Capitolo Ottavo.
[Michael]
Negli ultimi giorni assumemmo un avvocato. Avevamo deciso di tutelarci in vista di tutti quei produttori che ci facevano il filo. Avevamo accettato incontri, eravamo usciti a pranzo o a cena con loro senza spendere un centesimo perché pagavano sempre al posto nostro. Ci ritrovammo a frequntare molti locali "in" della scena di Los Angeles. Avevamo incontrato molti produttori, discusso con loro degli ipotetici contratti, analizzato il documento ed infine ci si salutava con la promessa di rivedersi... Cosa che mai accadeva.
Ciò che volevano da noi era che gli dessimo la libertà di cambiare la nostra immagine, di decidere loro come doveva essere impostata la nostra musica. E, ovviamente, non potevamo accettare. Nessuno doveva dirci come avremmo dovuto registrare il nostro disco: se era un nostro progetto, tale doveva rimanere.
Ricevemmo un'offerta di 400mila dollari, ma essendo esattamente come gli altri, rifiutammo.
Nonostante l'offerta successiva -e ultima- ci offrisse 250mila dollari, i termini erano nettamente differenti. Tale era della della Geffen. Ci dissero tutto ciò che avremmo voluto sentirci dire da un produttore: la nostra immagine potevamo mantenerla e la musica sarebbe stata fatta a modo nostro. Facemmo mettere tutto per iscritto e, il 26 Marzo del 1986, firmammo quel contratto.
Inizialmente ci spettavano 15mila dollari a testa, e potemno tenerne settemila e cinquecento, perché l'altra metà dovevamo destinarla alle spese burocratiche, ecc. Mi ritrovai con tutti quei soldi in mano da un giorno all'altro e pensai bene ti tenerli in una busta riposta poi nel mio stivale. Tutta quella situazione mi aveva messo sotto pressione: io ci ero già passato, ma in quel momento non volevo assumermi la responsabilità di esser quello che faceva finta di capirne più di tutti - anche perché non sarebbe stato vero e avrei rischiato di combinare un bel casino.
Con la mia copia del contratto in mano e la busta con i miei soldi, tornai in fretta a casa, arrivando prima degli altri. Morivo dalla voglia di dirlo a Amy. Entrai in casa facendo non poco rumore con la porta. Arrivai in cucina, ma l'unico segno del suo passaggio era l'ordine che vi regnava; proseguii bussando alla porta del bagno, ma non ricevetti risposta. Controllai sul divano, ma non era nemmeno lì. Le camere degli altri erano chiuse, indice che non stava riordinando. Così, mi avvicinai alla porta della nostra stanza, bussai e, non sentendo risposta, entrai.
Lei era lì, coricata sul letto, che dormiva. Mi nacque dentro un moto di tenerezza. Mi avvicinai cautamente al letto, mi coricai accanto a lei e avvicinai il mio corpo al suo. Le accarezzai i fianchi, il braccio, poi le scostai i capelli dal viso e avvicinandomi al suo orecchio, dissi piano «Amy, ho una grande notizia da darti.» si mosse appena. «Dai piccoletta, sveglia...» le baciai la guancia. Si voltò supina, aprì gli occhi e mi guardò. «Wei... Che ci fai già a casa?» «Ho una notiziona da darti!» «Come? Dai, parla!» vidi l'entusiasmo sul suo volto. Mi sollevai mettendomi a cavalcioni su di lei, all'altezza del suo bacino. «Abbiamo firmato per la Geffen!» «Ma è fantastico!» «Ce l'abbiamo fatta finalmente... » si sollevò per abbracciarmi e la strinsi a me. «Diamine Duff, non riesco a crederci, è fantastico!» «Abbiamo firmato per sei album e 250mila dollari. Al momento ne ho settemila e cinque da spendere...» «Forte!» interrompemmo quell'abbraccio. «Non vedevo l'ora di dirtelo...» sorrise con un velo di timidezza, esattamente uno dei tanti lati del suo carattere che adoravo e che sembrava sfoderare unicamente con me. Accostai il mio volto al suo, per poi baciare quelle labbra che fino a pochi istanti prima gioivano per me. Ogni volta mi sembrava la prima. Erano morbide, carnose, dal sapore inconfondibile, e sembravano incastrarsi alla perfezione con le mie. La feci coricare sotto di me e, dopo qualche altro bacio, le dissi «Preparati. Ti voglio bellissima. Stasera si esce a festeggiare!» le sorrisi. Mi stampò un altro bacio e poi la lasciai sola in quella camera.
