Capitolo XXXV

L'alba era sorta già da un po' sulle strade putride dei Five Points e in tutto il resto della città, e Connor sapeva di essere nei guai. 

Si era svegliato tardi, troppo tardi, dentro un letto che non era il suo, con al fianco la bella Cornelia. E avrebbe voluto essere felice del fatto di potersi assaporare un risveglio così piacevole, ma i sensi di colpa si fecero sentire appena aveva aperto gli occhi.

Non era stato educato così da suo padre e mentre si rivestiva in fretta e furia, cercando di farlo in silenzio per non svegliare la fanciulla, la sua voce perentoria gli risuonava nella testa. 

Per quanto a volte non si era trovato in accordo con le idee del genitore, quella mattina sentiva di concordare con le sue opinioni. 

E per quanto non riuscisse a non sentirsi sporco e sbagliato, tentò invano di uscire da casa di Cornelia senza essere visto da nessuno. Impresa che si rivelò impossibile. 

Con ancora una parte del suo vestiario tra le braccia, sgattaiolò fuori dalla camera da letto, lasciando la ragazza nel profondo dei suoi sogni. Ma non riuscì ad andare troppo lontano, infatti riuscì a malapena ad attraversare il corridoio, con l'intento di raggiungere la porta.

«Buongiorno», una voce profonda, con un forte accento tedesco, lo fece saltare dallo spavento e quando si voltò, con estrema lentezza, incrociò gli occhi serafici di Burk Schulz, il fratello di Cornelia, che lo fissava da oltre le pagine di un giornale, seduto al tavolo della sua colazione.

Avrebbe dovuto dire qualcosa, ma era un momento così imbarazzante che rimase in silenzio, in mezzo al corridoio, a fissarlo dalla porta che conduceva al salone, sapendo di essere in una situazione compromettente.

Per tutta risposta Burk posò il giornale, permettendogli di vedere anche il resto del volto fino a quel momento coperto e stranamente stava sorridendo. A prima vista non sembrava infastidito o contrariato. 

Come se quella scena non fosse nuova per lui. E infatti aggiunse soltanto: «Ci vediamo stasera al locale, ricordi? Devi suonare...».

Ancora scioccato da quello che era appena successo, Connor riuscì solo ad annuire, guardandolo come se si aspettasse - e credesse di meritare - una punizione per quello che aveva fatto.

Eppure riuscì ad uscire da quella casa in illeso, anche se sapeva che in altre situazione avrebbe rischiato perfino la sua vita. 

E ancora stupito e interdetto, corse a casa, con la consapevolezza di essere in ritardo e che se fosse stato scoperto da suo padre, di certo non lui non avrebbe avuto la stessa reazione di Burk. 

Davanti alla porta di casa, però, trovò suo sorella Agatha, seduta sul gradino dl marciapiedi, che all'apparenza sembrava assorta, ma che in realtà stava aspettando lui.

Se ne accorse perché non appena lo vide, si alzò si scatto e con le mani sui fianchi esordì: «Dove diavolo sei stato?».

Domanda retorica, considerato che era ancora tutto spettinato, il colletto della camicia in disordine, la cravatta sciolta e il profumo di Cornelia aveva impregnato così tanto i suoi vestiti che poté percepirlo perfino lei. 

Agatha forse era inesperta e ingenua, ma di certo non stupida e la sua espressione, da furiosa tramutò in contrariata. Per qualche istante a Connor sembrò quasi di vedere suo padre. 

«Connor...», bastò solo chiamarlo per nome, con un tono che lasciava intendere tutto ciò che pensava, per far sentire ancora più in colpa suo fratello.

«Lo so, lo so...l'ho combinata grossa», si confidava spesso con sua sorella, ma quella volta non aveva proprio voglia di entrare nei particolari.

Non solo perché sapeva di aver fatto una cosa molto sbagliata - e il giudizio di Agatha era fondamentale per lui - ma anche perché era in imbarazzo. 

Certe cose intime era meglio non condividerle con la sorella. E per fortuna lei non fece alcuna domanda, comprendendo immediatamente e di certo poco propensa a conoscere i dettagli.

Si limitò a fissarlo con uno sguardo di rimprovero per qualche istante, come avrebbe fatto suo padre, ma gli fece la paternale come si era aspettato. Doveva aver visto i sensi di colpa nel suo sguardo e perciò aveva deciso che Connor si stava già punendo da solo.

«Ti ho coperto con papà», affermò alla fine, lasciando ricadere le braccia sui fianchi, un po' più rilassata e smettendo di guardarlo come se lo stesse giudicando.

«Si è accorto che non ero in casa?».

Lei alzò gli occhi al cielo, e con sarcasmo aggiunse: «Certo che se ne è accorto, dormiamo tutti nella stessa stanza...».

