Capitolo XXIII
Connor era stranamente nervoso la prima volta che venne chiamato per sostituire il vecchio pianista.
Eppure aveva già suonato in quel locale, con un pubblico, perciò non comprendeva il motivo della sua ansia.
Forse perché per la prima volta suonava per soldi? Perché era un lavoro e voleva farlo al meglio?
Comunque, non faceva altro che ripetere a se stesso che sarebbe andato tutto bene, nella stanzetta dietro al palco che gli era stata offerta per prepararsi.
Il primo ostacolo che aveva incontrato era stato quello degli abiti.
Burk ci teneva che tutti i suoi dipendenti vestissero bene, eleganti e ordinati, ma non era stato disposto ad investire il suo denaro per un sostituto pianista che aveva sentito suonare una sola volta.
«È un vero spilorcio», gli aveva spiegato Jackson, il barista: «Ma, d'altronde, è così che si fanno i soldi, no?».
Connor non sapeva molto di business ma annuì, dando ragione al ragazzo.
Così era stato costretto a procurarsi da solo un abito adatto e, per quanto possedesse alcuni completi, nessuno gli sembrava adatto a quel ruolo.
Di comprarne uno nuovo non se ne parlava, non mentre stavano mettendo da parte ogni soldo guadagnato per una vita migliore.
E proprio quando sembrava disperato, Jesper arrivò un suo soccorso.
«Perchè non chiedi all'amico della carrozza?».
Connor, che di rado andava a chiedere favori - perfino ai suoi amici - non aveva pensato a Martin.
L'idea di bussare alla sua porta e domandargli un abito lo metteva a disagio, e quasi la scartò immediatamente.
Ma se c'era una cosa ancora più imbarazzante era presentarsi il suo primo giorno vestito male.
Si era fatto coraggio, alla fine, perché comunque del giudizio dell'amico di Agatha poco gli importava, e, rosso dalla vergogna, aveva bussato alla sua porta.
Martin si era comportato proprio come si aspettava. Lo aveva accolto nella casa della zia - che quel pomeriggio non c'era- con un grande sorriso, contento di vederlo, e si era subito messo a sua disposizione.
Anzi, sarebbe stato più opportuno affermare che saltava di gioia all'idea di fargli provare qualcosa e di usarlo - come aveva affermato - come una sorta di manichino da vestire.
E siccome Connor si era categoricamente rifiutato di fargli spendere soldi per abiti nuovi, il giovane padrone di casa aveva tirato fuori tutto il suo armadio.
«Sei più basso di me», lo aveva osservato da capo a piedi, passando subito ad un tono informale: «Ma posso sempre fare ritoccare qualcosa dal sarto».
A Connor non piaceva l'idea di tagliare e cucire quegli abiti così costosi, ma alla fine dovette per forza accontentare il suo benefattore.
Passarono il pomeriggio a provare abiti da grandi serate, si tutte le stoffe, i colori e i motivi e ogni volta per Martin c'era sempre qualcosa che non andava.
«Per cosa o per chi ti stai preparando?», gli aveva chiesto, guardandola dallo specchio mentre si provava il ventesimo completo.
«In realtà è per un lavoro...», gli raccontò come era andata, senza entrare troppo nei particolari, ma Martin parve soddisfatto.
«Frequento anche io quel locale», aveva annunciato quasi distrattamente, per poi aggiungere con tono serio: «È uno dei pochi posti dove non è richiesto fingere di essere una persona diversa».
Connor comprese solo in parte le sue parole, o per meglio dire, non entrò nel merito e decise che era questione troppo privata per farsi dare ulteriori spiegazioni.
Considerando anche che Martin tornò subito allegro e chiese: «Quando devi suonare? Mi piacerebbe venire a sentirti».
Non moriva dalla voglia di avere tra il pubblico troppe persone che conosceva e già erano sufficienti i suoi amici, ma Martin stava facendo tanto per lui, perciò si vide costretto a dire: «Domani».
«Oh cielo, dovrò contattare subito il sarto per le modifiche», era stata la sua unica risposta e Connor si era rilassato.
Sapeva che lo avrebbe visto tra il pubblico, ne era certo, ma non poteva farci nulla.
E forse, un po' di supporto in più poteva fargli bene.
Uscì da casa dell'amico di Agatha così stanco che gli era sembrato di aver lavorato in cantiere tutto il giorno, e invece aveva solo provato abiti per un paio di ore.
Martin gli assicurò che il giorno dopo avrebbe trovato il suo completo, pulito e ritoccato, al locale, e se ne andò un po' più fiducioso.
Così, il giorno dopo, mentre aspettava che il locale aprisse, si era guardato allo specchio per l'ennesima volta, constatando ancora che Martin aveva proprio buon gusto.
Anche se, più si scrutava e più pensava che non faceva per lui. Non era tipo da stoffe raffinate e vestiti eleganti.
Si sentiva come un pesce fuor d'acqua, nonostante il sarto di Martin avesse fatto un buon lavoro e il vestito gli calzava a pennello.
