▷ quattro

Vi era mai capitato di ripetere talmente tante volte una frase o una parola da sembrarvi poi senza senso?

Parole ripetute all'infinito nella propria mente, fino a domandarsi se esistessero davvero o se avessero davvero un senso.

Era più o meno quello che stava capitando a me da quando era iniziata la lezione. Continuavo a leggere e rileggere parole su parole nel libro di matematica, senza capirci qualcosa. Mi sembravano tutte parole a me sconosciute. Il mio cervello pareva averle rimosse o meglio, le aveva rese ancora più indecifrabili.

E tutto questo perché un mio compagno era stato il primo povero malcapitato della Keating. Sì, perché quella pazza era tornata più fetente che mai dalle vacanze.

Aveva deciso che sin da subito avrebbe interrogato per vedere se durante le vacanze avessimo studiato e fatto tutti gli esercizi che ci aveva assegnato. Io non avevo né studiato né fatto gli esercizi. Ecco perché stavo tenendo il capo chino sul mio libro, così da evitare lo sguardo della professoressa e di venir scelta per un'interrogazione. E nel frattempo provavo a capire qualcosa di quelle formule, per me in una lingua sconosciuta o aliena.

Maryse, al mio fianco, era stravaccata sulla sedia e fissava annoiata la professoressa, la quale stava sbraitando qualcosa sul nostro "essere così stupidi da non essere riusciti a fare nemmeno un semplice esercizio durante le vacanze". Semplice per lei, forse, ma per me non lo era stato per certo. Anche perché dopo aver trascritto la prima formula sul mio quaderno, l'avevo fissata per innumerevoli minuti poi sbuffando, avevo chiuso il libro e lanciato sulla scrivania, smettendo completamente di pensarci e tornando, ovviamente, a guardare Riverdale.

Megan, d'altro canto, era immersa completamente nelle parole della professoressa che aveva deciso di spiegare qualcosa durante gli ultimi minuti di lezione. Menomale che era quasi finita. Nessuno, a parte la mia migliore amica, stava seguendo quello che diceva. Be', io di certo ero una di quelle che non ascoltava.

Il primo giorno di scuola, per me, significava non fare niente tutto il giorno e accumulare forze che ben presto le lezioni mi avrebbero portato via.

Otto ore al giorno per cinque giorni a settimana erano una follia. Ma non potevamo, che so, fare quattro ore al giorno e basta? Almeno così non scleravamo come dei pazzi a fine giornata.

Noi stavamo in quell'inferno per otto ore mentre i professori si facevano si o no due o tre orette poi uscivano da scuola e andavano a farsi i cazzi loro.

Come quando beccavi un tuo professore, in compagnia del suo coniuge, al centro commerciale e li vedevi ridere tra loro mentre tu avevi appena finito di studiare e tutto quello che avevi bisogno era prenderti una boccata d'aria.

E il bello era che avevano anche il coraggio di fermarti e chiederti per quale motivo non stessi studiando, come se tutto quello che noi giovani dovevamo fare era studiare.

Loro però, belli belli, con sì o no sedici ore a settimana, avevano anche il coraggio di lamentarsi se noi alunni facevamo domande sui test fatti mesi prima e, la loro stupida scusa era sempre la stessa: "non ho avuto tempo, ho tante classi e anche io ho una vita fuori di qui".

Divertente, vero? Loro potevano lamentarsi delle sedici ore che facevano alla settimana.

Invece noi che ne facevamo quaranta, dovevamo studiare, fare i compiti e provare ad avere anche una vita sociale, senza nemmeno fiatare o provare a lamentarci. Noi a quanto pare ce la grattavamo soltanto. Noi non ci svegliavamo alle sei per prepararci per la scuola e sempre noi, non stavamo svegli fino a tardi per studiare. No, ovvio che no!

«Signorina Hopkins mi sta asc―», la campanella interruppe la professoressa e mentalmente la ringraziai.

La Keating increspò le labbra in una smorfia seccata poi voltò il viso verso la cattedra. In quel momento decisi di sgattaiolare fuori dalla classe il più in fretta possibile, così da non dovermi subire una sua ramanzina il primo giorno di scuola quindi, raccolsi il mio zaino e scattai come un fulmine, uscendo dall'aula.

