Congiunzione astrale -1-
Quando sei stato sedotto da qualcosa, è bello non pensarci troppo e cullarsi nel piacere della seduzione.
Philip Roth.
Narratore esterno.
Annie, nell'ultima ora, si dedicò esclusivamente al sistemarsi per la serata che l'avrebbe attesa con la giovane pop star.
Si chiedeva se sarebbe dovuta vestirsi in maniera elegante e magari dare del trucco speciale; oppure se una semplice camicetta con dei jeans e un po' di lucidalabbra accompagnato da un po' di mascara sarebbe stato sufficiente.
Non aveva idea di dove e del perché volesse portarla in un posto. Lei, una ragazza di paese con una madre vedova e i soldi giusti per arrivare in fondo al mese. Lui, che poteva avere il mondo ai suoi piedi, ma che non gli importava di averlo, aveva scelto lei.
Fece un ultimo, lunghissimo, respiro.
Optò per una maglietta marroncina lunga fino a metà coscia sbracciata, al di sotto mise una canottiera nera e un giacchetto nero alla vita, nel caso il freddo fosse celato più tardi. I soliti jeans chiari a zampa di elefante che le stringevano e risaltavano la minuta vita e, infine, i teneri capelli mossi che giacevano sulla sua spalla, raccolta da una coda laterale scompigliata.
Sarò troppo -normale-? Magari è abituato ad altro... Forse dovrei mettere un vestito elegante? Anche se effettivamente... Non ho vestiti eleganti.
I dubbi erano tanti, e il tempo stringeva.
Un ticchettio alla porta fece risvegliare Annie dallo stato di trance nel quale si trovava a causa dell'indecisione.
"Tesoro, io sto uscendo, va tutto bene? Sei chiusa in camera da più di un'ora."
Cazzo.
Sussurrò alla sua coscienza.
"Sì mamma, tutto apposto, mi sto cambiando."
"Ancora? E dove andate di così speciale da aver bisogno di un'ora per decidere cosa indossare?"
Cazzo.
"Ah, dopo la storia con Chris, magari vuole andare un po' fuori, sai... Svagare la mente" si morse la lingua "voglio essere presentabile al mondo circostante."
"E perché tutta questa indecisione?" Aprì di colpo la porta, indicando tutti i vestiti raggomitolati sul letto. "Perché tutti questi abiti casual, eleganti e... Gonnelline sul letto?"
Cazzo.
"A-ah io... Beh, non so proprio cosa sarebbe adatto, ultimamente sono uscita poco con Stella e..."
"Tesoro" la zittii la madre "divertiti, sii prudente e non rincasare tardi. Ti voglio bene. Non aspettarmi sveglia, io torno molto tardi." Con le chiavi in mano, e la giacca in vita diede un bacio a sua figlia coccolandole la testa.
Annie rimase lì, a fissare lo stipite della porta, il quale ormai era stato abbandonato dalla madre. Aveva capito che non si trattava di Stella l'uscita, ma per qualche strano motivo non voleva affatto saperne di più... Era strano.
Sua madre era davvero iper protettiva e, probabilmente, se fosse successo una settimana prima l'avrebbe riempita di domande, raccomandazioni, per poi infine vietarle lo stesso di uscire. Ma non lo fece quella sera.
Sorrise la giovane ragazza.
Finì velocemente di prepararsi mentre aspettava che le nove di sera scendessero.
Passarono venti minuti, Annie stava seduta sul divano che giocherellava con la cornetta del telefono mentre osservava imperterrita le lancette dell'orologio che sembravano non muoversi mai.
Un ticchettio.
Dall'uscio della porta rimbombarono tre colpi veloci. Ella osservò ancora l'orologio che segnava le sette e trentasei, pensò che fosse sua madre, magari si era dimenticata qualcosa.
Si alzò velocemente aprendo la porta.
"Sentiamo, che cosa ti sei dimenticata stav- M-max?!"
Dalla porta, vi uscì la figura di un ragazzo molto alto, con dei capelli castani scuro tirati all'indietro e degli occhi colore cioccolato penetranti sino all'anima. Un mezzo sorriso fece ingresso nel cuore di Annie, lasciandola spiazzata.
