5. Tra capitali, secondi cellulari e non accetto un no
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«Capitale della Bielorussia.»
«Nathan, Delia non sa nemmeno dove sia la Bielorussia.» La mia amica bionda mi lancia un'occhiataccia, mentre gioca con i due euro che ha in mano. Ci riflette un secondo, per poi rispondere soddisfatta.
«Minsk» dice lanciando i soldi in mano al nostro amico, mentre io continuo a sorseggiare la mia acqua naturale poggiata al muro della scuola. Osservo ragazzi camminare in ogni direzione, mentre Delia e Nathan continuano con quello stupido gioco delle capitali che va avanti dal primo. Chi indovina più capitali vince, quello che perde va a prendere da mangiare alle macchinette beccandosi la fila. Sarebbe un sistema funzionale, se solo non finissero sempre in pareggio. Quando succede tocca a me o a Roberta fare la fila. È una clausola del loro gioco che a me e Robi non piace particolarmente, ma a quanto pare c'è una sotto-clausola del contratto di amicizia che ci impedisce di lamentarci.
«Burkina Faso» esclama Delia, convinta che Nathan non sappia la risposta, ma il ragazzo sbuffa una risata come se gli avesse chiesto che cosa ha mangiato a colazione.
«Ougadougou» afferma soddisfatto, rilanciando la moneta alla ragazza davanti a lui. Mi rendo conto solo ora che sto continuando a tentare di bere da una bottiglietta vuota, così lascio Delia e Nathan a discutere sul fatto che uno spareggio sia giusto o meno e mi avvio verso il cestino più vicino. Mi fermo a debita distanza da esso, chiudendo un occhio per prendere la mira. Lancio la bottiglia, ma ovviamente non centro l'obbiettivo e mi abbandono ad uno sbuffo sconsolato. Perfetta rappresentazione della mia vita: quando credi che vada tutto nel verso giusto, sbagli il tiro.
«Reda, puoi fare di meglio!» Mi volto verso destra, osservando Federico Leone che si avvicina a me mentre tutte le ragazzine del biennio presenti nel cortile lo fissano, con gli occhi a cuoricino. Appunto: quando credi che vada tutto nel verso giusto, il destino sbaglia il tiro. Porto le braccia al petto, corrugando la fronte. Lui tiene le mani nelle tasche della sua immancabile felpa rossa della squadra di calcio per cui gioca, mentre ai piedi indossa sempre le sue AirForce rovinate. Proprio non riesco ad immaginarmelo con dei ridicoli scarpini da calcio, onestamente.
«Non sapevo ti intendessi anche di basket oltre che di calcio, Leone» lo punzecchio, raccogliendo la bottiglia da terra e tirandogliela dritta contro il petto. Lui la afferra con uno scatto, sorridendo e prendendo la mira, chiudendo l'occhio destro come ho fatto io poco prima. Riesce a centrare il cestino, facendomi assumere un'espressione scocciata. Odio il fatto che riesca a fare tutto, ma ancor di più odio il fatto che mentre ci riesca sia anche bello.
«Devo fare colpo in qualche modo, no?» risponde sorridendo e avvicinandosi leggermente a me. Sbuffo una risata, facendo un cenno con la testa alla mia sinistra.
«Non ti serve. Guarda, è pieno di ragazzine che ti fissano adoranti anche soltanto se fai una cosa così assurda come respirare» dico l'ultima frase quasi schifata, puntando lo sguardo a terra per non incrociare i suoi occhi. Federico ridacchia, cosa che mi fa alzare lo sguardo di nuovo. Non avrei voluto farlo, perché con la luce del giorno sembra ancora di più una statua scolpita. Odio dirlo ma il pretty privilege è una brutta bestia: Federico sa essere odioso, ma il fatto che sia bello riesce quasi ad oscurare i suoi difetti. Quasi.
