Capitolo Nono.

[Amy

Mi svegliai il mattino dopo accoccolata al petto di Michael che giaceva ancora addormentato al mio fianco. 
Aprendo gli occhi, avevo immediatamente notato la luce che filtrava dalla finestra e, seguendone il percorso, vidi quei raggi posarsi sul profilo del musicista, sui suoi capelli scompigliati facendoli sembrare ancora più biondi, e sulla pelle del torace.
Il volto era rilassato: le palpebre chiuse, le labbra rosee rilassate, quelle guance da coccolare. Probabilmente, lo avevo ammirato in quel modo solamente il giorno dopo il mio arrivo da loro. 

La sera prima avevo ceduto, concedendomi a lui. Fu una nottata splendida che mai avrei dimenticato. Lo desideravo, lo avevo sempre desiderato e non mi ero certamente pentita. Il calore, il trasporto, tutto quanto aveva reso quello che -ne ero certa- non era stato solo semplice sesso, una cosa davvero Unica. L'affetto per quel ragazzo cresceva ogni giorno di più, trascinandomi, sorprendendomi, impedendomi di fermarlo in tempo. Quella notte lo avevo percepito ulteriormente. 

Trovai il coraggio di alzarmi: indossai l'intimo, la sua camicia che trovai abbandonata a terra che abbottonai alla bel'e meglio, e poi mi diressi da lui per posargli un leggero bacio sulle labbra prima di abbandonare la stanza. 
Andai in cucina, trovando qualche bottiglia abbandonata in giro e un Jeffrey addormentato svaccato sul divano. Trattenni una risata. Era buffo in quella posizione: gambe malamente distese, un braccio a penzoloni, i capelli corvini decisamente incasinati e il cappello schiacchiato sugli occhi. Mi piaceva osservarlo quand'era così rilassato. 
Jeff, infatti, era un ragazzo particolare, taciturno nella maggior parte delle volte, ma sapeva anche cogliere il divertimento e se si impegnava sapeva dire delle grosse cretinate. Ero riuscita a scoprirlo almeno un po', godendo della sua simpatia e della notevole intelligenza di cui era dotato e l'amicizia che ci legava era speciale, a modo suo. Talvolta non c'era nemmeno bisogno che spiegassi alcunché perché un suo sguardo sapeva capirmi, leggermi dentro, e un suo abbraccio parlava molto più di quanto potessero fare le sue labbra emettendo qualche suono.
Con lui condividevo molto del mio tempo, ritrovandoci interi pomeriggi a suonare insieme proprio su quel divano su cui giaceva addormentato in quel momento. Jeff aveva una sensibilità Unica e tale sapeva tirarla fuori al momento giusto, nelle dosi giuste, e la si poteva intravedere quando armeggiava con la sua chitarra, rapito, estraniato totalmente dal mondo circostante. 
Una considerazione negativa? Il suo eccesso nelle dipendenze che da troppo tempo riempivano la sua vita. 

Sospirando in reazione a qualche ricordo, riafferrai la mia idea originaria e iniziai a riordinare. Vidi il cappello di Saul sul tavolo con accanto la bandana di William. Tentai di riordinare quel macello senza fare troppo rumore, ma Jeff si svegliò. «Scusami, ho cercato di fare piano...» «Tranquilla... Aspetta! È la camicia di Duff, quella!?» domandò stupito. «Ma sei così attento ai dettagli già appena sveglio!?» «No, ma la sua camicia la so riconoscere.» ammiccò e io abbassai lo sguardo. Senza spiegarmelo, provai dell'imbarazzo ad essere stata colta in flagrante. «Ad ogni modo, perché tu sei qui e non in camera tua?» «Indovina? Axl non voleva intrusi mentre passava la notte con la Sua Erin» sbuffò. «La Sua Erin?» «Esatto, si stanno frequentando da un paio di settimane. Sembra una tipa a posto, o comunque in grado di sopportarlo. Probabilmente la faranno santa.» ridemmo. «Dai, che cattivo!» risi ancora. «E tu? Non avevi una fanciulla che ti facesse compagnia?» «Nah, non l'ho portata qua, ho risolto subito al Roxy.» mi fece l'occhiolino. 

Ripresi a riordinare e, mentre cercavo la mega caffettiera, sbucò una ragazza mora dai capelli lunghi, un fisico da invidia e un'espressione serena in volto. «Oh, buongiorno!» esclamò. «Tu sei Amy?» mi domandò, avvicinandosi. «Sì, ma come...?» «Axl parla sempre di te e la descrizione coincide. -Sorrise.- io sono Erin, piacere.» ci stringemmo cordialmente la mano. La riservatezza di Will gli aveva impedito di parlarmi di quella ragazza. Sorvolai, lo consocevo. «Piacere mio.» sorrisi. «Vuoi una mano?» «No, tranquilla, se vuoi tornare da Will qua sistemo io.» la rassicurai e lei mi prese in parola. «Jeff, io non ci vado a svegliarli...» «Con ciò vorresti dire che tocca a me?» annuii. «Duff te lo lascio!» con una faccia ironicamente terrorizzata, si avviò alle camere. 

