Capitolo XXXVIII

Quando Agatha ricevette il biglietto con l'invito di Will, riuscì a stento la sua gioia di fronte a tutti.

Vediamoci al negozio, dopo la chiusura.
Se accetterai il mio invito, tieni con te il biglietto.

Will.

Poche e semplici parole scritte su un biglietto di carta pulito e profumato, che era stato in grado di farla sentire così leggera che le sembrava perfino di camminare su una nuvola.

E così aveva aspettato che la sua famiglia si addormentasse, dopo una cena in cui aveva finto di non sentirsi molto bene per non essere costretta a mangiare ciò che la madre le metteva nel piatto.

Quando fu abbastanza sicura che stessero tutti dormendo, era uscita di nascosto, con un sorriso sulle labbra che avrebbe fatto invidia a chiunque.

Corse per raggiungere il negozio, sperando che Will non la stesse attendendo da troppo tempo o, peggio, non avesse deciso di andarsene.

La fretta che aveva, inoltre, non le permise di essere troppo preoccupata per il fatto che stava camminando da sola, di notte, in un quartiere per niente sicuro.

Ma nulla le importava, se non raggiungere Will e scoprire cosa aveva pensato per lei.

Nella drogheria c'era una piccola luce, provocata da una candela, unico indizio che il negozio fosse davvero aperto.

Il solito suono della campanella le diede il benvenuto una volta aperta la porta, ma l'interno era vuoto. Immerso nella penombra e privo di persone.

Per qualche istante pensò che Will se ne fosse andato, e se ne dispiacque, ma poi si rese conto che in tal caso avrebbe spento la candela.

Così lo chiamò con tono flebile: «Will? Ci sei?».

Si avvicinò al bancone e si sporse per controllare che non fosse la dietro.

«Will?», lo chiamò questa volta a gran voce, iniziandosi a preoccupare.

Tirò un sospiro di sollievo solo quando sentì la sua voce: «Sono sul retro».

Con un sorriso speranzoso, lo raggiunse oltre la porta: «Scusami per il ritardo...».

Non terminò la frase, rimasta sorpresa dalla visione che aveva davanti.

Il retro del negozio era più luminoso del negozio stesso, grazie ad una decina di candele poste in ogni angolo, e sopra ogni scatola, per illuminare tutto l'ambiente.

E contribuiva anche a creare un'atmosfera molto romantica. Insieme al piccolo tavolo per due che Will aveva apparecchiato.

La candela più grande occupava proprio il centro del tavolo, mentre un Will nervoso ma anche sorridente, la guardava in attesa.

Si aspettava una qualche reazione da parte sua, oltre che a guardarlo con sguardo stupito come stava facendo.

E proprio perché non otteneva una risposta, che chiede insicuro: «Ti piace? O forse è troppo inopportuno...», e iniziò a parlare senza freni, preso dall'agitazione: «Mi dispiace, Agatha, volevo solo passare un po' di tempo con te senza vigilanti e...».

Agatha non gli permise di andare avanti, anche perché era convinta che se non lo avesse fermato, Will avrebbe continuato a parlare per ore.

«No, Will, è tutto perfetto... mi piace molte, e non sei per niente inopportuno», suo non l'avrebbe pensato allo stesso modo, ma lui non era lì a giudicare.

E in quel momento l'ultima cosa che desiderava Agatha era sentire la voce perentoria di suo padre nella sua mente. Perciò scacciò ogni pensiero, e si avvicinò, osservando meglio il suo spasimante.

Si era vestito anche meglio del loro primo appuntamento, impegnandosi così tanto anche nell'aspetto che il risultato era un chiaro segno di quanto ci tenesse.

«Se avessi saputo che era una cena romantica, avrei indossato qualcosa di più appropriato», scherzò lei, indicando le gonne del vestito che indossava tutti i giorni. 

«Sei bellissima», fu l'unica risposta di Will, che continuava a guardarla con occhi che gli brillavano. Non faticò a credere alle sue parole, perché ogni volta che la guardava in quel modo, si sentiva bella. 

