Capitolo XXXVII

La mattina dell'appuntamento con Will, Agatha era troppo ansiosa e felice per rendersi conto della faccia distrutta di suo fratello.

«Quando torni possiamo parlare?», le aveva detto, cercando di sorriderle e desideroso solo di non rovinarle la bella giornata.

Lei aveva annuito, un po' preoccupata dalla sua espressione, ma alla fine era uscita di casa insieme al padre, dimenticandosi per un paio di ore il problema di Connor.

Raggiunsero Will al parco dove avevano fatto il pic nic insieme ai suoi amici dell'Università, e anche se l'autunno iniziava a farsi sentire, con il suo vento imperioso, ad Agatha faceva piacere passare un po' di tempo all'aria aperta. 

Camminarono lungo il sentiero, l'uno accanto all'altra, con il padre che, a qualche metro di distanza, li seguiva e li teneva d'occhio. 

C'era un po' d'imbarazzo tra i due, forse anche a causa di quella presenza costante e vigile, che si palesò subito con minuti interminabili di silenzio.

Lei si sistemava le lunghe gonne chiare, in cerca di pieghe invisibili, e si aggiustava di continuo i guanti in pizzo ricamati dalla madre, anche se in realtà non c'era niente che non andasse nel suo aspetto. 

Mentre lui, con le mani nelle tasche dei pantaloni, guardava fisso le sue scarpe nere e lucide, a testa bassa. 

Agatha si era immaginata una situazione ben diversa ma non era neanche il tipo di fanciulla che aspetta l'uomo, prima di intervenire o prendere una decisione. E visto che lui non sembrava propenso a parlare, lo fece lei.

Voltandosi per fissarlo, mentre ancora passeggiavano, chiese: «Allora, come procedono le lezioni?». Negli ultimi tempi non avevano più parlato molto, né degli studi di Will, né dei suoi amici. 

Lui sembrò quasi rincuorato dall'iniziativa di Agatha: «Bene, direi... potrei perfino aver trovato un lavoro con uno dei miei professori», si azzardò a dire, un po' titubante.

Nella sua famiglia, solo gli zii si interessavano veramente ai suoi studi di medicina, mentre il resto della famiglia non mostrava mai eccitazione per i suoi progressi.

E cresciuto in una casa dove fare soldi era più importante che cercare di salvare vite, Will si era convinto che nessun altro potesse reputarlo un ragazzo in gamba.

Perciò rimase sorpreso, e anche felice, quando Agatha gli prestò attenzione, quasi più fiera e contenta di lui: «Parlamene, ti prego, voglio sapere tutto».

E fu così che Will le raccontò del professore di medicina legale, un certo dottor Bell, che lo aveva preso sotto la sua ala protettrice. 

«E' un tipo strano», le aveva detto, con tono di ammirazione: «Passeggia sempre per i corridoi dell'edificio con aria pensierosa e a volte sembra che borbotti fra sé... qualcuno pensa che sia matto, ma io credo che sia semplicemente peculiare. E un genio, ovviamente».

Il dottor Bell gli aveva offerto un lavoro al suo laboratorio proprio per imparare sul campo il mestiere, e Will sembrava faticare a crederci anche mentre ne stava parlando con Agatha.

«Gli ho detto che ci avrei pensato... che gli darò una risposta la prossima settimana».

«Perché? Hai intenzione di rifiutare l'offerta?», Agatha non riuscì a nascondere la sua sorpresa: «Non sarà forse a causa dei tuoi genitori, vero?».

Lui si affrettò a scuotere la testa, ma ancora dubbioso parlò: «E' che non credo che  analizzare i morti sia il mio campo... Insomma, ancora non so bene di cosa voglio occuparmi, ma se penso ad un futuro, mi vedo a prendermi cura di pazienti vivi».

Agatha non poteva comprendere a pieno il suo dilemma, ma comprese dal tono della sua voce che era davvero in difficoltà per quella scelta che lui reputava molto importante.

«Fare il praticantato con il dottor Bell t'impedirà poi di scegliere una strada diversa da quella di medicina legale?».

Lui ci pensò su qualche istante, mentre il desiderio di Agatha di comprendere sempre di più che funzionava una facoltà universitaria cresceva con il tempo che passava.

Parve perfino molto indeciso su cosa risponderle, massaggiandosi il mento completamente rasato con la mano: «Non credo, no».

«E allora devi accettarlo», aveva asserito lei qualche istante dopo averlo sentito parlare, senza neanche pensarci su. 

«Ne sei sicura?».

Agatha annuì: «Devi farlo, Will, è un occasione imperdibile, non puoi lasciartela scappare. E quando un giorno avrai scelto la tua strada, il lavoro con il dottor Bell ti tornerà utile, vedrai».

