Capitolo 7

Cloe

Lo guardo attonita, sbatto velocemente le palpebre.
Non è possibile che sia lui.

Lo scruto dalla testa ai piedi, analizzo ogni singolo dettaglio del suo volto, del suo fisico.

Ok, è decisamente lui.

"Quindi? Sali?" chiede, assumendo un'espressione confusa.

"Perché non mi hai lasciata marcire sotto la pioggia?" chiedo, passandomi la mano tra i capelli bagnati.

"Perché stai tremando, cretina!" esclama. Fa un gesto con la mano per incitarmi a salire. Effettivamente ha ragione. Tremo incontrollatamente, non riesco a prendere le redini del mio corpo. Sfrego le mani, le unisco, le porto alla bocca e ci soffio dentro, per scaldarmi.

"Non è vero!" mento.

"Stai negando l'evidenza, Cloe" afferma. "Ora sali, ti ammalerai seriamente"

Lo dice con un tono dolce, come se gliene importasse davvero qualcosa della mia salute e di me in generale.

E se fosse così?

Sospiro. "D'accordo, dammi il casco." decido infine.

Un sorrisetto soddisfatto gli attraversa il volto per un millesimo di secondo, bastante per farmelo notare e sbattermelo in faccia in tutta la sua fierezza.

Ruoto gli occhi. "Sappi che ho accettato solo per non prendermi l'influenza" chiarisco.

"Mh-Mh" ridacchia. Scende dalla moto, apre il bauletto e mi passa il casco. Si lecca il labbro bagnato d'acqua piovana, facendomi rabbrividire.

Lo fa apposta o cosa?

Sbuffo, lo afferro. Lui risale e io copio il gesto. "Non vincerai così facilmente" affermo.

Lui scoppia a ridere di gusto. "Ho già vinto"

"Certo! Ecco il tuo premio" scherzo. Dallo specchietto noto che gli ho strappato un sorriso involontario.

Ormai Alexander non mi fa più l'effetto dei primi giorni. Prima la paura si fondeva con il mio sangue, mi metteva un senso di ansia e angoscia. Avevo il timore di incrociare i suoi occhi gelidi. Adesso ho capito che lui non è altro che un essere umano. Lo osservo quanto voglio, il suo sguardo non è più capace di farmi tremare. Anche se qualche volta questa situazione non si mantiene. Ma per la maggior parte del tempo ce la faccio, dato che continuiamo a ignorarci.

Ciò nonostante sono ancora delusa dall'atteggiamento che ha avuto nei miei confronti. Non so perché mi abbia sminuita in questo modo. Per quanto vere, non volevo che altra gente sapesse quelle cose, tra l'altro senza il mio consenso.

Anche perché lui era il primo a dirmi di dover sembrare una ragazza nata in una famiglia ricca, quindi non capisco il motivo delle sue azioni.

La pioggia in moto si sente meno, credo per la velocità. Anche se quando ci fermiamo è come se fossimo a piedi. Sicuramente arriveremo prima a destinazione.

Ci blocchiamo a un semaforo. Alex stringe i manici.

Mi schiarisco la voce. "Scusa, ma Edward? Lo hai lasciato lì?"

Gira la testa verso di me, ma la visiera scura non mi permette di incrociare i suoi occhi. Sbuffa.

"Tranquilla, capirà. Dopotutto è stato lui a dirmi di riconquistarti." dice quell'ultima parola accennando una risata. "Illuso" mormora.

Assumo un'espressione leggermente confusa. "Non era il tuo migliore amico?"

Scrolla le spalle. "Si, ma fino a un certo punto" appena finisce la frase scatta il verde e ripartiamo a tutta velocità.

Cosa vuol dire?

Osservo le goccioline di pioggia fare a gare sulla mia visiera, per ammazzare un po' il tempo.

Il cielo scuro mette in risalto le luci gialle che provengono dalle finestre degli edifici che, invece, risultano scuri.

Mi lascio andare sulla sua schiena, metto la testa di lato. Sono stanca, sbadiglio.

Tento di non guardarlo, non voglio vedere la sua reazione. Sicuramente non sarà molto felice. O forse si. Non voglio saperlo.

Non so quanto tempo sia passato quando una voce roca mi risveglia dai miei pensieri. "Siamo arrivati" mi informa lui.

Mi inumidisco le labbra secche, mi alzo e scendo dal veicolo. Lui fa lo stesso.
Si sfila il casco, si passa una mano tra i capelli.
Copio il gesto e lo rispondo nel bauletto.

Mi stropiccio gli occhi. "Che ore sono?"

Fa spallucce. "Non lo so, non ho un orologio."

Sbuffo. "Sempre utile" mormoro, mi volto e cammino fino al portone.

Lui mi segue, infila la chiave nella serratura e la fa girare, aprendolo. Mi sorpassa ed entra in casa. Lo faccio anch'io, chiudo l'uscio dietro di me.

Mi fermo nel centro della stanza, mi metto a braccia conserte. "Non hai intenzione di chiedermi scusa, vero?"

Lui si blocca, gira la testa a tre quarti. "Perché?"

"Perché?" ripeto attonita. "Ti rendi conto delle cazzate che hai detto?"

"Non sono cazzate, sono vere" ribatte.

