Capitolo XXI
La signora Doyle tornò per ultima a casa e fu accolta con una certa riluttanza. Tutti l'avevano vista allontanarsi con padre Donovan e potevano solo immaginare che cosa si erano detti.
Per questo, forse, quando la videro sorridente, tirarono tutti un sospiro di sollievo, soprattutto suo marito che, nonostante sembrasse non far caso molto i sentimenti dei membri della sua famiglia, aveva compreso già da tempo che c'era qualcosa che non andava in sua moglie.
Solo che non sapeva come reagire, cosa fare per convincerla a confidarsi con lui ed era rimasto un po' fiducioso nella speranza che almeno lei avesse potuto trovare un po' di sollievo nel parlare con il prete.
Chiese subito di parlare in privato con suo marito e, nonostante il signor Doyle parve un po' preoccupato, accettò subito. Non era facile trovare un po' d'intimità in una casa del genere perciò optarono per uscire nel cortile di dietro, sperando che non ci fosse nessuno.
Ci rimasero a lungo, mentre Agatha si chiedeva che cosa si stavano dicendo perché sua madre avesse sentito il bisogno di tenerli all'oscuro.
Era pensierosa, mentre preparava la cena, e non prestava molto attenzione alle parole di sua sorella Molly che, accanto a lei con la scusa di aiutarla, le stava raccontando tutti i pettegolezzi che Kathleen e Sarah le aveva rivelato quella mattina stessa.
«Sarah ha un debole per un giovane che si chiama Eddie, anche se Kathleen dice che è smilzo e che ha il viso simile a quello di un topo», stava blaterando, sicura di non essere ascoltata da nessun altro.
La signora Murray, infatti, stava giocando a carte con il figlio maggiore e il nipote, mentre Connor non era ancora rientrato. Le due pesti dei figli minori, invece, sembravano tutto fuorché interessati a discorsi femminili.
Quello che ignorava Molly era che neanche Agatha la stava ascoltando, e continuò: «Kathleen pensa che siamo ancora troppo giovani per pensare a certe cose, ma Sarah dice che è meglio iniziare a guardarsi intorno... anche se di possibilità non ne abbiamo molte».
Solo quando le porse una domanda, e non avendo ricevuto risposta, si rese conto che Agatha era da un'altra parte con la mente, alzò il tono di voce: «Ma mi stai ascoltando?».
Agatha era girata di spalle, e non poté vedere che Loran, sentita Molly rivolgersi a quel modo alla sorella, aveva alzato lo sguardo per puntarlo sulla sua schiena, un po' incuriosito.
Lei si ridestò, voltandosi di poco a fissare la sorella: «Scusami, ero distratta».
«Ultimamente siete un po' troppo distratta, ragazza», le fece notare Abigail, che come il nipote si era fatta distrarre dal suo gioco, alludendo alla storia della zuppa.
«Forse Agatha è solo stanca, zia...», aggiunse in fretta Loran con tono di ammonizione per l'insinuazione per poi tornare dolce mentre si rivolgeva alla fanciulla: «Perché non vi riposate un po'?».
«Sto bene», ringhiò lei tra i denti, più dura che mai, anche se sapeva che il ragazzo voleva solo riservarle una gentilezza.
Si pentì subito di essere stata così netta e di non averlo neanche guardato negli occhi, e ancor di più quando sentì la signora Murray borbottare: «Che caratteraccio».
Una parte di lei sapeva di essere stata scortese senza motivo, ma l'altra non poteva non gioire all'idea di aver convinto Abigail Murray a tornare ad ignorarla come faceva prima.
Molly non poté riprendere il discorso che aveva lasciato perché i suoi genitori tornare in casa, risoluti, in un certo senso solenni, ma anche rassicuranti.
Senza mezzi termini, Fergus annunciò alla famiglia Doyle che padre Donovan aveva deciso di fare una commemorazione per il piccolo Timmy, evitando di aggiungere che tale decisione probabilmente era stata presa con l'intento di dare un po' di sollievo a Maureen.
Molly non seppe cosa dire, e decise saggiamente di rimanere in silenzio e annuire in direzione della madre mentre Agatha rifletteva sull'accaduto.
Sulla nave avevano detto addio al fratello, in una bieca e misera recita di un funerale, perché non avevano potuto fare altrimenti.