Una volta fuori, mi fermai in mezzo al corridoio, aggiustandomi lo zaino in spalla e guardando la mandria di bufali spostarsi da una parte all'altra per dirigersi verso le loro rispettive aule.

Se fossi stata in un film, mi sarei immaginata mentre camminavo in mezzo al corridoio con i capelli che svolazzavano per aria, grazie all'aiuto di alcuni ventilatori, come facevano le dive delle scuole, ma la realtà era ben diversa. La realtà era che dovevo stare attenta persino a dove mettere i piedi per non venir spiaccicata da qualcuno, anche se ogni sera mi ritrovavo sempre con lividi dappertutto perché i bufali si divertivano a spintonare come se non ci fosse un domani.

«Quindi la mia cara sorellina finalmente riuscirà ad esaudire il suo desiderio», alzai gli occhi verso l'alto e vidi mio fratello ghignare perfidamente verso la sottoscritta mentre inclinava la testa di lato e i suoi occhi brillavano di un luccichio maligno.

«Come prego?», borbottai insospettita, guizzando con lo sguardo alla ricerca delle mie migliori amiche che non avevo nemmeno visto uscire dall'aula.

«Bacerai Morgan, no? Non è il tuo desiderio? L'ho letto sul tuo diario!», alzò semplicemente le spalle.

Spalancai gli occhi, sentendomi male. Di quale cazzo di diario stava parlando? Quello delle elementari? Oh, Cristo santo!

«Hai letto il mio diario? Ma sei cretino o cosa? Avevo sette anni quando ho scritto quella minchiata. Come cazzo puoi pensare che io voglia ancora una cosa del genere? E poi come diavolo ti sei permesso di leggerlo?», sbraitai, diventando rossa dalla rabbia.

«Tanto so che ti piace ancora e, comunque avevi lasciato il diario sul letto, quando hai fatto pulizie nella tua stanza un paio di mesi fa e l'ho letto. Non ho resistito.»

«E io non so perché, ma sento che non resisterò ancora molto... Sento che tra non molto dovrò spaccare la tua PlayStation che ti sei comprato poco tempo fa», alzai le spalle, rifilandogli un'occhiata glaciale.

Mio fratello mi mostrò un ghigno che mi fece venire solo più voglia di prenderlo a schiaffi, soprattutto dopo aver scoperto che aveva letto il mio diario.

«Sei sempre così acida. Ecco perché non troverai mai un ragazzo e, carina la tua vacanza inesistente che hai passato a casa della nonna», sbuffai indispettita.

Me lo sarei dovuta immaginare. Le voci giravano fin troppo velocemente, per poterle contenere, in quella scuola.

«Tu insieme ad un ragazzo? Ma quando mai!», scoppiò in una fragorosa risata, ma pochi secondi dopo si beccò un fortissimo scappellotto da parte di Maryse che comparve alle sue spalle e lo fece tacere.

«Piantala di infastidire tua sorella, idiota», borbottò acidamente per poi circondarmi le spalle con un braccio.

Ci scambiammo un sorriso d'intesa che da parte mia stava a significare "grazie per avermi salvata" mentre da parte sua "sempre e comunque" e, di quello gliene fui grata.

«Walker, sempre a rompere i coglioni, vedo.»

«E tu, Hopkins, sempre a scassare la minchia a tua sorella, vedo. Non è che per caso hai un complesso per tua sorella? No, perché sarebbe una cosa abbastanza schifosa e morbosa...»

Jeremy contrasse la mascella mentre i suoi pugni andarono a stringersi lungo i fianchi.

Cavolfiori fritti, mio fratello si stava arrabbiando sul serio. Be', chissenefrega. Ben gli stava!

«La tua amichetta ha la lingua un po' troppo lunga, Mavs.»

E io che ci potevo fare se Maryse diventava una belva quando qualcuno le toccava le persone a lei care?

Maryse scoccò la lingua contro il palato mentre la mano appoggiata sulla mia spalla, andò a stringersi con forza intorno ad essa. Voltai il capo verso di lei e le baciai una guancia con nonchalance.

«Sicuramente più lunga del tuo amichetto là sotto», lo schernì lei, fissandolo con sguardo di sfida.