«Gelosetta?» mi chiede, ricordandomi perché non lo sopporto e facendo cessare l'incantesimo che lo rende perfetto ai miei occhi. Tiro uno schiaffo sul suo braccio più forte che posso, senza destabilizzarlo nemmeno un po'. Lo induco, anzi, a ridere in maniera ancora più sguaiata. Immagino le ragazzine in adorazione alla vista di questo adone che sorride, figurandomele in testa mentre tornano in classe dalle loro compagne. Federico Leone ha riso davanti a me!, Ti ha guardata?, No! Era con una ragazza davvero anonima, Sul serio? E chi?, Ma che ne so!, Sei meglio tu tesoro tranquilla.
«Ma figurati se mi interessa di chi ti guarda!» gli urlo contro, come se non avessi appena immaginato delle quindicenni che parlavano di lui, osservando quei drittissimi denti bianchi aprirsi in un sorriso spontaneo.
«Beh, nemmeno a me interessa. Ricordi quella ragazza che mi piace, no?» Il mio cuore fa un balzo. Sì, ricordo benissimo, e ricordo ancora meglio che si tratta di Giulia.
«Sinceramente non so se Giulia sarebbe contenta di sapere che tutte ti fissano.»
Solo dopo aver buttato fuori quelle parole in una specie di raptus di gelosia, mi rendo conto della cazzata che ho fatto. Evidentemente se ne rende conto anche Federico, perché mi guarda con la fronte corrugata.
«Che ne sai che si chiama Giulia?»
Perché sono io, idiota!
«Me l'hai detto tu.» Dico la prima cosa che mi passa per la testa, riuscendo solo a confondere ancora di più il ragazzo davanti a me.
«No, sono certo di non averlo fatto.» È svampito, ma la memoria di sicuro ce l'ha buona. Boccheggio in cerca d'aria, sperando che qualcuno venga a salvarmi, e l'universo decide di esaudire i miei desideri grazie al suono della campanella. Sorrido forzatamente a Federico, salutandolo con la mano come se avessi un qualche spasmo muscolare.
«Ho la Bianchi! Devo proprio andare, lo sai com'è quella donna. Un secondo di ritardo e annotazione sul registro!» dico, sorridendo come una cretina, fingendo di non avergli mentito appena un attimo fa.
«Reda, stai bene?» mi chiede Federico ridendo sotto i baffi, osservandomi indietreggiare fino all'ingresso dell'edificio.
«Sì, Leone, beniss...» Vado a sbattere a qualcuno visto che sto camminando come un gambero e mentre mi scuso come una deficiente con la persona in questione, sento Federico ridere ancora di gusto.
«Guarda dove metti i piedi, invece di fissarmi!» mi dice rimanendo fermo dove l'ho lasciato, salutandomi anche lui con la mano come se fosse un bambino. Laura Reda, ti ordino di smetterla di pensare che sia carino. L'hai fatto ancora, smettila!
«Fissavo i tuoi orribili capelli! Non credi sia ora di tagliarli?»
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«Federico ti ha chiesto il numero?»
«Sì. Cioè, no! L'ha chiesto a Giulia.»
«Ma il numero di Giulia è tuo e Federico già ce l'ha, quindi non puoi darglielo.»
Mi abbandono ad uno sbuffo, affondando la faccia in uno dei mille cuscini sparsi sul letto di Roberta. Dopo la richiesta del numero da parte di Federico sono corsa qui, a dieci minuti da casa mia, perché la disperazione che provo non è abbastanza percepibile solo attraverso una telefonata. Roberta continua a far girare la sua maledetta sedia da gamer mancata, dandosi lo slancio coi piedi contro il letto. La sua camera è il perfetto incrocio tra una cinofila, una lettrice incallita e una programmatrice. A volte mi sembra di non conoscerla affatto, visto che ogni volta che vengo a casa sua sembra aver aggiunto un hobby alla sua collezione. Una volta si era messa a coltivare piante medicinali sul balcone, mentre un'altra volta aveva deciso di sistemare su uno scaffale tutte le confezioni di preservativi più strambe che riusciva a trovare.
