▷ trentuno

Vi era mai capitato di finire in dei guai così grandi e seri, da pensare che l'unica soluzione fosse quella di fuggire il più lontano possibile da casa?

Non problemi come un compito andato a male — anche se c'erano genitori che per un voto basso ammazzavano di botte i figli —, ma un guaio come venir arrestati per aver fatto una cosa illegale?

La mia situazione era proprio quella. Ero stata arrestata perché mi avevano beccata a fare graffiti insieme a Morgan e ora ci trovavamo in centrale in attesa dell'arrivo dei nostri genitori. I miei, ovviamente, mi avrebbe o ammazzata oppure rinchiusa in casa fino alla mia morte, motivo per cui mi era passata per l'anticamera del cervello l'idea di fuggire dal paese, anche se nelle tasche dei miei jeans avevo pochi spiccioli e una gomma da masticare. Sicuramente sarei andata molto lontana con due dollari e pochi centesimi, ma soprattutto con quella gomma da masticare che aveva subito più lavaggi in lavatrice essa che le mutande di mio fratello.

Ma chi volevo prendere in giro... Dovevo arrendermi al mio destino e accettare ― di malgrado ― le conseguenze delle mie stupide azioni perché avevo sbagliato alla grande quella volta. Mi ero cacciata in un casino più grande di me.

Le mie gambe sembravano aver vita propria. Tremolavano senza sosta da quando ci avevano obbligati a sederci su delle orribili e scomode sedie in ferro e non sapevo cosa fare per fermarle. Non perché fossi stupida, del resto mi bastava afferarle con le mani e stopparle, ma piuttosto perché se le fermavo poi incominciavo a dondolarmi avanti e indietro e sì, in quel caso sembravo proprio scema. Quindi preferivo far saltellare nervosamente le mie gambe piuttosto che parere una sciocca agli occhi degli altri e poi davano meno nell'orecchio in confronto al agitarsi su una sedia.

Una mano bollente di Morgan si appoggiò sulla mia e subito il mio corpo venne stravolto da una fortissima scossa che si congiunse al mio stomaco e contorse le mie budella, come un pezzo di carta che a contatto col fuoco si accartocciava su se stesso. Perché il suo semplice e innocuo tocco mi mandava in tilt il cervello?

Quasi subito mi ritornò alla mente il bacio che c'eravamo scambiati nel cunicolo della galleria e le mie guance, per quel motivo, presero fuoco mentre il mio cuore incominciò a farsi sentire con più prepotenza nelle mie orecchie con i suoi battiti furiosi che battevano con forza contro la mia gabbia toracica.

«Mavs, andrà tutto bene quindi stai tranquilla», sapevo che stava solo cercando di tranquillizzarmi, rassicurarmi che non sarei morta per mano dei miei genitori, ma lui non li conosceva come li conoscevo io quindi divenni unicamente più ansiosa e col passare del tempo incominciai a non sentirmi bene fisicamente.

Feci spallucce e in quello stesso momento la mia vista si oscurò per alcuni secondi per poi tornare subito dopo, ma sfocata, cosa che mi lasciò leggermente stordita e, a fatica riuscivo a tenere gli occhi aperti perché mi stava iniziando a girare la testa. Fantastico un attacco di panico proprio davanti a tutti! Vaffanculo.

«Non andrà bene. I miei non mi lasceranno più uscire di casa per colpa di questa stronzata!», starnazzai, incazzata più con me stessa per essermi lasciata trascinare in quel casino, piuttosto che con Morgan. Però ero furiosa nei confronti degli organizzatori segaioli di quella dannata challenge e quello non sarebbe mutato.

«Gli diremo che sono stato io a coinvolgerti in 'sto casin―»

«Guarda che è stato davvero così! Io a 'sta merda di challenge non volevo nemmeno partecipare!», esclamai rabbiosamente. La vista mi tornò a fuoco e un senso di rabbia invase il mio corpo, sostituendo l'ansia e il panico di poco prima.

Se davvero pensava che la colpa fosse anche mia, be', si sbagliava di grosso perché nonostante avessi accettato di aiutarlo, era lui che mi aveva costretto a continuare la challenge quando io stessa gli avevo detto di non parteciparci, proprio durante il primo giorno di sfida.

Morgan si lasciò sfuggire una sospiro dalle labbra poi strofinò la manica del cappotto della squadra sul viso e una chiazza rossastra gli apperve su una guancia quindi alzai gli occhi al cielo e gliela indicai, «Hai una macchia di vernice spray sulla guancia.»