Nessuno di loro, fino a quel momento, aveva pensato che, ormai giunti sulla terra ferma, sarebbe stato opportuno fare qualcosa di più. Non tanto per l'anima di Timmy, che Agatha sapeva essere tra i cieli, quanto per la loro rassicurazione.
Un modo concreto per andare avanti, una volta per tutte.
Per questo lasciò stare i fornelli, si avvicinò con un passo alla madre e disse: «Mi sembra un'ottima idea».
Non sapeva se ciò avesse funzionato, non poteva prevedere se sarebbe stato un sollievo per l'anima di sua madre, ma ci poteva sperare.
E così la sera seguente tutta la famiglia Doyle si preparò per dire di nuovo addio, e questa volta in modo più dignitoso, al più piccolo di casa.
Per cortesia, Fergus e Maureen invitarono anche i Murray ma Abigail e Kale, che poco comprendevano il significato di quel gesto e che trovavano quasi insulso accanirsi così tanto per un morto, declinarono l'offerta.
Loran, invece, si disse ben felice di accompagnarli e ringraziò perfino il signor Doyle per avergli fatto quella proposta.
Agatha non sapeva se essere felice oppure no della sua presenza, essendo lui una persona alquanto strana e sicuramente volubile, ma di sicuro il gesto accrebbe, se pur di poco, la stima nei suoi confronti.
Vestirono tutti in abiti scuri e al crepuscolo si avviarono in chiesa, in rigoroso silenzio. Fergus e Maureen in testa, seguiti da Molly e Kathleen che aveva deciso di seguirli in nome dell'amicizia.
Dietro di loro Connor e Agatha camminavano lentamente, l'uno affianco all'altra e tenendosi per mano, non tanto per darsi conforto ma per ricordarsi di non essere soli.
E dietro, a chiudere la fila, c'era Loran, cupo e misterioso come il suo solito, che osservava crucciato le dita intrecciate dei due fratelli.
«Perché pensi che sia voluto venire anche lui?», chiese Connor, riferendosi proprio al ragazzo alle loro spalle e bisbigliando per non essere ascoltato.
Per sua fortuna Loran era troppo distante per udirlo, e troppo perso nei suoi pensieri per notare che stessero sussurrando.
Agatha scrollò le spalle: «Non lo so, per lo stesso motivo per cui ha deciso di venire Kathleen? O per lo stesso motivo per cui Martin ci sta aspettano di fronte alla chiesa?».
Non aveva il coraggio di dire quella parola, come se associarla ad una persona come Loran fosse quasi peggio di una blasfemia.
E anche per questo sul volto di suo fratello comparve una smorfia di disgusto: «Non essere sciocca. Loro sono nostri amici, lui invece...».
Sembrava che anche Connor non riuscisse a trovare parole adatte da accostare ai modi e ai comportamenti di quel ragazzo, come d'altronde succedeva ogni volta che cercavano d'inquadrarlo.
«Lui cosa?», chiese lei, non tanto con l'intento di torturare suo fratello e di costringerlo a trovare le parole giusto, quanto perché in realtà anche lei era curiosa e allo stesso tempo frustrata da quella situazione.
Fu il turno di Connor si scrollare le spalle, sconfitto: «Oh, non lo so... Non riesco a capire se ci si può fidare o non di lui, non riesco a comprendere cosa lo spinga ad avere certi comportamenti. E la cosa mi turba».
Agatha avrebbe voluto ammettere che turbava anche lei, perché entrambi avevano capito Kale e sua madre fin dall'inizio e proprio perché comprendevano il loro animo, si tenevano ben lontani dal fidarsi di loro.
Ma Loran era una cosa diversa. Non era per niente un libro aperto e la paura che la sua vera natura potesse uscire fuori solo una volta abbassate le difese, li convinceva a tenere gli occhi ancora più aperti.
«Tu la conosci la storia della sua famiglia? Sai come sono morti?», domandò lei, ma subito Connor scosse la testa senza dire una parola.
Agatha non gli rivelò quello che Loran le aveva detto, perché semplicemente pensava che fosse una confessione privata, ma allo stesso tempo era convinta che fosse un tassello in più per comprendere la natura del ragazzo.
Senza volerlo, quasi d'istinto, allungò il collo per poter guardare dietro, oltre la sua spalla, e cercando di farlo in modo indiscreto.
Peccato che Loran la vide perché subito le sorrise e lei fu costretta a tornare a guardare davanti a lei con uno scatto della testa.