Non riusciva a smettere di guardarlo e a sorridere, fiera come se quel traguardo fosse il suo. E un po' lo era. Perché ci teneva a quel ragazzo silenzioso e timido, e voleva per lui tutto il meglio. 

E anche perché, una piccola parte di lei, già sentiva nelle orecchie: La moglie del dottor Preston. Ma questo ovviamente non lo avrebbe mai rivelato a Will.

Qualche ora più tardi, e tanti convenevoli, dopo, Agatha e suo padre avevano lasciato Will e si era diretti verso casa. 

Lei non riusciva a smettere di pensare ad ogni singola parola che si erano detti, dimentica perfino di tutto ciò che la circondava, e di sicuro dimentica dell'uomo che le camminava al fianco e la scrutava attentamente.

«Avete molta confidenza, tu e quel ragazzo... Dove hai detto che vi siete incontrati?», chiese lui ad un certo punto. E il suo tono di voce profonda la distrasse dai pensieri.

«Come, scusa? Non ho sentito», ammise lei, vergognandosi un po' per la distrazione e cercando di nascondere con un ciocca di riccioli rossi quanto le sue orecchie si fossero arrossate.

«Hai detto di aver conosciuto il signor Preston alla drogheria, giusto?».

Ancora poca attenta di fronte alla curiosità del padre, Agatha si limitò ad annuire senza far troppo caso alla domanda. 

«Mi sembrava troppo in confidenza per averlo visto qualche volta, non trovi?».

Solo in quel momento Agatha si rese conto che il padre si stava insospettendo, anche se mai avrebbe potuto immaginare cosa fosse realmente successo tra di loro.

 E non ebbe molto tempo per programmare una risposta degna di questo nome, così fu costretta ad improvvisare: «Ma no, papà, è una vostra impressione... Qui nel nuovo mondo i giovani sono molto più moderni, rispetto all'Irlanda, non c'è niente di male».

Per tutto il tempo Agatha aveva la certezza che il padre la stesse osservando, valutando probabilmente la veridicità delle sue parole. E alla fine dovette crederle perché le spalle e asserì: «Sarà come dici tu».

Non era del tutto convinta di averlo persuaso ma si lasciò comunque andare a un leggero sospiro di sollievo, senza farsi troppo notare, mentre cambiava discorso con una tattica che aveva ormai appreso anni prima. Se Fergus si accorse di qualcosa non lo diede a vedere. 

Quando raggiunsero il loro palazzo, Connor li stava aspettando davanti al portone. Un'abitudine che ormai stavano prendendo tutti coloro che in famiglia volevano un po' di intimità.

Strano come si pensasse di poter parlare più liberamente in mezzo ad una strana trafficata dei Five Points piuttosto che dentro la catapecchia che i Murray chiamavano casa. 

Fergus non chiese perché il figlio maggiore li stesse aspettando, né tanto meno perché volesse parlare da solo con la sorella. E non fece neanche domande sul suo aspetto, che ricordava palesemente quello di un uomo triste. 

Lo guardò solo da capo a piedi, e mentre lo sorpassava, gli mise una mano sulla spalla e gli sussurrò qualcosa che Agatha non riuscì a sentire. Vide solo Connor sorridere flebilmente e annuire, più rassicurato dalle parole del genitore.

Rimasti soli, fu poi lei ad incitarlo a parlare: «Si può sapere che ti è successo?».

La preoccupazione per il fratello era tornata a galla, una volta lontana da Will e dal loro bellissimo incontro. 

«Ti avevo promesso che avrei sistemato le cose, ricordi?», iniziò li, facendo riferimento alla mattina che era tornato, visibilmente sfatto, dopo aver passato la notte fuori casa. 

Non c'era bisogno di troppe parole, Agatha sapeva bene dove era stato quella notte - anche se non sapeva con chi - e sapeva bene cosa intendesse il fratello con "sistemare le cose".

Eppure rimase ad attendere ulteriori spiegazioni che arrivarono comunque presto: «Ho chiesto la sua mano al fratello».

Aveva lanciato quella notizia come se fosse una bomba, ed Agatha non riuscì a trovare subito le parole per rispondere. Un po' perché non sapeva cosa dire, un po' perché si era aspettata un minimo di contesto da parte di suo fratello.

«Si può sapere chi è la fortunata?», chiese qualche istante dopo essersi ripresa, con un sorriso che voleva intendere fosse felice per suo fratello, anche se la decisione era nata da una notte sconsiderata.

«Una cantante con cui lavoro al locale, ma non è importante...», il tono di voce di Connor era diventato piatto, monocorde, come se l'indifferenza di fosse impossessata definitivamente di lui.

Agatha lo fisò sorpresa: «Ma che dici? E' della tua futura moglie che stai parlando».

E a quel punto Connor scoppiò in lacrime: «No, perché lei non ha accettato la mia proposta».