«Senti, Mavs, non volevo darti la colpa, okay? Volevo solo dire che se diciamo così ai tuoi genitori, saranno sicuramente solo i miei ad arrabbiarsi e tu sarai salva», mi biascicò in un orecchio dopo essersi avvicinato al mio viso poi prese a strofinarsi il palmo di una mano sulla guancia, provando a cancellare quella traccia di vernice e del casino in cui ci eravamo cacciati, senza ovviamente riuscirci. Il mio corpo a quella vicinanza e al suo alito caldo che sfiorava la mia pelle, tremolò.

Morgan pensava davvero che solo perché lui si sarebbe preso tutta la colpa, io non avrei passato le pene dell'Inferno una volta a casa, da sola, con i miei genitori infuriati?

Non era così che funzionava a casa Hopkins. Prima di tutto mi bloccheranno dal rifugiarmi in camera mia con il solo pronunciare il mio nome con severità poi inizieranno, o meglio mia madre inizierà a scaraventarmi tutta la sua rabbia repressa addosso, facendomi sentire un inutile pezzo di sterco, successivamente mi elencherà ogni mio minimo sbaglio e infine mi metterà in punizione a vita. Ecco quello che sarebbe successo una volta sola con i miei genitori.

«Non funziona così con i miei genitori. Non con mia madre, la personificazione della severità e cattiveria», borbottai, appoggiando la testa sulla sua spalla per poi sospirare pesantemente. Sentendomi sempre più spossata da tutto il nervosismo e l'ansia che il mio corpo aveva accumulato in quelle poche ore.

«Sono arrivati», mi biascicò Morgan all'orecchio, cosa che mi provocò l'arresto momentaneo dei battiti del cuore. Ero veramente spacciata, ora.

Non mi ero mai sentita così ansiosa e piena di nervosismo. Nemmeno quando io e Jeremy decidemmo di ridipingere le pareti della cucina alla tenera età di dieci e undici anni.

Lo sguardo di allora di mia madre non era minimamente paragonabile a quello che aveva stampato sul viso in quel preciso istante. Ai tempi si arrabbiò molto e dopo averci presi a sberle ― una sberla a testa ―, ci obbligò a chiuderci nelle nostre stanze a meditare sul danno che avevamo fatto. E ovviamente ci mise anche un castigo; non potemmo uscire con i nostri amici per due santissime settimane.

Ma quello di ora... Quello che stavo osservando ora metteva i brividi. Era furioso, i suoi occhi sembravano iniettati di sangue. Era così severo da farmi tremare sulla mia sedia e deluso, cosa che mi fece abbassare lo sguardo verso le mie cosce e sentire tanto in colpa. Tremendamente in colpa.

«Noi due, dopo, facciamo i conti», mimò con le labbra quelle poche parole, quella minaccia e subito ricominciai a sentirmi male.

Il respiro mi si accorciò drasticamente, tant'è che dovetti annaspare con disperazione in cerca d'aria. I battiti del cuore aumentarono e a me sembrò di star per morire. Battevano con così tanta violenza da picchiare con rabbia contro le mie costole. Lo sterno mi doleva e i polmoni incominciarono a gridare in disperata ricerca di ossigeno.

La vista si riempì di macchiette nere e verdi, a me ormai fin troppo familiari mentre la testa iniziò a vorticare velocemente e mi parve di star girando da ore e senza sosta su una trottola.

Ti prego, no! Non ora. Non davanti a tutti. Non di fronte a Morgan! Devo calmarmi. Devo calmarmi. Dannazione, perché non ci riesco? Mi sento morire.

All'improvviso venni strattonata da qualcuno mentre dalle mie labbra sfuggì uno squittio di sorpresa e finii contro qualcosa di caldo e duro. Che stava succedendo?

«Mavis, ehi, respira profondamente. Fai lunghi respiri e dimmi cinque cose che ci sono in questa stanza di colore blu», la voce profonda e calda di Morgan mi accarezzò l'udito e sin da quel momento il mio respiro sembrò calmarsi un po'. Il solo averlo accanto riusciva, almeno in parte, a tranquillizzarmi e la cosa non mi dispiaceva affatto.

