Capitolo XXXIII
Quando in casa c'erano tutti, come nel fine settimana, Agatha iniziava a sentire un po' di disagio.
Troppo poco spazio e troppe persone. Alcune delle quali molto moleste.
Una parte di lei, la più ottimista, era convinta che prima o poi si sarebbe abituata. E invece non riusciva a smettere di pensare a quando spazio invece avevano nella loro casa in campagna in Irlanda.
Da qualche giorno Kale aveva preso la brutta abitudine di fumare la pipa, rigorosamente all'interno dell'appartamento.
E da quando Agatha gli aveva chiesto di uscire, per evitare di intossicare tutti quanti, lui fumava all'interno ancora più intensamente.
Sembrava divertirsi a farla innervosire e più volte era stata sul punto di tirargli un piatto addosso.
«Io non lo sopporto più», sbottò a voce bassa, rivolta alla sorella, in piedi accanto ed entrambe intente ad asciugare i piatti e le posate.
Non c'era neanche bisogno di precisare a chi si stesse riferendo, era ben chiaro dall'occhiata omicida che gli lanciava.
«Lo sa che non voglio che fumi in casa e lui che fa? Si comporta così solo per indispettirmi... Guardalo!», con un leggero cenno del capo indicò alla sorella il diretto interessato.
Kale sedeva al tavolo con una certa spavalderia, come se fosse il padrone del mondo, e in faccia aveva un sorriso di sfida.
Le dava sui i nervi anche solo la sua esistenza: «Si comporta di proposito come un gran maleducato, proprio davanti a me. Lo odio, odio stare qui», era ben consapevole di avere un atteggiamento da bambina, ma non si faceva scrupoli a mostrare quel lato di sé a sua sorella.
Era l'unica che non l'avrebbe mai giudicata, anzi.
Ma Molly sembrava piuttosto preoccupata del tono di Agatha, tanto da abbassare ancora di più la voce mentre affermava: «Non piacciono neanche a me i Murray, ma se fossi in te non parlerei troppo male di Kale davanti a lui».
Il tono di cose era ansioso e quando Agatha si voltò a fissare la sorella la vide un po' pallida e in tensione: «Non ho paura di lui».
«Dovresti, Agatha», la redarguì la sorella minore, facendosi ancora più piccola, forse nella speranza vana di non essere vista da Kale.
«Kathleen lo ha visto in giro molto spesso con Malone e i suoi... sembrerebbe che sia entrato a far parte del suo gruppo. E quella è gente pericolosa...».
In risposta Agatha sbuffò, ma comunque tenne la voce bassa per non farsi sentire: «Kale non incute affatto terrore... è solo un maleducato, cafone e privo di classe che gonfia il petto e vorrebbe darsi un tono».
Non riuscii a non guardarlo mentre aggiungeva: «Per questo si è accostato ad un tipo come Malone, perché sa che da solo non vale nulla».
Anche Molly si fissò a guardarlo, sicura del fatto che in quel momento Kale era distratto a chiacchierare con il cugino e che quindi non poteva fare caso a loro.
Cercò di intravedere dal suo aspetto la descrizione che aveva fornito sua sorella qualche istante prima, come se il suo viso o il suo modo di fare potesse essere indicatore di certe scelte.
Non parve molto convinta mentre affermava: «Io comunque lo trovo inquietante... In realtà, a pensarci bene», iniziò lei pensierosa, spostando il so sguardo da Kale al cugino: «Tutti i Murray sono un po' inquietanti».
«Non saprei», anche Agatha spostò i suoi grandi occhi su Loran, ma evidentemente ci vedeva qualcosa di diverso rispetto alla sorella: «Lui non è tanto male, una volta che inizi a conoscerlo meglio».
Non aveva il coraggio di sbilanciarsi troppo, perché ancora si vergognava di certi pensieri perfino con sua sorella Molly, che effettivamente si voltò a guardarla con espressione sbalordita.
«Stai scherzando? Kale forse ti guarda come se fossi un pezzo di carne, ma Loran ti guarda come se tu fossi la luna...».
Proprio in quel momento Loran le guardò e, notandole, sorrise ad entrambe con gentilezza. O almeno questo è quello che vide Agatha.
«Ora che ci penso», aggiunse Molly dopo aver salutato Loran con la mano per non destare troppi sospetti: «Kathleen pensa che sia romantico avere uno spasimante che ti guarda come Loran fissa te».
Agatha era sul punto di chiederle cosa invece pensasse lei, perché di rivelarle la sua opinione non aveva il coraggio, ma la sorella la precedette facendo spallucce e chiudendo la conversazione dicendo soltanto: «Secondo mamma sono troppo piccola per capire queste cose... quindi non saprei».
Si voltò, dando le spalle alla sorella, e tornò ad asciugare le forchette e i coltelli, lasciando Agatha sola con i suoi pensieri.