Si era capito che Maryse e Jeremy si detestavano, vero? Be', era iniziato tutto quando due anni prima, Mary mi aveva trovata in lacrime ― davanti alla porta di casa sua ― dopo che mio fratello mi aveva umiliata di fronte a tutta la mia famiglia il giorno della vigilia di Natale. Da quel momento aveva incominciato ad odiarlo e se fosse per lei, lo prenderebbe sempre a botte.

Lo aveva ammesso più volte. E non potevo darle torto. Quando voleva, sapeva essere davvero odioso.

«Ci vediamo a casa, Mavs», mormorò a denti stretti poi girò i tacchi e se ne andò.

Non sapevo per quale assurdo motivo, ma me lo immaginai con indosso dei tacchi mentre se ne andava via sculettando e, proprio per quello scoppiai a ridere, beccandomi un'occhiata confusa da parte della mia migliore amica.

Scossi il capo. «Niente. Lascia perdere, piuttosto, dove diavolo è finita Megan?»

«L'ho vista parlare con James...»

«James? James Sullivan? Perché?»

«Credo le abbia chiesto di uscire.»

Oh, fantastico. Be', Megan era bellissima quindi era ovvio che prima o poi qualcuno di così affascinante le avrebbe chiesto di uscire, ma non pensavo proprio James. Cioè, James era la mia cotta da anni, anche se ovviamente non mi ero mai confessata perché sapevo che mai mi avrebbe ricambiata. Infatti era così. A lui interessava la mia amica.

Meraviglioso. Mi sentivo uno schifo. E se fossero usciti insieme?

«Oh no, non fare quella faccia! Megan lo ha rifiutato perché sa quanto ti piace quindi non l'è sembrato il caso accettare», Maryse abbozzò un sorriso, appoggiando la sua testa sulla mia spalla, «Dai ragazza schianto, non tenere il muso.»

Quindi se non fosse per me, avrebbe accettato di uscire con lui? Perché Megan non mi aveva mai detto che provava qualcosa per James?

«Sono interessata a Mattia, il ragazzo italiano. James non mi piace per niente quindi piantala di scervellarti in questo modo. Ti sei vede il fumo uscire dalle orecchie», Megan sbucò da dietro le mie spalle, facendomi sussultare poi avvolse le sue braccia intorno alla mia vita, appoggiando la testa sulla spalla opposta a quella in cui c'era quella di Maryse.

«Non stavo pensando a niente», provai a difendermi, ma purtroppo le mie migliore amiche mi conoscevano benissimo quindi sapevano sempre quando mentivo.

Megan sbuffò, solleticandomi il collo col suo alito caldo. «Sei pessima a mentire, Mavs.»

«Devo andare a prendere dei libri nell'armadietto!», strillai all'improvviso, scrollandomele di dosso poi corsi a perdifiato verso il mio armadietto, anche se era ovvio che non dovessi prendere alcun libro, dato che quel giorno non ne avevo portato nemmeno uno.

«Bugiarda», gridò Maryse, quando ebbi svoltato l'angolo, ma la sentii comunque quindi ridacchiai, dirigendomi veramente verso il mio armadietto di metallo, dipinto di blu ― uno dei due colori della Temperance High School, l'altro era l'oro.

Avevo sempre detestato le persone che si appoggiavano al mio armadietto, nonostante io stessa lo facessi con quello degli altri, ma la cosa che odiavo di più era quando era lui a farlo.

Morgan "Babbuino" Cooper era appoggiato con indifferenza al mio armadietto e non sapevo se sotterrarmi per non incontrarlo o andargli incontro e spaccargli la faccia per essersi poggiato ad esso.

«Cooper, levati dai coglioni», sibilai nervosamente quando gli fui davanti.

Alla fine aveva vinto la mia voglia di prenderlo a pugni, ma per farlo dovevo aspettare di uscire da scuola per non venir sospesa il primo giorno di scuola.

«Solo se mi dai quello che mi spetta.»

Bambino dell'asilo ad ore dodici! Ripeto: bambino dell'asilo ad ore dodici che qualcuno venga a riprenderselo.

Gli scocciai un'occhiataccia. Lui in risposta scrollò le spalle e mi sorrise con strafottenza.

«Non pensavo avessi tre anni, Morgan

«Oh, finalmente mi chiami per nome», incrociò le braccia al petto, affondando le dita nei bicipiti pieni di tatuaggi che fino a poco tempo prima non aveva avuto.