Assottigliai lo sguardo e osservai attentamente ciò che mi circondava per poter rispondere a Morgan, mentre ispiravo ed espiravo profondamente per calmare tutta la tempesta che si era creata dentro di me.

«Blu come», ispirai, scrutandomi attorno, «la camica di quel tizio seduto dall'altra parte della stanza», conclusi, voltando subito lo sguardo altrove quando quel tipo losco mi mandò un bacio. Maschio schifoso!

Dopo aver elencato le cinque cose blu che avevo identificato in quella stanza, mi resi conto che l'attacco di panico era scemato,  purtroppo però l'ansia stava ancora divorando le mie interiora, ma almeno non mi trovavo in quello stato pietoso. E tutto grazie a Morgan che era riuscito a distrarmi.

«Grazie», mormorai a voce bassa poi posai le mie labbra sulla guancia destra e gli lasciai un piccolo bacino, tornando poco dopo ad osservare i miei genitori e quelli di Morgan agitarsi all'interno dell'ufficio del capo della polizia.

Ahi, stavano dando di matto. Potevo già darmi per spacciata. Ero già completamente nella bara, altroché solo con un piede!

Forse se fossi scappata adesso dalla stazione di polizia, sarei riuscita ad allontanarmi quanto bastava da quella maledetta cittadina. O forse sarei venuta subito braccata da un poliziotto o peggio ancora: da mia madre. No, meglio evitare di sfidare la sorte, dato che la sfiga era sempre dietro l'angolo ad aspettarmi.

Il poliziotto che stava parlando animatamente con i nostri genitori uscì dall'ufficio e con un gesto goffo di una mano gigantesca e pelosa ci invitò a muoverci e a seguirlo. «Alzate quei culi e venite qua, teppistelli!», la voce di quell'uomo grassoccio e peloso era gracchiante e rauca, ma soprattutto seccata. Probabilmente avrebbe preferito evitare casini sino alla fine del suo turno, ma ehi, ecco qui i tuoi problemi!

Morgan ed io ci scambiammo un'occhiata perché mi stavo cagando addosso dalla paura e lui mi mostrò un sorriso di incoraggiamento, intrecciando poi le nostre dita. «Andrà tutto bene», mi sussurrò un orecchio, ma entrambi sapevamo che era solo una menzogna e che niente sarebbe andato bene perché sentivamo, dannazione se li sentivamo gli sguardi dei nostri genitori bruciare sulla nostra pelle.

Ci alzammo da quelle sedie scomode e con movimenti e passi quasi meccanici, entrammo nell'ufficio del capo della polizia, con ancora le dita intrecciate tra loro. Non avevo alcuna intenzione di lasciare andare la sua mano. Era l'unica cosa che mi impediva di svenire su quel pavimento sporco della stazione della polizia.

Quando udii la porta chiudersi alle nostre spalle, capii di essere, sul serio, finita all'Inferno e che il patibolo non era più così distante da me.

«Sei in un mare di guai, signorina», il tono tagliente che usò mia madre non lasciò trasparire alcune emozioni, se non per la collera che provava nei confronti delle pecora nera della sua famiglia, nei miei confronti.

Distolsi subito lo sguardo dalla donna che mi aveva messo al mondo perché non sarei mai riuscita a reggerlo in quel mio momento di squilibrio mentale, portandolo successivamente su mio padre, il quale anche lui scosse il capo con delusione. Quella volta lo avevo proprio deluso e non so perché, ma ero certa non avrebbe più risposto fiducia in me come prima.

«Mi dispiace», sussurrai verso mio padre, il quale vedendomi così ansiosa per tutta quella situazione, mi mostrò un piccolo sorriso, nascosto leggermente da una folta barba brizzolata. Lui si che mi voleva bene.

«Mio figlio è sicuramente innocente! Sarà stata questa sciocca ragazzina ad averlo obbligato a fare una cosa così stupida», tuonò Tonya furiosamente, ravvivando la sua chioma bionda e ondulata con una mano e indicandomi con un'espressione inorridita sul volto rugoso con l'altra.

Quant'era fastidiosa! E poi non sapeva che non si indicano le persone? Dove lo aveva lasciato il suo essere di classe? A casa insieme ai suoi gioielli costosi? Patetica.

«No, mamma», intervenne Morgan e capii subito che stava prendendo le mie difese quindi lo ringraziai accarezzandogli il dorso della mano con le dita ancora intrecciate alle sue, «L'idea è stata mia. Lei mi ha semplicemente seguito.»

