Capitolo 8
Alexander
Mi rannicchio con la testa sul tavolo della cucina. È di vetro ed è gelido. Talmente gelido che mi fa venire la pelle d'oca. Un brivido percorre velocemente la mia schiena, seguito da un altro. Nonastante questo, non ho intenzione di staccarmi seppure l'impulso di farlo ce l'ho eccome.
Magari mi viene la febbre a quaranta e muoio. Speriamo. No, non può venirmi la febbre per un tavolo. O forse sì?
Mi rassegno, alzo la nuca e ne appoggio il peso sulla mano. Il gomito poggia ancora sul ripiano.
Mi sistemo nervosamente i capelli, come un tic. Con la mano libera me li stringo, fino a farmi male.
Con lo sguardo cerco un punto di riferimento, un punto su cui soffermarmi per pensare ad altro, per eliminare i pensieri negativi, senza successo.
Mollo la presa, mi stropiccio la faccia. I ricordi si fanno sempre più vividi nella mia mente, rimanendo impressi nella mia memoria. Credevo di averli dimenticati già da tempo, eppure puntualmente si ripresentano a ondate, per farmi soffrire gradualmente fino a farmi impazzire.
Non ho nessuno con cui parlarne, nessuno che voglia ascoltarmi.
I miei non mi hanno mai voluto pagarmi uno psicologo e dato che io non posso spendere soldi senza il loro permesso, non ne ho mai avuto uno. Dicono che la cosa è già stata resa pubblica abbastanza e che la gente deve dimenticare. Loro ci sono riusciti, ma io no. Io no, mai, e mai accadrà.
Lei. La vedo come una sorta di figura mitologica. Ne parlano, si sa come è fatta, ma nessuno la ha mai vista. Tranne me e i miei genitori e qualche altra persona superficiale, che sicuramente si saranno già scordati. Ormai non viene nominata più da nessuno da troppi anni.
Ormai è un fatto remoto, insignificante. Forse qualcuno lo rammenta ancora, ma sono pochi, davvero pochi.
Era il mio dovere, cazzo. Proteggerla, nient'altro. Ho fallito. Io ho fallito ciò che non avrei mai dovuto fallire.
Prendo un lungo sospiro, vengo inondato da una morsa allo stomaco.
Basta pensare.
Adesso mi tocca solo pregare che Cloe non abbia sentito nulla. Sarebbe un bel casino sennò.
Tutta questa storia del matrimonio combinato mi ha sconvolto parecchio. In realtà è una sorta di tradizione di famiglia. Anche mia madre è stata promessa sposa a mio padre contro la sua volontà. Neanche lui inizialmente ha apprezzato la cosa. Ma poi, convivendo, si sono innamorati genuinamente.
Con me avevano promesso di non farlo, ma dato il mio comportamento, erano già diversi anni che mi minacciavano di non mantenere la parola. E io come uno stupido ho sempre creduto che lo dicessero per spaventarmi, per rimettermi in riga. E invece...
"Tutto ok?"
Sussulto, giro di scatto la testa verso la porta. Cloe è sulla soglia, in pigiama e ciabatte, i capelli scombinati.
"Scusa, non volevo spaventarti" si gratta il naso all'insù, mi percorre con lo sguardo.
Mi inumidisco le labbra secche, la ignoro e prendo il telefono.
Non ha sentito nulla, vero?
"Chi c'era prima? Ho sentito la porta d'ingresso sbattere" chiede, distruggendo ogni singola forma di speranza presente in me.
"Solo quello? Hai sentito solo quello?" domando, tentando di rimanere con un tono neutro, ma la domanda di per se fa notare la mia preoccupazione.
Annuisce. "Si, solo quello. Quindi? Chi era?" insiste.
Serro la mascella. "Nessuno" affermo a denti stretti.
"Qualcuno era per forza" mi punzecchia, facendomi salire il nervoso.
