Tre
Quella tempesta non era come le altre, c'era qualcosa di strano. Tadiel sentiva un insolito formicolio sulla pelle.
Erano già diverse ore che aspettavano lì sotto. Marsh si era addormentato stretto a Sìron.
Il ragazzo era taciturno e continuava intento la lettura di un vecchio libro. Non le aveva quasi rivolto la parola e le leggere borse sotto gli occhi le lasciavano intendere fosse reduce da un turno lavorativo.
Tadiel indossava semplici pantaloni grigi, con stivali allacciati fin sotto al ginocchio, e una camicetta bianca arrotolata ai gomiti. Con le mani continuava a tormentare un ciondolo ovale che portava al collo. Il volto era pallido e leggermente scavato, su di esso spiccavano i suoi enormi occhi verde smeraldo, le labbra piene e naturalmente rosee e una spruzzatina di efelidi vivacizzavano gli zigomi alti.
Sìron invece vestiva la classica tuta da lavoro, grigia intera, la portava aperta sul petto e allacciata in vita. Al di sotto una t-shirt bianca che lasciava scoperte le braccia. Il ragazzo era minuto e con le spalle ricurve in avanti, la posizione un po' ciondolante e il viso sporco di terra. I capelli gli ricadevano in maniera scomposta sul viso, la pelle olivastra e gli occhi grigi. I lineamenti erano decisi ma equilibrati, stonavano con la sua espressione dura e riservata.
Improvvisamente saltò la luce. L'agitazione percorse gli animi dei presenti, qualcuno più spaventato cominciò a urlare. Il bambino poggiato sulle gambe di Sìron si svegliò preoccupato. Tadiel era pietrificata sul letto, provava invano a cercare contorni indefiniti di ciò che la circondava, ma la completa mancanza d'illuminazione le rendeva ciò impossibile. Sentì il piccolo Marsh agitarsi sulla brandina, la pallina con la quale giocava poco prima cadere nel buio, qualche rimbalzo nel vuoto e il suono s'interruppe. «La mia pallina!» urlò il piccoletto «Devo riprendermela.» protestò cercando di divincolarsi dalla presa di Sìron. «Non provare ad allontanarti da me, la riprenderai quando la luce sarà tornata.» lo ammonì l'amico.
«È l'ultimo regalo di mamma e papà, non posso perderla» rispose Marsh riuscendo finalmente a liberarsi. Scese dal lettino, si udirono tre o quattro passi, poi il silenzio.
«Marsh» chiamò Sìron allarmato. «Marsh!»riprovò di nuovo.
Nel momento esatto in cui si alzò una luce fioca tornò ad illuminare il rifugio.
«Dove può essere andato?» chiese Tadiel, notando che nella stanza non c'era traccia del biondino.
«Non ne ho idea» ripose preoccupato Sìron. Si passò una mano fra i capelli e cominciò a guardarsi attorno.
Anche Tadiel si alzò cercando di essere utile. Cominciò a perlustrare la parte opposta a quella verso cui si era avviato Sìron.
Non c'era traccia di Marsh, e nemmeno della sua pallina. Tadiel si era anche premurata di controllare sotto ogni brandina, pensando il piccolo si fosse rifugiato lì sotto in preda alla paura.
Sìron intanto si era diretto verso la dispensa, poi nei bagni. Ogni angolo di quel rifugio era stato attentamente controllato. I due si riunirono vicino il lettino.
«Trovato qualcosa?»
«Nulla, mi dispiace.» ripose lei rammaricata.
«Non può essere scomparso! Non c'è via di fuga.» ragionò ad alta voce Sìron.
Tadiel rimuginava in cerca di risposte. «Ho sentito solo pochi passi, deve essere qui intorno». Si chinò cercando qualcosa, una botola o un passaggio d'emergenza non segnalato. Il ragazzo le si avvicinò imitandola. Tastavano il pavimento in cerca di una qualche scappatoia. Una nuova raffica violenta fece tremare il soffitto. Il vento era talmente forte che nonostante gli strati protettivi del rifugio, l'ira della tempesta sembrava poter raggiungere i malcapitati. Le scariche elettromagnetiche scoppiavano come bombe toccando il suolo e facendo tremare la terra.