Lo fissai con indifferenza, facendogli segno di smammare da davanti il mio armadietto.

Chissà cosa stavano a significare i suoi tatuaggi... Be', non che mi interessasse più di tanto. Anche io avevo un tatuaggio sul polso sinistro, ma nessuno mi aveva chiesto il suo significato.

Era un semplice infinito che avevo fatto insieme a Mary e Megan l'anno scorso ― ovviamente col consenso dei nostri genitori ― ed era un modo per ricordarci che la nostra amicizia era infinita.

«Senti rompi coglioni di un babbuino, te ne puoi andare a fare in culo?», borbottai scocciata, aprendo il mio armadietto per poi richiuderlo pochi secondi dopo, del resto non avevo davvero niente al suo interno.

«Sai vero che la sfida di oggi è valida fino a stasera alle undici e cinquantanove? Ho fino a quell'ora per stressarti.»

«E io farò in modo di non dartela vinta fino allo scadere della mezzanotte», girai i tacchi e mi diressi verso l'uscita di scuola con Morgan dietro le mie spalle che continuava a lamentarsi e a blaterare qualcosa che nemmeno mi interessava sulla challenge.

Sentivo il suo sguardo bruciare fastidiosamente sulla mia schiena quindi, una volta arrivati davanti all'entrata della scuola, mi voltai fulminea verso di lui per dirgliene quattro, ma senza darmi tempo di reagire o fiatare, mi prese il viso tra le mani e appoggiò la sua bocca sulla mia.

Spalancai gli occhi per l'incredulità e inspirai bruscamente, mentre davanti a noi si alzarono cori di grida e battiti di mani che mi fecero arrossire fino alla punta delle orecchie.

Le sue labbra erano indubbiamente morbide, ma non per quello smisi di divincolarmi dalla sua presa.

Dannazione, lo stronzo non voleva proprio lasciarmi andare!

Baciava bene, dovevo ammetterlo, ma se proprio avremmo dovuto farlo, avrei preferito evitare il pubblico dal video facile.

Quando finalmente si staccò da me, non ci pensai due volte a toglierli quel sorriso pieno di strafottenza e orgoglio che avevo dipinto sul viso quindi gli tirai un calcio in mezzo alle gambe che lo fece gemere dal dolore.

Morgan cadde in ginocchio con le mani aggrappate ai gingilli d'oro, continuando a genere dal dolore.

Ben gli stava! Non avrebbe dovuto baciarmi, 'sto stronzo.

Delle chiassose grida disperate da parte di un gruppetto di cheerleaders, si alzarono in coro nell'aria mentre Cassidy, poco più in là dal punto in cui ci trovavamo noi, scoppiò in una fragorosa risata che mi fece involontariamente sorridere trionfante.

La vidi mostrarmi il suo cellulare poi lo indicò e mimò di controllare il mio.

Alzando un sopracciglio, tirai fuori il mio cellulare mentre il gruppetto di cheeleaders ci raggiunsero, mi spintonarono di lato e poi aiutarono Morgan "il moribondo con le palle distrutte" ad alzarsi da terra.

Cassidy invece non la smetteva di ridere. Eravamo sicuri che stessero davvero insieme? E poi da quando non correva subito in soccorso del suo amore?

Scrollai le spalle con indifferenza, allontanandomi da quel rumoroso e fastidioso gruppetto poi diedi un'occhiata al mio cellulare, proprio come aveva detto Cassidy.

C'era una foto nel gruppo della challenge in cui ero appena stata aggiunta ed eravamo io e Morgan che ci baciavamo. E lui mi teneva stretta a sé con un braccio avvolto intorno alla mia vita. Cazzo.

Strabuzzai gli occhi e sbiancai all'istante.

La foto no. No, dannazione! Mi avrebbero torturato con quella fotografia per chissà quanto tempo. Povera me.

Dopo aver raggiunto le mie migliori amiche che mi fissavano sconvolte, buttai un occhio verso Morgan e vidi Cassidy raggiungerlo con un sorriso divertito sulle labbra poi gli sussurrò qualcosa all'orecchio e anche lui sembrò ghignare. Forse gli aveva detto che la prima sfida era andata ed era felice per quello. Che angoscia.

