Inganno clandestino -2-

E tornasti come il fulmine a ciel sereno che ti colpisce in pieno giorno. E con te, tornò la paura innata che mi avevi lasciato e che mai avevo dimenticato.
Anonimo.

Michael.

Annie era arrivata con qualche minuto di ritardo, tuttavia Mark non ci fece minimamente caso. Era molto entusiasta di rivedere sia me che la ragazza al mio fianco, per un qualche motivo nutriva molta simpatia nei confronti di lei e a quanto mi era sembrato di capire era contraccambiato. Eppure vedevo Annie più distaccata del solito, assente, quasi assorta nei pensieri. Se ne stava lì mentre sorseggiava una birra e ascoltava con attenzione quello che aveva da raccontare il mio amico.
Non l'avevo mai vista bere.

"E proprio mentre stavo sul più bello è apparso il fidanzato." Terminò il suo aneddoto sull'indimenticabile estate che aveva trascorso. "Vi rendete conto? Un'estate insieme per poi scoprire che aveva il ragazzo. Altro che amore estivo, queste sono state corna per lui e inculata per me." Scuoteva disperato la testa.
"Non demordere amico, di pretendenti ne hai." Lo incoraggiai toccandogli la spalla.
"Non tutte sono alla mia altezza." Passò la lingua sulle labbra. "Ma basta parlare della mia estate. Che mi dite di voi? Annie, ti sei divertita? È stato emozionante?" Domandava alla ragazza che, come preannunciato, era totalmente assente ed immersa nei pensieri.
"An?" Ripeteva mentre la osservava.
"Annie ti senti bene?" Intervenni coccolandole la spalla.
"Mmh? Come?" Scosse la testa. "No. Cioè sì, sì va tutto bene. Che dicevi Michael?"
"Parlavo io... E volevo sapere se ti eri divertita in tour."
"Ah ah."
"Emh... È stato emozionante?"
"Sì, molto."
"Amico, la tua ragazza ha un problema." Mi rivolse quest'ultima frase. Lo guardai fulminandolo per come l'aveva definita, alzai gli occhi al cielo e riposai il mio interesse su di lei.
"Ei, sei sicura che vada tutto bene.?"
Con lo sguardo perso nel vuoto, il rossore acuto che le si era creato sotto gli occhi e le labbra serrate mimò un sì. Passò la lingua fra le labbra chiuse e deglutì.
"Prendo solo un po' d'aria, torno... Torno subito." Prese la sua borsa e si chiuse la porta alle spalle.
Restammo tutti e due a guardare la porta.

"Io non credo stia bene."
"No, neanche io." Dissi, in seguito sospirò Mark.
"È successo qualcosa? Le hai fatto qualcosa?"
"Eh?! Ma ti pare? Era tranquilla quando le ho chiesto se le andava di venire con me, è da quando è arrivata qua che è distratta, assorta e quasi assente."
"Amico, dovresti uscire da lei non credi?"
Indugiai.
"Forse non è il caso... Magari le sembro invadent-"
"O magari puoi farti dire che cos'ha e darle una mano, non so, c'hai passato due mesi dovresti averla imparata un minimo minimo a conoscere. No?"
"Mica si impara in così poco..."
Mi fece alzare, dandomi una spinta.
"Porta il culo fuori di qui."
Mi sbatte fuori.
Ma Annie non c'era.

Iniziai a chiamarla in tono pacato, per non fare troppo rumore e non attirare l'attenzione, dopo aver girato per un po' la ritrovai appoggiata ad un albero con nella mano destra una sigaretta e la birra, che si era portata dietro, nella mano sinistra, alla quale ogni tanto dava qualche sorso.
La raggiunsi, mi sedetti accanto a lei e per qualche minuto nessuno disse niente. C'era semplicemente il silenzio fra noi due, l'unico soave rumore era quello delle foglie che si spostavano di poco con il lieve ventarello fresco.
"Annie, che succede?"
"Perché dovrebbe succedere qualcosa? Sto bene." Portò alla bocca la sigaretta.
"Ti ho vista fumare in poche occasioni, e in tutte quelle eri nervosa, agitata o preoccupata." Buttò fuori il fumo.
"È un'eccezione oggi."
"Annie, sai che se ti va puoi parlar-"
"Di cosa dovrei parlare?! Ho detto che sto bene. Va tutto a meraviglia, ho una vita magnifica, mi va sempre tutto benissimo. Non c'è niente, niente che io debba raccontare." Alzò il tono della voce inghiottendo un altro sorso abbondante di alcool e alzandosi.
Sospirai, non dissi niente. Mi limitai ad alzarmi ed avvicinarmi ancora di più.
Scoppiò in un pianto liberatorio, il mio cuore si strinse nel vedere quella scena, quella piccola e tenera ragazza stava affrontando l'inferno, non lo sapevo ancora, ma lo percepivo.
"Ei..."
"Ti prego..." Mi supplicò buttando la bottiglia e la sigaretta a terra. "Ti prego, perdonami." Disse singhiozzando.
"Ei, no, è come se non fosse successo niente."
"Sono orrenda. La gente mi continua a prendere per il culo ed io me la rifaccio con quelle poche persone che tentano di starmi vicino... Io- io non merito niente."
La pioggia cominciò a scendere. Prima qualche schizzo, poi sempre più forte.
La prima pioggia dopo l'estate.
"An, cerca di respirare va bene? Non sono arrabbiato con te, dico davvero."
Continuava a piangere senza sosta. "Mio Dio An, chi ti ha ridotta così?"

