▷ ventiquattro
Uscii di corsa dall'aula di scienze poi mi fiondai alle macchinette perché stavo morendo di fame.
Avrei potuto mangiare persino un bue in quel momento, talmente la fame mi stava facendo borbottare lo stomaco e mi stava creando un cratere che solo un elefante avrebbe potuto chiudere.
Spintonai alcuni ragazzi, presumo dell'ultimo anno, che mi mandarono delle maledizioni, ma alla fine raggiunsi le macchinette e fiondandomi su di esse, infilai come una furia i soldi e presi due pacchetti di patatine, delle crocchette al formaggio e un succo alla pesca.
Sì, stavo davvero morendo di fame. Quella mattina non avevo voluto fare colazione con i mattoni a forma di frittelle che aveva preparato mia madre quindi ora il mio corpo necessitava cibo per poter reggere tutte le altre ore di lezione che mancavano alla fine di quella giornata.
Raccolta la mia gustosa spesa, gongolai felicemente fino alle scale che davano al piano superiore e mi sedetti su un gradino, pronta a gustarmi quelle prelibatezze che mi avrebbero fatta ingrassare, ma poco mi importava.
Aprii il primo sacchetto di patatine mentre una ragazza che seguiva il corso di inglese con me, mi passò accanto e mi salutò con un sorriso che ricambiai subito. Poteva scordarsi però, che le avrei dato anche solo una patatina!
Presi una manciata di patatine e me le ficcai in bocca, masticando rumorosamente e lanciando occhiatacce a chi mi fissava con sguardo divertito.
Ma che diavolo volevano? Mai visto una ragazza ingozzarsi di cibo?
Ero sul punto di aprire anche il sacchetto delle crocchette al formaggio, quando vidi Morgan avvicinarsi a me con passi veloci e andatura sicura e la fame mi passò di colpo ― anche se sapevo mi sarebbe tornata appena entrata in classe.
«Mavis, pronta per oggi pomeriggio?» mi domandò una volta davanti a me, mostrandomi un ghigno divertito e arcuando un sopracciglio.
Lo fissai di sottecchi poi feci spallucce, «No, per niente. Ora puoi andartene», borbottai acidamente.
Lui ricambiò lo sguardo, incrociando le braccia al petto e il serpente tatuato sul bicipite destro sembrò guizzare sotto alla maglietta a maniche corte che indossava. Chissà quale significato aveva quel tatuaggio o, magari se l'era fatto semplicemente perché gli piaceva.
E quando diavolo si era tolto la felpa? Era meglio se avesse continuato a indossarla perché adesso era difficile guardarlo in volto. Non potevo negare quanto fosse bello, ma continuava a starmi sulle palle.
«Secondo me ti sottovaluti. Al campo estivo eri molto atletica ed eri anche la più brava nella corsa a tre gambe», ribatté Morgan e nella sua voce udii un pizzico di malinconia o forse era semplicemente la mia mente ad averla immaginata.
Davvero si ricordava le corse a tre gambe che avevo fatto in coppia con Maryse e, sì, una volta anche con lui, al centro estivo? Quindi non ero l'unica che continuava a rimuginare sul passato?
«Sono cambiata, Morgan. Non sono più la Mavis di quei tempi», replicai la sua risposta e nel farlo notai il suo sorriso spegnersi del tutto.
Perché? Ormai avrebbe dovuto capirlo che non ero più la stessa. Non ci sarei più riuscita. Non sarei più riuscita a dargli subito fiducia, come avevo fatto al centro estivo.
«Anche io sono cambiato e voglio rimediare ai miei errori, se solo me lo permetti», Morgan si sedette al mio fianco e fulminò con lo sguardo Brittany, quando provò a salire le scale.
«Le puttane come te si trovavano sul retro della scuola, più precisamente nel cassonetto dell'immondizia», le mostrò un ghigno perfido che le fece spalancare gli occhi azzurri e schiudere le labbra carnose, ricoperte di lip gloss per lo sgomento.
«Come prego?», domandò attonita, sbattendo velocemente le ciglia. Ora le parte il tic nervoso!
«Hai capito benissimo. Ora vattene a fare in culo.»
Brittany non replicò nuovamente; girò i tacchi e andò verso le sue amiche, sculettando come se stesse percorrendo un passerella.