Rimasi sola a preparare il caffè e ad apparecchiare per la colazione. 
Iniziai a canticchiare uno dei loro brani che più mi erano rimasti in testa, a forza di sentirglielo provare. Ero tanto distratta da non accorgermi dell'arrivo di un'altra persona. Sentii cingermi i fianchi in un abbraccio e il suo viso posarsi sulla mia spalla. Era Michael. «Ma buongiorno...» «Buongiorno biondino.» «Mh, ladra di camicie.» «Ehi, guarda che te la restituisco.» «Solo se mi dai la possibilità di togliertela...» «Ma ti sei appena svegliato! Insaziabile uomo...» «Oh, puoi scommetterci.» mi voltai nella sua direzione. Indossava solamente un paio di jeans smessi, strappati un po' ovunque; i capelli ancora arruffati e lo sguardo accesso lo rendevano perfetto ai miei occhi. Avvicinò il suo volto al mio, fece sfiorare i nostri nasi e, dopo averle morse appena, baciò le mie labbra. Ricambiai. Fu quasi dolce, proprio come quella notte. Fummo interrotti da Slash e Steven che, appena ci videro, fecero partire fischi e applausi. «Cristo, ma dovete sempre rovinare tutto voi due delinquenti!» esclamò scocciato Duff. «Vi stavate baciando, lei indossa la tua camicia... Qua è scoppiato qualcosa di bollente stanotte!» continuò Steven. «Alla faccia di chi diceva che non ci sarei riuscito...» sottolineò Duff alzando il terzo dito all'amico. «Ok ok, sei stato bravo.» si arrese Slash. Avevo assistito a quella piccola presa in giro risalente alla sera prima, percui non mi offesi. «Evitiamo i manifesti...» implorai io. «I manifesti per cosa?» domandò Axl arrivando proprio in quel momento. «Qualcuno stanotte ha fatto baldoria!» esclamò il batterista indicandoci. «Ma finalmente, noi facevamo scommesse da settimane!» «Axl! Ma gli affari vostri?» mugugnai incrociando le braccia al petto. «Ora sedetevi che la colazione è quasi pronta.» 

Successivamente, tornammo in camera. «Wow, scommettevano su di noi, evidentemente non siamo stati abbastanza bravi.» dissi. «Eh va be', poco male, dai.» si avvicinò a me posandomi le mani sui fianchi e attirandomi a sé. «Ti avevo detto che ti avrei levato la camicia...» premette le labbra sulle mie, ancora, ancora. Le sue dita si destreggiarono tra i bottoni, lentamente. Sfiorarono, poi, il mio ventre, la mia schiena, procurandomi puri brividi. Io sollevai la sua maglia, sfilandola dalla testa. «Non riesco a smettere di baciarti...» sussurrò sulle mie labbra. «Non smettere...» sorrise. Lo portai con me, stendendoci insieme sul letto. I suoi baci continuarono, scendendo fino al ventre, per poi risalire soffermandosi qualche istante sul collo. Quel ragazzo mi stava facendo sentire sua, accettata, desiderata. E tutto ciò mi faceva stare bene. Adoravo anche riuscire a soddisfare quella voglia che aveva di me, riuscivo ad accontentarlo. Riuscivo a farlo star bene con me. Era una sensazione fantastica, e io mi sentivo felice, per una buona volta, finalmente

Dopo tutti quei baci si stese accanto a me, facendomi accoccolare sul suo petto. Un braccio mi cingeva le spalle e il suo pollice produceva dei disegnini circolari sulla mia spalla. Il mio viso cercava rifugio nell'incavo del suo collo. «Mi accompagni a fare un giro?» «Dove?» «Be', dovrei acquistare un po' di cose, non ho più nulla da indossare ormai.» «Cos'è, vuoi già sperperare tutti i soldi?!» «No. Quello ho intenzione di farlo spendendoli in strumentazione!» vidi i suoi occhi luccicare. «Sono mesi che ho addocchiato un paio di bassi davvero belli in un negozio poco distante a dove stavamo prima.» parlava e lo osservavo: era forse il membro più dolce di tutto il gruppo. «Dai, andiamo allora! Non vedo l'ora di vedere questi bassi che ti hanno rubato il cuore!» «Ma io ti adoro!» mi abbracciò e insieme ridemmo. Quell'atmosfera era leggera, era bella. 