Le spostai qualche ciocca bagnata da davanti il viso, con gli occhi colmi di disperazione continuava a guardarmi senza proferire una parola. "Chi è quell'essere senza un briciolo di umanità che può far piangere così tanto una piccola ragazza come te?" Continuai a chiederle.
Stava ricominciando ad avere un attacco di panico, le presi delicatamente la testa e la portai all'altezza della mia spalla, così da poterla abbracciare.

"Non ce la faccio più."
"Ssh, concentrati sul respiro."
"Non volevo rivederlo..." Mi strinse. "Non volevo."













[Seconda parte.]

Michael.















Passarono svariati minuti, forse più di un'ora, la pioggia era cessata ed Annie era rimasta sulla mia spalla. Nel mentre c'eravamo seduti per terra appoggiati all'albero precedente.
Nessuno disse niente.
Dopo un po' Annie tirò su con il naso e restando appoggiata iniziò a parlare molto piano.
"Ho rivisto il mio ex ragazzo." Disse d'un fiato.
Lì per lì non immaginavo fosse tanto grave, mi venne da pensare che lei ne fosse ancora innamorata e rivederlo l'avesse straziata. Ma per evitare gaffe, non dissi niente, mi limitai ad ascoltare. "Mi ha chiesto dei soldi, un sacco di soldi, per una cosa che non volevo nemmeno fare. Ma la cosa che mi ha fatto più male è stata rivederlo lì, davanti a me, mi guardava come se non fosse successo niente... Come se non mi avesse mai fatto niente. Come se fossimo in buonissimi rapporti. Indifferente."
"E non lo siete?" Azzardai a domandare.
Scosse la testa, stringendosi un po' di più a me.
"E la violenza domestica che ho subito."
Sgranai gli occhi.
"Lui ti ha..."
"Violentata, picchiata, maltrattata, abusata psicologicamente, infamata, criticata, manipolata e poi lasciata a morire lentamente."
I miei occhi cominciarono ad arrossarsi, sentire quelle parole mi faceva male. Come poteva un uomo abusare in questa maniera di una fragile e dolce donna indifesa? Come si poteva avere tanta cattiveria? Come si poteva rovinare per sempre la vita di una persona, ragazza, in quel caso.
Cercai di non versare neanche una lacrima, non era il caso di piangere in quel momento.
"Io... Mi ha detto che gli faccio schifo, ti rendi conto? Io gli faccio schifo. Ero così innamorata di lui... È stato il mio primo tutto, e si è trasformato in un incubo. Ho ancora dei flashback che mi ritornano in mente a volte, quando mi capita una minima cosa... Mi viene in mente il suo volto mentre mi obbligava, mentre mi picchiava..."

AnnieLuise.

"Per chi diavolo mi hai preso? Eh?!" Urlava, mentre mi nascondevo sotto il tavolo, nella speranza si calmasse.
"Io ti do tutto quello che posso darti e tu? Tu non riesci a fare una cazzo di cosa fatta bene? Avevo detto che non dovevi più vederla Stella. Perché ci sei andata maledizione?!" Misi una mano davanti alla bocca cercando di trattenere i singhiozzi. Cercavo di respirare a fondo, di calmarmi, per non farmi sentire.
"Porca troia AnnieLuise vieni fuori, sto cominciando ad incazzarmi? Siamo due bambini idioti che si nascondono? Vieni immediatamente fuori e parliamo!"
Parlare.
Sapevo che non voleva parlare.
Ma cosa avevo fatto di male? Volevo solo andare a trovare la mia migliore amica, per quale motivo avrei dovuto rinunciare a lei? Lui usciva tutte le sere con i suoi amici e a me non me ne piaceva nessuno...
"Va bene." Si arrese. "Va bene mi calmo. Ma esci fuori adesso. Parleremo da brave persone civili." Respirai a fondo, cercai di pulirmi le lacrime ed uscii da sotto il tavolo.
"Finalmente." Sorridendo mi si avvicinò.
Era ad un passo dal mio viso, continuava a sorridere e così feci anche io.
Mi lasciò un violento schiaffo in pieno volto.
"Avevi... Avevi detto..."
"Posso parlare con una deficiente che non riesce a capire una semplice cosa? No. L'unica soluzione è ammazzarti di botte, magari la prossima volta ci ripensi."
"George io..."
"George io un cazzo Annie. Un cazzo. Stella non è una buona compagnia per te, influenza le tue scelte, lo capisci zuccherino? Lo dico solo per il tuo bene ma a te sembra non entrare in quella testolina vuota."
"E tu saresti una buona compagnia?! Non fai altro che obbligarmi a venire a letto con te e mi picchi per ogni cazzata!" Socchiusi gli occhi, pentendomi subito della mia affermazione.
"Come dici, scusa?"
"Io..."
Mi dette un altro schiaffo forte, talmente forte da farmi cadere a terra e sbattere contro uno spigolo, procurandomi una lesione grave alla tempia.
"Sei la donna più inutile del mondo. Fai schifo." Mi sputò addosso. "Ridicola."