La sorella non si sarebbe mai aspettata un finale simile e non riuscì a mascherare la sorpresa, mista ad un po' di rabbia nei confronti della fanciulla che faceva soffrire suo fratello e tristezza per le lacrime che Connor stava versando.

 A quel punto la sua reazione fu una sola: Colmare la distanza che li separava e abbracciarlo più forte che poteva. In quel momento il suo unico obiettivo era fargli sentire tutta la sua vicinanza. 

«Non curartene, Connor, è lei ad averci perso, non tu. E sono sicura che prima o poi se ne pentirà», gli sussurrò all'orecchio, consapevole che le sue erano solo parole e che in fondo non c'era nulla che potesse fare per farlo sentire meglio.

Lui infatti scosse la testa in modo energico: «A questo punto, penso di essere proprio io il problema».

Era la prima volta che lo sentiva parlare in quel modo e così Agatha lo prese per le spalle e si allontanò dal suo abbracciò quel tanto che bastava per guardarlo in faccia. 

«Ma di cosa parli? Connor tu non hai nessun problema...».

«E allora perché quando vi ho lasciati, sulla strada per il porto, e sono corso da Annabelle, per chiederle di sposarmi, per rivelarle tutto il mio amore per lei, ho scoperto che in realtà aveva accettato la proposta di matrimonio di un altro? Lei sapeva che ero intenzionato a chiedere la sua mano al padre, e non mi hai mai rivelato di avere un secondo pretendente... ovviamente di buona famiglia e con prospettive migliori delle mie».

La rivelazione lasciò Agatha scioccata per qualche istante. Sapeva che il fratello aveva cambiato idea e deciso di seguirli per qualche motivo, ma mai avrebbe pensato che la colpa potesse essere di Anabelle.

Connor approfittò di quel suo momento di distrazione per liberarsi dalla sua presa con un movimento brusco e fare due passi indietro. 

Disperato, e anche un po' adirato, si mise una mano nei capelli e li arruffò: «E avrei dovuto aspettarmi un rifiuto da parte di Cornelia. Se la vedessi anche tu penseresti che non ho possibilità con lei».

«Ma che dici? Connor, per favore, smettila», lo redarguì Agatha, che mai in vita sua lo aveva visto così triste e così poco sicuro di sé.

Certo, tra i due lui era sempre stato quello con la testa sulle spalle e i piedi per terra, ma mai si era lasciato andare allo sconforto più totale. Anzi, era stato la guida e la roccia costante per lei. 

«No, Agatha, sono stato un stupido. Lei vive nell'agio, circondata da uomini che per un suo sguardo le regalano gioielli e vestiti... mentre io non sono riuscito neanche a donarle un anello degno di questo nome».

Tirò fuori dalla tasca il gioiello in questione e con tutta la rabbia che aveva in corpo lo lanciò lontano, dentro una pozzanghera di fango. Poi si volò di scatto ed entrò in casa pieno di amarezza e sentimenti repressi, lasciando Agatha da sola con il pensiero di non essere riuscita a fare nulla per aiutarlo.

E sentendosi molto inutile, andò alla ricerca dell'anello come se fosse un o' pazza. E in effetti cercare un gioiello non tuo dentro ad una pozza di fango non è proprio da persone malate. 

Eppure quando lo trovò e lo tirò fuori dalla melma, felice nonostante i guanti ormai sporchi, lo ripulì con la sua sottogonna, ancora più indifferente del disastro e lo guardò fiera.

«Lui non lo sa, ma un giorno potresti tornargli utile», disse all'oggetto, proprio come una pazza, mentre tutta tronfia se lo infila in tasca. 

Proprio mentre stava per tornare a casa, con la coda dell'occhio vide due figure che conosceva bene e si voltò per osservare meglio.

Nel vicolo non troppo lontano, Loran e Kale si stava fronteggiando, l'uno davanti all'altro e non sembrava una chiacchierata amichevole tra due cugini.

«Ti ho visto, lo so che sei stato tu. Si può sapere che cosa hai nella testa? Segatura?», stava dicendo Loran che aveva perfino preso per il colletto della giacca il cugino e lo stava scuotendo leggermente come a volerlo svegliare da un torpore.

Ma Kale sembrava quasi assente, mentre lo fissava con un sorriso sornione: «Calmati, non sono affari tuoi».

Con uno strattone deciso e un gesto della mano era poi riuscito a liberarsi senza il minimo sforzo, si era sistemato la giacca e se ne era andato come se nulla fosse successo. 

E visto che Loran si era voltato anch'esso, per tornare verso casa, per non essere scoperta in procinto di origliare una conversazioni privata, era corsa al portone ed era rientrata in casa fingendo di non aver visto nulla. 

In testa però, mille domande che non avrebbero ottenuto risposta. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top