EPILOGO
Mi è sempre piaciuta la primavera in particolar modo quando la passavo a Windsburg. Nei pomeriggi al cimitero osservavo gli alberi tingersi giorno dopo giorno di un verde sempre più intenso. Dalle sterpaglie che crescevano dagli angoli delle tombe sbucavano dei fiorellini colorati che in qualche modo mi mettevano di buon umore.
La vita nonostante le condizioni avverse. Era questo che simboleggiava per me. Mi incoraggiava ad andare avanti, a proseguire per la mia strada nonostante le intemperie della vita. Nonostante i momenti di sconforto e di abbandono.
Da quando abito a New York invece, la primavera ha assunto un valore diverso per me. Sarà che non lavoro più in un cimitero e che il mio tempo libero si è ridotto drasticamente eppure non riesco più a ritrovare la stessa valenza. La primavera era uno dei momenti dell'anno che attendevo con più impazienza, adesso invece ricordo a malapena che siamo già al solstizio.
Ho cercato un posto che mi riportasse, almeno sentimentalmente, alle emozioni che provavo nella mia città natale, ma con scarsi risultati. L'unico posto in cui mi sono sentita allineata col mondo è Central Park, dove la vista di bambini e animali di ogni tipo mi ha fatto spuntare sempre un sorriso. Comunque per poter passeggiare a Central Park dovrò aspettare almeno un'ora, giusto il tempo di finire il mio turno di lavoro.
"Wilson! Dovresti essere al pronto soccorso, veloce!", sussulto non appena sento la voce del Primario di Pediatria, il Dottor Robert Cox.
"Sto aspettando delle analisi per la Dottoressa Montgomery" specifico velocemente per evitare incomprensioni.
L'uomo, che in tutti questi mesi non ha mai speso una parola positiva su di me, mi guarda calando leggermente le lenti che porta sul naso. È ovvio che in questo momento stia pensando a quanto fastidiosa e irritante possa essere, ma cerca di camuffarlo arricciando le labbra. Si avvicina al computer posto dietro il bancone della receptionist, dicita velocemente un paio di lettere e poi si accovaccia per avvicinarsi meglio allo schermo.
"Con Carla ci dovrebbe essere un altro specializzando, non tu, perciò ti voglio immediatamente al tuo reparto!" tuona facendo gonfiare le vene del collo. Deglutisco a fatica e mi limito ad annuire per evitare uno scontro verbale. Con la coda fra le gambe faccio dietrofront e mi avvio spedita verso l'altro lato della struttura. Chiamo l'ascensore pigiando ripetutamente il pulsante, un po' sperando che questo acceleri il suo meccanismo e un po' per sfogare la mia frustrazione. Negli ultimi anni ho capito che è sempre meglio esprimere la propria opinione, esporsi anche a rischio di non piacere agli altri, ma qui al lavoro non posso proprio permettermi di rendermi antipatica con i miei superiori. D'altronde sono solo una specializzanda e come tale, nella maggior parte dei casi, devo eseguire gli ordini.
Il ding acuto dell'ascensore mi riporta alla realtà e, non appena le porte in metallo si spalancando davanti ai miei occhi, faccio un balzo all'interno. Chino leggermente la testa posando il mio sguardo sulle scarpe da tennis ormai consumate.
Durante il mio periodo al college avevo iniziato ad apprezzare calzature più provocanti come un bel paio di décolleté indossate insieme ad un tubino, o comunque con un abito corto, magari al primo appuntamento; adesso mi sembra di non poter fare a meno di un paio di sneakers comode. Non indosso un paio di tacchi da mesi e credo che continuerò su questa scia ancora per molto. La mia vita sociale si è ridotta drasticamente e a parte Gwen, impegnata con il suo tirocinio da avvocato, non frequento molte persone. Dopo aver premuto il pulsante del mio piano, attendo impazientemente che le porte si richiudano. Batto il piede sulla moquet marroncina, mentre spero che nessun altro mi rimproveri per essere a zonzo fra i corridoi.