Ero quasi certa che a Tonya sarebbe venuto un infarto da un momento all'altro, se avesse udito nuovamente suo figlio andarle contro per difendermi, ma a me poco importava. Non che volessi che le venisse un infarto, ma era divertente vedere il suo viso stravolto da un'espressione scioccata perché il suo adorato figlio aveva difeso un'insulsa ragazza come me.

Soffocai una mezza risata che trattenni con forza tra le labbra mentre osservavo il viso di quella donna farsi paonazzo. Quello di mia madre sbiancò, sino a farla diventare pallida come un cencio poi si affrettò a raggiungere Tonya e mettendole una mano sulla schiena, provò a calmarla, come se quanto avesse detto Morgan fosse una così grande tragedia. Mamma mia che drama queen che sei Tonya, cara!

«N-non può essere. Mio figlio... Tu non puoi averlo fatto di tua iniziativa. Lei... Lei ti ha minacciato, non è vero? Quell'inutile e sciocca ragazzina!», sbraitò lei, tremando dalla rabbia, mentre mio padre gli andò contro, gridandole di non azzardarsi più ad insultarmi. Grazie papà, almeno tu!

Il poliziotto, da dietro la sua scrivania, osservò silenziosamente la scena patetica che Tonya stava mettendo in atto pur di non ammettere che suo figlio non era così perfetto come pensava lei e mi sentii male per lui. Ma allo stesso tempo non desideravo altro che andarmene da quel posto e a quanto pare anche Morgan era della mia stessa idea poiché sospirò pesantemente e mormorò un basta, ti prego a sua madre che non sentì minimamente, dato che stava starnazzando come un'oca.

Detestavo le persone che ostentavano superiorità come se non avessero mai fatto qualcosa di sbagliato nella loro adolescenza. Sembrava che loro fossero perfetti, ma nessuno era perfetto perché la perfezione non esisteva. Tutti commettevano errori, anche quelli che in quel momento stavano sbraitando davanti me. Quindi vorrei che per un attimo i nostri genitori si mettessero nella nostra posizione per capire che sì, potevamo sbagliare, perché anche noi eravamo umani pieni di pregi, ma anche di troppi difetti che forse in alcune situazioni uscivano allo scoperto.

Se proprio desideravano dei figli perfetti, forse avrebbero dovuto comprarsi dei bambolotti oppure rinchiuderli in casa senza tutte le nostre tecnologie attorno a loro, ma solo libri da studiare per prepararsi al loro futuro perfetto deciso dai genitori.

«Io e Mavis stiamo insieme quindi, mamma, ti prego, smettila di avercela con lei», sbottò Morgan mentre io rimase paralizzata a fissarlo con sguardo pieno di sgomento. Lui ed io... Cosa? Ma non era assolutamente vero. Ci eravamo scambiati solo un, due baci!

Gli occhi azzurri di Tonya si spalancarono talmente tanto da farmi credere che le sarebbero schizzati fuori e avrebbero rotolato sulla scrivania del poliziotto. La sua mandibola calò verso il basso e le ragnatele di rughe sul volto impallidito si stirarono, dandole quasi un'aria più giovane.

Mentre il mio cuore batteva all'impazzata contro le mie costole e tamburellava con violenza nelle mie orecchie. Morgan aveva davvero detto ai suoi genitori ― e anche ai miei ― che stavamo insieme? Perché?

«Che cosa? E Cassidy? Non mi dire che questa qui si è messa in mezzo a voi due e vi ha fatto lasciare perché giuro su Di―»

«Giuri su Dio, cosa mamma? Di picchiarla? Di ammazzare una ragazza solo perché sta con me ma a te non piace? Cassidy ed io non siamo mai stati davvero insieme. Lei è la mia migliore amica mentre Mavis è la ragazza di cui sono innamorato», inveì rabbiosamente Morgan contro sua madre che divenne ancora più pallida in volto. Io invece sussultai e strabuzzai gli occhi per l'incredulità.

Innamorato... Lui era innamorato di me? Lo era davvero oppure lo aveva detto solo per far incazzare sua madre?