«Quindi vuoi il mio secondo cellulare?» mi dice la mia amica, facendomi alzare lo sguardo su di lei per sollevarlo dal cuscino. Sorrido in risposta, mentre annuisco. Roberta riesce sempre a leggermi nel pensiero. «Però se lo vuoi devi rispondere sinceramente ad una domanda.» Sobbalzo, capendo già cosa vuole da me grazie al suo vergognoso sguardo malizioso.
«A te, Federico Leone piace?»
Nonostante la domanda fosse più che ovvia per me, il pensare ad una risposta vera e propria mi spaventa. Dire di sì sarebbe troppo avventato e cambierebbe così tante cose. Allo stesso tempo, dire di no seccamente sarebbe una bugia ed io non sono brava a dire le bugie. Avrei preferito di gran lunga continuare a pensare che Federico fosse un calciatore so-tutto-io, veramente stupido ed egoista. Sono stata sorpresa, invece, di rendermi conto che a lui del calcio nemmeno frega niente, che non è stupido ed è sempre così gentile. Quello che ha fatto a Delia, però, non posso proprio dimenticarlo. I miei amici vengono prima di ogni cotta.
«Non lo so» riesco a lasciarmi sfuggire, tenendo la voce bassa, come se non volessi far sentire nemmeno a me stessa quelle parole. Roberta, in un'altra situazione, si metterebbe ad urlare e saltare, dicendo che "lo sapeva!". Però ora, notando il mio stato d'animo e conoscendo il mio passato, evita di farlo. Si alza dalla sedia girevole, dirigendosi verso la sua scrivania, per poi tirar fuori da un cassetto una bustina trasparente e lanciarmela.
«Quel cellulare ha visto cose che nessun essere umano dovrebbe vedere, trattalo con cura.» Sorrido stringendomi la busta al petto, alzandomi dal letto per andare ad abbracciare Roberta.
«Ti adoro!» le dico ridacchiando, mentre la stringo in un abbraccio forte quanto uno di John Cena. Lei ricambia la stretta, mentre mi sussurra all'orecchio due semplici parole: «Fa attenzione.»
Dopo averla salutata e ringraziata altre cento volte, esco da casa sua in fretta. Per fortuna non abita tanto lontano da casa mia, quindi il tragitto che devo fare non è troppo lungo. Il freddo di fine novembre mi distrugge le mani, che sono comunque costretta a tenere fuori dalle tasche per rispondere a Federico. Un sorriso da idiota non riesce proprio ad abbandonare la mia faccia, mentre la conversazione si sposta su Whatsapp. Il sorriso, però, si spegne ogni volta che mi ricordo che lui non sta parlando con me adesso, ma con Giulia.
Sbuffo, nascondendo la bocca dietro la sciarpa che tengo attorno al collo, per poi riporre il cellulare nella tasca del mio cappotto. Svolto l'angolo che mi porta ad entrare finalmente nella via di casa mia e sorrido al pensiero che proprio in quel punto avevo visto Federico quando Vespasiano era scappato. Non faccio in tempo a ridacchiare, che una voce alle mie spalle mi richiama.
«Laura Reda?»
Ho un sussulto, mentre mi volto e mi ritrovo davanti gli occhi chiari di Federico che mi fissano. Il borsone del calcio in spalla, il giubbotto stile college addosso e i capelli tirati indietro in un codino. Arrossisco, ma per fortuna la sciarpa mi copre le guance. Ci mancava solo il codino, adesso.
«Leone Coglione, come mai da queste parti?» chiedo, aspettando che mi raggiunga per ricominciare finalmente a parlare con lui. Mi dispiace doverlo ammettere, ma sa sempre come mettermi a mio agio.
«Non abito tanto lontano da qui, in realtà. Ecco perché ci passo spesso» dice, alzando le spalle con noncuranza. Mi domando come io faccia a non sapere dove effettivamente abiti, soprattutto se casa sua non si trova lontano dalla mia.
