato inesistente Credo ci sia qualcosa che non vada, ma quando provo a chiederglielo cambia argomento, è cosi difficile starle dietro Stella. Cosi difficile" "Diamole tempo, stiamole vicino senza farle pressione." Annuii Margaret lasciando uscire la giovane ragazza, nell'intento di ribeccare la sua migliore amica.

Fortunatamente, ella, non si era mossa di un millimetro. Era lì. Che fissava il cielo incupirsi e riempirsi di grigio mentre teneva una sigaretta fa le labbra carnose tendenti al viola a causa del freddo. Stella si avvicinò poggiandole una mano sulle spalle. "Fumare non servirà...Lo sai."
"Vorrei cambiare del tutto vita, voglio andarmene per un po' di tempo in Italia, lontano da tutti. Dio quanto spero di essere presa a quel corso avanzato di fotografia a Firenze Stella." Versò una lacrima, facendo un tiro di nicotina e oltre le altre quattrocento sostanze cancerogene che una sigaretta vi contiene.
"Lo so piccola...Lo so" le baciò la tempia. "Andrà meglio di cosi, vedrai."

"Ho visto il signor Jackson picchiare Michael." Disse tutto d'un fiato d'un tratto. Stella sgranò gli occhi.

"E faceva esattamente le stesse cose che George faceva a me quando io non volevo..." Sospirò. "So che non è la stessa cosa, lui, anzi, loro perché scommetto che picchia tutti e cinque, sono messi peggio di me. Vengono picchiati dal padre, però mi ci sono rivista. Sono morta una seconda volta Stel, non sono riuscita a chiedere il denaro in più."
"Anche tu ne hai subiti molti di abusi, non paragonare le due cose An, sono entrambe bruttissime a modo loro." La coccolò più forte possibile. "Ti prometto che col tempo farà meno male, sarai felice anche tu e capirai che uno come George non merita lacrime ma solo denunce, e io sono ancora dell'idea che tu dovrest-" "Stella, sai che non lo farò, ne abbiamo già parlato." Terminò Annie. "Va bene, non ne parliamo più." Sospirò.
Nel cielo lampavano scintillanti fiamme bianche e rumorose.
Ecco un altro temporale.

Stella Loid era la più cara amica di AnnieLuise. Avevano sempre condiviso ogni segreto, ogni cosa più intima, tutto. Fu proprio Stella ad aiutare Annie con le ferite, ad uscire da quell'incubo che si era creato e, di conseguenza, tutt'ora continuava a sapere ogni dettaglio della vita di quella fanciulla e viceversa. Erano come sorelle, lo erano sempre state fin dalla pargoletta età. Era un qualcosa di più della banale e solita migliore amicizia.
Loro erano sempre state un gradino sopra e avevano affrontato vita e problemi mano nella mano.

"Fra quanto entri?" Domandò la giovane ragazza, mentre entrambe passeggiavano sotto gli schizzi d'acqua, dirigendosi al bar.
Annie controllo il suo piccolo orologio da polso.
"Fra una mezz'ora, circa." Ella tirò su con il naso strizzando leggermente gli occhi a causa del dolore provocato dalle lacrime.
"Sei in anticipo allora."
"Ah ah" la liquidò velocemente continuando a camminare con delle gocce feroci d'acqua che colpivano il piumino della giovane. Il silenzio lacerante era piombato su di loro, non c'era niente da poter dire, niente sul quale poter discutere. Stella sapeva quando non continuare a dilungare il discorso con la sua migliore amica, capiva quando non era il caso di infierire oltre, e, adesso, non era il caso.
Incuranti entrambe dell'essere ormai zuppe e umidicce, entrarono dentro al bar vicino ad un incrocio.
Esso restava ad angolo, era costruito interamente in legno e si percepiva benissimo tale materiale da fuori, dato che, vi era stato lasciato il colore naturale.
Ambe, dopo aver varcato la soglia della porta, vennero calorosamente accolte dal gentiluomo di casa.
"Ma che diavolo state combinando?!" Urlò spazientito battendo rumorosamente i piedi per terra.
"Vengo a lavorare?" Rispose la donzella porgendola come una domanda sarcastica e retorica.
"Questo lo vedo, ma siete zuppe! Volete sporcare il mio pavimento?"
"Signor Jonhs, stava piovendo e non avevamo un ombrello" giustificò l'amica.
Sorrise.
Non era un uomo cattivo Maiki Jonhs, solo peccava di burberia.
"Forza Annie, mettiti a lavoro."
Annuii la giovane salutando la sua migliore amica.
"Ci sentiamo."
"Ei" la bloccò per un polso "sei sicura di stare bene? Vuoi che ti aspetti qui o-"
"Sto bene." Rispose sorridendo "più che bene, va a casa."
Sì salutarono definitivamente.