La debole lucetta d'emergenza si spense, e tutto ripiombò nel caos.
Tadiel notò qualcosa muoversi sotto i suoi piedi. Vide un riflesso veloce come un lampo attraversare il suo vecchio ciondolo, l'oggetto parve ridestarsi da un lungo sonno. Un altro boato e il suolo si smaterializzò. Una voragine oscura sembrò ingoiare la ragazza.
Non riusciva a urlare, a chiamare aiuto, il cuore in gola e il respiro corto. Aveva la sensazione di cadere nel vuoto, non poteva affermarlo con sicurezza poiché era tutto nero intorno a lei. Le sembrava di vivere quegli strani incubi in cui non aveva percezione di sé. Si sentiva inutile e impotente, cercava disperatamente di tastare intorno a lei, come a cercare un punto di appiglio, ma non vi era nulla su cui fare aderenza. Le braccia e le gambe si divincolavano alla cieca in cerca di appoggi o sostegni. Improvvisamente l'aria cominciò a stringersi intorno al suo corpo, come delle spirali di vento che le schiacciavano il viso, il torso e gli arti. Finché una luce accecante sotto i suoi piedi la inghiottì.
Un tonfo, un gridolino di dolore. Gli occhi accecati dalla troppa luce, ci volle qualche secondo prima di cominciare a mettere a fuoco ciò che la circondava. Ci era quasi riuscita quando sentì qualcuno piombarle alle spalle travolgendola.
Era Sìron. Il ragazzo doveva essere stato risucchiato dopo di lei ed era finito per investirla con un leggero ritardo. «Non sei esattamente un peso piuma» disse Tadiel a fatica, data la presenza di Sìron sulla ugabbia toracica. Il ragazzo strizzò gli occhi cercando di recuperare la vista ancora abbagliata dalla luce. Non appena si rese conto di essere addosso alla ragazza, si rimise in piedi balbettando un imbarazzato «Sc- Scusami».
I due si guardarono attorno esterrefatti. Dov'erano finiti? Ma soprattutto, come erano arrivati lì?
C'erano enormi pareti di roccia sul lato dal quale erano precipitati, da cui scorrevano piccole cascate d'acqua. Davanti a loro il paesaggio ritraeva le rovine di un'antica e gloriosa città. Una luce chiarissima illuminava il paesaggio e donava piacevoli contrasti di colore, giocando con essa e i riflessi provenienti dal piccolo corso d'acqua alla loro destra. Lo scenario era incredibilmente variopinto, abituati com'erano al grigiore e alla muffa della loro Cupola.
Tadiel era senza parole, la bocca spalancata e gli occhi insaziabili. C'era verde ovunque, vi erano piccoli arbusti e fiori, erba, acqua, alberi. La ragazza toccava ripetutamente il terreno, accertandosi che non stesse sognando, al contempo gioendo per quella sensazione nuova. L'erba era fresca e morbida, bagnata dagli schizzi d'acqua del ruscelletto. Le sembrava di essere piombata tra le pagine del suo vecchio libro.
Anche Sìron osservava attorno a sé stupito e curioso, si avvicinò alla parete rocciosa e guardò fino a dove si protraeva.
«Come fa ad esserci il cielo qui sotto?» domandò più a se stesso che a Tadiel.
«Noi pensiamo di essere caduti, ma non possiamo affermarlo con certezza...» pensò lei poco convinta.
«Andiamo a cercare Marsh. Nel rifugio non c'era, potrebbe essere qui.» enunciò Sìron scrutando il paesaggio circostante.
Tadiel si avviò dietro di lui mentre il ragazzo s'inoltrava nei ruderi dell'antica città.
Beta: NinaBlueStar
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