Anche Loran aveva quello strano effetto su di lei, ma in quel momento non voleva proprio pensarci, perciò scacciò anche lui dalla mente e si fece ancora più avanti.

Con fare elegante, Will la fece sedere al suo posto, prima di accomodarsi proprio di fronte a lei: «Spero che sia tutto buono, ho fatto preparare il cibo dalla domestica di mia zia di nascosto... nessuno sa che siamo qui».

Sembrava un po' in imbarazzo mentre lo ammetteva. 

«E come hai fatto ad entrare nel negozio dopo la chiusura?».

«Bè, in realtà mio zio mi ha regalato una copia delle chiavi qualche mese fa. Voleva essere un segno di fiducia nei miei confronti...».

«E tu le hai usate per entrare dopo l'orario di apertura, organizzare una cena e invitare una fanciulla, tutto di nascosto».

Era sinceramente sorpresa dall'intraprendenza di Will, forse perché le era sempre sembrato un ragazzo rispettoso delle regole e poco propenso a fare gesti simili. Ma non poteva non ammettere che ne era felice.

«Ne sono lusingata», aggiunse infatti qualche istante dopo, facendolo sorridere e tirare un sospiro di sollievo.

«Per fortuna, credevo davvero di essere stato troppo sfacciato... a molte fanciulle qui a New York piacciono certi approcci, ma non ha tutte».

«A me ha fatto piacere l'invito, e non vedo l'ora di assaggiare cosa hai fatto preparare per me. Ho perfino finto di star male per restare a digiuno».

Will riempì entrambi i loro bicchieri con dell'acqua mentre le chiedeva, curioso: «E' stato tanto difficile uscire di casa?».

Agatha rispose con un gesto della mano e un sorriso di pura soddisfazione: «Non proprio. Ho semplicemente aspettato che prendessero tutti sonno e poi sono uscita. Sto diventando molto brava a nascondere le cose».

Forse il suo tono apparve un po' troppo triste perché lui chiese: «Ti dispiace dover mentire alla tua famiglia?».

«Un po' sì», cercò di sminuire ciò che stava provando veramente, accentuando le sue parole con una scrollata di spalle: «Ma a volte non abbiamo molta scelta... lo so che non potò tenerglielo nascosto per molto tempo, ma per il momento è l'unica soluzione che ho per non rimanere chiusa in casa senza futuro. Tu puoi capirmi, vero?».

Lui sorrise di rimando e annuì: «Vogliamo bene alle nostre famiglie, ma a volte non si rendono conto che il futuro è nostro e che dobbiamo essere liberi di prendere le nostre decisioni, anche se sbagliate».

«Tu almeno sei riuscito a dire a tuo padre che vuoi fare il medico... io non riesco neanche ad immaginare il giorno in cui parlerò con il mio a cuore aperto».

Will scrollò le spalle: «Non ho avuto molte alternative. Mio padre conosce più o meno tutti alla facoltà di economica e si sarebbe reso conto molto presto che il suo figlio maschio saltava le lezioni per andare a quelle di anatomia».

Agatha non riuscì a non ridere, immaginandosi il puro e perfetto Will che mentiva al padre e saltava le lezioni per seguire i suoi sogni. 

«Ed è stato difficile raccontargli tutta la verità?».

«Considerato che prima mi ha ordinato di scegliere la facoltà che mi consigliava lui, in seguito ha tentato di minacciarmi e poi ha tentato di diseredarmi, e ad oggi non mi parla neanche... direi che non è andata molto bene».

Prima però che Agatha potesse dispiacersene, lui si affrettò ad aggiungere: «Almeno però sono riuscito ad iscrivermi a medicina, ed ora faccio ciò che voglio».

Agatha avrebbe voluto avere la sua stessa sicurezza ed intraprendenza, eppure c'era ancora qualcosa che la bloccava. Sì, certo, aveva un lavoro e una certa indipendenza, ma non era proprio quello che desiderava.