O almeno era quello che avrebbe voluto fare, riflettere su cosa pensasse veramente di Loran e della loro situazione. Ma non ne ebbe l'occasione, perché qualcuno bussò alla porta del loro appartamento.
Tutti si voltarono a guardare l'entrata, curiosi o stupiti, ma per qualche istante nessuno andò ad aprire, come se tutti aspettassero l'iniziativa di qualcun'altro.
Agatha si asciugò di corsa le mani sulle gonne del suo vestito mentre si affrettava ad annunciare: «Vado io», convinta che comunque Kale non avrebbe mai alzato il suo sedere dalla sedia.
E fu una fortuna per lei, visto che quando aprì la porta trovò davanti a lei la figura snella e intimidita di Will, con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo perso. Indossava un abito di buona fattura, ben tirato, e aveva i capelli ordinati e pettinati.
Lo stupore dipinto nei suoi occhi fu così palese che per un istante il ragazzo fu quasi in dubbio se farsi avanti o scappare via.
«Will, che ci fai qui?», sussurrò, senza farsi sentire dai presenti in casa, anche se suo padre aveva già allungato il collo per riuscire a vedere, dalla panca sulla quale stava riposando, chi stava parlando con la figlia.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, puntando con i suoi occhi le suole delle scarpe e si portò una mano a grattarsi la testa, quasi volesse sembrare indifferente, senza però riuscirci.
«Io...io... Buongiorno, Agatha, vorrei parlare con vostro padre», con un tono di voce leggermente più alto di lei, proprio per farsi sentire, e un po' balbettante, era tornato a darle del voi e ciò fu la prima cosa che Agatha notò tra tutte le stranezze.
Al sentirsi nominare, Fergus si alzò dal suo posto e si avvicinò, restando comunque in disparte a causa del poco spazio disponibile nei pressi dell'entrata.
«Agatha, che succede?», chiese, anche se aveva sentito bene la richiesta del loro ospite.
A quel punto la figlia si fece leggermente da parte, per poter permettere al padre di guardare bene Will e prima ancora di poter dire qualcosa, il ragazzo si fece avanti e porse la mano a Fergus.
«Piacere di conoscervi, signor Doyle, il mio nome è William Preston».
Il padre di Agatha colmò la distanza per potergli stringere la mano e allo stesso tempo osservarlo con attenzione. Sicuramente non gli sfuggì il suo aspetto curato e la sua educazione, ma si vedeva anche lontano un miglio che era perplesso.
Non quanto Agatha comunque, che avrebe voluto chiedergli cosa ci facesse a casa sua ma non poteva farlo davanti ai suoi genitori.
«Mi scuso per il disturbo, spero di non recare disagio ma avrei bisogno di parlare con voi, in privato se possibile», continuò Will, tremante ma risoluto allo stesso tempo, senza mai guardar Agatha in volto.
Lei però, non avendo gli occhi di nessuno puntati addosso, poté osservare Will con attenzione e notò che era rosso dall'imbarazzo e sudava freddo. Qualsiasi cosa stesse succedendo, lo metteva molto a disagio.
Fergus lanciò un'occhiata alla figlia, cercando qualche spiegazione silenziosa da lei, ma Agatha alzò le spalle in risposta e così lui fu costretto ad accettare l'offerta del ragazzo.
Entrambi uscirono fuori, lasciando tutti - o quasi tutti - con una domanda curiosa sulla punta della lingua.
Fergus era perplesso e anche un po' stanco a causa della settimana faticosa in cantiere, ma comunque seguì il ragazzo in strada, con mille domande che gli frullavano per la testa.
«Scusatemi, giovanotto, ma non so chi voi siate», esordì, sperando che quella strana situazione potesse finire in fretta, così da tornare a riposarsi.
Erano davanti al portone del loro palazzo, dove di certo Will non poteva avere l'intimità che aveva chiesto, ma avrebbe dovuto accontentarsi. Perché in quella zona non c'era un posto dove si potesse stare in pace e da soli.
Capì subito che in realtà la questione era complicata e che avrebbe richiesto la massima attenzione. E lo comprese da come il ragazzo si torturava le unghie delle dita e da come evitava di guardarlo.
Non era abituato ad incutere soggezione e la cosa gli dava anche un po' fastidio, per questo apparve un po' burbero mentre aggiungeva: «Giovanotto, perché mi avete fatto uscire da casa mia? Di cosa volevate parlarmi?».
Will si guardò attorno, come se avesse paura di essere ascoltato ma le persone che passavano di là avevano ben altro a cui pensare dei suoi problemi.
Così prese coraggio e ammise, tutto d'un fiato: «Sono venuto qui per chiedervi il permesso di corteggiare vostra figlia Agatha».
Fergus non riuscì a nascondere la sua sorpresa, e fu così colto all'improvviso che non riuscì a parlare. Non avrebbe saputo cosa dire.
«So che non mi conoscete ma vi posso assicurare che vengono da una famiglia rispettabile. Mio padre è un banchiere, studio all'università per diventare medico e m pago gli studi lavorando al negozio di mio zio, instancabile lavoratore...».