Se pochi giorni prima dell'inizio dell'anno scolastico, mi avessero detto che sarei stata scelta per una challenge, avrei saltato il primo giorno, così da evitare di finire in coppia con Morgan.

Ma come sempre la sfiga mi odiava e proprio per quello aveva fatto in modo ― non so come ― che finissi in coppia con quel cretino.

«Andiamo a farci un giro? Non ho voglia di tornare a casa.»

Le mie amiche annuirono poi mi fecero notare che avevo gli occhi tutti puntati addosso quindi dissi loro di muoverci perché sennò avrei mandato a fare in culo tutti quanti.

Passammo un pomeriggio tranquillo al centro commerciale. Maryse si comprò un nuovo abito da indossare ad una possibile festa che avrebbero organizzato per festeggiare l'inizio della scuola. Ed era sicura che l'avrebbe organizzata Morgan perché era anche conosciuto per dare le miglior feste.

Mentre Megan ricevette una chiamata da parte del ragazzo italiano e appena l'ebbe accettata, divenne rossa come un pomodoro.

Io invece non mi resi conti di aver emesso un sospiro di sollievo perché era davvero interessata all'italiano e non a James, fin quando Mary non mi diede una leggera gomitata e mi fissò di sbieco.

Scrollando le spalle, feci spallucce e poi annunciai che era meglio se tornavo a casa, dato che si era fatto tardi.

Così eccomi qui. Davanti a casa mia con il cuore in gola. Il motivo era semplice: nel vialetto c'era la macchina di Morgan e io non avevo voglia di vederlo.

Appena misi piede in casa, mia madre comparve sulla soglia con le braccia conserte e lo sguardo terribilmente spaventoso.

Deglutii terrorizzata, spostando poi lo sguardo verso le mie vecchie scarpe per evitare il suo, anche se non capivo cos'avevo fatto di male per venir rimproverata da lei. Sì, perché quello sguardo lo conoscevo piuttosto bene. Era lo sguardo che mostrava prima di farmi la ramanzina per qualsiasi io avessi fatto.

«Mavis Caroline Hopkins, come hai potuto tirare un calcio nelle parti intime al migliore amico di tuo fratello?!»

Strabuzzai gli occhi e la mia mascella scivolò verso il basso per lo stupore. Era per quello che era arrabbiata con me? Perché avevo calciato quel coglione di Morgan?

Ecco perché la sua macchina era davanti al vialetto! Lo stronzo aveva spifferato tutto a mia madre e sicuramente sotto consiglio di quella testa di cazzo di mio fratello.

«Lui ha cercato di molestrarmi», sbraitai, muovendo le braccia per aria e in quell'esatto comparvero Jeremy e Morgan, i quali mi fissarono sconvolti.

Oh, ma sul serio? E io che credevo fossero in camera di Jeremy.

«Cos'avrei fatto io?», domandò stupito il babbuino, guardandomi con gli occhi nocciola spalancati.

«Mi hai baciato senza il mio consenso! Anche questo è molestia sessuale, idiota.»

Vidi mia madre strizzare gli occhi e arricciare le labbra, segno che si stava trattenendo dallo sbraitarmi contro.

Cazzo. Cazzo. Cazzo, era davvero arrabbiata con me.

«Mavis Hopkins, scusati immediatamente con Morgan e poi fila in camera tua fin quando non è pronta la cena.»

Scoppiai in una risata forzata poi scossi il capo. Assurdo, dovevo scusarmi con quel babbuino, quando era stato lui a baciarmi senza il mio consenso? Il calcio nelle palle se lo era meritato.

«Scusami coglione. Buona serata a tutti!», detto quello, salii le scale e mi chiusi in camera mia, sbattendo per il nervoso lo zaino sulla mia scrivania.

Mia madre gridò furiosamente il mio nome e temetti volesse entrare nella mia stanza per prendermi a schiaffoni, come suo solito quando si arrabbiava sempre con me. Ecco perché detestavo stare in casa e preferivo passare il tempo da Mary.

Quindi chiusi a chiave la mia camera poi infilandomi le cuffie nelle orecchie, mi sdraiai sul letto e mi isolai da tutti quanti, come facevo sempre quando non volevo vedere e sentire nessuno.

Detesto la mia vita e detesto Morgan.

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