Forse quella era la prima volta per Brittany. Nel senso: non era mai stata insultata da un giocatore della squadra di football, anche perché se li era fatti tutti ― forse tutti tranne Morgan ― quindi doveva essere stato uno shock ricevere parole del genere.
Morgan le aveva appena dato delle spazzatura ― aggiungerei rancida e marcia ― e non aveva tutti i torti. Chiunque trattava con inferiorità le altre persone, era solo una mela rancida, caduta troppo lontana dall'albero.
«Quindi me lo permetterai?», fu la voce roca di Morgan a risvegliarmi dai miei pensieri.
Inarcai un sopracciglio e lo fissai, confusa. «Come?»
«Mi permetterai di rimediare ai miei errori?», mi domandò lui speranzoso.
Finsi di pensarci alcuni secondi poi scossi il capo e vidi i suoi occhi scurirsi, assumendo un'espressione ferita, «Mmh... Puoi provarci.»
Gli feci l'occhiolino, sorridendogli divertita poi raccattando il mio buonissimo cibo, scappai via.
«Aspetta, è un sì?», gridò Morgan.
«È un forse, Cooper», gridai a mia volta, beccandomi occhiate confuse da alcune mie compagne e in risposta feci spallucce poi entrai in aula a finire la mia colazione/merenda perché ovviamente mi era tornata la fame.
***
Salutai velocemente le mie migliori amiche; Megan sarebbe rimasta a scuola per studiare con una sua compagna del corso di letteratura inglese mentre Maryse mi aveva detto che sarebbe uscita con un ragazzo, anche se quella perfida non mi aveva voluto dire chi fosse il fortunato, ma avevo già una mezza idea.
Poi uscii dall'edificio scolastico ― finalmente non mi sentivo più soffocare ― e con lo sguardo guizzai alla ricerca di Morgan mentre l'ansia incominciò a farsi sentire nello stomaco e nelle gambe, ora divenute più pesanti di un marmo.
Lo trovai intento a parlare con Cassidy. Si sorridevano in continuazione poi lei gli gettò le braccia al collo e gli baciò una guancia. Quando Cassidy si staccò leggermente da lui, notai che gli stava sussurrando qualcosa all'orecchio. Lo vidi sbiancare all'improvviso poi annuì solamente.
Che diavolo si erano detti? Dannazione, anche io volevo sapere!
Li raggiunsi velocemente, con la speranza di captare qualche parola del loro fitto discorso, ma quando fui davanti a loro, Cassidy si dileguò riconfermando solamente l'appuntamento di quel pomeriggio.
«Sì, a più tardi», farfugliai, incapace di dire nient'altro, anche se di cose da chiedere ne avevo fin troppe.
Be', oggi pomeriggio avrei trovato le risposte che desideravo da Cassidy.
«Andiamo?», mi domandò Morgan una volta rimasti soli, facendo fiorire sulle sue labbra un sorriso che mi fece perdere un battito.
Mentalmente mi diedi della stupida perché non potevo ricascarci ancora. Non potevo rimanere bloccata nella sua ragnatela anche una volta.
Lo fissai negli occhi color nocciola e dall'espressione divertita, sentendomi stranamente in imbarazzo poi annuii una sola volta, distogliendo lo sguardo ed entrando nella sua macchina che si trovava alle sue spalle.
Morgan salì a sua volta, si allacciò la cintura di sicurezza con agilità, al contrario di me che ogni volta doveva fare una guerra per riuscirci poi partì verso casa sua mentre io litigai con la radio per cercare almeno una canzone che potesse piacermi. Alla fine mi arresi e sbuffando, appoggiai comodamente la schiena contro allo schienale del sedile poi presi a guardare annoiata la strada fuori dal mio finestrino.
«Ci sarà anche Alex. È un problema?»
No, certo che no. Mi avrebbe semplicemente vista fallire innumerevoli volte perché ero una schiappa negli sport mentre, quasi sicuramente, lui avrebbe fatto canestro al primo tiro come Morgan. N'ero certa. Era una dote di quella famiglia essere bravi in tutti gli sport.
«Nessun problema», gli risposi, non staccando lo sguardo dalla strada, ma sentendo il suo bruciare con insistenza sulla mia pelle.
Poi sentii una sua mano sfiorarmi delicatamente una ciocca di capelli e per quello mi voltai fulminea verso di lui, incominciando a fissarlo accigliata.