Il fiato mi si era mozzato in gola e la bocca dello stomaco, a quelle parole, si compresse mentre le budella mi si attorcigliarono fra loro. Morgan strinse con più forza la sua mano intorno alla mia e per via di quel piccolo gesto, non mi accorsi nemmeno del fatto che mi avesse anche lasciato un bacio su una guancia. Non me ne accorsi fin quando non percepii le sue labbra calde contro la mia pelle e a quel contatto le mie gambe tremolarono, facendomi temere che da lì a poco avrebbero ceduto per tutte quelle enormi emozioni che si stavano scatenando in me.

Smettila di farmi questo effetto che non posso reggere ancora per molto. Il mio cuore sembra impazzito mentre le mie gambe paiono fatte di gelatina.

«Mi avete stancato! Non me ne può fregar di me se questi due stanno insieme, ma devono pagare per quanto hanno combinato. Sedici ore di lavori socialmente utili e dovranno incominciare dal cancellare tutte quelle scritte e disegni stupidi dalla galleria. Ora potete andare!», sbottò il poliziotto paonazzo in viso, dopo aver sbattuto una delle sue gigantesche mani pelose sulla scrivania.

Ed io che pensavo a qualcosa di peggiore. Be', ci era andata meglio di quanto pensassi. E lo sguardo di sollievo che c'eravamo scambiati io e Morgan mi aveva fatto intendere che anche lui l'aveva pensata allo stesso mio modo.

Sedici ore insieme a Morgan a ripulire la galleria non era niente in confronto a quello che mi sarebbe capitato una volta a casa, dannazione!

Mia madre e Tonya provarono ad aprir bocca, ma il poliziotto con un gesto veloce della mano impedì ad entrambe di starnazzare nuovamente mentre i nostri padre esalarono solo un sospiro sollevato.

«Questo ho deciso. Ora fuori che ho altri problemi a cui pensare», indicò una donna e un uomo abbastanza trasandati, seduti dove fino a poco prima c'eravamo stati io e Morgan.

Salutammo con educazione il capo della polizia che ci osservò con severità poi uscimmo dalla stazione, senza aspettare i nostri genitori, i quali stavano discutendo animatamente tra loro.

«Perché hai detto che stiamo insieme?», gli domadai una volta fuori mentre il vento gelido di quella sera si schiantò contro il mio viso, portandomi un leggero pizzicore agli occhi che involontariamente chiusi e strofinai col dorso di una mano.

Se solo mi fossi portata dietro gli occhiali da vista, forse sarei riuscita a ripararli almeno un po'. Una volta a casa mi toccherà mettere delle gocce perché si stavano già seccando e da lì a poco avrei incominciato a lacrimare per il bruciore.

Aprii solamente un occhio e vidi Morgan scrollare le spalle, «Perché spero che prima o poi ci sarà un noi.»

Quelle parole dette con disarmante sincerità mi spiazzarono completamente, togliendomi ancora una volta il respiro. Come riusciva a dire una cosa del genere senza morire dall'imbarazzo? Io vorrei ribattere dicendogli che ci sarà un noi, ma le parole mi morirono in gola e la mia voce pareva non volersi far sentire perché mi uscì solamente un mezzo suono strozzato.

Morgan mi osservò con un leggero imbarazzo colpevole nello sguardo, «Lo so. Lo so che abbiamo deciso di andarci piano, ma quello che ho detto in quell'ufficio è la verità, Mavs.»

Con una mano tipieda mi accarezzò una guancia che subito, insieme all'altra, prese colore e incominciò a bruciare per l'imbarazzo. «Sono innamorato di te», mi sussurrò ad un soffio dalle labbra e con lo sguardo addolcito mi chiese il permesso per baciarmi quindi annuì senza più fiato nei polmoni per il nervosismo di quel momento.

Morgan abbozzò un sorriso poi premette con delicatezza la sua bocca sulla mia, muovendo appena le labbra morbide contro le mie. Inspirai bruscamente dal naso mentre con le mani mi aggrappai alle sue spalle perché le gambe mi avevano ormai abbandonata e ricambiai impacciatamente quel dolce bacio che mi fece aumentare i battiti cardiaci. E sperai che anche lui fosse nella mia stessa situazione: col cuore che batteva furioso e lo stomaco chiuso per l'intensità di quel bacio.

«A domani, piccola Mavs», mi soffiò sulle labbra dopo essersi staccato da me. Gli mostrai un sorriso da parte a parte perché mi sentivo così bene in quel momento poi lo salutai con un fugace bacio a stampo ed infine scappai verso la macchina dei miei genitori col cuore impazzito e le tipiche farfalle a tormentarmi lo stomaco.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top