"Annie..." I miei occhi ormai erano irrecuperabile, non piangere mi era diventato impossibile. "Dio, piccola creatura." Mi buttai verso di lei stringendola con tutto me stesso.
Era una ragazza fragile, bisognosa di affetto, e in quel momento ne aveva bisogno più che mai. "Basta adesso, non ricordiamo più quei momenti d'accordo? Adesso è finito, ti prometto che non succederà mai più."
"E dopo tutto questo... Mi ha chiesto dei soldi. Mi ha rovinato la vita, e lui ora vuole dei soldi." Si stringeva a sua volta a me.
"Perché vuole dei soldi?"
Rise istericamente.
"Cure mediche. Che poi, chiamarle così mi pare ridicolo... Stavo male, avevo una crisi emotiva e lui ha voluto a tutti i costi portarmi in ambulanza e farmi fare una visita da un medico specialista. Ma non aveva l'assicurazione sulla sanità, per cui gli sono partiti tremilasettecentocinquanta dollari. Adesso a distanza di tantissimo tempo li rivuole. Crede che siamo tutti milionari, che ci basti fare lo schiocco delle dita per vedere i soldi." Abbassai il capo. "Non... Non intendevo dire che-"
"Ei, so cosa intendevi, e ti capisco bene. Non giustificarti."
"Fanculo non so neanche parlare. Non ne combino una giusta."
"An." Mi voltai verso di lei. "Basta trattarti così, non lo accetto." Potei avvertire del leggero rossore sulle sue guance, e di conseguenza sulle mie. "La risolviamo. Ti assicuro che la risolviamo."
"La risolvo, non te l'ho detto perché tu o la tua famiglia ci andaste di mezzo. Non so perché te l'ho detto in realtà... Penso sia la prima volta che mi mostro così vulnerabile." Ammise e di rimando le sorrisi.
"Mentirei se ti dicessi che non mi sento onorato." 

Entrambi scoppiammo a ridere. Mi sentii molto meglio nel vedere che il dolce viso sciupato fino a poco prima dalle lacrime aveva finalmente sorriso. E sapere che ne ero la causa mi faceva stare ancora meglio.
"Sei una brava persona Michael. Non so davvero come ringraziarti."
"Andiamo." Le carezzai i capelli. "Non devi ringraziarmi di niente, siamo amici no? Si fa cosi fra amici."

"Ma finalmente eh!" Sentimmo urlare, impauriti saltammo in aria. "Dopo due ore potevate anche tornare invece di pomici-"
"Mark siedi qui." Lo zittii prima che dicesse una grande boiata.
"Sei matto? No dico, sei matto? Ha piovuto a dirotto fino a poco fa e tu vuoi che metta il culo sull'erba bagnata?" Scosse la testa. "Non se ne parla."
"Eddai, fai poco lo schizzinoso, Annie vuole anche un tuo abbraccio. Vero An?"
Sorrise.
"È proprio vero."
"Voglio una sigaretta, devo proprio tornare a-" Annie tirò fuori il suo pacchetto, ne levò una e gliela porse. "Ma tu fumi?" La guardò scioccato. Ella di rimando sorridendo alzò le spalle. "Ma lei fuma!"
"Ogni tanto, quando è nervosa... Non come te che trovi ogni scusa per fumare." Lo rimproverai.
"Ma che bacchettone." Il mio amico prese la sigaretta e si sedette di fianco ad Annie.