Le porte stanno per chiudersi quando, con uno scatto e in modo improvviso, una mano si insinua fra la sottile apertura che era rimasta. Entra nella cabita un uomo, vestito bene che tiene fra le braccia un cappotto elegante. Il suo arrivo è stato così veloce da non avermi nemmeno permesso di osservare il suo viso, nonostante ciò dal suo posteriore riesco a notare qualche dettaglio che mi fa rabbrividire.
I capelli corvini sono ben acconciati. Vicino il collo sono quasi completamente rasati, ma più si avvicinano alla fronte e più prende forma un ciuffo ben composto. Le spalle larghe sono fasciate in un abito blu dal quale si nota una camicia bianca indossata senza cravatta, dettaglio che noto per la larghezza del colletto. Ed è proprio lì che si soffermano i miei occhi. Dei tatuaggi sbucano da sotto il tessuto dei vestiti e si ripresentano in più parti del corpo. Li noto tutti intorno al collo, fino ad arrivare alle orecchie, li noto sulla mano destra che stringe il cappotto e mi sembra di notarli anche nella piccola fessura lasciata fra il pantalone e la caviglia.
Visto da dietro il mio pensiero vola immediatamente ad una persona, l'unica che ho incontrato nella mia vita con così tanti segni indelebili tracciati sulla propria pelle: Axel Haynes. Al solo immaginare il suo viso vengo pervasa da una scia di brividi che mi pietrificano. I secondi all'interno dell'abitacolo passano ed io mi convinco sempre di più che quel giovane uomo somiglia incredibilmente al mio primo amore. Sto per tenere una mano verso la sua spalla, attirando dunque l'attenzione per poter scorgere il suo volto e togliermi ogni dubbio, ma l'arrivo al pianoterra mi precede. L'uomo si volta verso di me, rivelando dei lineamenti completamente diversi da quelli del giovane che ho conosciuto. Le labbra sono sottili, gli occhi di un marrone quasi insignificante. Anche la quadratura della mascella è del tutto differente. Inutile dire che il mio sguardo cambia e assume una nota di disappunto. Per evitare di essere scortese lo saluto, poi mi avvio verso il pronto soccorso.
Ripensare ad Axel in un momento come questo proprio non ci voleva. Non ho mai superato la lontananza e la freddezza che si sono imposte nel nostro rapporto. Non ho mai perdonato il fatto che il suo lavoro l'ha portato ad essere scostante con la nostra relazione fino a trascurarmi, fino ad arrivare alla rottura. Eravamo arrivati ad un punto in cui non ci capivamo più e, come ben si sà, le incomprensioni generano sempre litigi. Fin quando l'ultimo non ci ha portato allo stremo. Ci siamo lasciati poco dopo l'inizio del college frequentato da Axel a New York, per essere vicino alle Haynes Industries, e ben lontano dal mio frequentato a Los Angeles. Eravamo dei ragazzini ai tempi eppure l'amore che ci legava era maturo come pochi. Da quando mi hanno assunta al Metropolitan Hospital ho pensato spesso alla possibilità di cercalo, anche per chiedergli di prendere un semplice caffè. Per paura però ho sempre evitato.
Sono anni che non ci sentiamo e il pensiero di scrivergli di punto in bianco mi mette addosso un certo nervosismo. Axel non mi ha mai cercata, nemmeno con una scusa come gli auguri del compleanno, ed io ho seguito le sue orme. Siamo spariti l'uno dalla vita dell'altro, ma non nego che mi piacerebbe incontrarlo per strada, sotto casa mia, al parco... mi piacerebbe incontrarlo fermo ad uno stand degli hot dog mentre ne mangia uno con senape e ketchup.