Stringo il punto, involontariamente mi passo una mano tra i capelli. "Ho detto che non era nessuno" ripeto, stavolta scandendo ogni singola parola, con un tono duro.
"Stronzo" mormora, avvicinandosi al bancone in marmo bianco. Inserisce una cialda nella macchinetta del caffè e prende una tazza bianca che era lì vicino.
Alzo gli occhi al cielo e lascio la stanza. Non mi va di fare una battaglia di frecciatine come bambini di dieci anni.
Ho bisogno di una boccata d'aria, la serata di ieri e la mattinata di oggi non sono state delle migliori. Mi serve una distrazione, qualcosa che mi faccia staccare la spina.
Prendo in mano il telefono e faccio la prima cosa che mi passa per la mente. Scrivere a Edward.
Ehy, ti va se per le quattro usciamo?
Osservo per almeno un minuto il messaggio prima di inviarlo e alla fine mi decido. Lui risponde subito.
Certo, quando vuoi.
Accenno un sorriso.
Tra due ore?
Mi gratto la tempia, aspetto che risponda. Ha visualizzato, ma non scrive.
Ok. Solito posto.
Il nostro 'Solito posto' sarebbe un vicoletto isolato. Lì possiamo parlare senza rischiare che ci senta qualcuno o che ci disturbino.
Dato che entrambi siamo ricchi, andiamo in giro vestiti firmati, come giusto che sia. Ci vediamo in quello luogo nascosto proprio per evitare che qualche malintenzionato ci adocchi e provi a rapinarci. È già successo, ma è bastato un semplice pugno in faccia per farli scappare via piagnucolando come dei bambinetti.
È stato parecchio divertente.
Lancio il telefono sul divano come mio solito, mi dirigo in bagno.
Allo specchio vedo la mia immagine. Al mattino è molto diversa. Carnagione ancora pallida, occhiaie infossate e scure, capelli arruffati.
Apro il rubinetto, mi lavo minuziosamente mani e denti. Sono letteralmente fissato con l'ordine e con l'igiene.
Mi sciacquo la faccia con acqua gelida, per svegliarmi del tutto. Faccio la mia solita skin care routine, altrimenti la mia pelle (se fosse viva) mi denuncerebbe. Mi passo la spazzola tra la mia chioma castana, sistemandola per bene.
Mi metto addosso una semplice camicetta nera e dei jeans con delle scarpe nere. Prendo un marsupio dello stesso colore e ci infilo dentro il mio telefono.
Torno nell'ingresso e apro il portone.
"Dove vai?"
Mi blocco e mi giro lentamente. Cloe è appoggia allo stipite della porta mentre mi squadra dalla testa ai piedi.
Alzo le spalle. "Esco."
Sbuffa. "Questo l'avevo capito."
"Perfetto. Non c'è altro da sapere." decido.
Si schiarisce la voce. "Ascolta. Adesso smettila di fare lo stronzo. Ti ho chiesto dove stai andando, cazzo. Se non vuoi rispondere dillo, punto. Non fare queste battutine da clown."
Rimango attonito. Perché improvvisamente decide di attaccarmi? Si è drogata?
Assumo un'espressione lievemente confusa. "Ma chi cazzo ti credi di essere, ragazzina?"
"Non chiamarmi ragazzina" risponde con nonchalance.
Soffoco una risata. "Cosa vuoi?"
Lei si avvicina lentamente a me fino ad arrivare a due centimetri di distanza dal mio viso.
"Che tu la smetta di fare l'arrogante" ribatte.
Il suo profumo mi inebria i sensi, i suoi occhi affogano nei miei. Sono azzurri come il cielo di giorno.
Sul volto ha un'espressione da stronza in contrasto con i suoi lineamenti angelici.
Ha indosso dei jeans che abbracciano le sue curve e una maglietta bianca che mette in risalto il suo seno sodo.
Cazzo, non è niente male.