«Che stai facendo?», chiesi a denti stretti mentre sentii il sangue affluire alle mie guance. Maledette! Mi avete tradita!
Morgan scrollò le spalle poi tornò con lo sguardo davanti a sé e le mani strette intorno al volante. Era così lunatico che mi mandava in confusione.
«Niente. Stavo pensando che stai veramente bene coi capelli scuri, non che con quelli azzurri non fossi bella, solo che con questo colore, i tuoi occhi azzurri risaltano molto di più e sono meravigliosi.»
Avvampai come una fiamma viva, le mie guance presero fuoco e il mio stomaco si rivoltò sottosopra, facendomi provare uno strano disagio che non sapevo come interpretare.
«P-piantala idiota!», sbraitai con la voce strozzata dall'imbarazzo poi voltai nuovamente il viso paonazzo verso il finestrino e mi trattenni dal mandarlo al diavolo quando lo sentii ridere.
«Mavs?»
Inarcai un sopracciglio, curiosa di sentire cos'avesse da dirmi. «Cosa c'è?»
Glielo domandai senza prestare attenzione al suo volto o alla sua espressione e continuando a guardare fuori dal finestrino.
«Voglio provare ad aggiustare il filo che mi lega all'aquilone. Me lo permetterai davvero? Mi permetterai di avvicinarmi a te? Al mio aquilone.»
«Quindi l'aquilone sono davvero io?», gli chiesi, senza riuscire a dargli una risposta sincera.
Non ero sicura di cosa avrei dovuto rispondergli perché non sapevo se volessi o meno ridargli fiducia, farlo rientrare nella mia vita come un tempo.
Una parte di me gridava con insistenza, quasi volesse spaccarmi i timpani, di dargli una possibilità, di riaccoglierlo nella mia vita. Mentre l'altra parte che riusciva con le sue urla acute a sovrastarla leggermente, mi diceva di non farlo, di lasciarlo crogiolare nel suo brodo, di farlo soffrire disperatamente come avevo sofferto io.
E per qualche strana ragione sia il mio cuore che una parte della mia razionalità, mi stavano dicendo di seguire la prima parte, quella più buona. Mi stavano suggerendo di dargli una possibilità perché sennò me ne sarei pentita in futuro.
«Sì, Mavis, sei tu l'aquilone che non voglio perdere», la sua risposta sincera mi spiazzò totalmente e il mio cuore perse un battito davanti a quell'onestà da parte sua.
«Proverò a darti una possibilità quindi ti prego non sprecarla», e sperai vivamente non ferisse ancora una volta i miei sentimenti perché volevo davvero provare a perdonarlo; mi sembrava sincero.
Voltai il viso verso di lui e notai all'istante la sua espressione sorpresa mentre svoltava a destra e si fermava nel vialetto di casa sua.
«Dici sul serio?», la sua voce era tremolante di ansia e stupore mentre mi guardò con intensità negli occhi.
Ricambiai a mia volta lo sguardo e sulle mie labbra fiorì un abbozzo di sorriso mentre annuii una sola volta.
«Sono seria, Morgan quindi vedi di fare il bravo.»
All'improvviso si sporse verso di me col volto e per quel motivo, indietreggiai agitata fino a scontrare il retro della testa contro il finestrino poi gli puntai addosso l'ombrellino che ero riuscita a tirare fuori dal mio zainetto e lo minacciai con quello, «Non so cosa tu voglia fare, ma non ti azzardare a baciarmi, sono stata chiara?»
Lui alzò le spalle, assumendo un'espressione da cane bastonato, «Volevo baciarti, sì, ma sulla guancia.»
Feci spallucce poi uscii velocemente dalla macchina, trascinandomi dietro il mio zainetto e l'ombrellino che feci volteggiare per aria giusto qualche secondo e che successivamente ritirai, sbuffando per la lentezza di Morgan.
«Ti vuoi muovere, lumaca? Non ho tutto il giorno!», sbottai, alzando gli occhi al cielo quando lui mi mostrò un ghigno compiaciuto dall'altra parte della macchina.
«Dai, muoviti!», mi lamentai, agitando per aria le braccia e incominciando ad incamminarmi verso casa sua, senza di lui.