"Sorpresa di vedermi?"
"M-Max.."
"Eddai, che aspetti ad abbracciarmi? È così che accogli il tuo primo migliore amico?"
"Max..." Ella gli saltò addosso, avvolgendolo in un abbraccio lungo e caloroso.
Max Evans era un ragazzo di ventitré anni che si trasferì a New York assieme alla sua famiglia, ma il bene che entrambi provavano l'uno per l'altra aveva fatto sì che la distanza non fosse un problema eccessivamente alto, cosicché da restare nel cuore dell'altra sempre. Egli era il miglior amico di Annie quando erano solo due pupini e vivevano in fasce. Aveva sempre tenuto amore per Max, la giovane Annie, e un suo piccolo ricordo posava sempre dentro di lei.
"Mio dio Max, ma come hai fatto a ritrovarmi?... Guardati, sembra passata una vita!" Continuava a stringerlo.
"Diciamo che, ho avuto delle ottime fonti. E poi, è passata davvero una vita..." La fece ruotare su se stessa tenendole la mano alzata "... Ti sei fatta più carina di quanto non fossi già, e già lo eri molto."
Arrossì violentemente.
"Lo scemo che ricordavo."
"Beh? Mi fai entrare?"
Sorrisero entrambi entrando dentro il suo appartamento.
Hayvenhurst Avenue.
Le nove e mezza segnavano l'orologio da polso che teneva il giovane re del pop. Annie era in ritardo di mezz'ora, forse si era persa? Improbabile, era già stata lì diverse volte.
Dopo che la famiglia Jackson si era ritirata per la notte alle nove impunto, il giovane ragazzo era sceso lungo la finestra della sorella minore ed aveva scavalcato il cancello. Fermo, lì ad aspettare la giovane ragazza.
Aspettò fino alle dieci e quarantadue esatte.
Di Annie nessuna traccia.
Alla fine, ho sbagliato io a chiederle una cosa del genere. Non dovevo prendermi una confidenza così larga e invadente... Probabilmente l'ho spaventata... Sono così stupido. Sì ripeteva il giovine mentre si dirigeva nel luogo nel quale sarebbe dovuto andare con lei.
Bussò alla piccola porticina.
"Chi?" Una vocina leggera attraversò la porta.
"Chi sarà mai secondo te?"
"Non si sa mai, magari gli sbirri che mi sfrattano da questa casa abbandonata."
"Non fare l'idiota Mark, aprimi."
"Felice di vederti anche io, Michael."
Egli lo spostò dalla porta entrando dentro l'appartamento mal concio.
Mark Marloon era il miglior amico di Michael, si vedevano di nascosto, nessuno sapeva della sua esistenza. Era uno dei pochissimi che trattava Michael non come -Michael Jackson- ma come una persona normale, e lui gli era infinitamente grato e gli voleva un bene infinito per questo. Un grazie non bastava.
"E perché questo muso?" Chiese il biondino chiudendo la porta.
"Niente, lasciamo stare."
"Oh andiamo, a me puoi dirlo, no? Sono o non sono il tuo migliore amico?" Prese due birre e ne allungò una al riccio.
"Oh, no grazie" posò la birra quest'ultimo. "Eh sì, sei il mio migliore amico. Ma non c'è bisogno di-"
"Muoviti, sputa il rospo, che cosa ti turba fratello?"
Sospirò.
"Avevo invitato una persona..."
"Una ragazza?"
Arrossì.
"Sì, una ragazza..."
"Oh oh oh, attenzione. Dimmi di più amico."
"Non fare l'idiota." Gli tirò un cuscino "È solo una ragazza che ha fatto un servizio fotografico per la mia band..."
"E?" Insistette.
"Come?"
"Lo percepisco, è successo altro. Ti ha baciato?"
"Che? N-no..." Sì mise le mani sugli occhi. "Mi... Mi ha curato."
Il ragazzo biondo guardava la star perplesso, non capendo che cosa egli intendesse dire.
"Che stai dicendo?"
"Cioè, lo ha visto. Ha visto cosa ha fatto Joseph."
"Oh cazzo."