"Allontanati" ordino con tono duro.
"Ti dà fastidio?" ridacchia, affonda i denti nel labbro inferiore. "Sono riuscita a infastidire Alexander Wright?" si porta le mani sui fianchi, alza in mento in modo autoritario.
"Chi ha mai parlato di fastidio?" domando, alzando l'angolo della bocca.
Lei inarca un sopracciglio. "La metti così?" risponde, si inumidisce le labbra.
Sbatto lentamente le palpebre. "Hai finito di flirtare con me? Cos'è? Un giochetto? Ti credevo più matura." pronuncio l'ultima frase in tono ironico.
Fa un passo indietro. "Un gioco, dici?"
"Stai provando a infastidirmi per avere la soddisfazione di averlo fatto?" ipotizzo.
Lei mi scruta, spalanca leggermente gli occhi.
"Sei sorpresa perché ho azzeccato?" mi passo una mano tra i capelli. "Probabilmente sì." aggiungo.
Annuisce tra sé e sé. "Esci, Alexander. Vai dove stavi andando" conclude prima di chiude il portone, interrompendo il nostro contatto visivo.
È pazza. Quest'episodio l'ha confermato.
Sospiro, mi volto e percorro il vialetto per il garage. Casa nostra è una villa moderna, il giardino è decorato da siepi e cespugli di rose rosse e bianche. Il viale è di pietra bianca. La struttura è decorata da colonne in marmo rettangolari, rigorosamente moderne.
Sul retro è presente una piscina molto grande, illuminata da led subacquei violacei.
Arrivo a destinazione, prendo le chiavi e sblocco la moto. Mi porto i capelli indietro, mi infilo il casco e abbasso la visiera. Monto sul mio gioiellino e sfreccio sulla strada. Aumento un po' la velocità. Sono in leggero ritardo, non è un bene. Di solito arrivo puntuale, è una questione mentale.
Dopo circa dieci minuti parcheggio. Ripongo il casco nel bauletto e mi avvio verso il vialetto che è a pochi metri da dove sono ora.
Arrivo a destinazione, aguzzo gli occhi per riuscire a capire se ci sia qualcuno. Un lampione poco distante illumina leggermente quel buco di posto.
Infilo le mani in tasca e dalle mie labbra esce un forte sospiro. Odio stare da solo ad aspettare, soprattutto in un luogo del genere.
Ho bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarmi un po'. Però non posso farlo se non c'è nessuno oltre a me.
"Hey" mi chiama una voce profonda. Qualcuno mi poggia la mano sulla spalla, sussulto e giro la testa di scatto.
Mi rassicuro quando distinguo la figura di un ragazzo biondo dai capelli spettinati che gli ricadono sul viso, comprendo in parte i suoi occhi azzurri contornati da ciglia folte. Ha le guance colorite e il naso all'insù.
"Edward, smettila di farmi spaventare" sbuffo, appoggiandomi con la schiena al muro di pietra umido.
Alza le spalle. "Ciao anche a te" copia il mio gesto, mettendosi accanto a me.
Mi inumidisco le labbra. "Non tergiversare. Passiamo al sodo"
Si mette a braccia conserte, posa lo sguardo su di me, senza staccarsi dalla parete. È curioso.
"Dimmi." m'incita.
Gli racconto brevemente della litigata avuta con mio padre circa un'ora fa e dell'uomo minaccioso.
Inarca un sopracciglio, mi squadra da capo a piedi. "E che cosa avrebbe fatto tuo offre di tanto grave?" domanda.
Scuoto la testa. "Non ne ho idea. Qualcosa che non doveva fare, immagino." prendo un respiro profondo. "Ha ripreso quell'argomento." l'informo.
Si gratta il collo. "Chi, tuo padre? Lascialo stare, lo fa per farti stare male." risponde.