Al pensiero, sorrido spontaneamente. In questi anni non ho di certo dimenticato tutto quello che abbiamo passato insieme, le giornate passate al mare e i pomeriggi di svago insieme a Ben e Gwen. Le visite a mio padre erano diventate sempre più frequenti perché in quei weekend avevo la possibilità di stare da sola con lui e fu proprio in quel periodo che consolidammo la nostra relazione... fino ad avere la mia prima volta insieme. Fu un'emozione indimenticabile che si è ripetuta tutte le altre volte che abbiamo avuto i nostri momenti di intimità. Sembrano passati secoli da quei giorni, nonostante ciò riguardo al mio passato con una certa malinconia.
"Wilson! C'è un codice giallo, ci pensi tu?", la Capo Infermiera mi sorride mentre mi passa una cartella fra le mani. Va troppo di fretta per attendere una mia risposta quindi rimango nuovamente da sola, con in mano tutto ciò che mi serve.
Leggo velocemente il nome sulla cartella e la motivazione per cui si trova lì. Dopo aver assimilato le informazioni basilari mi avvio verso il letto quattro. Mi stampo un sorriso in faccia e tiro verso l'esterno la tendina azzurrina che separa i pazienti.
"Buongiorno Signora Porter, io sono la Dottoressa Wilson... sono qui per visitarla."
***
"
Uguale ad Axel dici?" domanda Gwen sorseggiando un martini. Arriccia fra le dita una ciocca dei suoi capelli, tinti sulle punte di un rosa sgargianti, mentre mi guarda dritta negli occhi.
"Sì, ma fortunatamente non si trattava di lui... non credo che avrei potuto sopportare una conversazione con lui" affermo esponendo i miei pensieri alla mia migliore amica.
"L'ho sempre detto che sei ancora innamorata di lui!" esclama battendo un pugno sul tavolo. "Il mio occhio indagatore non sbagliava!"
Serro le labbra e mi tiro leggermente indietro a causa dell'eccessiva foga che mette mentre parla. "Non sono innamorata di lui, altrimenti l'avrei cercato tempo fa."
Gwen scuote la testa quasi infastidita. "No, sei troppo orgogliosa... soprattutto se consideriamo il fatto che sei stata tu a rompere con lui."
Le sue parole mi colpiscono dritte al cuore. Vorrei avere il coraggio di negare, di raccontarle una bugia, ma so che sarebbe inutile. Gwen mi conosce troppo bene ed io non avrei proprio motivo di nasconderle i miei pensieri. La verità è che aver preso questa decisione mi ha fatto stare davvero male e col tempo mi sono convinta di aver fatto una cazzata. Ho provato ad andare avanti, a conoscere altri ragazzi con cui avere una storia, ma ho sempre avuto l'impressione che fosse sbagliato. Mi sono limitata a qualche breve avventura, ma anche in quel caso non mi sentivo a mio agio.
"Non potevo cercalo dopo mesi per dirgli che avevo sbagliato a lasciarlo" spiego passando una mano fra i miei capelli mori.
"E hai ben pensato di aspettare anni."
"Ho ben pensato che l'idea migliore era andare avanti, ma sembra che tutto mi riporti indietro da lui!"
La ragazza ride. "Il mese scorso hai sentito la sua intervista in radio, vero?" domanda ed io annuisco retorica mentre sospiro.
"Poi ci fu quella volta in cui tua mamma ti ha mandato una foto del tuo ultimo anno di liceo insieme ad Axel..." ricorda senza riuscire a trattenere dei sorrisetti divertiti. "E un anno fa hai sbirciato talmente tanto il suo profilo instagram da lasciargli per sbaglio un mi piace ad una delle sue foto!"
"Ti prego non me lo ricordare...", faccio scivolare la testa sul tavolo coprendo il viso con entrambe le mani che, sfortunatamente, mi ritrovo ad annusare.
Sanno di lattice e disinfettante.