Diversi minuti dopo la sentii uscire per andare a fare una doccia, così tornai in quella stanza per cambiarmi. Afferrai dall'armadio una camicia nera, una paio di jeans dello stesso colore strappati sul ginocchio e un jilet, sempre in jeans, grigio. Aprii un cassetto estraendone una cintura decorata da tre file di borchie e un foulard rosso che avrei attaccato a uno dei passanti. Mi vestii alla svelta e poi uscii, lasciando libera la stanza per Amy, la quale vi fece ritorno pochi minuti dopo.
Mi raggiunse circa mezz'ora dopo. «Sono abbastanza...?» domandò. Mi voltai a guardarla. Indossava un abitino decisamente aderente a mezza manica, in pelle nera opaca. Aveva una cerniera che percorreva tutta la schiena e una più piccola in mezzo ai seni che, ovviamente, aveva lasciato aperta. Quell'abito evidenziava con precisione ogni sua curva; i tacchi alti le slanciavano le gambe e la cintura in vita era perfetta. Trucco nero alquanto evidente e capelli cotonati. «Amy, sei perfetta...» e lo era davvero. Mi alzai e la raggiunsi. Il suo sguardo vagò sul mio corpo. «Neanche te scherzi, comunque.» sorrisi. «Non ti avevo mai vista con questo abito.» «È davvero tanto che non lo metto... Ero ancora in tour con i Ramones.» «Sono certo che avrò più fortuna di Joey.» «Ehi, vedremo. Tanto, per il momento, sto ancora vincendo io.» dicemmo, accennando alla nostra scommessa. «È l'ultimo giorno e io non mi arrendo mai.» e ammutolii le sue labbra con un altro bacio. «Comunque, mi piaci un po' più alta.» «Scusa?! Vorresti forse dire che sono bassa?» «Tesoro, tu sei un metro e settanta, io vanto venti centimetri in più di te, non sono pochi.» ammiccai facendole l'occhiolino.
Decidemmo di andare al solito Roxy.
Arrivati in quel locale, trovammo anche gli altri che accolsero con dei fischi di apprezzamento la ragazza accanto a me -e come biasimarli?. «Che bell'acquisto McKagan!» esclamò Steven quasi urlando. «E Piantala Adler!» prendemmo posto. Finalmente notai l'umore di Axl decisamente migliorato. Molto probabilmente era perché anche lui si era tolto un peso, mi diedi quella come spiegazione, dato che i suoi sbalzi d'umore mi ero stancato di capirli. Anche io e Amy ordinammo una bottiglia di Jack che dividemmo. Ci accendemmo una sigaretta.
La osservavo desideroso di toccare io le sue labbra come lei lo permetteva a quel filtro. Mi avvicinai al suo orecchio. «Sei incredibilmente sexy stasera, lo sai? E ho una gran voglia di baciarti...» mormorai con voce roca. Si voltò verso di me avvicinando il suo volto al mio, ma senza baciarmi. Me l'aveva fatta un'altra volta. L'afferrai dai fianchi. «Ti piace prendermi per il culo?» «Mh, sì, è divertente. Soprattutto perché mi hai detto che fino all'ultimo non ti arrendi.» sorrise beffarda. Aspirai un tiro della mia sigaretta per poi sbuffarglielo piano sul viso. Quel gesto aveva un significato: voleva dire che volevi andare a letto con quella persona. In risposta, lei rise e sbuffò il suo fumo a caso. Mi teneva sul filo del rasoio da tre settimane. Ricevetti una gomitata da Saul. «Non ce la fai proprio, eh. Eppure, sarebbe così facile... Axl non ci ha messo niente.» «E infatti ho visto che anche tu hai concluso molto...» lo derisi. «Calmo, calmo! Io posso avere tutte quelle che voglio!» rise già ubriaco.