Purtroppo ha ragione. Almeno così ho sempre creduto. I miei genitori, mia madre soprattutto, sono sempre stati superficiali con me. Però mio padre riusciva comunque in qualche modo a capirmi, a farmi sorridere. Ma ultimamente è completamente cambiato.
"Anche tutta questa storia del matrimonio...io non la reggo più" chiudo per un secondo gli occhi, mi passo per l'ennesima volta la mano tra i capelli, massaggiandomi la testa.
"Sappi che si capisce che non la ami. Non posso fingere con lei." mi ricorda.
Prima della cena di ieri sera gli avevo chiesto di fingere di pensare che ci amassimo, ma sa perfettamente che non è così.
"Quella è tutta matta. Flirta con me per infastidirmi e avere la soddisfazione." soffoco una risata esasperata, mi lecco il labbro inferiore.
Lui ridacchia a sua volta. "Lo sai come sono la maggior parte delle ragazze. Voglio attenzioni." mi spiega. Infila la mano nella tasca dei pantaloni neri e tira fuori una scatola di sigarette e un accendino bianco.
Ne tira fuori una e la accende senza alcuna fatica. La incastra tra l'indice e il medio prima di iniziare a fumarla.
"Vuoi?" chiede scuotendo il pacchetto.
"Passo" rifiutò prontamente. "Solo alcol, niente fumo." recito. Ho smesso di fumare due anni fa, un po' per consapevolezza di poter morire, un po' per sfidarmi.
Lui fa una smorfia di disapprovazione. "D'accordo." sbuffa.
Quell'odore pungente mi stuzzica la gola.
"Mi dovevi dire solo questo?" aggiunge.
"Non so..." esito. "Vorrei dei consigli, sai, qualcosa di concreto." mi gratto il setto nasale, lo guardo in cerca di risposta.
"Non so che dirti, Alex, sul serio. Ti direi di capire cosa abbia fatto tuo padre, ma capisco che non è facile..."
"Intendo con Cloe" lo interrompo.
Si stacca dal muro, si appoggia ad esso con la mano. "Tu la vuoi?"
"No...non credo." rifletto.
Non la voglio davvero o sto solo cercando di auto convincermi di ciò?
"Prova a pararci, a conoscerla. Ameno instauraci un'amicizia."
Sposto l'aria con la mano. "Se proprio devo..." mormoro svogliatamente.
Mi da un pacca sulla spalla. "Coraggio, non pensiamoci." Indica un locale lì difronte. Illumina la strada con le sue luci e insegne dai colori accessi. Si riesce a sentire da qui la musica pop che rimbomba all'interno.
Mi acciglio. "Cos'è? Una discoteca? Non ho più vent'anni." sbuffo.
Scrolla le spalle, scuote la testa per scompigliarsi i capelli. "Non la definirei discoteca...direi più un pub. Ci vado da circa una settimana, ne vale la pena."
"Emh..." esito. Effettivamente avrei bisogno di una distrazione.
"Non devi per forza scoparti una ragazza se è questo che ti preoccupa." tenta di convincermi.
Mi scappa un risolino. "Tranquillo, non lo avrei fatto lo stesso. Ok, andiamo." cedo alla fine, incamminandomi verso la strada, lasciandomi indietro.
Lui mi raggiunge a passo svelto. "Non aspettarmi, eh." commenta in tono ironico.
Appena entro dentro mi esplodono le orecchie. "Ma che cazzo di musica è?" urlo, perché altrimenti Edward non mi avrebbe mai sentito.
"Quella che piace ai giovani."
Che gusti di merda. Mi avvicino al bancone e mi siedo su uno sgabello rosso fluo. Edward invece inizia ad approcciarsi con un ragazza, dimenticandosi completamente di me.
Quello che non doveva preoccuparsi ero io, eh?
Una lunga chioma di capelli rossi le ornano la schiena, indossa una vestito attillato nero corto. Non riesco a vederle il viso perché è di spalle.
Anche lui ha gusti che lasciano desiderare.