Annuisco nervosamente. "Certo. Sappi che non avevo bisogno del tuo passaggio eroico. Ce la facevo sola" chiarisco con voce ferma. In realtà so perfettamente che non avrei potuto, avrei dovuto camminare su strade a scorrimento veloce, sotto la pioggia gelida e per di più a mala pena conosco la strada di ritorno.

"Grazie anche a te, giglio" ruota gli occhi, si volta e inizia a camminare lentamente, probabilmente per andare in stanza.

"Perché paragoni la gente ai fiori?" domando, modellandomi i capelli.

Lui si gira, mi scruta, fino a far incrociare il suo sguardo con il mio.

I suoi occhi smeraldo brillano nell'oscurità, come quelli di un gatto. Sono ammalianti, unici. Non ne ho mai visti di quel colore. Così accesi, rari, taglienti...

"Me l'ha insegnato mia madre." risponde, si morde il labbro.

Annuisco lentamente. "Tu quale sei?"

Fa una lunga pausa prima di rispondere. Si guarda attorno, riflette su cosa dire.

"Una rosa nera" sentenzia infine, secco.

"Perché proprio una rosa nera?" chiedo, provando a capire a cosa possa ricollegarsi.

"Una rosa ha le spine. E' bella, ma pericolosa. Il nero simboleggia la tristezza, l'indipendenza, la rabbia, la cattiveria" spiega. Lo dice come se stesse recitando un copione, sa a memoria le sue motivazioni, a cosa viene paragonato.

"Tu non sei cattivo" affermo.

Lui inarca le sopracciglia, assume un'espressione confusa. "Come fai a dirlo? Potrei sorprenderti."

Scuoto la testa. "Chi ti ha detto che sei quel fiore?"

Tira un sospiro. "Mia madre. Avevo cinque anni" dice, con un senso di angoscia.

Aggrotto le sopracciglia. "Tua madre ti dice che sei pericoloso e cattivo?"

Annuisce. "E' cosi strano?" chiede innocentemente.

Inizio a provare un senso di pena per lui. Come può un genitore inculcarti certe cose? Qualcuno che dovrebbe proteggerti, amarti a ogni costo, come può?

Abbozzo un sorriso. "Non la ascoltare." sentenzio infine.

"Ha ragione, perché non dovrei?" si gratta la guancia, mette le mani sui fianchi.

"Perché è completamente nel torto."

Lui mi guarda confuso, quasi affascinato, con una luce diversa. Come se stesse aspettando da anni qualcuno che smentisse tutti quegli aggettivi, qualcuno che lo facesse sentire accettato.

"Buonanotte, Cloe" non mi da il tempo di ribattere che si fionda in stanza.

Sospiro rassegnata. Forse non vuole parlarne, effettivamente ha senso.

Sono ancora le otto. Non ho molto sonno, mi preparo una camomilla e mi stendo sul divano. Per le tre ore successive guardo Netflix, la mia salvezza. In TV non fanno mai niente di interessante, almeno non per me.

Alle undici la stanchezza inizia ad assalirmi. Strizzo gli occhi, arrivo in camera barcollando. Lancio uno sguardo al letto. Alexander dorme, stringe il cuscino. La coperta gli lascia scoperte le spalle. Mi avvicino e gliela tiro su involontariamente. Mi soffermo sul suo viso. Ha i lineamenti rilassati e un'espressione angelica che mi strappa un sorriso involontario.

Indosso il pigiama bianco panna e mi infilo accanto a lui. Dopo nemmeno cinque minuti le palpebre crollano , facendomi addormentare.

La mattina dopo...

Vengo svegliata da un gran baccano. Sento Alexander litigare con qualcuno. Distinguo un'altra voce. E' quella di...Leonard?

Mi metto a sedere, cammino in punta di piedi, seguo il suono.

Arrivo fino alla cucina, la porta è socchiusa, mi nascondo lì dietro a origliare.

Perché Leonard è qui?

"Si può sapere cosa mi nascondi?" sussurra Alexander, visibilmente arrabbiato.

Leonard si guarda attorno. "Senti, sta tranquillo. Me la vedo io." risponde.

Ma di che parlano?

"No, non sto tranquillo. Ci hanno minacciati. Lo capisci o no? Dimmelo" ordina Alexander con voce ferma, ma la sua espressione preoccupata lo tradisce.

"Perché mi odi così tanto? Da quando è successa quella cosa a Virginia..." mormora Leonard:

Gli occhi di Alexander si infuocano. "Non la nominare" sentenzia, scandendo ogni parola, facendomi venire i brividi.

Leonard tenta di aprire bocca, ma Alex lo zittisce. "Fuori da casa mia. Ora."

Lui non ribatte, imbocca l'uscita per il salotto e sento il portone aprirsi.

Alexander sospira, si siede e appoggia la testa sul tavolo.

Provo a elaborare l'accaduto, a capirci qualcosa, ma solo una domanda mi rimbomba nella mente.

Chi diavolo è Virginia?


Dreamers

Eccomi con un nuovo capitolo!

Alexander ha portato a casa Cloe con la moto🤭

Ma veniamo al dunque. Secondo voi chi è Virginia? Chi li ha minacciati? Cosa ha fatto il padre? Rispondete nei commenti, vi leggo tutti🩷

Ci vediamo settimana prossima con una nuova parte✌🏻

Ciao cuori <3

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