38. Siamo solo dei ragazzi

Ho un gran mal di testa.
È come se un martello pneumatico stia scavando nel mio cervello e preme, preme sempre di più, provocandomi un gran fastidio.
Un gran dolore.

"Dobbiamo fare qualcosa" mi dice Gwen mentre chiudo l'armadietto. Sono da giorni che proviamo a trovare una soluzione, che cerchiamo un modo per rimetterci in contatto con Kyle Haynes, ma non siamo arrivati a nulla.
"Lo so, ma al momento non ho idee" chiarisco.

Ci muoviamo contemporaneamente, ancor prima che la campanella suoni, verso le prossime lezioni. Abbiamo entrambe l'ora di letteratura inglese dove, tra le altre cose, siamo anche compagne di progetto. Quello di metà corso abbiamo già avuto modo di presentarlo al resto della classe, ci manca solo quello di fine anno, ma abbiamo ancora tempo per pensare e realizzarlo.
Saluto un paio di ragazzi mentre ci dirigiamo verso l'aula e mentre cammino ripenso alla prima volta che Axel ha varcato quella porta.

Completamente vestito di nero, uno sguardo cupo, la sua aria da cattivo ragazzo. Era qualcuno da cui volevo stare lontana, adesso invece mi sento attratta come una calamita. Più provo a dimenticarmi di lui, più accadono cose che mi spingono ad avvicinarsi. Per ultima questa di suo padre, l'incontro con suo zio e per finire la scomparsa. Non avere notizie di Axel, di suo padre, mi fa crescere ancora di più l'ansia.
Ben mi ha detto di stare tranquilla, che Axel tornerà in questi giorni, ma non ha ricevuto nemmeno lui una risposta, quindi le mie speranze si stanno afflievolendo ancora di più.

"Riley!" urla la mia migliore amica facendomi letteralmente saltare dallo spavento.
"Gesu! Gwen!" impreco sottovoce portandomi una mano al cuore. Sono sicura che i miei capelli si drizzati in aria, colti anche loro alla sprovvista, come me. "Ma che modi sono!" urlo un rimprovero verso di lei, ma la ragazza non sembra per niente dispiaciuta. Abbozza un sorriso che poi si trasforma in una sonora risata.
Si china in avanti, batte la mano sul proprio ginocchio e i suoi lunghi capelli castani le coprono il viso.
Sbuffo infastidita, ma decido di lasciar perdere. Dopo averle lanciato un'occhiataccia entro in aula più seccata di prima.

Non era sufficiente il mal di testa, ma pure gli stupidi giochetti di Gwen.

So di avere delle reazioni esagerate in questo periodo, Gwen alla fine stava solo scherzando, ma mi sento incredibilmente sotto pressione. Mi sento responsabile per mille cose e mi sembra di non riuscire nemmeno in una.

Mi avvicino al mio banco, in cui getto il libro di letteratura inglese, e mi accovaccio su di esso come se volessi trovare un po' di conforto in un pezzo di legno. Ovviamente è un conforto che non arriva.
"Stavo scherzando, dai" bisbiglia la mia amica facendo scivolare una mano sulla mia spalla. Prende posto alle mie spalle e sento i suoi occhi addosso.
"Lo so" rispondo, "sono solo stressata."

Ed è la verità.
Tutta questa storia mi stressa, come mai altro prima d'ora.
Nemmeno la separazione dei miei genitori mi ha creato così tanti problemi. D'altronde siamo solo dei ragazzi, non dovremmo farci carico di queste cose. Sono troppo complesse per noi, non potremmo mai venirne a capo senza un aiuto.
Nella vita bisogna sempre avere una spalla su cui poggiarsi e generalmente quella spalla deve essere più robusta e saggia della nostra.

Forse...

"Riley non devi stare così" dice. Alzo nuovamente la testa facendo scivolare all'indietro i miei capelli castani. Mi volto quanto basta per incrociare i miei occhi azzurrini nei suoi da cerbiatto. "Non sei responsabile dei casini della famiglia di Axel, non lo siamo nessuno" specifica tenendo un tono di voce basso per evitare che i nostri compagni di corso sentano la nostra discussione.

"È solo colpa loro, noi non c'entriamo nulla."

Sto per risponderle, sto per dirle che ha ragione e che noi non abbiamo assolutamente nulla a che fare con tutto ciò, la verità però è che non è assolutamente vero.
Ci siamo dentro fino al collo e non sappiamo come uscirne.
Fortunatamente riesco a non dare voce ai miei pensieri grazie all'ingresso di Mr Fulton in aula. Prende velocemente posto sulla sua poltrona, sistema gli occhiali stravaganti sul naso e poi apre il libro di letteratura senza perdere tempo.

