Il suono del silenzio -3-

Mi hai insegnato tutto, tutto quello che so. Ma non mi hai insegnato a vivere senza di te.
Mi manchi.
Anonimo.

AnnieLuise.

25 dicembre 1981

Era la trentacinquesima volta che mi cambiavo, o forse di più. Non era niente di speciale in fondo, una cosa comune che facevo tutti gli anni eppure l'incontro con Mulbah mi metteva in ansia più di quanto avrei immaginato. Probabilmente perché rimembrar mio padre, il suo passato, la sua infanzia e chissà cos'altro senza la sua presenza per me era una novità, era una ferita fresca che non si sarebbe mai più ricucita. Probabilmente avevo solo tanta paura, paura di non riuscire a darmi un contegno e cadere nelle lacrime più profonde che si potevano immaginare.
Respiravo affannata da quella mattina, non ero uscita proprio per quel motivo, sembravo aver un attacco di panico. Un attacco di panico lungo e dolente, perenne, che non aveva intenzione di cessare. Forse avevo solo bisogno di piangere, di dire quello che pensavo, di gridare... Di rivedere mio padre.
Tirando un ultimo respiro forte, mi sistemai il maglione rosso sangue che avevo addossato per quella sera. Oltre a quello, venivo accompagnata da un paio di jeans blu scuro che aveva delle leggere rifiniture nere sulle tasche, e delle scarpe che erano del medesimo color nero pece. Non mi truccai, non mi truccavo mai a dire il vero, non ero il tipo. Se proprio dovevo, l'occasione doveva essere super speciale e il trucco, benché fosse tale, doveva esser leggerissimo, un velo di mascara e della lieve matita nera sotto gli occhi.
Occasione rara eyeliner.
Mi guardai allo specchio un altro paio di volte, non riuscivo proprio ad uscire dalla mia camera.
Guardai verso l'alto, puntando la foto mia e di mio padre che posava sul lato destro del muro bianco. Avevo all'incirca sei anni in quella foto, ed avevamo appena fatto l'albero insieme, aspettavo ansiosa babbo natale con quei buonissimi biscotti al burro che cucinava sempre mia madre e del latte caldo che, lasciato là dalla mattina, diventava freddo e imbevibile ogni volta.
Mi piaceva credere in babbo natale.
Mi piaceva esser piccola.
Ho sempre creduto che il desiderio più imbecille che avevamo, e che io per prima avevo, a quella età era proprio di diventar grande. Sei piccolo con un immenso bisogno di protezione, attenzioni, cure, coccole... E di colpo ti ritrovi grande, con la protezione che devi darti da solo, le attenzioni che sono esaurite, le cure difficili da pagare e le coccole sparite. Da bambini è un concetto che non capiamo, ma quando iniziamo a prendere indipendenza totale e consapevolezza è un fulmine a ciel sereno che ci colpisce e ci disarma lasciandoci spaesati. O almeno, per me era funzionato così.
Tirai l'ennesimo respiro.
<<Buon natale papà.>> Sibilai prima di uscire definitivamente dalla mia stanza.

Raggiunto il salotto, vi era mia madre, Stel e sua madre che chiacchieravano del più e del meno.
"Annie, tesoro!" Si alzò Valentine, madre di Stella, per posarmi un bacio sulla guancia seguito da un abbraccio stretto. Troppo stretto. "Ma come stai cara? Ho saputo del tour! È stato pazzesco non è vero?"
Sorrisi.
"Pazzesco, sì."
"Poi con un gruppo come quello, accidenti che fortuna, scommetto anche ad una paga decisamente alta."
Puntai male Stella.
Le avevo detto di tenere quel maledetto becco chiuso anche con la madre. Mi ascoltasse mai.
"Giusta per il lavoro."
"Non essere modesta, di sicuro è una paga profumata!"
"Mamma dai." Intervenne Stel. "Non stressarla con questa storia, avevamo detto che non sarebbe venuta fuori."
"Scusami tesoro, hai ragione. Ma lo sai, a me piacciono un sacco i Jackson's soprattutto il piccolo Michael, che adesso non è più tanto piccolo eh."
Sorrise e mi sforzai di farlo anche io.
"Come stai piccola?" Mi sussurrò all'orecchio mia madre coccolandomi la spalla.
"Sto." Strinse le labbra sorridendo a malapena.
Il suono del campanello ci fece girare tutti contemporaneamente, euforica ed impaurita che fosse Mulbah, mi recapitai io velocemente al citofono.