Simulo un conato di vomito per quel mix di odori fastidio a cui non mi sono ancora abituata. "Che brutto odore" bisbiglio e frugo nella mia borsetta alla ricerca della crema per le mani che porto sempre con me.
"Comunque vuoi un consiglio?" mi chiede avvicinando il viso al mio e guardandomi con degli occhi da psicopatica.
"Ho come l'impressione che me lo darai comunque" affermo contrariata.
"Devi cercarlo! Altrimenti rimarrai single a vita."
"Non succederà mai, se il destino vorrà le nostre strade si incontreranno di nuovo... altrimenti mi costringerò ad andare avanti" dico decisa e sicura di me.
"Buonasera mie belle donzelle" sussurra una voce profonda alle spalle di Gwen. La ragazza sobbalza, ma non è spaventata. Un dolce sorriso sfugge dalle sue labbra e si volta velocemente per unirsi in un bacio con il suo fidanzato.
"Pensavo che non venissi" dice mentre toglie il proprio soprabito dalla sedia precedentemente vuota.
"Volevo farti una sorpresa" afferma avvicinandosi di nuovo al suo volto. Ben annulla nuovamente la distanza fra loro e la bacia dolcemente.
"Non trovero mai un ragazzo che mi ama tanto quanto Ben ama te!" esclamo infastidita.
I due amanti si guardano complici mentre mi rivolgono di tanto in tanto uno sguardo veloce.
"Axel?" bisbiglia alla propria fidanzata e lei annuisce senza troppe remore.
"Ho la soluzione che fa per te!"
Aggrotto le sopracciglia confusa, così come fa la mia amica. "Di che si tratta?" chiedo per niente convinta da ciò che sta per dire. Senza darci il tempo di ragionare, o semplicemente riflettere sulla cosa, prende fra le mani il suo cellulare e si allontana dal nostro tavolo. Porta il telefono all'orecchio e lo vediamo chiacchierare allegramente facendo qualche risata di tanto in tanto.
Ritorna al tavolo più allegro di prima e riprende il proprio posto come se niente fosse.
"Quindi?" domando per incitarlo a darci una risposta. Lui sembra prendere tempo, mi guarda sorridente e poi alza la mano per ordinare un altro giro di cocktail al cameriere.
"Devo andare un attimo in bagno" dice e se ne va lasciandoci di stucco.
Inutile dire che anche Gwen in questo momento si starà pentendo di stare con uno come lui.
In realtà non ci avrei scommesso nemmeno un dollaro sulla loro relazione eppure eccoli qui, innamorati e felici più che mai! Gwen specialmente sembra davvero un'altra persona da quando Ben ha fatto il primo passo. Se ripenso ai loro battibecchi del liceo mi viene quasi da sorridere perché forse avrei dovuto immaginare che dietro quei litigi si nascondeva già del tenero. Sono stati bravi a nasconderlo e proprio nell'esatto momento in cui hanno trovato il coraggio di dichiararsi, io ed Axel ci siamo allontanati.
Non ho mai chiesto a Ben se sono rimasti in contatto, ma la sua fidanzata mi ha sempre detto che ogni tanto è capitato che si sentissero. Non con la stessa frequenza di prima, ma abbastanza per mantenere un rapporto amichevole.
Per un periodo ho avuto un forte desiderio di chiedergli se per caso avesse mai chiesto di me nelle loro conversazioni, ma non l'ho mai fatto per non apparire patetica e disperata.
Alla fine dei conti è colpa mia se siamo arrivati a questo punto.
Ben ritorna dal bagno dopo ben quindici minuti, arco di tempo nel quale io e Gwen abbiamo già finito i nostri cocktail tra una chiacchiera e un'altra. "Vi sono mancato?" dice mentre riprende il suo posto.
"Per niente" rispondo.
"Avrei preferito l'arrivo di alcuni shottini che il tuo" riflette a voce alta la mia amica. Ridiamo tutti di gusto consapevoli che la sua è una mezza verità.