Quella sera c'era un gruppo Live e Amy non perse l'occasione di avviarsi sotto il palco portandosi via la nostra bottiglia. La raggiunsi. «Questa è nostra...» gliela tolsi dalle mani bevendone un lungo sorso, prima di restituirgliela. «Rimani qui?» mi chiese. «Nah, ma ti controllo...» la baciai brevemente. «Ops...» dissi giocoso, incrociando il suo sguardo particolarmente divertito che mi dedicò con quegli occhi grandi, profondi e un poco lucidi a causa dell'alcool e del divertimento. Poi me ne andai tornando al tavolo degli altri.
La serata trascorse tra musica, battutine, argomentando i vari punti del contratto... Quando si fece decisamente più tardi, la serata prese una piega diversa: Izzy mi fece notare che un tizio poco raccomandabile stava importunando Amy. Attesi qualche istante, non volevo fare piazzate davanti a lei e sperai che quel tizio se ne andasse il prima possibile. Ma ciò non avvenne. Con l'adrenalina dell'alcool e della Coca che mi scorrevano nel sangue, mi alzai da quel tavolo avvicinandomi a loro. Quell'individuo stava tentando di abbracciarla, di giocare con lei. «Ehi bello, fossi in te me ne andrei.» esordii io. «Oh, è arrivata un'altra checca dei Guns N Roses!» «Come scusa? Dacci qualche mese e poi vedrai come ti faremo il culo!» rise «Comunque ero impegnato. Quindi gira alla larga, bassista.» «Io non vado da nessuna parte. Si dà il caso che la ragazza non gradisca la tua presenza.» affermai, duro, frapponendomi fra Amy e quell'uomo. «Voglio solo divertirmi! Vai a cercarti un'altra!» «Ma allora non hai capito.» lo spintonai. «Senti, quella puttanella l'ho addocchiata io, adesso è mia.» quel tipo, nella stessa frase, aveva detto due cose assolutamente sbagliate: aveva detto che Amy era una poco di buono, e ne aveva già rimarcato il possesso. Persi il controllo e demmo il via ad una rissa. Vidi il volto spaventato di Amy, ma non avrei permesso che quel verme la toccasse un'altra volta. Presi qualche colpo sul viso, ma l'incazzatura e l'adrenalina erano troppo forti per fermarmi. Lo lasciai a terra, con il naso sanguinante e le braccia attorno allo stomaco. Lo avevo sistemato. «Vieni via...» mormorai a Amy cingendole le spalle con un braccio e riportandola al tavolo. «Amico, gliele hai suonate di santa ragione!» si gasò Steven come al suo solito. «Duff, sei tutto ammaccato, dovremmo tornare così potrei medicarti.» disse Amy, premurosa, mentre analizzava le ferite sulle mie nocche e sul viso. «Ha ragione. Fa' la persona responsabile per una volta.» ammise Axl. «E andiamo, andiamo.» uscimmo da quel locale e salimmo sulla mia auto.
Guidai fino a casa, mentre nell'abitacolo regnava il silenzio. Sfiorai la mano di Amy e poco dopo ritrovai le nostre dita intrecciate. Il mio cuore ebbe un sussulto.
Quando posteggiai ci dirigemmo al nostro appartamento, ancora tenendoci per mano. «Vado a prendere il necessario, aspettami in camera.» era stata previdente, dato che il divano sarebbe potuto servire a uno degli altri di ritorno con qualche ragazza. Mi sedetti sul letto ad aspettarla e, improvvisamente, mi colse un senso di confusione. Perché la desideravo così tanto? Perché avevo desiderato proteggerla come se lei fosse stata Mia? Sì, c'era un senso di appartenenza l'uno all'altra, ma non fino ai punti che io percepivo e che il mio battito cardiaco giustificasse ogni qualvolta che le stavo accanto o che la osservavo.