-Chi è?- Domandai facendo accellerare i battiti.
-Max.- Respirai regolarmente, sbuffai un po' ed aprii, felice comunque che fosse arrivato.

Lo feci salire.
Una volta aperta la porta notai esservi solo lui.
"Tua madre?"
"Si scusa, ha la febbre non verrà." C'era una lieve punta di amarezza in quelle parole, sembravano inveritiere, dette per trovare una scusa plausibile e realistica.
Non indagai oltre. Magari non voleva.
"Non preoccuparti tesoro." Mia madre gli prese la mano facendolo entrare. "Le metteremo qualcosa da parte, così potrai portarglielo a fine cena!" Sorrise debolmente max.
"Max?" Domandò scioccata Valentine. "Mamma mia quanto sei cambiato! Mi aveva avvertita Stella che eri diverso, ma non credevo così tanto!"
Arrossato rispose.
"Spero in meglio."
"In molto meglio! Guarda che bel ragazzotto che è divenuto." Alluse alla figlia. Stel arrossì di conseguenza, spostando il suo volto altrove.
"Bello. Diciamo."
Max sorrise malizioso, mordendosi il labbro inferiore.

Ho l'impressione che la cotta per me sia sfumata eh.

Sorrisi al pensiero.
Mi avrebbe fatto davvero tanto piacere se Max e Stella fossero divenuti una coppia, entrambi meritavano una persona buona e dolce che potesse fare da ancora all'altra.
"Chi manca ancora?" Domandò Val.
Persi un battito.
"Un amico di mio marito." Rispose mia madre, facendo incupire tutta la sala.
Scosse il capo la madre di Stella, arrossando gli occhi.
"Certo, non sarà lo stesso senza Josh. Mi dispiace tanto Marge, anche per te piccola Annie."
Annuimmo io e mia madre.
"Mamma, hai dato l'indirizzo giusto a Gerard?"
"Certo, era proprio quello giusto."
Annuii ancora, in preda all'ansia.
Nell'attesa, mangiammo qualche stuzzichino preparato alla tira via da mia madre: lei e Valentine se ne stavano per conto loro, parlando come sempre del lavoro, dei gossip e quelle cose da -pettegole- mentre io e i miei due migliori amici ce ne stavamo vicino alla finestra, aspettando lui.
Passò un'ora esatta, fin quando finalmente non sentimmo suonare il campanello.
Mi precipitai nuovamente al citofono.

-Mulbah?- Domandai di getto.
-In persona.- Sorrisi, ma in ansia. In totale ansia.
Aprii la porta e lo aspettai lì davanti.

"Buonasera." Sorrise varcando la soglia, porgendomi un mazzo di rose rosse. "Buon natale." Mi sussurrò facendomi un sorriso tenero.
"Gerard. Quanto tempo." Mia madre lo abbracciò, si scambiarono due baci sulle rispettive guance e iniziò le presentazioni.
"Loro sono Stella e Max, due amici di Annie." Stella porse la mano e la stessa cosa fece Max, egli la strinse.
"Piacere di conoscervi.
"Piacere." Sorrise la mia migliore amica.
"Piacere mio, signore." Esordì Max.
"Dammi del tu ragazzo, non sono così vecchio." Rise.
"Lei invece è Valentine, la madre di Stella." Continuò mia madre.
"Un vero piacere Valentine."
"Il piacere è mio." Si strinsero anche loro la mano.
"Allora, sei in ritardo. Hai sbagliato strada non è vero?" Domandò mia madre ridendo.