"Vado io al bancone" affermo e mi alzo dal mio posto per raggiungere il barman.
Questa sera il Morgan's Pub è più affollato del solito. Generalmente di giovedì sera non c'è più di un paio di persone che chiacchierano fra loro, oggi invece è pieno di gruppi di amici che scherzano e ridono di gusto. Avere così tante persone con cui condividere la serata rende l'atmosfera più leggera e vivibile, ben lontana dai pub di alta classe in cui una volta mi ha portata Gwen per passare una serata con i suoi colleghi.
Poggio le mani sul bancone e tamburello le dita su esso in attesa che arrivi uno dei dipendenti a servirmi. Probabilmente ho scelto il momento sbagliato per chiedere degli shottini perché il bancone è completamente vuoto.
Sbuffo impazientemente. Neanche qualche secondo dopo, un uomo dalle fattezze poco raccomandabili mi si affianca.
"Hey! Non c'è nessuno!" urla sguagliato e in controluce noto anche della saliva uscirgli dalla bocca. Batto le palpebre un po' disgustata e con molta attenzione faccio un passo indietro, cercando ovviamente di non dare nell'occhio.
"Barman!" grida di nuovo battendo il bugno sul piano di lavoro. Dal retro sbuca un ragazzo più o meno della mia età con uno sguardo confuso. Si guarda attorno e quando capisce chi è a fare tutto quel trambusto si avvia verso di noi.
"Posso fare qualcosa?" domanda il più cordialmente possibile.
"Il tuo lavoro! Dammi qualcosa da bere... subito!" esclama con il tono di uno che non ammette obiezioni. Il barman annuisce e si volta per preparargli uno dei suoi cocktail. Il dipendente inizia ad armeggiare con bottiglie e shaker, mentre io continuo ad aspettare. Mi volto verso Ben e Gwen, sperando in un loro sostegno, ma ovviamente si stanno baciando e non stanno neanche minimamente pensando a me.
Come se non bastasse, a peggiorare la situazione, ci si mette un altro ragazzo che involontariamente urta l'uomo alle sue spalle. Si volta con uno sguardo agghiacciante, come se fosse pronto ad intavolare una rissa.
"Che cazzo fai?!" esclama afferrandolo per il colletto in modo minaccioso.
"S-scusa! Ho perso l'equilibrio, non volevo infastidirti" risponde il giovane con incredibile educazione. L'altro, che non è nel pieno della sua lucidità, lo osserva per qualche istante poi inizia a ridere di gusto. Cerco anch'io di capire cosa la faccia divertire quindi osservo la sua camicia a fiori, il suo pantalone bianco a sigaretta, mi concentro perfino sul suo taglio di capelli, ma niente di tutto ciò mi aiuta. Lo lascia andare con uno strattone e si appoggia al bancone sfinito.
"Sei solo un finocchio" bisbiglia lasciandomi senza parole. Mi volto immediatamente verso il giovane che ovviamente si incupisce sul volto, ma intuendo la situazione lascia perdere e si volta per andare via.
Non so cosa mi prende in quel momento. Sarà che non mi sono mai piaciuti i prepotenti o che io stessa ho provato cosa significa essere feriti dalle parole delle persone, eppure sento uno strano tremolio alle mani. I miei pensieri sono decisamente violenti verso un uomo che non si è fatto scrupoli ad offendere ingiustamente un giovane, sebbene non abbia dato sfogo a nulla che potesse anche solo lontanamente giustificarlo. E anche se fosse successo, non sarebbe stato comunque corretto.
Il barman poggia a pochi centimetri da me il suo cocktail, ma lui è troppo intento a deridere quel giovane per accorgersene quindi decido di dargli una bella rinfrescata. Nel giro di qualche secondo il liquido, contenuto dapprima nel bicchiere di cristallo, è rivesciato sul suo viso e gocciola inesorabilmente sul pavimento.