"Va meglio?" Domandò Mark ad An.
Sospirò, mi guardò e sorridendo sibilò un adesso sì. Sorrisi imbarazzato e spostai altrove il mio sguardo.
"Che bellini che s-"
"Guarda il cielo Mark." Lo puntai. "Guarda il cielo."
Alzò le braccia in segno di arresa.
"Accidenti... Dovrei andare adesso." Disse la ragazza dalle iridi scure mentre si spostava da me. "Devo parlare con mia madre."
"Mark, la puoi accompagnare? Non voglio vada da sola."
"Miki, ho il motorino. Non preoccuparti, altrimenti sarebbe costretto a tornare a piedi e non è il caso, non siamo proprio vicinissimi." Mi mostrai del tutto in disaccordo.
"Però vai piano okay? E non fermarti per nessun motivo." Sorridendo annuì. "Posso... Posso sentirti domani?"
"Non devi chiedermelo." Mi diede un bacio sulla guancia. "Ciao Miki. Ciao Mark, è stato un piacere rivederti... Scusami per come mi sono comportata."
"Ma ti immagini, lo è stato anche per me... Spero di rivederti presto."
"Contaci." Disse dissolvendosi nel niente.
Continuai a fissare per svariati istanti il punto dove Annie si trovava fino a poco prima, sotto lo sguardo acuto del mio migliore amico.
"Michael hai preso una bella botta. Lo sai vero?"
"Devo trovare il modo di aiutarla con quei soldi." Dissi totalmente immerso nei miei pensieri.
"Come scusa?"
"Non posso lasciarla nei casini, quello non è affatto normale ne tantomeno stabile. Anche se la cosa migliore sarebbe toccare la polizia."
"Michael?"
"Potrei provare a parlarne con mia madre... Ma magari Annie non vuole.?"
"Michael di che diavolo stai parlando?"
Fissai il mio amico in silenzio, cercando di ragionare sul come poter agire per darle una mano. Non era facile, ma se era vero che gli amici dovevano esserci nel momento del bisogno, era proprio quello il momento di starle accanto.

AnnieLuise.

Arrivai sotto casa mia stanca e distrutta. Ripensavo all'accaduto di quella notte e mi sentivo... Sciatta, debole e del tutto idiota. Ero crollata come una perfetta deficiente fra le braccia di una persona, avevo implorato il perdono e avevo permesso a qualcuno di vedere il mio lato vulnerabile. Ero caduta proprio in basso. Mi facevo pena... Probabilmente non aveva torto George.
Facevo schifo davvero.

"Sono a casa." Dissi flebilmente. Mia madre stava mangiando del gelato, appena mi vide mi diede un caloroso abbraccio che continuai a tenere ben stretto.
"Tesoro stai..." Ricominciai a piangere.  "Mio Dio piccola che succede?"
"L'ho visto mamma... L'ho visto." Si spostò guardandomi negli occhi.
"Chi hai visto?"
"George... Ho rivisto George." Mia madre mise una mano davanti alla bocca invitandomi a sedere.
"Che ti ha detto? Ti ha toccata? Giuro che lo ammazzo."
"Non mi ha toccata..." Singhiozzavo. "Ha semplicemente detto che rivuole i suoi tremilasettecentocinquanta dollari."

"Che cosa intendi, scusa?" Mi domandò mia madre sorpresa.
"Vuole i soldi che ha usato per quel viaggetto in ambulanza non richiesto e la stupenda visita da un medico specialista sempre non richiesta."
"Non può farlo!" Bottò mia madre. "Non può chiedere soldi che ha speso di sua spontanea volontà, questo è un ladrocinio. Non ci sto." Continuavo a piangere. Mia madre calmò il tono della voce, il suo sguardo si fece cupo e preoccjpato. "Dio piccola, perché non sei tornata subito a casa?"
"Michael." Dissi accoccolandomi alla sua spalla. "Gliel'avevo promesso." Sbuffai. "Gli sono crollata davanti mamma... Ho mostrato un lato di me vulnerabile e mi sento così tremendamente stupida, chissà cosa avrà pensato di me. Adesso mi crederà patetica... E forse ha ra-"
"Smettila subito. Mostrarsi vulnerabili non è patetico, ogni persona ha il sacrosanto diritto di poter piangere, capito tesoro? Sono sicura che il tuo amico non ha pensato a niente di tutto questo. Significa soltanto che ti stai particolarmente legando a quel giovane, ma non è un male bambina mia, a volte l'unico modo per tornare a vivere e circondarsi di persone migliori. Fidati di me cara." Mi baciò la tempia. "Fidati."
Continuai a lacrimare impaurita dalla situazione.
"Ei." Mi fece appoggiare di più su di lei, mentre coccolava i miei capelli. "Hai fatto bene a parlarmene, adesso la risolviamo insieme." Spostò una ciocca dietro l'orecchio. "Nessuno può più toccare mia figlia. E dico nessuno."

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