"Mi ha aiutato, di nascosto, ha fatto un gesto molto carino."
Michael raccontò tutto l'accaduto di quella sera, intenerendo Mark, molto colpito da questa estranea.
"È stata una cosa molto tenera. Complimenti alla nostra..."
"Annie, AnnieLuise."
Sorrise.
"Alla nostra AnnieLuise."
D'un tratto su incupì Michael.
"Sì, ma lei non è venuta, quindi..."
"Ei" cominciò Mark. "Sono più che sicuro che ci sia una ragione plausibile, un contrattempo inaspettato e non è riuscita ad avvertirti. Non pensare sempre al peggio."
Tirò un sorriso amaro, con retrogusto sarcastico.
"Quanto ti chiami Michael Jackson, in questi casi, puoi solo pensare al peggio Mark. Solo al peggio."
[Seconda parte.]
Narratore esterno.
"Oh, mi ricordo quella volta." Rise Max.
"Mio padre ci fece vincere palesemente" rise di gusto anche lei a sua volta.
"A proposito... Condoglianze piccola." Un nodo alla gola prese il sopravvento.
"G-grazie Max." Posò i due bicchieri sul lavabo. "Dio, che ore sono?"
"Mmh? Non lo so. Le undici e mezzo?" Guardò il suo polso. "Oh wow, sono l'una e dieci."
"Cosa.?!" Urlò. "Accidenti, ma come è possibile? Erano le sette e quaranta."
Sì impanicò ripensando al suo impegno con Michael.
"Cazzo, cazzo, cazzo!"
"Non ricordavo questo vocabolario forbito, piccola." Assunse un'aria divertita, sorridendo leggermente e sgranando fintamente gli occhi dando l'idea di essere stupito.
"Avevo un impegno alle nove. Sono l'una e non sono andata, sono una persona orrenda."
"Oh..." si avvicinò il ragazzo "... Mi dispiace, non dovevo piombarti così in casa."
Ella gli diede una pacca sulla fronte.
"Hai fatto benissimo scemo, sono io che non l'ho ricordato..." Riflettè "... Eppure ero così in ansia per questo appuntamento, accidenti." Bisbigliò
La porta si aprì, lasciando fare il suo ingresso alla donna bionda con del trucco sbaffato sugli occhi e il rossetto rosso ormai sbiadito.
"Max!?" Urlò mia madre buttando la borsa a terra. "Mio dio, ma sei davvero tu?"
"Signor sì signora."
"Oddio quanto sei cresciuto." L'abbracciò "E quanto ti sei fatto carino. Hai visto Annie quanto è carino?"
Arrossì leggermente la ragazza.
"Come mai così tardi?"
"Te l'avevo detto tesoro, mi sono trattenuta, credevo che tu non fossi rincasata... E invece"
"In realtà non sono nemmeno uscita. Me lo sono scordata."
Sgranò gli occhi.
"Oh, beh... E Stella?"
Eh... Stella.
"N-non ha... Non ha obbiettato... Io..." Sì girava e rigirava nervosa fissando le quattro pareti.
"Credo che forse sia meglio andare a letto." Concluse alla fine. "Grazie per esser passato Max, non sparire per favore."
"Sparire? E chi ti si schioda più di dosso."
Le diede un bacio sulla guancia, facendo irrigidire ogni suo muscolo, provocandole una scossa elettrica piacevole.
"Arrivederci Marghe"
"Ciao tesoro, passa a trovarci, ho molte cose da chiederti e salutami tua madre."
"Lo farò." Mosse lievemente la mano uscendo definitivamente dalla porta.
"Okay" iniziò mia madre "chi dovevi vedere e hai modo di scusarti per non essere andata?"
Sgranò gli occhi, sistemando i bicchieri dopo averli lavati.
"Te l'ho già detto, Stella e io l'ho gia-"
"Annie, ma con chi pensi di parlare? Ti conosco sai?"
Scosse la testa dandole un bacio.
"Buonanotte mamma."
"Ann-"
La liquidò dandole un secondo bacio sulla guancia e raggiungendo la sua camera.