In una situazione diversa Connor avrebbe sorriso, ma non ne aveva il coraggio. 

«Gli ho detto che sei tornato molto tardi ieri sera, mentre già dormiva, e che sei uscito molto presto questa mattina perché Martin ti aveva chiesto di fare un lavoretto per lui», continuò lei, serafica e seria. 

«E ci ha creduto?», suo padre era molte cose, ma non di certo intuitivo. Gli voleva bene, e per la famiglia faceva davvero tante cose, ma non era in grado di cogliere i segnali e di capire quando un figlio lo stava prendendo in giro.

«Credo di sì, ma dovrai lavorare molto di più al locale per guadagnare i soldi che Martin, in teoria, ti ha offerto per questo lavoro».

«Grazie», disse soltanto Connor, con un tono di voce più sereno, lasciandosi andare perfino ad un sorriso tenero per lei.

Si avvicinò e le baciò una guancia con trasporto, riuscendo ad intravedere un sorriso anche sul volto della sorella. 

In quel momento Loran uscì dall'edificio: «Andiamo?», le chiese salutando Connor con un leggero cenno del capo ma senza fare alcuna domanda. 

Lei annuì semplicemente al ragazzo biondo mentre si rivolgeva al fratello tornando ad un tono serio: «Devi risolvere la faccenda, intesi?».

Sapevano entrambi a cosa si stava riferendo e non ci fu bisogno di ulteriori spiegazioni. Ancora una volta Connor si ritrovò a concordare con lei ma si limitò solo ad annuire, dispiaciuto come se avesse fatto un torto a tutta la sua famiglia.

Agatha gli riservò un sorriso d'incoraggiamento e lo abbracciò. Bastarono quei due gesti per fargli capire che nonostante tutto, lei gli avrebbe sempre voluto bene e che confidava avrebbe risolto ogni problema.

Si lasciarono così. Connor rimase ancora qualche istante accanto alla porta, ad osservare sua sorella Agatha che si allontanava, accompagnata da Loran, pronta ad affrontare un altro turno di lavoro.

E ciò che ricordò che anche lui aveva un impiego e così si sbrigò a tornare in casa, per prepararsi ad affrontare un'altra pesante giornata. 

Sua madre non gli chiese nulla ma lo squadrò all'entrata, intuendo senza però mettere bocca. Al contrario del marito era molto più brava a percepire i segnali, ma spesso aspettava sempre che fossero i figli a farsi avanti.

E anche quel giorno si limitò a dargli il buongiorno, a chiedergli se volesse qualcosa da mangiare e a dargli un buon augurio per la giornata quando Connor corse via, prima di far tardi al suo turno in cantiere.

Il rumore del vetro che s'infrangeva a terra, in mille pezzi, la riportò alla realtà, strappandola si suoi pensieri. Sussultò e abbassò lo sguardo per osservare il vasetto che le era caduto.

Un secondo dopo si stava chinando per cercare di rimediare al suo errore mentre affermava: «Mi dispiace molto... scusate», rivolta più che altro a Joe che già le stava rispondendo: «Non importa, Agatha, cose che succedono».

Will era accorso subito al suo fianco per darle una mano, chinandosi al suo fianco e aiutandola a raccogliere i cocci: «Tutto bene?», le chiese a bassa voce, sperando che lo zio non lo sentisse, troppo intento a servire la cliente appena entrata.

«Certo», mentì lei, ma lo fece così in fretta che il suo tono suonò strano e falso perfino alle sue orecchie. Perciò non si stupì quando il ragazzo insistette: «Ti vedo un po' distratta, oggi».

«Problemi di famiglia», fu la breve risposta che ottenne Will, insieme ad una scrollata di spalle, segnale che Agatha non aveva voglia di parlarne.

Non perché non volesse confidarsi con lui, ma solo perché non era convinta che fosse giusto rivelare i segreti di suo fratello. 

Era lui infatti che occupava i suoi pensieri e le impediva di concentrarsi su altro. Per quanto avesse piena fiducia in Connor, ed era consapevole che fosse un bravo ragazzo, era comunque in apprensione.

E più cercava di non pensarci, più in realtà le tornava in mente, impedendole di godersi la giornata come avrebbe voluto.

Will lo aveva capito, che c'era qualcosa che la turbava, e tentò a suo modo di tirarle un po' su il morale: «Spero ti farà piacere sapere che mi sono già accordato con tuo padre per il nostro primo appuntamento».

Suo padre lo aveva accennato proprio quella mattina, ma non avevano avuto tempo di parlarne per bene. Un po' perché in quella casa era impossibile ottenere un po' di intimità, un po' perché Fergus andava di corsa. 

«Mi fa molto piacere», questa volta per Agatha non fu difficile sorridere, anzi, le venne così spontaneo che tutto il suo volto s'illuminò.