«Ora però basta parlare di cose serie», aggiunse lui cambiando discorso e tornando a sorridere: «Mangiamo».

Scoprì i piatti che aveva fatto preparare dalla domestica della zia e visto che Agatha aveva una gran fame, non riuscì a dire di no di fronte ad un succulento arrosto dall'ottimo profumo.

Inoltre non mangiava un pasto decente praticamente da quando era salpata per l'America, e se Will si era accorto della sua gioia, non lo diede a vedere.

Come aveva chiesto il ragazzo, non parlarono più di cose triste o serie, ma continuarono a raccontarsi storie allegre sulla loro infanzia, per conoscersi sempre meglio. Era la parte che Agatha amava di più. 

Non erano giunti neanche a metà della loro cena che sentirono la campanella della porta suonare. Agatha aprì la bocca, sul punto di chiedere se ci fosse qualcuno nel negozio, ma Will alzò una mano e la zittì.

Un tonfo sonoro li fece sobbalzare dalla paura e si guardarono senza dire una parola. Nella loro espressione, la paura parlava più di mille frasi. 

C'era qualcuno nel negozio, e nessuno poteva assicurare loro che fosse lo zio di Will.

«Aspetta qui, vado a controllare», le sussurrò a voce bassa per non farsi sentire dall'intruso, prima di alzarsi con cautela. 

Ma non fece neanche in tempo a raggiungere la porta che anche Agatha si alzò e lo raggiunse, beccandosi un'occhiata di rimprovero.

«Resta qui, ti prego».

«Non se ne parla», scosse la testa con decisione, e ancor prima che lui potesse dire qualcosa, aggiunse: «Non ti lascio andare da solo... e non resto da sola qui».

Se Will era preoccupato che ci fosse un intruso nel negozio, di certo sarebbe stato ancora più preoccupato a lasciarla sul retro. 

Così acconsentì, prima di prende due scope e consegnarne una a lei. Erano le uniche armi che possedevano, e dovevano farsele andar bene.

Con lentezza e cautela, Will abbassò il pomello della porta, cercando di fare poco rumore, e accostò leggermente la porta. 

La prima cosa che vide, nello spiraglio che si era creato, fu una luce fin troppo accesa per essere causata da una sola candela. Ma non ebbe il tempo di comprendere cosa stava succedendo. 

Un altro rumore gli fece prendere il coraggio e spalancare la porta in tempo per vedere un ombra che gli dava le spalle e che correva verso l'uscita del negozio con qualcosa di grosso in mano.

Non ebbe neanche la forza di rincorrerlo, perché mentre l'uomo li chiudeva dentro, il resto del negozio stava prendendo fuoco. 

Tutto intorno a loro, a dividerli dall'uscita, un semicerchio di fiamme rosse, gialle e arancioni che pulsavano e si alzavano sempre di più verso il soffitto. 

Fece un passo indietro, allungando una mano alla sua sinistra per impedire ad Agatha si sporgersi all'interno della stanza e scottarsi. 

«Oh mio Dio», la sentì sobbalzare, coprendosi la bocca con la mano, mentre il fuoco le illuminava in modo inquietante il volto preoccupato.

Per qualche istante rimase entrambi fermi ad osservare il disastro davanti ai propri occhi, senza riuscire né a parlare né a muoversi.

«Usciamo dal retro, corri», la incitò lui, riprendendosi dal torpore causato dalla paura, ma non appena si voltarono, con l'intento di fuggire verso l'unica via di fuga che avevano, si ritrovarono ad osservare un secondo incendio, divampato proprio davanti alla porta di uscita sul retro, a sbarrare anche quella strada. 

Era accerchiati dal fuoco, circondati da molti prodotti infiammabili, e senza poter fuggire, mentre il fuoco avanzava e l'aria di faceva irrespirabile.

«Siamo in trappola», constatò Agatha, prendendogli la mano. 



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