Stare bene. Per lei era ormai un termine soggettivo.
Quand'era l'ultima volta che davvero era stata bene?
Forse, se dovesse ripensare, direbbe ciecamente l'inizio di un anno fa. I primi momenti con George, prima che, diventassero un totale disastro mischiato ad un incubo tremendo.
I loro primi attimi, quelli erano tempi felici. Poi, poi cos'era successo?.
La sua vera natura aveva preso il sopravvento.





























[Seconda parte.]
Narratore esterno




























"Ho bisogno di un caffè." Lamentò Annie dopo, ormai, tre ore e mezza di continuo portare le ordinazioni ai tavoli e riportare il contenuto vuoto di nuovo al banco.
Aveva decisamente bisogno di fermarsi un secondo.
Il grembiulino blu che era costretta a portare come unica e vera ufficiale divisa, si era leggermente macchiato con del succo rovesciatosi precedentemente da un cliente spintosi contro di lei, le dava fastidio girovagare per il locale con la divisa sporca, era molto precisa se si trattava dell'aspetto, ma, d'altra parte, aveva forse altra scelta?
"Signorina Hamilton."Ripeteva l'uomo barbuto, non che cordiale e gentile uomo di casa. "Signorina Hamilton!" Urlò in fine, facendo sobbalzare la ragazza mentre stava asciugando il balcone.
"Cosa si urla" disse fra sé e sé.
Prese fiato e alzò gli occhi in direzione dell'uomo. "Cosa c'è signor Jonhs?"
"Chiamano al telefono, chiedono di te.
"Chiedono di me? Ma chi?"
"E io cosa ne so? Era una voce nemmeno esistente in natura, a mio avviso."
Strizzò gli occhi confusa.
"In che senso non è esistente in natura?"
"Sembrava alterata, come intenta a non voler farsi sgamare. Hai qualche pretendente desideroso di mantenere l'anonimato?"
Sospirò velocemente.
Era impossibile, no?.
"Va bene, vado." Buttò nel lavabo la spugnetta gialla, asciugò velocemente le sue mani con, ormai sporco, il grembiule e corse al telefono.

Prese fiato, consapevole che non potesse minimamente essere chi, inconsciamente, sperava fosse e rispose.
Flebile.

<Sì? Pronto?>
<Signorina Hamilton? Posso rubarle qualche prezioso istante del suo tempo, per dirle ancora quanto io le sia grato?>
Respirò velocemente, sgranò gli occhi e schiuse la bocca incredula delle parole pronunciate dall'altro capo del telefono.
<M-michael?> Chiese balbettando.
<Non urlarlo troppo> ridacchiò.
<Come... Cosa... Tu che...>
<Perché?> Suggerì il giovincello.
<Come ci sei riuscito... Come hai saputo che lavoro? E soprattutto come hai saputo dove lavoro.>
Ella lo sentii ridere sonoramente.
Quella fottutissima risata.
<Ti stupiresti di sapere quante cose si possono fare semplicemente chiamandosi Michael Jackson> concluse poi.
<Sei incredibile> rise <sai cos'ha detto il mio capo? Che al telefono c'era una voce strana, che non credeva nemmeno esistesse in natura. Come accidenti hai parlato?>
Rideva, rideva e ancora rideva.
<Abbi pietà di me, hai idea di cosa succede se la gente riconosce la mia voce acuta? Volevo risparmiarti il caos nel locale. Sono un'anima buona>
Scosse la testa mordendosi il labbro la giovane donna.
<Che c'è Michael? Per cosa hai chiamato?>
Pochi secondi di silenzio caddero fra di loro, prima che lui rispondesse.
<Ecco... V-vedi... Sarebbe troppo strano chiederti di vederci, stasera? Verso le nove e mezza magari, quando tutti in casa mia dormano e, sai... Scappare non è così difficile.>
Annie perse un battito.
<C-come...?>
<I-io... Dicevo per...> L'imbarazzo che entrambi avevano era arrivato alle stelle. <... Vorrei farti conoscere una persona.> Concluse lui.
<Perché a me? Sono una completa estranea... Che ci guadagni nel farmi conoscere una persona?>
Sospirò l'uomo.
Effettivamente era vero, che ci guadagnava lui? Niente. Non voleva nemmeno guadagnarci niente, l'unica cosa che voleva era... Diventare più intimo con quella ragazza, conoscerla meglio, voleva che andando avanti le raccontasse tutto di lei. Perché? Ancora gli era difficile capirlo.
Ma sicuramente, quella sera, sarebbe stato un piccolo inizio.
<Non... Non voglio guadagnarci qualcosa, è una scusa banale per-per rivederti.> Sì pentii subito di quella affermazione. <Ma forse... Forse ho esagerato, scusami, sono stato troppo invasivo. Non ti ruberò altro tempo, davvero Annie, scusami.>
Tre secondi, e avrebbe buttato giù.