Le loro mani si sfiorarono delicatamente mentre raccoglieva i cocci, per solo un'istante, ma ad Agatha parve come se il tempo si fosse fermato. 

Si sentiva strana e leggera quando Will la guardava con il suo volto pulito e sorridente, e le piacevano le sensazioni che era in grado di donarle la sua compagnia. 

Non si era mai sentita in quel modo, come se potesse volare a qualche centimetro da terra, ma allo stesso tempo non riusciva a non pensare al fatto che c'era un'altra persona che, negli ultimi tempi, le regalava sensazioni mai provate.

In modo diverso, certo, ma Loran era comunque una presenza costante e piacevole e si stupiva di quante volte nell'arco della giornata la sua mente tornasse al ragazzo, anche inconsapevolmente.

L'Irlandese occupava i suoi pensieri anche in momento impensabili. Come quello, mentre stava accendo un invito da parte di Will.

Pensava a quanto il ragazzo della drogheria fosse carino e gentile, ma allo stesso tempo non riusciva a smettere di paragonarlo a Loran. 

I due erano completamente diversi, anzi, era più esatto affermare che erano agli antipodi, e proprio per questo Agatha non riusciva a capire come fosse possibile pensare ad entrambi.

Loran era sbagliato sotto ogni punto di vista, mentre Will era perfetto per lei, come se fosse il pezzo mancante nella sua vita. 

E per questo era felice di poter passare del tempo con lui, e ancora di più quando aveva scoperto che anche Will era interessato a lei, al punto da chiedere il permesso a suo padre. 

A questo doveva pensare e concentrarsi per evitare che Loran tornasse, quasi con prepotenza, ad occupare i suoi pensieri. 

Quella sera a casa Murray/Doyle, c'era uno strano clima. Loran fissava la sedia vuota di Kale come il cugino fosse lì e avesse fatto qualcosa di sbagliato. La signora Murray aveva più fame del solito, ma quella in realtà non era una cosa tanto strana. 

Ed Agatha era indecisa tra l'essere contenta per l'appuntamento con Will, che si sarebbe tenuto quel sabato, o preoccupata per quello che aveva visto la mattina.

Per questo continuava a lanciare occhiate al fratello, cercando di capire che cosa avesse in mente. Peccato che Connor evitava d'incrociare il suo sguardo, mangiando con la testa bassa, un boccone dopo l'altro.

Era particolarmente in silenzio perché sperava di poter scongiurare qualche domanda sconveniente dal padre.

«Come è andata questa mattina, Connor?», chiese suo padre, all'improvviso, colmando quello strano silenzio con la sua voce. 

Il figlio alzò la testa di scatto, fissando prima sua sorella e poi il padre, in leggera apprensione. 

«Con il lavoro di cui mi parlava Agatha...», continuò Fergus, vedendo uno sguardo confuso e interrogativo sul volto del figlio. 

Non si accorse però del sospiro di sollievo che tirò Connor prima di mentire con estrema bravura: «E' andato tutto bene».

Restò sul vago, senza specificare nulla proprio per evitare di sbagliare, ma Fergus non si accontentò: «Spero ti abbia pagato il giusto».

Connor annuì soltanto, riempendosi la bocca di cibo per evitare di parlare e affrettandosi con l'intento di finire prima per poter uscire e allontanarsi da casa e da suo padre. Più tempo passava lì più le probabilità di tradirsi aumentavano.

«E credi che avrà bisogno dei tuoi servizi anche in altre circostanze?», in una situazione diversa Connor si sarebbe insospettito di fronte alle tante domande del padre. Ma comprese che in realtà era solo preoccupato per i soldi.

Non poteva certo biasimarlo. Anzi, fu grato che il genitore fosse così occupato a pensare al guadagno da non accorgersi che il figlio maggiore stava mentendo.

«No, non credo», tagliò corto lui, guardando la sorella e cercando di trasmetterle, senza parlare, quello che stava pensando.

Voleva che lei sapesse che avrebbe risolto il problema, che si sarebbe preso la responsabilità dei suoi errori e che aveva già in mente come farlo.

In risposta sua sorella si appoggiò allo schienale della sua sedia, più rilassa, e mosse la testa leggermente per annuire. Quello era il segnale che aveva compreso e che si fidava. 

«Peccato, qualche soldo in più ci faceva comodo», sentì dire a suo padre, confermando la sua teoria e facendo di nuovo cadere la tavolo nel silenzio strano di poco prima. 

Spazio autrice:

Buonasera a tutti! Come state?

Connor l'ha combinata grossa, anche se non tutti sembravano preoccupati. Lui ovviamente lo è e sembra anche deciso a risolvere il casino creato. Come?

Lo scopriremo mercoledì prossimo,

Chiara 😘

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