Quando Morgan finalmente mi raggiunse, Alexander uscì di corsa dalla casa poi si diresse verso suo fratello che lo prese subito al volo, dato che gli era saltato addosso e lo tenne appoggiato ad un'anca mentre lui gli avvolse un braccio intorno al collo.
«Dai Alex, scendi che pesi troppo», si lamentò Morgan, cercando di scrollarselo di dosso, ma lui ridacchiò, mordendogli una guancia e facendolo strillare. Io davanti a quella scena ridacchiai a bassa voce. Erano carini.
«Solo se posso giocare con i tuoi videogiochi», l'espressione che incorniciava il volto di Alexander era fantastica. Furba. Divertita. E consapevole di aver in pugno suo fratello.
Se non avesse avuto otto anni, me lo sarei già sposato.
«Sì, va bene, ma ora ti prego scendi!»
E finalmente Alexander accontentò il suo fratellone poi venne verso di me e mi mostrò un sorriso.
«Ciao Mavs!», una fossetta comparve sulla guancia destra. Quanto era carino!
«Ciao Alec, tutto bene?», gli domandai, spettinandogli leggermente i capelli.
Alexander sporse in fuori le labbra poi incrociò le braccia al petto con fare seccato, «Niente Alec. Solo Alex. Quando dico di chiamarmi Alexander o mi presento come "Alec", spunta qualche ragazza a chiedermi dove ho lasciato Magnus. Ma chi diavolo è Magnus?», si lamentò lui.
Ridacchiai, «Lascia perdere. È un personaggio di un libro.»
Storse il naso e arricciò le labbra schifato, «Che schifo i libri. Ora vado a giocare, ciao Mavs!»
«Ciao Alex.»
***
Stavo fissando spaurita il canestro da ben dieci minuti mentre tenevo la palla sotto al braccio destro, senza muovere un muscolo.
Morgan continuava a sghignazzare alle mie spalle, facendomi saltare i nervi dalla rabbia. Alexander, invece, dalla finestra della sua camera che si affacciava proprio sul retro della casa dove c'era il campo da basket, mi incintava a provare, ma io non riuscivo a muovere un muscolo perché sapevo che se avessi provato a tirare la palla, avrei fatto una figura di merda.
«Ti faccio vedere un'altra volta poi prova tu, va bene?»
Morgan mi sfilò da sotto il braccio la palla con tale agilità che nemmeno n'ero accorta, o almeno fin quando non la fece girare sul suo indice, mostrandomi pure un ghigno divertito.
Sbuffai, alzando gli occhi davanti al suo egocentrismo. «Fa pure!»
Puntò i piedi verso il canestro, tenendo con la facilità la palla nella mano destra mentre con la sinistra la toccava appena e mi mostrò un sorrisetto fastidioso che mi fece sbuffare nuovamente. Poi piegò tutto il corpo, estendendo il braccio verso l'alto e in avanti, successivamente fece anche un piccolo salto e infine tirò con un movimento fluido, facendo facilmente canestro. Ovviamente.
«Visto? Non è così difficile. Forza, vieni qui», Morgan si avvicinò velocemente a me, tant'è che non riuscii nemmeno a fare un passo all'indietro e mi afferrò da un polso, strattonandomi verso la sua figura per poi piazzarmi davanti a lui, facendomi arrossire appena.
Mi appoggiò una mano su un fianco e quel lembo di pelle parve prendere fuoco sotto al suo tocco poi mi passò la palla, arcuando un sopracciglio quando notò che non reagivo. Ma, dannazione, avevo il corpo più pesante del marmo e bollente come se fossi appena entrata dentro ad un forno a duecento gradi.
«Mavs? Dai, non è così difficile. Ci riuscirai anche tu! Ne devi solo fare tre», ma sì, lui la faceva facile perché sapeva giocare e poi dannazione, mi stava mandando in confusione.
Sentirlo così vicino mi rendeva sempre più confusa e imbarazzata.
Spostò una mano verso le mie gambe intrecciate e me ne afferrò una dal retro del ginocchio per poi scortarla dall'altra, cosa che mi fece, se possibile, arrossire ancora di più.
«Le gambe devono stare un po' divaricate e non in questo modo», mormorò con voce calda al mio orecchio e un brivido percorse tutta la mia spina dorsale.