Dallo specchio vide la tenda che divideva il retro dal locale scostarsi per lasciar passare Cornelia e subito s'irrigidì.
Lei, che indossava un bellissimo abito chiaro, forse un po' troppo scollato ma molto elegante, e aveva un'acconciatura raffinata in testa, con alcuni riccioli biondi ad incorniciarle il volto felino, lo guardò attraverso il riflesso.
«Siete proprio molto elegante», annunciò con un sorriso d'incoraggiamento, in entrambe le mani teneva due bicchieri pieni di un liquido trasparente e ne porse subito uno a Connor che non esitò e lo prese.
Visto che lei si portò alla bocca il bicchiere e mandò giù quasi l'intero contenuto con fretta, Connor pensò che si trattasse di acqua.
Così la imitò ma non appena il liquido, che si era versato in gola con altrettanta voracità, gli bruciò il palato e poi lo stomaco, tossì.
Cornelia rise, divertita mentre lui posava il bicchiere su un mobiletto e si piegava a causa del dolore, rosso in volto.
«Non siete abituato a bere?», gli chiese, stupita, ma lui negò con la testa e, tra una accesso di tosse e l'altra provò a dire: «Credevo... fosse... acqua».
«L'acqua non scioglie i nervi tesi».
Quando Connor si rialzò in piedi, la fissò. Non gli sembrava affatto agitata, eppure si sentì più tranquillo all'idea che anche lei soffrisse di ansia da prestazione.
Più baldanzoso ma anche prudente, riprese il bicchiere che aveva lasciato e sorseggiò lentamente tutto il contenuto sotto lo sguardo curioso e attento della fanciulla.
Appoggiando una delle sue delicate e bianche mani sul fianco esile, gli sorrise in segno di sfida: «Non so se potrà farvi piacere, ma di là abbiamo riempito la sala».
Un senso di nausea s'impadronì di Connor che, non credendo alle parole di Cornelia, andò a vedere con i propri occhi. Scostando la tenda quel tanto che bastava per poter vedere il locale, quasi svenne alla vista di tutte le persone.
La stanza era piena, non c'erano più posti a sedere ai tavoli, ne tanto meno al bancone e tantissime altre persone erano in piedi, dove lo spazio lo permetteva.
«Credo che si sia sparsa la voce e sono tutti venuti ad ascoltare il giovane e geniale pianista che non ha mai studiato musica ma che suona divinamente», stava dicendo Cornelia, alle sue spalle, con un sorriso birichino, ma Connor non riusciva a prestargli attenzione, troppo nervoso e preoccupato.
Pensò di fuggire via, sfruttando una porta dietro la dispensa, che gli avrebbe permesso di non essere visto da nessuno, ma perfino le sue gambe si erano bloccate sul posto.
Tra la folla scorse alcuni volti ben noti, primo fra tutti quello di Martin. Sedeva ad un tavolo, insieme ad un altro signore - un po' più grande di lui e dall'aria altera - in prima fila e parlava con il suo accompagnatore.
O meglio, Martin parlava, gesticolando e sorridendo, mentre l'altro lo ascoltava in silenzio, sorseggiando dal suo bicchiere e lisciandosi distrattamente i baffi spessi.
Al bancone, dove Jackson serviva come quasi tutte le sere, i suoi amici sembravano sicuramente molto più contenti di lui. Si percepiva la loro eccitazione e la voglia di sentirlo ancora suonare e da come parlavano un gruppo di giovanotti, Connor intuì che si stessero vantando di conoscere il musicista.
Gli sarebbe piaciuto esserne contento, ma l'aspettativa che si era creata non faceva altro che innervosirlo ancora di più.
«Mi stavo chiedendo», continuò Cornelia, forse senza rendersi conto del malessere di Connor: «Se è vero quello che dicono Edward e Jesper su di voi».
Prese posto su un piccolo divanetto che era stato messo lì per far star comodi gli artisti prima di iniziare le performance.
Lui si voltò a guardarla senza dire nulla, ma con un'espressione confusa che lasciava intendere tutto ciò che stava pensando in quel momento, tanto che lei aggiunse: «Che avete imparato a suonare da solo».
Si era messa comoda, guardandolo dal basso con un'espressione curiosa, appoggiata con il braccio al bracciolo e le gonne del vestito sparse su tutto il cuscino.
Connor poteva sedersi sulla sedia proprio di fronte a lei, a pochi passi dalla sua sconvolgente bellezza, ma decise di rimanere distante. Lei lo spiazzava e lo imbarazzava anche.
Perciò si teneva a distanza, nonostante avesse voluto avvicinarsi sempre di più. Con le mani nascoste nelle tasche, cercò di non apparire troppo presuntuoso mentre affermava: «E' vero. Osservavo di nascosto le lezioni di un mio amico, ma ho imparato da solo».
