Giro di giostra -1-

"A volte è difficile affrontare la realtà.
Anche se potrai arrabbiarti con me, a volte è difficile affrontare la realtà."
Poo Bear.

AnnieLuise.



15 gennaio 1982.



"Sono foto stupende!" Fiero mi coccolava l'udito il mio professore.
Era ormai tanto tempo che proseguivo i miei studi privati grazie alla famiglia Jackson, e non mi trovavo per niente male con quell'uomo, tutt'altro, era davvero geniale e acculturato.
"La ringrazio Signor.Rossi, è un onore per me poter apprendere da lei."
Sorrise.
"Non dica sciocchezze signorina Hamilton. Piuttosto, di questo passo per lei l'entrata nella mia accademia di fotografia a Firenze non sarà dicerto così difficile." Mi fece l'occhiolino.
Firenze.
L'Italia.
Quanto avrei voluto vivere laggiù.
Ricambiai il sorriso e sistemai il piccolo studio. Mi ricomposi prendendo le mie cose e mettendomi il mio giubbotto.
"Allora alla prossima settimana Hamilton!"
"Senz'altro, buon fine settimana Signor.Rossi."
Asserì con il capo ed io uscii.

Il freddo pungente dell'inverno mi penetrava attraverso il giacchetto nonostante fosse piuttosto pesante. Camminavo per le strade della città osservando i negozi che brillavano mentre alcuni di loro ancora non avevano tolto le luci natalizie, benché fosse passato già da un po'.
All'interno di un negozio vidi una giovane ragazza, una mia coetanea con molta probabilità, che parlava con uomo molto più grande di lei. Sceglieva un vestito, un bel vestito bianco stretto in vita ricoperto di paillettes sul colletto sottile. Doveva costare un'accidente.
Vidi l'uomo asserire con la testa mentre ella emozionata gli saltò addosso, mimò qualcosa con le labbra prima di baciarlo delicatamente sulla guancia, ricevendo a sua volta una carezza sulla testa.
"Grazie papà."

Papà.
Che bello deve essere avere ancora il papà accanto.

Mentre osservavo quella scena ferma sul marciapiede, realizzai che non ero mai andata a trovare mio padre ultimamente. Mai una sola volta. E mi facevo schifo per questo, ma il senso di voltastomaco mi faceva star male ogni qual volta che anche solo accennavo al pensiero di farlo. Non era giusto nei suoi confronti, e neanche nei miei, andarlo a trovare era l'unica cosa che potevo fare per riaverlo con me. Per potergli ancora parlare, per potergli dire quanto mi mancasse averlo a fianco.
Sospirai.
Forse era l'ora di fargli visita.

"Annie!" Sentii una voce adulta chiamarmi.
Guardai a destra e a sinistra per cercar di capire chi fosse. "Annie, sono qua." Mi voltai di nuovo a destra.
"Gerard!" Entusiasta mossi la mano per salutarlo e mi diressi velocemente verso di lui abbracciandolo.
"Ei ei ei." mi prese le spalle. "Stai sorridendo." Ampliai il mio sorriso.
"Gente, sta sorridendo!" Si mise ad urlare.
"Eddai Gerard." Ridacchiai stavolta.

"Eccola là, la ragazza sorridente che volevo vedere."
Mi abbracciò di nuovo. "Sei molto più bella quando sorridi."
"Che ci fai da queste parti?"
"Ci vivo da queste parti." Mi invitò a sedermi. "Ti va un caffè? Offro io."
"Certamente, ma non serve che me lo offri Gerard."
"Ssh Hamilton, non era una richiesta."
Risi, arrendendomi.
Mi sedetti al bar di fianco a noi e in seguito ordinammo un caffè nero e un cappuccino chiaro.
"Tu che ci fai da queste parti?" Mi domandò mentre aspettavamo il nostro ordine.
"Ero a lezione, faccio un corso privato di fotografia."
"Oh beh, dalla fotografa dei Jackso-"
"Sssh." Serrai gli occhi sorridendo. "A bassa voce."
"Dei Jackson's non potevo aspettarmi altro."