"Sei proprio un coglione!" esclamo ripulendomi la mano da alcune gocce che mi hanno sporcata. Ovviamente lo sconosciuto non sembra ancora ritornato in sé. Batte le palpebre più volte come se fosse ancora scioccato da ciò che è appena successo. Mi volge lo sguardo solo dopo qualche secondo di troppo ed è inutile dire che è terribilmente furioso.
"Brutta stronza ma guarda che hai fatto!" urla e sembra caricare un pugno proprio verso di me. Osservo i suoi movimenti, lenti e goffi, e sorrido fra me e me perché si sta solo scavando la fossa da solo.
Lo scanso velocemente e, con la maestria di una che frequenta corsi di autodifesa da anni, gli blocco il braccia facendo pressione sul suo nervo scoperto.
"Se ti vedo fare il bulletto un'altra volta giuro che ti spezzo le dita" sibilo a denti stretti, facendo ancora più pressione per chiarirgli il concetto.
"Ti è chiaro?" domando retorica. Ovviamente una risposta negativa non è ben accetta e pare intuirlo perché annuisce con foga tra un lamento e un altro. Dopo averlo lasciato si massaggia all'altezza del gomito e indietreggia fino all'uscita del locale.
"Sei stata grande!" sento dire dal ragazzo con la camicia a fiori che mi abbraccia per la felicità. "Non so davvero come ringraziarti."
"In nessun modo..." rispondo. "Dava fastidio anche a me."
"Ti sono debitore" precisa nuovamente e, dopo aver frugato tra le sue tasche, fa scivolare un biglietto da visita fra le mie mani. Mi saluta velocemente e poi torna dai suoi amici. Mi affretto a rigirare il cartoncino fra le dita e leggo piacevolmente il suo nome: Gill Socker, agente immobiliare.
"Posso avere tre shot di tequila?" domando rivolegendomi direttamente al barman. Quest'ultimo mi sorride e senza pensarci troppo inizia a prepararli.
"Offre la casa" sussurra dopo averli preparati sul bancone. Sto per afferrarli, ma una mano mi precede e l'idea di dover intavolare un'altra rissa si palesa sempre più nitidamente.
"Stavo per intervenire, ma non c'è stato bisogno."
Sussulto non appena sento quella voce. Non la sentivo da anni, ma nonostante ciò il mio cervello la ricorda come se fosse ieri. Calda, profonda, sicura. Da ragazzina bastava una parola giusta al momento giusto per farmi stare bene e quella voce, quella maledettissima voce, è diventata quasi una dipendenza. Alzo lo sguardo di scatto e mi sento quasi svenire non appena i miei occhi cerulei si incontrano con quelli verdi Axel. Mi perdo all'interno delle sue pupille come se fossi una quindicenne, lo stomaco mi va in subbuglio non appena noto che con lo sguardo inizia a vagare sulla mia figura. I suoi occhi smeraldo si soffermano sulle mie labbra, sul mio fisico, e quando lo fanno noto una certa titubanza. Anch'io mi prendo qualche secondo me osservarlo. Le sue spalle, definite e possenti, sono proprio quelle di un uomo e non più del ragazzino scorbutico e arrogante che ho conosciuto. Anche il suo volto sembra diverso, non c'è più quel cipiglio che lo contraddistingueva e ora sembra... felice.
Osservo le sue mani che alla vista non sembrano cambiate affatto eppure sono sicura che se sfiorassi le sue dita ne sentirei la differenza.
"A-Axel..." bisbiglio incredula.
Aggrotta le sopracciglia attirando maggiormente l'attenzione sul suo sguardo. "Sembri sorpresa di vedermi" dice.
Mimo la sua espressione e, senza neanche pensarci, mi volto verso i miei due amici. Ben e Gwen si voltano di scatto non appena notano che li osservo con un certo disappunto e fingono di non aver sbirciato verso la nostra direzione.