"Nah. Cosa? Figurati." Mia madre sgranò gli occhi alzando le sopracciglia. "Una piccola svista... Un errore di... Percorso."
"Ecco."
Gerard era ben vestito, portava uno smoking nero che aderiva perfettamente al suo fisico magro, ma muscoloso. Un bel fisico mantenuto.
"Allora Annie? Come stai?" Si avvicinò abbracciandomi.
"B-bene... Sto bene."
"Tua madre mi ha detto che sei stata tu a volermi qui. Te ne sono grato, infinitamente grato."
Sorrisi.
"È un vero piacere per me."
"Forza su, riuniamoci a tavola adesso." Aggiunse mia madre, toccando la schiena di Gerard.









{...}








"Era così paffuta da piccola." Commentò Valentine, alludendo a Stella. "Bella eh, bella come sempre, ma paffutella."
"Mamma dai, devi raccontarla al mondo intero questa storia?"
"Che c'è zuccherino? Non è mica un reato essere paffutelli."
"Non me la ricordo <paffutella>" fece le virgolette con ambe le mani Max. Stella arrossì lievemente abbassando il capo, ricevendo da parte mia un'occhiataccia maliziosa.
"Max, tu invece, ti ho già detto che sei venuto su un bel figliolo? Mamma mia, ti ricordo col ciuccio in bocca. Hai tolto tardi il ciuccio tu eh."
Stella la guardò fulminandola. Portò le mani sulla sua chioma e sibilò un: "Qualcuno fermi questa donna." Facendo così ridere tutti quanti.
Io ero piuttosto assente, tenevo gli occhi sulla sedia del mio papà. Era vuota, nessuno si era messo a quel posto in segno di rispetto.
Ma faceva male vederla così. Era una sensazione che non sapevo proprio descrivere a parole, un'emozione che si avvicinava all'angoscia mista devastazione, ma ancora non rendeva l'idea chiara.
E mi venne un senso di colpa acuto, mi stavo divertendo, anzi, ci stavamo divertendo a tavola attorno ad un buon tacchino ripieno con delle patate arrosto e lui, lui non c'era. E non ci sarebbe mai più stato.
Non meritavo di divertirmi nella sua festività preferita senza di lui, osavo troppo, mi sentivo ingrata, sporca e crudele.
Sentii delle gocce bagnate insediarsi nelle mie pupille. Sgranai gli occhi e tenendo lo sguardo basso mi ricomposi, cercando di pensare per un solo momento ad altro, solo per non scoppiare in lacrime.

Chissà cosa sta facendo Michael eh, probabilmente lavora anche oggi, dato che non la festeggia.

"Che hai cucciola?" Mia madre mi posò la mano sulla coscia, carezzandola delicatamente.
"Come?" Passai una mano sotto l'occhio sinistro sorridendo. "Niente, anzi, mi sto divertendo... Anche troppo." Sussurrai l'ultima frase. "Devo prendere qualcosa? Levo i piatti?"
"Ei cavallo da corsa!" Si intromise Valentine. "Che ne dici di goderti la cena invece? Dai, ci stiamo divertendo così tanto. Non affrettare il tempo."

"Prego?" La guardai per un istante.
Gli occhi erano ancora colmi di lacrime, e la rabbia verso me stessa e verso quella stupida festa era aumentata. "Godermi la cena?" Domandai. "Godermi la cena..." Sussurrai sta volta alzandomi in piedi. "Scusami Valentine, scusa se sto rovinando questa bella cenetta ma non so se te ne sei risa conto" indicai la sedia vuota "lì, proprio in quel punto manca qualcuno. E, ironia della sorte" risi istericamente "è mio padre. Quindi mi dispiace ma no, non riesco a godermi questa cena proprio per niente!" Bottai alla fine, sbattendo i pugni sul tavolo.
Mi calmai quando Stella posò la sua mano sopra il mio pugno sinistro, rendendomi conto di aver eccessivamente esagerato.
"Annie mi dis-"
"Scusa Valentine. Voi tutti, scusate." Mi morsi il labbro. "Vado un attimo fuori, con permesso."
Mi incamminai, pregando sia a Stella che a Max di non seguirmi e mi diressi verso l'uscita.