"Che ti faccio?" mi chiede una voce roca. Mi volto immediatamente, vedo il barista dietro al bancone che mi osserva. Ha i capelli neri sposati all'indietro, indossa una camicia bianca e dei pantaloni neri.
Andrò sul sicuro. "Tequila." ordino come mio solito.
"Subito." risponde prontamente, inizia a maneggiare bottiglie e bicchieri.
Mi mette davanti il bicchierino pieno poi passa a un'altro cliente. Lo prendo in mano e lo bevo tutto d'un sorso. Cazzo, ne voglio ancora. Controllo l'orario sul telefono.
Sono già le 9?
Sbuffo. "Scusa, ne posso avere ancora?" chiedo, richiamando l'attenzione del barista.
Lui annuisce, accenna un sorriso.
"Alex! Vieni!" mi chiama Edward eccitato, mentre tiene per mano una rossa.
"Arrivo." assicuro, prendo in mano il bicchiere appena servito e mi avvicino a loro.
"Non mi offri niente?" chiede la sconosciuta a Edward, strusciando il dito sul sul braccio.
"Certo. Alex tu vuoi qualcosa?"
Annuisco. "Il solito." rispondo disinteressato.
Loro si avviano verso il bancone, mentre io finisco il mio bicchiere.
Non so quanti altri me ne sarò bevuto. Probabilmente sarò arrivato a casa grazie a Edward che sicuramente non avrà bevuto. So solo che da lì sono uscito dopo molto tempo.
Cloe
Virginia.
Alexander sta male quando la nominano.
Perché?
È da una giornata intera che rifletto. Ed è anche da due ore che sto in video chiamata con Lydia a discuterne.
"Hai trovato qualcosa?" chiedo speranzosa, abbandonandomi al divano.
Scuote la testa. "Te l'ho detto, niente di niente." ripete per l'ennesima volta.
È da ore che provo a trovare qualcosa, qualunque cosa, un'informazione, ma nulla.
Ho pensato che Lydia avrebbe potuto aiutarmi, ma siamo nella stessa situazione.
Internet non ne sa niente e non penso che questa tizia sia nelle enciclopedie.
"Siamo a un punto morto." riflette.
Sbatto la mano sulla coscia, stufa. "Non abbiamo neanche mai iniziato."
Un sospiro esce dalle mie labbra.
"Tranquilla Cloe. Sarà una sua ex." prova a rassicurarmi. Dallo schermo la vedo assumere un lieve sorriso consolatorio.
"Si, ma capisci che se lo fosse davvero così non sarebbe possibile che internet non ne sappia nulla. Se cerchi me su Google ti esce la mia intera vita." sbuffo.
"Si ma...i Wright hanno molto potere, possono fare di tutto." mi assicura.
Mi gratto la testa. Mi siedo sul divano grigio in salotto.
Mi guardo attorno. Le pareti sono color oro, adornate da alte finestre. Difronte a me c'è un mobile sul quale poggia la televisione.
La stanza è decorata da piante e da fotografie.
"So che sono potenti." rispondo con tono duro. "Ma non avrebbe senso cancellare le notizie su qualcuno solo perché è l'ex di tuo figlio."
"Non so." Lydia tira su col naso. "La mia opinione te l'ho detta."
"Oddio è tardissimo." mi accorgo guardando l'orario. L'una di notte. "Vado a letto."
Lei chiude gli occhi e annuisce. "A domani." mi saluta.
Sorrido. "A domani." ricambio e poi attacco.
Ma dove è andato Alexander?
Quello sregolato non è ancora tornato.
Appoggio la testa allo schienale e socchiudo gli occhi.
Sento la porta di casa aprirsi, quasi sobbalzo.
Eccolo.
Mi avvio verso l'ingresso, giusto per assicurarmi che sia davvero lui.
Si, è decisamente lui.
"Alex ma che cazzo hai fatto?" chiedo appena lo vedo.