"Non ti ha avvisata, vero?" chiede abbozzando un sorriso. Scuoto la testa e torno a concentrarmi su di lui.
Sento un brivido percorrermi le spalle e il formicolio allo stomaco si fa sempre più insistente. Ritrovarmi Axel proprio davanti a me a distanza di anni mi innervosisce e per la prima volta, dopo tutto questo tempo, sono letteralmente senza parole. Non so cosa dire, cosa fare, se fingermi indifferente o dirgli del mio malessere. Sono in difficoltà e credo che lui lo abbia notato perché continua a sorridermi compiaciuto, come se tutto ciò lo diverte.
"Forse è stato un bene però..." sussurra arricciando le labbra e costrigendomi a guardare proprio la sua bocca. Dei pensieri malsani mi passano per la mente e inevitabilmente ripenso a ciò che abbiamo passato insieme. "Scommetto che se ti avesse avvisata, saresti scappata via." Si china alla mia altezza per bisbigliarmi quelle parole all'orecchio, proprio come i vecchi tempi... quando provava ad ammaliarmi con i suoi gesti e io provavo a resistergli invano.
Un risata isterica mi esce dalle labbra e mi porto una ciocca dietro l'orecchio per provare ad alleggerire la tensione che sento.
Non dico nulla.
Dalle mie labbra non esce neanche una parola ed Axel sembra ancora più contento di questa situazione. Con il suo corpo si avvicina verso di me al punto tale da costringermi ad indietreggiare, fino a farmi scontrare la schiena contro il bancone. Poggia le mani su di esso, proprio ai lati dei miei fianchi, intrappolandomi in questo modo vicino al suo petto.
"Mi sei mancata."
Il mio cuore perde un battito. Spalanco gli occhi per la sorpresa e sento il viso andarmi in fiamme. Vorrei aver sentito male, ma in realtà Axel ha proprio pronunciato quelle parole. È come se avesse dato sfogo ai miei pensieri ed abbia avuto il coraggio di dire ciò che io non gli ho mai confessato.
"Cazzo, Riley! Mi sei mancata come l'aria!" esclama fissandomi dritto negli occhi. Leggo un velo di disperazione, ma anche tanta tristezza ed io mi sento in colpa per essere l'artefice del suo dolore.
Apro leggermente le labbra per dire qualcosa, per rispondere al suo grido di aiuto, ma vengo bloccata dal ragazzo stesso.
"Fammi parole, per favore" mi chiede supplicante ed io non posso far altro che annuire.
"In questi anni sono cambiate tante cose nella mia vita, ma avevo un pensiero fisso e costante che non sono mai riuscito a cacciare via" riflette a voce alta chinando la testa verso il basso ed evitando il mio sguardo.
"Sono stato un codardo a non cercarti, ma ogni volta che Ben mi raccontava di un tuo successo una parte di me si convinceva che se ci fossi stato io al tuo fianco ti avrei sicuramente limitato, ma quando mi ha chiamato meno di un'oretta fa per dirmi che ti stavi frequentando seriamente con un ragazzo ho capito che avevo perso fin troppo tempo."
Come?
"Aspetta Axel..." tento di interromperlo, senza risultati.
"Sshh! Fammi finire" mi zittisce. "Lo sai come sono fatto... sono egoista, egocentrico, presuntuoso, ma l'unica persona che mi spinge ad essere una persona migliore sei tu e non posso accettare l'idea di perderti solo per delle incomprensioni."
"Axel..." sussurro di nuovo mentre un sorriso si fa largo sul mio volto.
"Lo so che non ho alcun diritto di dirti queste cose, ma ho bisogno che tu mi ascolti perché nonostante il tempo che è passato io non ho mai smesso di amarti... e non posso assolutamente perderti" prende un profondo respiro e finalmente torna a guardarmi negli occhi.
"Diamoci un'altra occasione."