Ad un certo punto smise di ascoltarlo ma il ragazzo continuò a parlare, cercando di trovare quanti più pregi possibili in lui e nella sua famiglia.
Solo quando Fergus alzò una mano per zittirlo, il ragazzo smise.
«Quindi voi siete venuto qui da me, a chiedermi umilmente il permesso di corteggiare mia figlia, perché immagino ne siate innamorato... Giusto?».
Will annuì soltanto, incapace di proferire un'altra parola. Forse perché fino a quel momento aveva parlato fin troppo e aveva finito le parole.
Per qualche istante Fergus fu tentato di metterlo in difficoltà con qualche domanda scomoda, ma alla fine sorrise semplicemente.
«Dovrei valutare la cosa... Desidererei conoscervi meglio, sia voi che la vostra famiglia e soprattutto dovrò parlarne con Agatha. Se per lei andrà bene, con le giuste accortezze, penso che potrò dare il permesso a qualche uscita, ovviamente sotto mia sorveglianza».
Voleva apparire come un padre devoto delle regole e molto attento, ma allo stesso tempo non voleva sembrare troppo severo senza ancora aver conosciuto un potenziale marito per la figlia più grande.
Will prese un lungo sospiro di sollievo, felice della risposta ottenuta, e si lasciò andare perfino ad un sorriso: «E' tutto quello che chiedo, signore».
«Bene, ora che abbiamo stabilito quale situazione sia questa, se non vi dispiace, vorrei poter tornare in casa... ho lavorato tutta la settimana e sono molto stanco».
«Ma certo, si figuri. E' stato un piacere conoscervi», Will allungò di nuovo la mano, ora più rilassata, ma prima di stringerla, Fergus aggiunse: «Non volete entrare a salutare Agatha?».
Per tutta risposta Will ritrasse la mano e annuì, ancora una volta rimasto senza parole, accettando l'invito del padrone di casa.
«Dove avete conosciuto mia figlia Agatha?», chiese Fergus mentre riapriva il portone de palazzo per far entrare il suo ospite.
«Al negozio di mio zio, dove faccio il commesso... lei era con sua moglie», non entrò nei particolari, ricordandosi improvvisamente che Fergus era all'oscuro del lavoro di Agatha.
Quando rientrarono, Agatha era seduta al tavolo, al posto più vicino alla porta, e non appena sentì il minimo rumore, si alzò e andò loro incontro, con una domanda silenziosa ben visibilmente dalla sua espressione.
Ma nessuno dei due accontentò la sua curiosità, suo padre infatti disse soltanto: «William sta andando via, ma prima voleva salutarti».
E dopo un inchino e qualche convenevole davvero imbarazzante davanti a tutti, il ragazzo uscì dalla casa, lasciando Agatha con ancora più domande.
Avrebbe voluto parlarne subito con suo padre, e una parte di lei non si sarebbe preoccupata minimamente del fatto che non fossero soli.
Ma suo padre la precedette, prendendola per il braccio e portandola al piano di sopra, non prima di aver chiesto il permesso della signora Murray.
Era la prima volta che Agatha vedeva ciò che c'era in cima alla scala ma in realtà ne rimase delusa perché riuscì a scorgere solo un corridoio lungo ma buio e alcune porte chiuse. Notò però che la temperatura era più bassa rispetto al piano inferiore.
La parte più meschina di lei ne fu quasi felice, ma quella cattolica e buona invece si pentì all'istante di aver avuto un pensiero tanto cattivo.
«Tu sapevi che quel giovanotto era intenzionato a chiedermi di poterti corteggiare?», le chiese Fergus, all'improvviso, facendola tornare alla realtà.
Lì per lì Agatha rimase sconcertata, e fu quasi tentata di non credere alle parole del padre. Ma che motivo aveva lui per mentirle?
«No, non ne sapevo niente», affermò con sincerità e stupore.
«E a te fa piacere?».
Agatha non riuscì a non palesare la sua gioia con un grande sorriso, così vero da illuminarle gli occhi e da renderla ancora più bella: «Ne sarei felice».
Fergus la fissò perplesso: «Credevo che fossi interessata a Loran».
Non c'era alcun tono particolare nella sua voce, era solo un padre che stava cercando di capire cosa fare per il meglio della sua figlia femmina. E Agatha apprezzò il gesto.
«Per Loran non c'è alcun tipo d'interesse», asserì, cercando di sembrare sicura più a se stessa che con il padre: «Ma per Will invece sì».
Lui era gentile, lui era educato. La rispettava e l'ascoltava, la capiva e l'accettava. E soprattutto era convinta che sarebbe potuta essere felice con lui.
Era questo ciò che contava di più.
Spazio autrice:
E alla fine sembra che il piano di Loran stia funzionando... Anche se è troppo presto per dirlo 😏😏😏
Spero che il capitolo vi sia piaciuto,
A mercoledì
Chiara 😘
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