In quel momento, l'immagine di Michael mi balenò in testa.
Avevo tanta voglia di vederlo, ma nell'ultimo periodo era stato piuttosto indaffarato, e di tempo non ne avevamo mai molto, e quello che c'era, non era abbastanza. Non per me.
Del bacio non ne parlammo più, lo mettemmo a tacere senza bisogno di dircelo, il giorno dopo mi telefonò come se niente fosse ed io, di conseguenza, mi comportai come se niente fosse.
D'altro canto lo preferii di gran lunga, perdere Jackson era una cosa che non potevo permettermi, al tirar delle somme avevo legato con lui più di quanto avessi mai fatto con qualcuno ad eccezione di Stel e Mark, ed era raro per me trovare qualcuno con il quale potevo essere me stessa, del quale mi fidavo senza ombra di dubbio...qualcuno da poter chiamare amico veramente, perché veramente lo sentivo amico.
Michael Jackson aveva la mia fiducia. E non era cosa da poco.

"E dimmi, lavori in programma? Qualche servizio per qualche altro cantante?"
Una donna sulla quarantina ci portò i nostri caffè, li posò delicatamente sul tavolo.
"Grazie" dicemmo io e Gerard all'unisono.
"Posso portarvi altro?"
Egli mi guardò ed io scossi la testa.
"Apposto così, la ringrazio." Sorrise e se ne andò.
"Dicevamo." Bevve un sorso di caffè Mulbah. "Programmi?"
"Io lavoro solo per loro e non credo abbiano niente in programma per ora, o quanto meno non qualcosa dove sono necessaria io...e se l'avessero comunque dovrei tacere."
Bevvi anch'io il mio cappuccino.
"Sei diventata professionale."
"Sono sempre stata professionale." Sorrisi.

C'era silenzio.
Mulbah beveva il suo caffè osservando i passanti che camminavano.
Io mi ero zittita da qualche minuto mentre tenevo lo sguardo fisso sulla tazza. Giravo il cucchiaino all'impazzata, sebbene lo zucchero si fosse ormai assorbito da un bel po' di tempo.
Sospirai rumorosamente costringendo Gerard al posare il suo sguardo su di me.
Perplesso, aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo interruppi.

"Ho deciso di andare a trovare mio padre."

Rimase a bocca aperta per qualche istante. Si ricompose poi, sorridendomi dolcemente.
Posò la sua mano sulla mia mentre i miei occhi presero un colorito rossastro.
"Hai fatto la scelta giusta." Mi rassicurò. "Non c'è modo migliore di affrontare il dolore, che farlo di petto." Annuii con la testa.
"Forse non sono così forte da farlo da sola...tu-" mi fermò seduta stante.
"Vorrei tanto venire con te, ma è giusto che tu sia da sola. È un momento di transazione per te, stai cercando di accettare il fatto che tuo padre non ci sia più tesoro. Stai cercando di farlo adesso, e questo è un inizio, probabilmente chiunque direbbe che adesso hai bisogno di una spalla e sicuramente più di ogni altra cosa avresti bisogna di una spalla quando sarai laggiù. E io non te la negherò. Sarò il primo ad offrirtela, ma adesso devi stare sola con tuo padre e sfogarti, parlare, dire tutto quello che vorresti dirgli e se ci fossi anch'io, invaderei la tua privacy. Perciò, ti aspetterò da tua madre se vorrai, e lì, piangeremo insieme."
Chiusi gli occhi e versai una lacrima.
"Perché quando parli tu, piango sempre?" Dissi sarcasticamente asciugandomi la goccia sul viso.
"Gli uomini saggi fanno piangere tesoro."
Finii il mio cappuccino.
Mi alzai e di conseguenza anche Gerard.
"Mi aspetterai a casa mia? Sul serio?"
"Se Marge non mi getterà fuori, volentieri."
Ridemmo.
"Non lo farebbe mai." Annuì egli.

"Annie."
"Sì?"
"Ti vedo più radiosa. Sarà l'amore?"

"Non amo nessuno Gerard."
"Ah no?"
"No." Scossi il capo sorridendo. "Ci vediamo."
Mi incamminai, quando mi sentii toccare la spalla e voltarmi.
"Renditi conto di una cosa bella senza doverla prima perdere." Deglutii. "Buona fortuna piccola con tuo padre."