Mi sento il cuore esplodere letteralmente nel petto. Non mi aspettavo nulla di tutto ciò e il solo fatto che si successo mi sembra talmente surreale da farmi mancare il pavimento sotto le scarpe. Sorrido e istintivamente porto una mano sulla sua guancia. Accarezzo la sua pelle dopo un'infinità di tempo e tutto mi sembra tornato al suo posto, come se l'equilibrio del mondo si fosse riallineato.
"È sbagliato..." dico sottovoce.
"Probabile."
"E se non dovesse funzionare?" ribatto.
"Non lo permetterò."
Ci guardiamo negli occhi per secondi che sembrano ore intere. Attorno a me non sento più alcun rumore, alcuno schiamazzo, alcuna risata. Mi perdo nel suo sguardo, nelle sue perle verdi che mi ricordano tanto casa.
"Io non sono la stessa ragazzina impaurita che hai conosciuto al liceo."
"Lo so, ed io non sono lo stesso stronzetto che ti ha delusa più volte" dice. "Devi solo fidarti di me."
Fidarmi.
Vorrei farlo, davvero, ma so bene che è sbagliato. So che prima o poi succederà qualcosa che mi farà stare male, che mi porterà a non credere più nell'amore. Eppure sento che se dovessi rinunciare a lui sarebbe terribilmente sbagliato.
Mille pensieri e dubbi mi attraversano la mente, non mi sento libera di decidere al momento e rimango in silenzio a fissare il mio viso.
"Ho bisogno di tempo" affermo cercando di non disilludere le sue convinzioni.
Axel però sorride e non sembra per niente sorpreso dalla mia risposa. "Tutto il tempo che vuoi, ma ho bisogno di un incentivo per aspettare."
Le sue labbra si posano delicatamente sulle mie ed io sussulto a quel contatto inaspettato, ma che desideravo al tempo stesso. Sembra come se niente sia cambiato eppure mi sembra tutto allo stesso tempo nuovo, diverso. Il sapore di menta e sigarette mi riporta indietro negli anni, ma quando mi aggrappo alle sue braccia mi ricordo che non è un sogno, che è la realtà e che sta accadendo proprio adesso.
Allaccio le braccia dietro il suo collo mentre lui fa scivolare le mani sui miei fianchi, accarezzandoli e insinuando le dita al di sotto del lembo della camicetta bianca che indosso. Lo sento mentre sfiora l'orlo dei jeans ed io tremo a quel contatto.
Insinuo una mano fra i capelli, stringo le sue ciocche corvine e mi lascio trasportare dal momento.
Quando ci stacchiamo i nostri occhi ardono di passione. Il suo respiro irregolare si unisce al mio e ci guardiamo bramando l'intimità che ci manca da tempo.
"Andiamo via?" propongo mandando a monte tutti i miei propositi.
Axel sorride e senza farselo ripetere due volte mi trascina, tenendomi per mano, verso l'uscita.
Sarà sicuramente sbagliato.
Probabilmente mi farò nuovamente del male, ma non posso chiedere le porte del mio cuore. Non posso proprio negare il mio amore verso di lui.
Angolo autrice.
Ciao a tutti! È da un po' che non scrivo e torno a farlo proprio qui.
Rimango sempre dell'idea che spesso due persone si incontrano al momento sbagliato e che non sempre riescono a superare le avversità che li colpisce. Axel e Riley sono maturati tanto.
Lui riconosce finalmente i suoi sentimenti e lei ammette a sé stessa che forse solo l'amore non basta, ma che non può proprio rinunciare a ciò che sono. Quindi ci riprovano e chissà... magari questa volta andrà bene o forse no! Comunque questo è un finale sicuramente più romantico, aperto ad una prospettiva futura.
Spero vi piaccia.
Baciux a tutti ❤
Ps: il capitolo è molto lungo e non avuto il tempo di correggerlo. Perdonatemi 🙏
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