Due
Terminata la lezione, Tadiel si ritrovò tra i corridoi in mezzo a dozzine di studenti e Van Cage la travolse. Schiacciata al muro con le sue poche cose riverse al suolo, senza neanche guardarlo si chinò a raccogliere la piccola borsetta in cuoio.
«Non ti avevo proprio vista» sogghignò il ragazzo.
Tadiel alzò lo sguardo stranita, mancava la solita battutina acida. Non tardò: «Ti ho semplicemente rimessa al tuo posto» si piegò con il busto in avanti per squadrarla dall'alto in basso «in ginocchio ai miei piedi».
Non era di certo il re della simpatia, si pavoneggiava del suo stato sociale e se la rideva con i suoi amici sbeffeggiando gli emarginati.
Van Cage era il figlio del sovrintendente della cupola. Credeva di essere superiore alla maggior parte degli studenti. Aveva ormai più di ventiquattro anni ma la mentalità era pari a quella di un tredicenne con un temperamento da bullo. Era stato viziato fin da bambino, mancava di educazione e senso civico.
Frequentava la scuola di preparazione senza una vera e propria ragione. Si divertiva a perder tempo facendo il gradasso in giro con la sua combriccola. Non aveva scopi o sogni particolari nella vita, se non quello di farsi odiare dalla maggior parte degli studenti con cui si rapportava.
Tadiel come sempre lo ignorò. Avrebbe voluto tenergli testa, rispondergli a tono e rimetterlo in riga, invece di stare zitta e subire.
Uscì il più in fretta possibile dal "carcere" e riprese la via verso casa. Abitava in un piccolo stabile ai confini della cupola. L'edificio era vecchio, ma offriva un dignitoso riparo ai suoi residenti. Tadiel occupava l'ultimo piano. Di regola quelli più in alto erano i più economici, perché più esposti ai raggi del sole e alle tempeste elettromagnetiche. L'appartamento non era molto grande, si componeva di una stanza che affacciava sul confine più remoto della cupola, adibita a cucina e salottino, una camera adiacente dove entrava a malapena il letto e infine un bagno con giusto gli elementi essenziali.
Era quasi arrivata al confine quando scattò l'allarme generale della cupola: un'altra tempesta elettromagnetica. Già la terza in quella sola settimana.
L'inquinamento e le guerre atomiche avevano portato caos all'equilibrio precario su cui la Terra si reggeva. I buchi nell'ozono erano ormai innumerevoli e nelle ore più calde della giornata era vietato uscire di casa.
La città era piena di piccoli ripari sotterranei, purtroppo simili tempeste erano diventate sempre più frequenti e gli abitanti dovevano correre al sicuro nel minor tempo possibile.
Questi ricoveri avevano avuto diversi scopi e i meno recenti erano degli ex rifugi antiatomici, usati durante le guerre che avevano ridotto il pianeta ad un colabrodo.
Tadiel si affrettò a raggiungere quello più vicino. Era abituata a tali situazioni e riusciva a gestire il panico. Strinse i suoi averi al petto e si avviò presso le lunghe scale che scendevano verso il luogo sicuro.
Il rifugio era costruito in profondità, per sfruttare l'azione schermante del terreno ed evitare il contatto con l'atmosfera elettromagnetica. Il muro più esterno era realizzato in cemento armato, che fungeva da schermo di contenimento per le radiazioni.
Lo spessore delle pareti poteva variare a seconda della resistenza voluta, mentre le mura interne e i pavimenti erano rivestiti con un materiale isolante ed in grado di schermare la stanza dalle radiazioni.
All'interno di questa enorme camera vi erano numerosi lettini e l'indispensabile per sopravvivere più giorni. Era una sorta di grande dormitorio. La poca luce dei neon dava alla stanza un'aria poco rassicurante.
Quando arrivò nel rifugio c'erano già una decina di persone. Tadiel si andò a sedere su uno dei tanti lettini laterali. Prima che l'allarme finisse di suonare, e quindi si chiudessero le porte, entrarono solo una quindicina di persone.