Mi sembra di rivivere un deja vu.

Il professore parla di Moby Dick, di come abbia inspirato le opere successive alla sua pubblicazione, ed è proprio in questo momento che bussano alla porta. Ci zittiamo tutti, soprattutto il docente, e quest'ultimo allunga lo sguardo verso l'ingresso della classe. La porta si apre lentamente emettendo uno scricchiolio inquietante se fossimo stati in un film horror. Ovviamente non lo siamo, ma il mio cuore ha comunque un sussulto. Per un attimo mi sembra che abbia smesso di battere. Sono giusto un paio di secondi, ma bastano per farmi provare delle strane sensazioni.
Il mio viso si arrossa all'istante mentre nel mio stomaco sembra che stiano facendo una lotta di mma. Non sono semplici farfalle che svolazzano, è molto di più. Qualcosa di più forte e incrollabile.

Vestito di nero, con il ciuffo raccolto all'indietro e uno strano sorrisetto sul viso, Axel porge al professore un biglietto di giustifica. L'uomo lo liquida con un gesto veloce della mano e lo manda a sedere al suo posto... accanto a me.
Scivola tra i banchi come se niente fosse, ignorando gli sguardi sorpresi di tutti, ignorando soprattutto quello mio e di Gwen.
Ben ci aveva detto che sarebbe tornato, ma sicuramente non ci saremmo aspettate un arrivo così repentino. Io soprattutto non avrei nemmeno scommesso su un suo ritorno.

Prende posto al mio fianco, che adesso sembra scaldarsi grazie al suo calore familiare. Inutile dire che sto letteralmente squadrando il ragazzo come se avessi accanto a me un fantasma; lui non sembra farci caso, ma so bene che ha notato i miei occhi puntati sul suo corpo.
Quando finalmente riesco ad incrociare il suo sguardo, mi sento mancare il fiato. Abbozza un sorrisetto, sembra tranquillo, ma potrebbe essere solo una bugia.

Come quelle che ha raccontato in questi giorni.

"Sono tornato" bisbiglia. La sua voce, quella voce che mi ha sempre ammaliato, adesso mi fa rabbrividire. E non so se questi brividi siano di pura estasi o solo fastidio.
"Perché ti è stato chiesto, non per tuo desiderio" sputo acida.
Il suo sguardo cambia. Adesso sembra capire cosa è successo in queste settimane, cosa ha provocato la sua assenza.

Nessuno dei due dice più nulla. Entrambi forse abbiamo paura di dire una parola di troppo e ingigantire un situazione già complicata di per sé.
Qualcosa tra noi è sicuramente cambiato. La sua partenza improvvisa, la sua assenza ingiustificata, la lontananza... tutto questo ho sicuramente smosso qualcosa in me.

Eppure averlo qui vicino mi rende inspiegabilmente felice.

***

"Sei tornato!" esclama Ben accogliendo Axel fra le sue braccia.
Io e la mia migliore amica, che abbiamo avuto modo di incrociarlo già questa mattina, rimaniamo comodamente sedute sul divano di casa mia. Questo pomeriggio ho chiesto ai ragazzi di passare da me per fare il punto della situazione; dobbiamo decidere come procedere, se andare dalla polizia oppure no. Dobbiamo trovare una soluzione perché altrimenti la storia si farà sempre più complicata.

I due ragazzi si scambiano parole di circostanza. Axel sembra felice di rivedere il suo amico, un po' meno di rivedere me e Gwen.
Ovviamente il nostro screzio non è finito nell'aula di letteratura inglese, Gwen a fine lezione gli ha tirato letteralmente un libro sulla testa. Si è giustificata dicendo: "forse hai bisogno di una botta in testa per risvegliare il tuo cervello."
Ovviamente Axel non l'ha presa bene ed entrambi hanno iniziato a battibeccare. Fortunatamente il suo della campana ci ha salvati da una rissa, che sicuramente avrebbe iniziato Gwen.

"Se abbiamo finito con questi convenevoli", la voce di Gwen interrompe il mio flusso di pensieri ed interrompe anche l'abbraccio dei due ragazzi.
"In effetti è meglio sederci e parlare, non abbiamo molto tempo" dice Ben accomodandosi sulla poltrona in pelle. Axel prende posto di fronte il suo amico creando in questo modo un semicerchio.

"Ben mi ha spiegato la situazione per telefono... mi ha detto di mio zio e della sua visita al cimitero", a spezzare il silenzio è il giovane moro dagli occhi color smeraldo. Poggia il suo sguardo su tutti, ma si sofferma in particolar modo su di me. Inumidisce le labbra bagnandole con la punta della lingua ed io inizio a sentire improvvisamente caldo. "Grazie per aver nascosto mio padre... se dovessero vederlo sarebbe la fine per lui" aggiunge.

