Primi incontri

Bruce Wayne non percepiva la paura come gli altri, la vedeva piuttosto come un ostacolo, qualcosa da sconfiggere a tutti i costi.
Per questo si era autoimposto di combattere quel sentimento che per lui era tanto orribile, ma quel giorno non riuscì a farne a meno e un terrore viscerale lo assalì.

La mattinata iniziò come al solito, lui si alzava, si lavava con calma, si vestiva e poi si recava nella sala da pranzo della grande villa nella quale abitava.

A quel punto in un giorno normale avrebbe dovuto trovare la colazione pronta al tavolo, con tutto e di più sopra, ma non fu così.
"Winifred?" Chiamò lui a gran voce, ma la cameriera non rispose.
A quell'orario Alfred era sempre nel suo ufficio a svolgere tutto quel lavoro che lui, di solo quindici anni, non poteva ancora compilare.

Così si addentrò nella cucina, guardandosi intorno e fu lì che lo vide.
Un ragazzo non troppo alto, forse della sua età, forse no. I capelli neri gli ricoprivano il cranio, arrivando fino alla spalle, il loro colore era in netto contrasto con la pelle candida, quasi cadaverica.
Era in piedi davanti al corpo morto di Winifred, sangue scuro le sgorgava da una ferita aperta sulla gola, che ormai stava seccando.

Lo sconosciuto alzò lo sguardo sorpreso, incrociando quello terrorizzato di Bruce. In neanche due secondi gli fu addosso, una mano ben premuta sulla bocca  e uno sguardo di fuoco.
"Allora, ascoltami bene ragazzino:Non.Urlare. O ti ammazzo."
Bruce annuì piano, a quel punto l'assassino gli tolse con cautela la mano dalla bocca.

"Bene, ora  torna subito nella tua stanza. Ma sappi che se fiati con qualcuno, ti uccido. Ora va' "
Il maggiore fece come gli era stato detto, dirigendosi in una specie di stato di shock a prendere qualcosa di commestibile.
Si costrinse a mangiare una fetta di pane presa da uno scompartimento, nonostante il suo stomaco fosse chiuso e pronto a rimettere tutto in pochi secondi.
Poi tornò in camera e si sedette elegantemente sul letto, le mani giunte sulla gambe, lo sguardo fisso nel vuoto, l'immagine della cameriera che si riproduceva più e più volte nella sua mente.

All'improvviso una voce alle sue spalle lo fece riscuotere dal loop in cui era caduto.
"Wow, ragazzino, mi hai stupito!" Bruce si girò di scatto, uno sguardo pieno di rabbia.
Guardò l'aguzzino della povera donna che  si ergeva dinnanzi a lui per un tempo che gli sembrò infinito, prima di constatare una cosa importante.
"Tu...sei più piccolo di me..." Disse rivolto più a se stesso che allo sconosciuto.

"Bene Sherlock, qualcosa l'hai capito. Ora ti aiuterò a dedurne qualcun'altra: tu non parlerai a nessuno della mia esistenza, non dirai quello che hai visto e quando scopriranno il corpo ti fingerai sorpreso, tutto chiaro?"
"Cosa ottengo in cambio?"
Aveva il mento leggermente alzato verso l'alto e un tono autoritario, non si sarebbe lasciato truffare così facilmente.

"Perché dovrei darti qualcosa?"
"Non puoi uccidermi, o l'avresti già fatto, vero? La notizia si verrebbe a sapere con troppa facilità...."
Il minore si esibì in un sorriso da lupo e Bruce fu certo che se non avesse distolto lo sguardo, lo avrebbe divorato.
"Che sorpresa...carino, ricco e pure intelligente...sei davvero un ragazzo perfetto come dicono per strada."
Gli rispose con un tono strafottente.

"Quindi, la vera domanda è....cosa vuoi, ragazzino?"
"Voglio diventare forte."
Il corvino spalancò le braccia e si guardò a destra e a sinistra, per poi emettere una breve risata.
"Ma sentitelo!" Lo prese in giro, come rivolto ad un pubblico fantasma che solo lui poteva vedere, poi tornò serio.
"Dovrai essere un po' più specifico, ragazzino." Bruce sbuffò, esasperato da quel comportamento.

"Voglio che tu mi alleni e che smetta di chiamarmi 'ragazzino'."
"Perché io? Con tutti i soldi che hai potresti chiamare il miglior combattente di arti marziali direttamente dalla Cina."
Bruce mosse con decisione la testa a destra e a sinistra, i capelli che ondeggiavano a ritmo con i sui movimenti.

"Tu...tu sei diverso. Il tuo modo di muoverti, senza emettere un suono, la tecnica con cui usi il coltello, il fatto che tu sappia i punti in cui colpire..."
"Il modo in cui controlli le emozioni anche nei momenti di crisi" aggiunse mentalmente.
"...e sei più piccolo di me." Lo sconosciuto lo guardò in cagnesco, gli occhi gelidi.
"Ho quattordici anni, Wayne, non sono un fottuto moccioso."

"Hai capito cosa intendevo."
L'altro scosse le spalle con disinvoltura, come per scrollarsi quella frase appena pronunciata di dosso.
"Quindi, fammi capire: io ti allenerò, ti farò diventare un'arma da guerra e tu in cambio terrai la bocca chiusa?"
Esatto."
"Fai attenzione, Wayne, è pericoloso fare patti col diavolo."
"Quindi, ci stai?" Continuò imperterrito il maggiore, ignorando quello che aveva detto.
"Ovvio." Gli rispose con sicurezza, stringendogli vigorosamente la mano.

Poi gli girò le spalle e si avvicinò alla finestra, aprendola.
"Domani fatti trovare pronto alle sei...."
Con un salto elegante saltò sul davanzale, preparandosi a fare un salto.
"E comunque, chiamami Ben."
Infine fece un grande slancio, volando nel vuoto.

Bruce fece una corsa, aspettandosi di ritrovarlo spiaccicato per terra, ma non fu così; invece, lo trovò appeso al ramo di un albero su cui si arrampicò per poi allontanarsi sempre di più.
Nello stesso momento si udì un un urlo spaventato e una voce che diceva voce che Winifred era morta.

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