{...}







Verde spento, fiori appassiti, lucernari rossi e bianchi nel mezzo di un mucchio di lapidi grigiastre, marmoree.
Respiro affannato, occhi che mettono poco a fuoco e oppressione al petto. Lenta, dolorosa, pungente fino al punto più cieco del nostro cuore.
Alzai gli occhi per osservare, per cercar di guardare il cielo nella speranza di intravedere uno spiraglio di luce.
Luce, quella che chi entra qua dentro non può più vedere.
Luce, quella che mio padre non vedrà mai più.
Il respiro si irregolarizzò.
Mi mancava l'aria.
Alzai il volto, ancora, ancora e ancora nella speranza di ricevere ossigeno.
Non mi arrivava più.
E mi prudeva la gola. Mi prudeva dannatamente la gola e avrei voluto urlare, avrei voluto urlare così forte da poter risvegliare queste anime che avevano toccato l'ultimo stadio. Lo stadio dal quale non si torna indietro.
Da dove lui non sarebbe mai più indietro.
Mi feci coraggio. Andai avanti.
Tutto a dritto, svoltai a destra. La prima lapide a sinistra.
Il suo nome.
C'era il suo nome.

"Joshua Hamilton."

Ero ferma, immobile, impassibile che fissavo la sua lapide.
Inspirai ed Espirai. Inspirai ed Espirai. E ancora, Inspirai ed Espirai.

"Ciao papà."

Sibilai lasciando cadere una lacrima.
Che divennero tante, tante lacrime.
Posai i fiori sulla sua bara, semplice violette blu piccole, quelle che aveva sempre amato.
Mi sedetti ed incrociai le braccia avvinghiandole alle mie gambe.

"Ma tu guarda cosa devo fare per parlarti..."

Respirai ancora a fondo. E, finalmente, mi lasciai andare.

"Gerard è un buon amico. Adesso né ho certamente bisogno, mi ricorda moltissimo te sai? Non ho dubbi che siate cresciuti proprio come fratelli.
Poi, vediamo, ho fatto carriera. Cioè, detta così suona una roba importante ma in realtà ho iniziato da meno di un anno, lavoro con i Jackson's.
Non avrei mai pensato di dire che Michael Jackson è diventato in così poco tempo una delle persone a me più care. Mi ha addolcita molto sai? Ho sempre un caratterino fastidioso, lo ammetto, ma con Michael tiro sempre fuori il meglio di me.
Raro trovare amici che tirano fuori il meglio di te, vero papà?
La mamma sta bene, tutto sommato tira avanti, la tua mancanza si fa sentire ogni giorno sempre di più e il Natale...beh, non ha avuto la sua magia." Singhiozzai asciugando le lacrime, che non si erano mai interrotte. "Ma io sto bene, sì...bene." respirai a fondo. "George è uscito dalla mia vita, finalmente, anche se ho alcune lacune riguardo alla sua sparizione...ma meglio non indagare giusto? Le cose sono andate così, lasciamole così. Non voglio rivivere neanche nella memoria quell'incubo. Dicevamo...ah sì, Michael.
Ti sarebbe piaciuta molto la sua persona, era ciò che consideravi il ragazzo ideale, non che stia dicendo che mi piaccia o cosa, no no, però tu sicuramente avresti girato molto il dito nella piaga." Risi di gusto e mi ammutolii.
Fissai un po' il vuoto.

"La verità è che ho paura. Tanta paura papà.
Mi manchi, mi manchi da morire.
George mi tormenta ancora nel ricordo.
E i rapporti interpersonali mi spaventano.
E poi Michael...Michael mi confonde. Mi confonde troppo.
La notte non riesco a dormire bene, ho ancora degli incubi e faccio sbagli su sbagli, io sono uno sbaglio, riesco a ferire chiunque mi stia attorno ed ho paura di perdere anche lui, papà, perderò anche lui è solo questione di tempo.
La realtà è che mi ci sono affezionata troppo e non volevo, era proprio quello che volevo evitare con qualsiasi persona, e adesso ho paura, perché non voglio essere legata a nessuno, perché non voglio più amare...non voglio più voler bene a nessuno così tanto, non più, non voglio uscire dalla mia zona di comfort con Stella e Max. Anzi, non volevo, ma sono uscita perché sento spesso la voglia di sfogarmi con Michael.
Michael Jackson papà." Risi istericamente. "Ma non ti pare assurdo quello che sto dicendo? Perché ho bisogno di parlare con lui? Perché ne sento il bisogno soffocante?" Sussurrai. "Continuano a ripetermi <l'amore, l'amore, l'amore> si fottano loro e l'amore. Io non amo nessuno, lo vogliono capire? Devono smetterla tutti quanti di ripetermelo.
E tu!" Urlai, urlai forte. "E tu dove sei? Perché non ci sei più accidenti. Io ho bisogno di te, ho bisogno di te, di parlarti, dei tuoi consigli, non mi basta questo, non mi basta parlare ad uno stupido pezzo di marmo, o qualsiasi cosa sia, fermo immobile con scritto sopra il tuo nome. Non mi basta. Ti prego, ti supplico, ti imploro torna da me..." Crollai, crollai definitivamente. "Torna da me papà."
Continuai a piangere per svariato tempo, fin quando non mi resi conto che molti dei presenti mi stavano guardando.
Tirai su con il naso. Sospirai e mi feci di nuovo coraggio.
"Ho dato spettacolo anche qua." Mi alzai e, dopo aver preso le mie cose, decisi di andarmene.
"Addio papà." Sussurrai. Baciai il palmo della mia mano e lo posai sulla lapide.