Ci alzammo, indossammo qualcosa al volo e poco dopo eravamo già a bordo della sua auto. Era una Ford Maverick e io semplicemente la adoravo. Gli interni spaziosi e in pelle mi facevano impazzire, come il cofano ampio. Mi abbandonai a quel sedile così confortevole. Indossai gli occhiali da sole formato Ray-Ban e Duff mi imitò. L'autoradio mandava "Paranoid" dei Black Sabbath. «Amo questo pezzo...» mi sfuggì e, in tutta risposta, Michael iniziò a cantarla. Avevo avuto occasione di sentire la sua voce come ruolo di Back Vocals nel gruppo, ma in quel momento mi sorprese quel timbro così bello e trascinante. Sentii lo stomaco accartocciarsi. Lo guardai sorridendo spontaneamente, non riuscii a farne a meno. 
Quando finì il pezzo giungemmo a destinazione. 
Eravamo arrivati davanti ad un negozio di abbigliamento. I materiali più utilizzati per quei capi erano la pelle e il jeans, esattamente il suo stile. Entrammo. Iniziammo a girare insieme tra gli appendini e gli espositori pieni zeppi di camicie e, soprattutto, giacche. C'era, inoltre, uno scaffale pieno di jeans e pantaloni, per non parlare di quello delle t-shirt. Non era molto grande, ma sicuramente ben fornito. Duff iniziò a ricoprire un braccio con vari strati di vestiti. Non avrei mai detto che amasse comprarne così tanti. Infine entrò in un camerino a provarli.
Aveva un vasto numero di giacche, chiodi e jilet; poi fece un secondo round, dedicandosi a camicie e magliette; infine provò qualche paio di pantaloni. Era peggio di una donna! Sicuramente, però, fu davvero divertente. Ogni volta che usciva con indosso un nuovo capo, aveva un atteggiamento sempre più idiota e arrivai ad avere le lacrime agli occhi dalle risate. 

Uscimmo di lì circa tre quarti d'ora dopo, come molto meno della metà delle cose che aveva provato: un chiodo e una giacca di jeans, un jilet in jeans, due maglie e due paia di pantaloni. «Ti giuro che credevo lo facessi apposta a tenermi in quel negozio per tutto quel tempo!» «No, ma già che ho una consulenza femminile, perché non sfruttarla!? Devo fare colpo, mica faccio il musicista per niente... Mi serve lo stile giusto.» «Wei, wei... Non ti atteggiare, biondino.» si fermò in mezzo al marciapiede e mi stampò un bacio sulle labbra. «Grazie.» «Quando vuoi.» ci scambiammo un sorriso e riprendemmo a camminare. Quel gesto così spontaneo e -oserei dire- intriso di tenerezza, mi fece perdere la concentrazione per qualche istante, stupendomi.
Ad un certo punto smise nuovamente di camminare per entrare in un negozietto simile ad un ferramenta, in cui acquistò una catena e un lucchetto. Li mise al collo stile Sid Vicius, e gli donava, tanto. «Sei stata testimone della mia promessa al punk-rock di non lasciarlo mai. Ricordatene, mi raccomando.» affermò solennemente. «Che onore! Non lo scorderò, promesso.» gli feci l'occhiolino. Quella promessa venne battezzata dalle nostre risate divertite. 

Tornammo in macchina e ci dirigemmo al negozio di strumenti. 
Vagammo per un po' in mezzo a tutti quegli strumenti e vedevo Duff cercare di stare al mio passo rallentato a causa dello stupore che provavo vedendo tutto quel Ben di Dio attorno a me, ma si vedeva che sapeva bene dove andare. Infatti, poco dopo, osservandomi con due occhioni imploranti, mi disse «Ti prego, dopo guardiamo tutto quello che vuoi, ma adesso possiamo andare?» fui ammaliata da quello sguardo e acconsentii senza indugi. Così, a passo abbastanza svelto, raggiungemmo l'area interessata. «Eccoli... Diamine, finalmente.» li osservai, erano davvero belli. Poi spostai lo sguardo sul suo volto, felice. 
Quel ragazzo sì che era un vero musicista. E, per me, un Vero Musicista non è solo uno decisamente bravo, ma è quella persona che ce l'ha nel cuore, che di musica vive. E quello era il ritratto di Michael. 
«Prendili, dai!» lo incitai. Li provò e osservai le sue dita scorrere fluide sul manico; gli accenti erano perfetti, il suono gli si dipingeva addosso e percepii tutto quello che gli stava passando dentro in quel momento. Lui continuò e io lo ammirai suonare per diverso tempo, ammaliata da tanto talento e tanta passione. 
Una volta che ebbe scelto quale dei due prendere e dopo avervi abbinato anche una testata per amplificatore, pagò il tutto, uscimmo e lo aiutai a portare quei gioiellini fino all'auto. Li caricammo nel bagagliaio. «Sembri un bambino felice!» esclamai sorridendo intenerita. «Felice, sono felice.» «Te lo si legge nello sguardo... E sono contenta di avere l'onore di vederti così.» si chinò sul mio volto. «È stato un pomeriggio fantastico.» «Sì, lo penso anche io.» soffiai sulle sue labbra. 
Un altro bacio prese vita durante il quale mi strinse al suo corpo. Un senso incontrollato di riparo mi invase. Mi sentii al sicuro, protetta. 
Improvvisamente mi sentii nel posto giusto, al momento giusto, con la persona giusta. 
Ma che diamine mi stava succedendo?

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