Tornò con in mano del cotone, un paio di garze e del disinfettante. «Sono messo così male?» «No, non molto, ma è meglio disinfettare le ferite.» iniziò da un piccolo taglio sul sopracciglio che sembrava già in procinto di chiudersi. Sentii pizzicare appena vi posò il cotone umido. «Scusa... Cerco di fare piano...» quando fu soddisfatta, passò allo zigomo e poi al lato del labbro inferiore: se solo mi avesse colpito poco più in là me lo sarei giocato, e invece me l'aveva risparmiato. «Michael, perché hai reagito in quel modo?» domandò, mentre si dedicava alle ferite sulle mie mani. «E me lo chiedi? Non sopporto che qualcuno si rivolga a te con certi termini. E poi stava cercando di possederti quando tu non volevi. Mi sembrano delle motivazioni sufficienti.» sospirò. «Grazie.» affermò, guardandomi con quegli occhi quasi neri. Mi sentii affogare nuovamente. Abbassò lo sguardo, spostò la roba pulita che non aveva utilizzato su una sedia e il resto lo gettò nel cestino pieno di lattine di birra. Tornò di fronte a me e mi sollevò il viso. «Nessuno era mai intervenuto per me, non so come ringraziarti.» «Mi è venuto spontaneo. Non riuscivo a sopportare ciò che i miei occhi stavano vedendo.» «Avevo bisogno che mi proteggessi e l'hai fatto... Così come fai da quando sono arrivata.» si era seduta accanto a me. «Amy, come potrei non proteggerti? Sembri così piccola, così sola... Non riesco a non starti vicino.» «Allora non farlo.» i nostri occhi si incrociarono e, nonostante la luce fioca proveniente dalla finestra, notai i suoi occhi luccicare e le sue labbra carnose essere inumidite dalla lingua. Mi si seccò la gola e, con cautela, baciai quelle labbra. Si scansò pochi istanti dopo. «Lascia perdere quella scommessa. Hai già perso, e ho perso anche io. Ci vogliamo entrambi. Ammettilo.» ebbe un sussulto. «Non usarmi, ti chiedo solo questo.» «Non potrei mai.» affermai con sincerità.
Si coricò, trascinandomi con sé. Mi rimpossessai delle sue labbra. Le sue mani iniziarono a scorrere dal mio torace fino alle spalle, poi giù sulle braccia per sfilarmi il jilet. Le mie mani accarezzarono ogni sua curva, dai fianchi ai glutei, arrivando al seno. Mi sbottonò rapidamente i bottoni della camicia. La sfilai. Passai alla sua cerniera che abbassai con molta calma, sfiornado la sua pelle con le dita e sentendola rabbrividire. Le sfilai quel vestito lasciandola in intimo sotto i miei occhi. Avvertii una morsa allo stomaco, come un'emozione strana, nuova, diversa dal solito. Si sedette riprendendo a baciarmi e slacciando la mia cintura. Tolsi i jeans e poi tornai su di lei. Le notre intimità si sfiornavano. Eravamo arrivati vicini a questa situazione già diverse volte, ma mai eravamo arrivati fino in fondo. Mi concessi la libertà di levarle il reggiseno. Osservarla fu molto meglio che immaginarla e le mie mani si impossessarono di quelle rotondità, palpandole. Gemette sulle mie labbra. Scesi, lasciando una scia di baci a partire dal mento, arrivando a uno dei suoi seni che mi premurai di mordere piano, di tanto in tanto. I suoi gemiti si fecero sempre più rumorosi, come vistosa stava diventando la mia erezione.
Ci liberammo degli ultimi indumenti, mi collocai inezzo alle sue gambe e poi la riempii, finalmente. Entrai dentro di lei con una lieve spinta, attento a non farle male. Iniziammo a muoverci entrambi, io guidavo e lei mi veniva incontro. Le nostre labbra quasi non si diedero pace. Sentii il piacere di entrambi crescere e, quando insieme venimmo, mi accorsi che, quello che prima avevo solo avvertito, adesso stava esplodendo: quello strano affetto stava crescendo a dismisura dentro di me. Mi coricai accanto a lei, abbracciandola. «È stato fantastico...» «Sì, lo è stato davvero.» la sentii sorridere sulla mia spalla. Avemmo un altro paio di rapporti, prima di crollare sfiniti in un sonno profondo, abbracciati.
L'avevo fatta mia, ma non mi sembrava ancora abbastanza.
Il sesso non mi era bastato.
Una parte di me necessitava di qualcos'altro da parte sua, qualcosa di non tangibile, forse, ma che sicuramente sarebbe stato da conquistare.
Quella notte fu memorabile.
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