«Sì, ho capito, ma ora sposta la mano da lì», biascicai in imbarazzo, evitando costantemente di incrociare il suo sguardo o quello di Alexander che ci stava guardando dalla sua camera.
Tolse la mano dal retro del mio ginocchio, ma al posto di tenerla lontana dal mio corpo, agguantò il mio gomito e lo portò vicino al mio fianco. Sentivo sempre più caldo e stavo incominciando a pensare che sarei morta bruciata viva perché il mio corpo era improvvisamente diventato bollente come un carbone ardente.
«Il gomito deve stare vicino al fianco mentre sollevi la palla. Adesso piega il corpo e porta la palla all'altezza del mento», sentii la sua mano spostarsi verso la mia per poi appoggiarsi su di essa e anche quel lembo di pelle prese a bruciare, intensificando il calore che provavo su tutto il viso e infine me la portò vicino al mio mento, «Qui.»
«E ora che dovrei fare?», le parole mi uscirono a fatica, pareva le avessi masticate prima di buttarle fuori.
Lo sentivo dalla mia voce quanto fossi nervosa per quella situazione e sperai che Morgan non se ne fosse accorto perché sennò avrebbe usato la cosa contro di me.
«Ora abbassa il bacino e fai un saltino e nel frattempo lanci la palla, estendendo il braccio in avanti e in alto. Attenta però a non saltare in avanti, devi andare in alto.»
La sua mano, appoggiata sul fianco sinistro, mi si strinse maggiormente addosso poi facendo forza su di essa, mi spinse verso il basso con il bacino mentre con l'altra mi aiutava a tenere la palla, «Pronta a saltare? Uno... Due... Tre.»
Al suo tre saltammo poi la sua mano appoggiata alla mia si mosse velocemente, facendomi ritrovare con il polso piegato in avanti e la palla volò verso l'alto, centrando per fortuna il canestro, dato che aveva picchiato almeno tre volte contro il bordo, ma alla fine era entrata.
Sorrisi felicemente perché ero riuscita a fare almeno un canestro, anche se con l'aiuto di Morgan e, adesso me ne mancavano ancora due.
Il mio sorriso ben presto però divenne pieno di imbarazzo poiché entrambe le braccia di Morgan avvolsero la mia vita e stringendomi con dolcezza a lui, mi scontrai contro il suo petto bollente. Il suo respiro caldo mi sfiorò il collo e altro mille brividi percorsero la mia spina dorsale mentre tutto il mio corpo prese letteralmente fuoco.
Sentivo troppo, troppo caldo, dannazione!
«Sei stata bravissima, piccola Mavs», mi sussurrò con voce roca all'orecchio, facendomi perdere un battito mentre nel mio stomaco si scatenò un uragano in piena regola.
Se fino a poco tempo prima quello che avevo provato per Morgan era stata semplice pioggerellina ― che poi col passare del tempo si era trasformata in un violenta pioggia ― be', adesso ero certa che quello all'interno del mio stomaco non poteva essere altro che un uragano distruttivo.
Mi sentivo sottosopra e avevo lo stomaco che continuava a contorcersi mentre lui mi teneva stretta nelle sue braccia.
Cazzo. Cazzo. Cazzo. Non potevo tornare a provare certi sentimenti per lui. Non potevo per Cassidy. Non dovevo per me stessa, per proteggere me stessa. E se mi avesse tradito ancora? E se mi stesse semplicemente prendendo in giro? Non potevo tornare a soffrire per lui. Non ero certa che il mio cuore avrebbe retto un'altra delusione da parte sua.
«Ne mancano due. Sei pronta a divertiti un po'? Lasciati andare, almeno adesso», mi lasciò un bacio sulla guancia che mi fece trattenere il fiato per un tempo che a me parve infinito poi si staccò da me e corse a prendere la palla.
Espirai ed inspirai un paio di volte per calmare il battito accelerato del mio cuore poi abbozzai un sorriso e corsi verso di lui per cercare di rubargli la palla, «Ci proverò.»
E ci avrei provato sul serio, anche se avevo paura di rimanerci male nuovamente, ma lo avrei fatto perché volevo dargli davvero una possibilità.
Una parte del mio cuore mi stava dicendo che stavo facendo la cosa giusta e che non me ne sarei pentita e non sapevo perché ma ci credevo. Ci credevo dannatamente tanto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top