Quella parte della città era abitata per lo più da persone che lavoravano alla costruzione edilizia e agli impianti di aerazione, i loro turni si protraevano quasi tutto il giorno, per cui trovavano riparo presso il loro luogo di lavoro. Molte case, invece erano dotate di propri rifugi, per questo non erano in molti ad usufruire di quelli pubblici.
Le tempeste duravano da pochi minuti ai diversi giorni, e il tempo nel rifugio sembrava fermarsi.
Un bambino di sei, sette anni si intratteneva con una pallina che lasciava rimbalzare vicino agli altri presenti. Cercava di attirare l'attenzione, o semplicemente un compagno di giochi. Tadiel lo osservava, il piccolo felice e speranzoso tirava di volta in volta la sua piccola sfera verso persone diverse sperando che costui o costei gliela rilanciasse, ma quel sorriso si spegneva ogni volta che nessuno rispondeva alla sua chiamata. La cosa strana e assurda era che la gente amava i bambini, il problema in quel caso era che il piccolo indossava una maglia vecchia e macchiata, i pantaloni rattoppati e gli scarponcini sporchi. Segno che il piccino provenisse da una famiglia povera. Ma nessuno lì sotto poteva reputarsi economicamente sufficiente, tanto da non degnare il bambino nemmeno di uno sguardo.
Faceva male a Tadiel vedere quanta poca umanità risiedeva nelle persone, erano come dei robot o, peggio, ologrammi, come quello del professore a lezione. Ognuno pensava solo a sopravvivere, un insano egoismo che si spargeva tra gli abitanti più disagiati. Chi, invece, aveva di che vivere disprezzava il resto degli abitanti della cupola.
Tadiel aveva sofferto tanto e continuava a soffrire, ma amava guardare la gioia negli occhi degli altri. Erano istanti fragili e fugaci, come il ricordo di una vita passata.
La pallina arrivò anche ai suoi piedi. Si chinò dal lettino per afferrarla. Guardò il bambino e gli sorrise. Gli rilanciò la pallina. Ed iniziò così uno scambio tra i due. Finché il bambino non andò vicino a Tadiel.
«Posso sedermi accanto a te?»
«Certo!» La ragazza lo invitò a sedersi dando qualche colpettino sul sottile materasso.
«Come ti chiami?»
«Tadiel. Tu invece?»
«Marsh!»
«Marsh, che bel nome! Sei qui da solo?»
«No, c'è un mio amico con me, siamo come fratelli. Ora te lo presento». Marsh saltò giù dal materassino e Tadiel vide la testolina bionda riccioluta correre fino in fondo al rifugio.
Ritornò accompagnato da un ragazzo snello e alto, chioma scompigliata, folta e nera. Indossava panni da lavoro, segno che avesse qualche anno più di Tadiel.
«Lei è Tadiel, la mia nuova amica» disse indicandogliela. Poi rivolto a lei: «Lui è Sìron il mio quasi fratello».
Tadiel e Sìron si scambiarono un timido sorriso.
«Mi dispiace se Marsh ti ha infastidita in qualche modo, non riesce a stare tranquillo e al suo posto.»
«Al contrario, un po' di compagnia mi fa piacere» rispose lei e il piccolo biondino tornò a sedersi vicino Tadiel. «Stai anche tu qui Sìron» invitò il ragazzo facendogli posto.
Si sentirono strani rumori cupi. La luce nella stanza si fece tremolante. Era come se la tempesta stesse dando il meglio di sé proprio qualche metro sopra le loro teste. Granelli di polvere iniziarono a cadere. Marsh si strinse a Sìron. Il ragazzo gli accarezzò leggermente i capelli.
«Tranquillo, piccolino. Andrà tutto bene.»
Nota_Autrice
Revisione a cura di NinaBlueStar . Tanto preziosa!
Oltre a Tadiel in questo nuovo capitolo iniziano già a farsi conoscere Marsh e Sirion, compagni fondamentali in questo piccolo viaggio insieme. Intanto si lavora ai successivi capitoli, dove lo scenario cambierà radicalmente.
Buon sabato sera e buon weekend!
Vostra Angela!
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