Uno.

Due.

Tr-

<Va bene.> Si buttò la ragazza velocemente, nella speranza fosse ancora in linea. <Nove e mezza... V-va bene.>
Dall'altro capo, il ragazzo, non smise di ridere per un solo istante. Era al settimo cielo, e ancora non sapeva il perché.
<G-grazie.> Sibilò balbettando.
Quel grazie, la intenerì moltissimo.
<Devo andare, o il Signor Jonhs mi caccia a calci in culo.>
<Oh beh, schietta la ragazza>
<Sempre.> Disse mordendosi il labbro. <Ciao, strana voce non presente in natura.> Attaccò prima che egli potesse replicare.

Finì il turno, con poco tempo per pensare a cosa le sarebbe aspettato la sera, anzi, forse un po' le passò per la testa.
Chissà perché proprio a lei aveva chiesto di vedersi, forse davvero era così solo come immaginato qualche giorno prima e il gesto da lei fatto gli aveva dato modo di farsi avanti per avere qualche amico.
Non lo negò, aver accettato, una volta riflettuto a mente lucida, le sembrò fra le cose più stupide mai fatte. Perché?
La risposta è più banale di quel che pensate.
Aveva il terrore delle persone ormai. Le piaceva aiutare, questo sì, ma il terrore del sesso opposto non le era ancora passato. Nonostante fosse pienamente conscia del fatto che non tutti fossero dei bastardi intenti a ferirla, o con l'unico scopo di deriderla e portarla a letto, la paura persisteva e col tempo invece di cessare aumentava. Il contatto fisico, non parliamone, era un'eresia totale per lei.
Il contatto fisico... Immaginate cosa può essere per una ragazzina di diciassette anni avere il terrore della cosa che caratterizza l'adolescenza: Aver il terrore di essere abbracciata, con la paura di tramutare l'abbraccio in un gesto violento e dolorante. Avere il terrore di essere baciata, con la paura che sia solo l'inizio per portarla a letto. Avere il terrore proprio di, poter anche solo immaginare, di fare di nuovo l'amore con la persona amata in seguito, per la paura che codesto sia violento e l'unico interesse sia farle male. A soli diciassette anni, queste paure, dovrebbero essere inesistenti.

/////

Tornò a casa.
Alla soglia della porta vi era la mamma con le lacrime agli occhi.
Aprii la porta e sa la ritrovò davanti, col mascara colato e gli occhi arrossati.
La guardò confusa.
"Che succede ma-"
"Scusami." Singhiozzò. "Scusami per oggi, per ieri, per l'altro ieri e per tutto. È che non so come comportarmi, ho paura che qualsiasi cosa io faccia o dica non potrà mai esserti d'aiuto. Scusami, scusami Annie, sono una mamma pessima e non saprò mai esserlo per bene. Da quando tuo padre è morto io non so più fare niente, capisco perché avevi un rapporto migliore con lui, davvero, non ti biasimo... Non so essere una madre, sbaglio in tutto ma credimi, AnnieLuise credimi, io ti amo più della mia stessa vita."
Annie buttò a terra la borsa tenuta in mano fino a poco prima, riempii gli occhi di gocce salata e avvinghiò la madre sorridendo.

"Non essere sciocca." Disse solo.

Erano giorni che le teneva il muso mantenendo le difese alte, non né poteva più. Le serviva più che mai l'abbraccio della mamma in quel momento.

"Hai i capelli umidi" si staccò la mamma coccolandole la chioma.
Di volta, anche Annie se li toccò, mantenendo un braccio alla vita della madre.
"Oh, sì. Pioveva a dirotto" rise "odio il temporale."
Entrambe scoppiarono in una risata sonora.
"Asciugati un po' tesoro" le baciò la tempia. "Devo andare ad una mostra fotografica, vieni con me?"
"Certo." Rifletté. "No!"
La madre la guardò confusa.
"Voglio dire, verrei volentieri ma ho detto a Stella che sarei stata con lei per un po'. Sai, ha litigato con Chris"
"Chris? Quel dannato ragazzo rossiccio?"
"Eh già." Mentí la ragazza.
"Va bene tesoro, ma fa attenzione, non rientrare tanto tardi, non farmi preoccupare."
"Tranquilla mamma" le baciò la guancia. "Dovrei sistemarmi, non voglio uscire in queste condizioni." Corse velocemente verso il bagno.

"Stella eh..." Sibilò fra sé e sé.

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