«Non ti ho mai visto» confesso, tirando un calcio ad un sassolino di troppo in mezzo al mio cammino. Sento Federico ridacchiare, mentre blocca il sassolino che ho calciato io e me lo rilancia. Inutile dire che mi passa fra le gambe senza che me ne accorga.
«Tunnell» afferma scherzosamente Federico, facendomi alzare gli occhi al cielo. Odio il calcio, l'ho già detto? «Io ti vedo sempre, invece» dice, ritornando al discorso che stavamo tenendo prima. Inizio a guardarlo con la fronte corrugata, incredula. Uno come lui fa davvero caso a una come me? Federico si accorge della mia espressione e ride, dandomi un colpetto sulla fronte iniziando a correre. Si volta ancora verso di me, salutandomi con la mano come stamattina a scuola. Maledettamente carino.
«Sei arrivata! Ci vediamo a scuola, Reda!» Non faccio in tempo a chiedergli come faccia a sapere che sono effettivamente giunta a destinazione, mentre apro il cancello di casa, ma poi mi dico che deve ricordarselo da quella sera in cui Vespa era scappato. È proprio il mio gatto che viene a salutarmi, facendosi accarezzare. Posso far finta di odiarlo, ma è l'unico in questa casa che preferisce me a Mario.
«Ah, ce l'abbiamo fatta a rientrare! Si può sapere dov'eri?» Alzo gli occhi al cielo alla domanda di mia madre, togliendomi il cappotto e la sciarpa per appenderli all'attaccapanni all'entrata.
«Da Roberta, te l'ho detto» rispondo scocciata, entrando in cucina per aiutare mamma ad apparecchiare, mentre Mario è comodamente seduto a guardare la televisione assieme a papà. Noto che stanno guardando una partita della Roma, cosa che mi fa storcere il naso. Più dico di odiare il calcio, più me lo ritrovo fra i piedi in ogni modo possibile.
«Tuo fratello è sempre puntuale» dice mio padre, dal suo comodo posto accanto a Mario sul divano.
«Mi sembrava strano...» sussurro tra me e me, posando le forchette e i bicchieri in tavola. Fortunatamente i miei genitori non mi sentono, o semplicemente evitano il discorso perché sanno anche loro che è fastidioso il fatto che ogni scusa sia buona per ricordarmi quanto io sia la pecora nera di questa famiglia.
«Chi era quel ragazzo con cui camminavi?» mi chiede mamma, che deve avermi visto dalla finestra della cucina che da' sul vialetto. La guardo arrossendo leggermente, alzando le spalle.
«Un ragazzo della mia scuola. Abita qui vicino, abbiamo fatto un pezzo di strada assieme.» Sento mia madre bofonchiare un "mh".
«È un bel ragazzo. Magari è la volta buona che qualcuno ti si prende, no?»
Per una volta l'affermazione di mamma non suona offensiva, mentre mi fa un sorrisetto. Sta... scherzando? Non so come comportarmi, perché mamma con me non scherza più da un bel po'. È sempre fredda, distaccata, mi tratta come se fossi l'errore più grande della sua vita. Le sorrido in risposta, sentendomi forse per la prima volta al posto giusto, per poi scuotere la testa e richiamare gli uomini di casa a tavola.
La suoneria del mio cellulare mi induce ad andarlo a tirare fuori dalla tasca del cappotto prima di mettermi a tavola, ritrovandoci un messaggio. Penso che sia stato il cellulare di Roberta a squillare quando leggo il nome di Federico, ma poi guardo meglio e noto che il cellulare che ho fra le mani è proprio il mio.
Leone Coglione
Domani sera, io e te, Hip
Pub. Non accetto un no
come risposta :)
Ho un sussulto, le mani iniziano a tremarmi, il respiro si fa corto. Vuole uscire di nuovo con me?
«Laura, invece di stare sempre con quel telefono vieni a mangiare!»
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