Mi sedetti sullo scalino fuori dalla mia porta e continuai a piangere.

















[Seconda parte.]
AnnieLuise.


















Accesi una sigaretta e feci un tiro. Soffiai fuori il fumo da essa osservandolo disperdersi nell'aria, era già tanto che non ne fumavo una, piano piano mi ero convinta che a breve avrei smesso ed invece, alla fine, ne avevo sempre bisogno.
Sicuramente di questo non sarebbe andato fiero mio padre, lui odiava il fumo e con loro i fumatori. Portavo il peso di esser diventata in minima parte una cosa che mio padre non tollerava, ma sapevo che avrebbe capito le mie motivazioni.
Fumare era un antistress. La nicotina e le altre quattrocento e più sostanze cancerogene in un qualche modo mi tenevano a bada e mi facevano calmare in momenti come quelli.
Facevo bene? Cazzo, assolutamente no. Ma c'era anche da dire che in quel momento non era la mia priorità se il fumo causava danni ai polmoni o meno.
Feci un altro tiro e tossii un po'.

"Non sapevo fumassi." Mi voltai, vedendo una figura vestita elegante sedersi accanto a me.
"Non fumo infatti."
"E quella cos'è?"
Rotai la sigaretta fra le mani.
"Non fumo spesso, capita a volte, non è un vizio."
"Tua madre lo sa?"
"No lo so, forse lo immagina."
"Mmh." Mosse la testa in segno di disapprovazione. Portai le gambe al letto ed incrociai sopra di esse le braccia ad "x", facendo penzolare a terra la sigaretta.
"Mi cercano dentro?" Domandai.
"Beh, sei fuggita via. Sono impensieriti."
Annuii.
"Annie, vuoi dirmi qualcosa? Vuoi parlar-"
"È che..." Inizia voltandomi nella sua direzione. "Perché ci stiamo divertendo? Voglio dire, mio padre è morto e nessuno me lo ridarà indietro, noi stiamo qui, seduti a tavola festeggiando come se non mancasse niente ma qualcosa manca. Manca eccome ed io lo sento.
Sai, Gerard, all'inizio ero felice di questa cena, e lo sai perché? Perché credevo di onorare la sua memoria stando a tavola con voi, invitando te, cercando il più possibile di pensare a cosa avrebbe voluto che io facessi in questa situazione ma adesso, adesso mi sembra di star ridicolizzando tutto. E Valentine mi viene a dire di godermi la cena, cosa dovrei godermi? Mmh? Il mio primo Natale senza mio padre?
Come posso godermelo?
Ti giuro, te lo giuro Gerard io credevo che sarebbe stato diverso, credevo che l'avrei gestita meglio ma non ci riesco, non posso farlo, è più forte di me.
Non voglio divertirmi, non voglio stare seduta a fissare il posto a capotavola senza vedere mio padre seduto là, che mi parla, che ci parla raccontandoci la stessa storia del babbo natale che mi spaventava da morire quando ero bambina." Risi, in preda alle lacrime. "Non posso, io non posso farlo."
Singhiozzai buttando a terra la sigaretta e portando entrambe le mani sul volto.
Mi sentii avvolgere.
Di istinto mi voltai per stringerlo a mio volta, cadendo in quell'abbraccio del quale avevo davvero tanto bisogno.
Avevo bisogno di sentirmi abbracciare da due braccia che mi ricordassero mio padre, che fossero familiari alle sue, e quelle di Gerard, lo erano.
"Vedi tesoro." Mi coccolò la chioma. "Capisco il tuo stato d'animo e penso che la signora Valentine abbia esagerato nel dirti quella frase e la tua reazione, credimi, era del tutto comprensibile.