[Seconda parte]
Michael.














<Per me è un immenso onore lavorare ancora con te Michael.>

<Scherzi? L'onore è tutto mio Quincy.>

Volevo farlo.
Volevo assolutamente creare l'album migliore di tutti i tempi.
Off the Wall aveva avuto molto successo, sì, ma non ero riuscito a passare sopra al fatto che non mi ero guadagnato il Grammy per il miglior album del millenovecentosettantanove, e per esser stato rifiutato come personaggio nella copertina di Rolling Stone Magazine al quale, per altro, avevamo offerto insieme al mio addetto stampa un'intervista esclusiva.
Ed io lo sapevo, sapevo benissimo qual era il motivo di quel "no" e lo attribuivo al mio colore della pelle. Potrà sembrare folle, quasi assurdo, ma in questo mondo l'estetica conta davvero tanto per quanto mi duole doverlo dire, e niente avrebbe rimosso dalla mia testa che il nero del mio colorito era stato motivo di quel rifiuto.
Perciò, volevo creare un album che avesse non una, non due, non tre ma tutte le canzoni dovevano essere hit. Solitamente si inseriscono nelle tracklist le canzoni da album come riempitivi, ma quello che mi chiedevo io era, perché non potevano essere tutte così belle da diventare singoli? Io volevo un album che sarebbe rimasto nella storia dei secoli dei secoli e che anche dopo la mia morte avrebbe dovuto continuare ad essere ricordato.
Promisi a me stesso che un giorno quelle riviste mi avrebbero implorato di avere un'intervista. Forse gliel'avrei concessa, forse no.[1] Ma indubbiamente si sarebbero pentiti del rifiuto affibiatomi. Avrei avuto così tanto successo, da farmi supplicare da quella gente incivile e farli tornare da me strisciando.
E non era affatto modestia o senso del protagonismo, per Dio, non ero quel tipo di persona. Ma piuttosto era un senso di orgoglio personale, di dimostrare al mondo che il colore della pelle non definiva né descriveva un uomo o una donna, ma che oltre al colore, bianco o nero che fosse, c'era molto di più. Ed era quello che da sempre sognavo di fare con la mia musica, poter unire le persone di ogni etnia, di ogni sesso, di ogni religione sotto un'unica grande famiglia, che poi, sarebbe divenuta la mia.

<Non vedo l'ora di cominciare.> Continuai entusiasta mentre parlavo al telefono con Jones.
Quincy Jones il più grande arrangiatore, direttore d'orchestra, produttore discografico, trombettista, compositore e attivista statunitense che si sia mai visto un circolazione. Lo conoscevo assai bene, avevo già collaborato con lui. Gli avevo prestato la mia voce nel suo album "The Dude" ed oltre a quello, era un carissimo amico.
<Sento il tuo entusiasmo Michael, e non vorrei affatto smorzarlo perché io con te sono il più felice, ma non voglio che tu ti faccia false speranze. Non sarà un trionfo come Off The Wall.>
Abbozzai un tenue sorriso e giocherellai con la cordina del telefono.
<Sarà molto meglio di Off the Wall. Molto meglio Jones, abbi fiducia in me.>
<Trabocco di fiducia in te, ma Off the Wall nonostante non sia riuscito ad avere quel Grammy del miglior album del millenovecentosettantanove ha ricevuto numerose critiche positive, un Grammy come miglior cantante solista per Don't Stop 'Til You Get Enough, e non ti dimenticare che sei stato il primo artista nella storia della musica ad aver piazzato nella Top ten della Billboard Hot Onehundred quattro singoli provenienti dallo stesso album. È un successo molto alto, Michael.>
<Sì, lo è Jones.> Respirai chiudendo gli occhi. <Ma non mi basta. Voglio di più, posso fare di più e sono disposto ad ammazzarmi di lavoro per farlo, per dimostrare quanto posso dare al mondo. Voglio diventare la più grande e ricca star dello show business.[2]"
Sospirò Quincy
<E va bene Michael. Proviamoci.>
Urlai silenziosamente.