"Non l'ho fatto per me, ma per lui" dico. "Sono fermamente convinta che sia innocente e tuo zio ha la faccia da colpevole."
Axel rimane colpito dalle mie parole, così come i nostri amici. Annuisce debolmente e poi si accomoda meglio sulla poltrona.

"Non può essere stato lui comunque" afferma. Aggrotto le sopracciglia incuriosita dalla sua sicurezza.
"Perché lo dici?" chiede Gwen puntando i suoi occhi da cerbiatto sul ragazzo.
"Perché quando è morto mio nonno lui era ad una cena di lavoro... un nostro collaboratore me lo ha confermato mentre ero a New York."

Non è stato lui.

"Perfetto!" esclama Gwen. "Non abbiamo un sospettato e tuo padre è sparito lasciandoci solo un cellulare", la ragazza sbuffa per l'esasperazione ed è evidente in questo momento la confusione che alleggia nell'aria.
"Vado a prendere qualcosa da bere" bisbiglio. Lentamente mi alzo dal divano e vado verso la cucina per prendere del succo da offrire ai ragazzi.

La situazione è più complicata di quanto immaginassi. Se prima ero quasi convinta della colpevolezza di suo zio, adesso mi sembra di non sapere assolutamente nulla.

"Sembri preoccupata." Sobbalzo quando sento la sua voce provenire dalle mie spalle. Mi volto velocemente trovandomi di fronte lo sguardo serio e indagatore del ragazzo percorrermi tutto il corpo.
"Lo sono", deglutisco a fatica cercando di concentrarmi su altro. Allungo il braccio verso il ripostiglio superiore dal quale prendere dei bicchieri in cristallo, ma Axel arriva prima di me.
Si posiziona alle mie spalle, si sporge in avanti facendo inebriare le mie narici del suo profumo forte e speziato e poi recupera dei bicchieri che poggia sul bancone.

Nonostante abbia già preso tutto ciò che ci serve, rimaniamo in quella ancora per un po'. Lui poggia le mani sul piano di lavoro, incastrando il mio corpo nel suo, ed io mi volto lentamente trovandomi a pochissimi centimetri dal suo viso.

E dalle sue labbra...

"Mi sei mancata" soffia quasi sulle mie labbra, in modo sensuale e incredibilmente vero. I suoi occhi verdi brillano mentre scrutano i miei come se bramassero qualcosa di più intenso. Lo vedo deglutire e per un millesimo di secondo chiude le palpebre per fare un profondo respiro. "Ho sbagliato, lo so... ma ti prego non essere arrabbiata con me."

Oh Axel...

"Saresti andato via senza salutarmi" affermo. Sono sicura delle mie parole, la voce non trema e mostro quindi tutto il mio disappunto. Axel non prova nemmeno a negare. China la testa dispiaciuto mentre fa un sospiro.
"In quel momento mi sembrava la cosa migliore" sussurra. "Vi ho coinvolti in questa storia e pensavo che andando via per un po' le cose si sarebbero risolte... invece è peggiorato tutto."

Sbalordita, spalanco gli occhi e dischiudo leggermente le labbra. Axel si sente in colpa e per quanto possa essere stupida la sua reazione del lasciare tutti senza dire nulla, posso solo immaginare come si sente.
Vorrei essere più forte e fare la sostenuta, ma il mio cuore mi grida emozioni diverse. Axel distoglie lo sguardo, mi libera dalla sua vicinanza lasciandomi un profondo senso di vuoto.
D'un tratto, senza pensarci due volte, intreccio la mia mano nella sua, blocco la sua resa e mi stringo al suo petto sentendo il calore della sua pelle nella mia. Un sorrisetto gli sfugge dalle labbra. Le sue mani circondano le mie spalle e finalmente mi lascio andare anche io.

"Riley!", la voce squillante di mia mamma ci fa tornare alla realtà. "Sono tornata!" dice di nuovo.
Velocemente Axel si allontana da me ed io raggiungo l'ingresso di casa dove trovo mia madre e Gwen chiacchierare allegramente.
Alle sue spalle noto Luke con dei sacchetti della spesa tra le mani.

"Vi fermate tutti per cena, vero?"
"Se non è un disturbo, molto volentieri."
Axel si avvicina sorridente al compagno di mia mamma per liberarlo dalle buste dopodiché segue la donna verso la cucina.

"Tesoro mio, non sei mai un disturbo."

Sarà una lunga serata.

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