Sapeva che era una cosa non comune, eppure per lui era sempre stato naturale. Forse proprio per questo non riuscì ad apparire fiero di quell'impresa. Tanto che nella sua famiglia solo Agatha era a conoscenza del suo talento.
D'altronde, nel loro piccolo paesino di contadini in Irlanda non serviva a nulla essere un bravo pianista o avere orecchio in musica.
Lei, però, lo fissò con ammirazione e forse una punta d'invidia perché proseguì: «C'è chi darebbe qualsiasi cosa per avere solo un briciolo del talento che avete voi».
Ancora una volta Connor apparve poco propenso ad accettare tale particolarità quando alzò le spalle e restò in silenzio. Di solito non s'imbarazzava così tanto di fronte a qualcuno che gli faceva i complimenti, ma con Cornelia era tutto diverso.
«Anche voi avete un talento fuori dal comune», aggiunse dopo qualche istante di silenzio, rinsavendo e rendendosi conto che non aveva ancora manifestato tutta la sua ammirazione per lei.
La vide sorridere ma non arrossire dall'imbarazzo, perché Cornelia era pienamente consapevole delle sue qualità e delle sue abilità. Forse qualcuno avrebbe potuto pensare che non stava bene, per una fanciulla come lei, non mostrare un po' di umiltà, ma Connor trovava interessante anche quel suo aspetto.
«Mio fratello ha investito molto nella mia educazione musicale», fu la sua unica risposta, come se ciò dovesse spiegare tutto ciò che sapeva fare.
Ma a Connor non sfuggì, oltre il tono quasi indifferente, il modo amorevole con il quale parlava di Burk. E ciò lo spinse a voler sapere sempre più cose di quella fanciulla.
Solo che al momento il suo stomaco lo stava mettendo a dura prova, sudava freddo ed era troppo agitato per concentrarsi su di lei. E così Cornelia, che sapeva bene cosa stesse passando in quel momento, ne approfittò per studiarlo.
«M'incuriosiscono sempre le persone particolari come voi», asserì lasciando intendere che avrebbe voluto dire dell'altro ma che aspettava una qualche reazione, qualsiasi, da parte del suo interlocutore.
D'altronde, Cornelia non sembrava una ragazza propensa ad accettare di essere ignorata, né tanto meno di non essere al centro dell'attenzione.
Per questo lui, desideroso di accontentarla, le sorrise: «Non credo di avere nulla di particolare, signorina».
Una parte di lui si sentiva a disagio a mantenere un distacco formale, perché in realtà avrebbe tanto voluto entrare più in intimità con quella creatura tanto bella, ma allo stesso tempo ne aveva così paura che pensava fosse giusto non farsi coinvolgere troppo da lei.
Purtroppo, però, era consapevole che fosse troppo tardi, che, nonostante non si fossero parlati mai veramente da soli fino a quel momento, Connor era già perdutamente coinvolto. E non sapeva neanche il perché.
Certo, era una ragazza molto bella e in grado di sfruttare tutti i suoi punti forti per ammaliare e far innamorare chiunque, era inoltre molto interessante e spigliata ma oltre a ciò non sapeva nulla di lei.
«La modestia non è una virtù utile per chi aspira a diventare qualcuno», lo ammonì lei, dandogli l'impressione che lo avesse detto più a se stessa che a lui.
Perché, in fondo, a lei cosa importava del futuro di Connor? Era evidente che Cornelia avesse grandi aspettative per se stessa, ma non sembrava affatto il tipo che si preoccupa e si adopera per aiutare a migliorare la vita agli altri.
«Non ho mai desiderato essere qualcuno», fu la sottile risposta di Connor, pronunciata con tono gentile, anche un po' in imbarazzo, ma così deciso che nessuno avrebbe potuto contraddirlo.
E forse Cornelia aveva davvero visto qualcosa in lui di speciale, o aveva creduto di vederlo, perché gli parve delusa. Mise perfino il broncio, come una bambina capricciosa, mentre aggiungeva con un sospiro arreso: «Peccato».
Per qualche istante rimase a fissarla, chiedendosi cosa stesse pensando, e soprattutto cosa pensava su di lui, dopo aver scoperto che non era ambizioso come lei.
Ma lei rimase delusa solo per qualche istante, si alzò di scatto, con un sorriso e una grinta che ancora Connor non le aveva visto e, battendo le mani, annunciò: «E' il momento, andiamo».
Lo raggiunse vicino alla tenda, dove lui era ancora in piedi e la scostò con un gesto della mano deciso, sparendo all'interno del locale proprio come qualche istante prima era entrata nella stanzetta.
A Connor non rimase che seguirla, molto meno sicuro e grintoso di lei, ma comunque deciso a mantenere la parola che aveva dato a Burk.
Spazio autrice:
Buonasera! Come va, lettori?
Insomma, insomma, questa Cornelia è una tipetta molto particolare... Ambiziosa, diciamo. E' facile intuire che potrebbe non portare nulla di buono per Connor... ma chi lo sa, è tutto da vedere.
A venerdì,
Chiara 😘
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top