Avrei raggiunto il mio scopo, l'avrei fatto anche a costo di non fermarmi mai.
Dovevo farcela o morire nel tentativo.

<Tempo di riorganizzare la troupe e siamo pronti, dammi un paio di mesi, tre al massimo e vieni nel centro di Los Angeles.>
<Nel centro?>
<Certo figliolo, ah Westlake Recording Studio. E fidati, non smuoveremo il culo dai qui.>
<Era quello che avevo intenzione di fare.> Schiarii la gola. <Quincy...>
<Umh?>
<Pensi che...> Presi fiato. <Pensi che sarebbe troppo di fastidio se portassi con me una persona?>
<Una persona?> Domandò lui stupito. <E chi?>
<Beh ecco, una ragazza, lei è->
<Hai la ragazza?! Strano che non ne sapessi niente. Congratulazioni figliolo!>
<Ma no, che hai capito.> Divenni rosso fuoco, mi toccai la punta del naso per poi grattarmi lievemente la nuca. <È la fotografa della mia famiglia ma, mi sentirei più a mio agio se fosse lei a fare gli shooting, scattare qualche foto per eventuali articoli, è anche molto brava nel disegno potrebbe essere utile nella lavorazione dell'eventuale copertina del vinile.>
<Mmh...> Sentii mugognare dall'altro capo. Dopo brevi istanti di pausa riprese a parlare. <Naturalmente, più gente abbiamo nel nostro team e meglio è! Posso già contare sulla sua presenza?>

Lo spero...lo spero Quincy.

<Devo proporglielo, naturalmente, ma dubito ci siano problemi, o almeno è quello che spero. Mi piace lavorare trovandomi a mio agio.>
<Naturalmente.> Acconsentì. <Allora, di questo ci aggiorniamo presto.>
<Bene, benissimo. Non vedo l'ora Quincy.>
<A presto Michael.>
Attaccai il telefono in preda all'euforia.

Avrei dovuto parlare con Annie il prima possibile, proporle quest'idea e sperare che accettasse.
Mi piaceva l'idea di portarla con me in un'eventuale nuovo progetto, era anche vero che sarebbe stato molto lungo, lavorare su un album non è una cosa prestabilita. I tempi sono molto accesi, e la maggior parte di essi si passa a lavorare, certo, lei come addetta alle foto non sarebbe costretta a passare tutte quelle ore in studio ma comunque richiede una lontananza da casa per svariato tempo, benché il luogo di registrazione non si trovasse chissà quanti lontano.
Una cosa era certa: avrei sperato fino alla fine nel fatidico "sì", così come ci sperai la prima volta.


























Curiosità:

-[1] [2] Quanto detto nel monologo di Michael, è realmente stato detto da egli stesso. Le eventuali testimonianze le ho ricavate dal libro di Gabriele Antonucci "Michael Jackson: La musica, il messaggio e l'eredità artistica."
Un libro a dir poco stupendo che attraversa il percorso di crescita sia della musica di Michael sia personale dai tempi dei Jackson Five fino alla sua morte.
Consiglio vivamente a tutti di acquistarlo e leggerlo con molta cura se interessati alla vita del cantante<3.





🎗

25 novembre 2022.

Oggi è una giornata importante:
La giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Ci tenevo molto a scrivere questa cosa a fine capitolo, in quanto io (seppur non per molto tempo ancora) abbia affrontato tal tematica sul personaggio di Annie, e ci tengo moltissimo a dire che nessuno, e mai nessuno deve reagire come io ho fatto reagire lei.
Non bisogna tacere davanti a simili atrocità, non bisogna tacere davanti alla violenza fisica o emotiva (perché anche quest'ultima non è da sottovalutare) che ci provoca una qualsiasi persona, non bisogna tacere di fronte ad abusi, perché niente di tutto questo è giusto da dover tollerare.

Non parliamo di violenza solo oggi.
Non parliamo di femminicidio, stupro, abuso mentale, rifiuto nel rientro sociale della donna solo oggi.

Diamoci voce.

Denunciate, tutti, sempre.

E chi è ha il sospetto che qualche amicx, parente o qualsiasi altra persona, anche solo conoscente, stia subendo queste gravissime atrocità, parli.
Vi prego, parlate.

Aiutiamoci a vicenda a salvaguardare qualsiasi persona.

Ci tengo a ricordare il numero: "1522"

Grazie a tutti.

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