Ma perché non dovresti meritarti di sorridere? Credi che Joshua vorrebbe vederti triste e agonizzante? Credi che vorrebbe che tu bloccassi la tua vita? O credi forse che si sentirebbe tradito e poco onorato da te, se in questo giorno ti scappasse di tanto in tanto un sorriso?
Piccola, lo sai anche tu com'era fatto tuo padre. E sai cosa lo ferirebbe? Vederti così.
Vederti qui, seduta sotto lo scalino di casa tua, con una sigaretta in bocca e le lacrime che prendono il sopravvento a questa maniera. Ecco questo, questo lo farebbe stare male, non di certo saperti felice.
Nella vita, ci saranno sempre delle sconfitte, delle cadute, delle perdite, e alcune saranno più facili di altre da sopportare mentre alcune saranno così dure da mandare giù che probabilmente ci vorranno anni su anni e la ferita, comunque sia, non si chiuderà sempre. Funziona così, è il buffo circolo che prende tal nome, e bisogna imparare a rialzarsi davanti a catastrofi.
Ci vuole solo la volontà di farlo, e so bene che non è semplice, non è come dirlo, ma se sei la figlia di Joshua Hamilton la tenacia e il coraggio sono le uniche cose che di sicuro non ti mancano. Adesso fai un bel respiro, sorridi, e comincia a pensare a cosa ti direbbe tuo padre se fosse qua.
Che cosa ti direbbe, Annie?"
"Affronta ogni situazione a-a... T-testa alta. Con il sorriso."
"Affronta ogni situazione a testa alta con il sorriso. Esatto, ti direbbe questo, ed è questo che adesso devi fare. Affrontare questa perdita a testa alta. Ora piangi, sfogati, urla contro al mondo quanto ti fa male e poi, ricomincia a vivere tenendo ben saldo tuo padre nel cuore. Nessuna persona muore mai al cento per cento finché vive nel cuore di anche solo una persona, e tuo padre di persone che lo tengono nel cuore ne ha davvero tante."
Rimasi immobile per svariati minuti dopo quelle parole.
Mi avevano spezzata, disarmata e rasserenata allo stesso tempo.
Avevo bisogno di sentirmelo dire da veramente tanto, mi serviva un permesso per sorridere, il permesso di mio padre che non mi avrebbe più potuto ridare.
Io avevo bisogno di un'autorizzazione e in quell'istante Gerard, senza saperlo, me l'aveva data.
Strinsi l'abbraccio, bagnai la sua giacca nera ma non mi importava, avevo ancora bisogno di quell'abbraccio.
"È troppo chiederti di non sparire, Gerard?"
Sorrise, spostandomi dall'abbraccio costringendomi a guardarlo.
"Scherzi? Non ho alcunissima intenzione di sparire, sarò qua tutte le volte che vorrai, per la figlia di Josh questo ed altro. E poi, sei davvero una ragazza fantastica." Mi asciugò una lacrima dalla guancia destra. "Ora basta piangere, hai degli occhi così belli... Quando ridi sembra che anche l'iride ti sorrida lo sai?"
Rise e così anche io.
"Dai vieni qui." Continuò, abbracciandomi ancora.
Rimasi sulla sua spalla per molto tempo.
"È come se fosse ancora qua con me." Chiusi gli occhi, immaginandomi mio padre.

Immaginandoci assieme, lui su una sedia mal ridotti di legno ed io sopra la sua gamba mentre fuori osserviamo la neve cadere, mentre guardiamo gli alberi prendere il colore bianco, con la sua musica preferita in sottofondo e mia madre che prepara qualche biscotto da dare in dono successivamente a babbo natale.

La vita, quando ero bambina, migliorava a Natale.

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