Si tolse i vestiti riponendoli in maniera piegata sul comodino mettendo una camicia di seta, si lavò i denti e il viso per poi pettinare lentamente i capelli.
Si sentiva una vera idiota, così tremendamente dispiaciuta di aver dato buca al ragazzo riccio e non aveva idea di come chiedergli scusa... Non poteva di certo chiamarlo, dato che non voleva la famiglia sapesse niente dell'uscita. Avrebbe dovuto aspettare di rivederlo... Ma l'avrebbe mai più rivisto?.
Sì massaggiò la tempia per poi affondare le sue mani piccole e morbide all'interno della chioma formosa, in preda ad una sensazione di dispiacere enorme.
Sì sdraiò nel letto, bevendo un ultimo sorso d'acqua, chiese internamente scusa per il gesto compiuto per niente con cattiveria, spense la luce e lasciò che Morfeo compisse il suo lavoro nella tenebra della notte a modo suo lucentemente spaventosa.
-
"Basta."
"Stai zitta cazzo. Stai zitta. Non hai diritto di parlare finché io non dico che ne hai il diritto."
"Ti prego George falla finita."
Le diede uno schiaffo in pieno volto, facendole sputare un po' di sangue.
In fondo a quel lungo corridoio, un'altra versione di George le si mise accanto. Con un fazzoletto umido le asciugò le gocce di sangue che percorrevano il lato del suo labbro, le tirò su la testa e vi pose un bacio sulla fronte.
"Stai bene piccola?"
"G-george.." singhiozzava.
"Scusami, non volevo, ero un po' ubriaco... Sai che ti amo più della mia stessa vita."
"G-george.."
"Ma sai anche che dopo un po' ci si stanca della persona che sei, dell'inutile donna che si cela in te. Che poi, donna, donna è una parolona usata per te. Ragazzina stupida è più corretto."
"P-perchè... G-george."
"Quindi, è l'ora di lasciarsi. Sei stata divertente. Un bel passatempo."
"G-george." Ancora singhiozzava, piena di sangue e lacrime mischiati in un'unica turbolenta miscela dolorosa.
-
Il suono assordante del telefono risvegliò Annie da quell'incubo tremendo.
Il ricordo di George la tormentava e chissà per quanto tempo ancora avrebbe dovuto tenerla sveglia la notte, invaderle il sonno, mangiarle piano piano l'anima...
Si alzò furtivamente, asciugando una lacrima che intanto aveva invaso la sua guancia soffice e calda, e si addentrò al telefono.
<Pronto?> Esclamò sbadigliando e stropicciandosi gli occhi arrossati.
<Allora sei viva.>
Prontamente scattò in piedi risvegliandosi completamente, la voce di Michael squillante dall'altro capo del telefono la fece del tutto riprendere.
"Ma chi è?" Domandò la madre alla soglia della porta con indosso un accappatoio di lana beige.
Annie mise una mano sul telefono portandolo in basso e mimò Stella con la bocca.
La madre guardò l'orologio, scoprendo essere le tre e quaranta del mattino. Sgranò gli occhi, alzò le spalle e tornò a letto.
Annie sospirò, per poi tornare al mezzo di comunicazione.
<Michael...>
<Ti ho aspettata un po'... Ma quando ho capito che non saresti venuta... Non lo so, volevo solo accertarmi che tu stessi bene.>
Schiuse le labbra ella corrucciando gli occhi.
<Ti chiedo scusa per non essermi presentata, ero molto su di giri, te lo giuro, ma all'improvviso è capitato un imprevisto ed io->
<Ma tu stai bene?>
<Come? Sì, sì certo sto bene.>
Sospirò sollevato.
Cosa...
<Scusa l'orario, ho avuto un dibattito interiore sul chiamarti o meno e alla fine ha vinto la parte impulsiva. È sciocco tutto questo eh?>
<No, non è sciocco.> Lo rassicurò.
Passò qualche minuto di lacerante silenzio.
<Michael...>
<Mmh mmh?>
<Ci riproviamo?>
<Stasera?>
<Stasera.>
Sorrise la giovane e, anche se non poteva vederlo, percepiva il dolce sorriso dell'altro ragazzo.
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