La scena che ho difronte mostra un Alexander palesemente ubriaco, con gli occhi arrossati, che si regge la muro.
Mi avvicino. "Mi rispondi?"
"Secondo te?" biascica. Appoggia la testa al muro, prende aria.
Prova ad allontanarsi da me, ma barcolla e quasi cade.
Lo afferro per un braccio. "Attento!"
Lo prendo sotto spalla. "Meglio se ti metti a dormire." gli ordino.
"Lasciami." le lettere gli muoiono in gola.
"No. Non riesci nemmeno a camminare, rischi di cadere, farti male e distruggere mezza casa."
Lo guardo meglio. Ha i capelli spettinati, gli occhi lucidi e arrossati. Mi avvio verso la camera, ma con lui che non collabora è più complicato del previsto.
"Ma dove sei stato?" gli chiedo.
Non risponde.
Ovvio.
Tento di farmi strada dentro la casa buia, ancora non l'ho memorizzata.
Lui mormora qualcosa di incomprensibile.
"Non reggo l'alcol." m'informa.
Sbuffo. "Ho notato."
"Evita di fare la simpaticona."
"Sta zitto. Ti sto aiutando ad arrivare in camera e non ti urlato contro. Dovresti ringraziarmi."
"No." risponde in modo irriverente.
Lascialo stare, è ubriaco. Non ragiona.
La voglia di prenderlo per i capelli è buttarlo per terra scorre nelle mie vene.
Contieniti.
"Ma almeno collabora!" gli urlo, notando che a malapena muove le gambe.
Sbuffa. "Ti ho detto che non reggo l'alcol." biascica.
"Ma allora che bevi a fare?Non ha senso..." sospiro.
Non risponde.
Ci ha preso gusto a fare scena muta, eh?
Apro la porta della stanza. Individuo la sagoma del letto e lo faccio sedere e io mi metto accanto a lui.
Lui mormora qualcosa e si appoggia a cuscino.
"Mi viene da vomitare." sussurra.
"Beh, grazie al cazzo, chissà quanto hai bevuto." alzo gli occhi a cielo.
"Evita di fare la simpaticona."
Stavolta sono io a non rispondere. Ma
non perché mi abbia intimidita, ma perché forse, per una volta, devo aiutarlo.
Anche se a prenderlo per i capelli e buttarlo per terra faccio ancora in tempo, effettivamente.
Mi sdraio anche io, ho sonno. Lui si gira verso di me, chiude gli occhi e sorride.
"Sei bella." rompe il silenzio.
"Cosa?" gli chiedo sbigottita.
"Ho detto che sei bella." conferma. "Anche se non mi stai simpatica, rimani oggettivamente attraente."
Inarco le sopracciglia. "Sei ubriaco, Alexander. Dormi." sbuffo.
"Perché neghi l'evidenza?"
Quella domanda mi lascia impietrita. Non ragiona, tutto qua. O forse è semplicemente bipolare. Anche questa sarebbe un'ipotesi sensata.
"Non ho mai detto di non esserlo." gli rispondo seccamente.
Lui si gira dall'altro interrompendo in contatto visivo. "Va bene, d'accordo. Adesso ho sonno, ne parliamo dopo." taglia corto.
Quella situazione mi strappa un sorriso involontario. Senza neanche accorgermene più di tanto, prendo la coperta e gli copro e spalle. Poi mi giro anch'io e chiudo gli occhi, dando spazio all'oscurità completa.
Dreamers ✨
Eccomi con un nuovo capitolo! Da oggi riprenderanno gli aggiornamenti settimanali, o il sabato o la domenica. :)
Siamo arrivati alle 1600 letture! Grazie mille a tutti, vi adoro <3
Com'era il capitolo? Chi pensate sia questa fantomatica Virginia? Fatemelo sapere nei commenti, vi leggo tutti <3
-Charlotte
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