Con la paura che potesse pensare che stessero parlando male di lui, decise di tornare ad un tono di voce normale mentre chiedeva: «Hai invitato anche i tuoi colleghi del cantiere?».
Voleva far credere a Loran che era sempre stato quello il loro argomento e comunque Connor non parve dispiaciuto del cambio di conversazione.
«La mamma ha detto che potevo e loro mi sono apparsi contenti», affermò convinto, per poi sorridere: «Per loro sarà la prima volta che assisteranno ad una cerimonia cattolica».
«Non credo che ne rimarranno piacevolmente sorpresi, essendo un funerale», fece notare Agatha ma non potendo non sorridere.
Connor alzò le spalle: «Oppure accadrà il miracolo e avremmo aiutato due protestanti a convertirsi», scherzò lui facendo ridere Agatha.
I loro ospiti li stavano aspettando tutti davanti alla chiesa, con notevole puntualità e dopo le presentazioni di rito, durante le quali Edward e Jasper non si risparmiarono complimenti per ogni donna della famiglia Doyle, entrarono tutti nella grande chiesa.
I due ragazzi si guardarono intorno, chiedendosi fra sé se ogni chiesa cattolica avesse il medesimo aspetto ma quando Connor li guardò torvi, decisero che sarebbe stato più rispettoso restare in silenzio.
All'interno si erano riuniti altri fedeli, poche persone che i Doyle avevano avuto il piacere di conoscere in quel periodo e che erano stati tutti ben felici di condividere con loro quel momento.
Agatha osservò le panche vuote e non ebbe dubbio che se tale lutto fosse avvenuto in Irlanda, la chiesa sarebbe stata gremita di gente. Non solo i loro compaesani, ma anche i cittadini dei paesini limitrofi si sarebbe riuniti nella parrocchia a condividere quel dolore.
Eppure, nonostante tutto, non poté non pensare che in quella situazione, dall'altra parte del mondo, con una nuova vita che faticava ad iniziare, era giusto così.
Era giusto che a salutare Timmy per l'ultima volta, e si sperava per davvero, fossero poche persone. Perché alla fine, tra quelle decine di misere anime, erano ancor meno quelle che lo avevano conosciuto. Si potevano contare sulle dita di una mano, e portavano tutte il suo medesimo cognome.
Perciò, che importanza aveva se la chiesa fosse stata piena, al punto da non aver più posti a sedere, a quasi del tutto vuota?
Presero posto in prima fila, mentre dietro di loro sedevano gli amici che avevano portato con sé, e quando la cerimonia iniziò, Agatha non ascoltò più una singola parola.
La mente la costrinse, con violenza, a tornare al giorno in cui Timmy era venuto al mondo.
Era un pomeriggio afoso di agosto e lei e i suoi fratelli erano usciti all'aperto, stanchi di osservare il padre che camminava ansioso lungo tutto il perimetro della cucina e delle urla di dolore e stanchezza della madre.
Nessuno aveva fatto accenno al fisico provato della partoriente, né tanto meno alla sua età che iniziava a sfiorire e che la rendeva sempre meno propensa a superare fatiche simile.
Pregavano, pregavano in silenzio per entrambi.
E dopo ore interminabili, sdraiati sul prato sotto l'ombra di un salice, cercando di provare un po' di sollievo dal caldo restando completamente immobili, avevano sentito la levatrice gridare, davanti alla porta, piena di gioia e soddisfazione: «E' nato, che il Signore lo benedica, è nato», correndo poi di nuovo all'interno, questa volta seguita dai figli più grandi.
Si erano precipitati in casa, dapprima quasi con l'intento di voler essere i primi a vederlo, quasi fosse una gara, eccitati e contenti.
Ma non appena avevano varcato la soglia, con spinte e sbuffi, si erano fermati tutti e tre e il loro atteggiamento era cambiato.
Non sembravano più tanto eccitati di andare a guardarlo per primi, anzi, fissavano la porta socchiusa della camera da letto con timore.
Si erano guardati l'uno l'altro, come a voler esortare qualcuno a fare il primo passo, ma solo quando avevano sentito il padre, che era entrato effettivamente per primo, chiamarli, si erano ridestati e avevano preso coraggio.
Agatha avevano ancora un vivido ricordo del primo momento passato con Timmy, seduta ai piedi di quel letto, mentre lo osservava tra le braccia di sua madre, stanca ma felice.
Quando era nata Molly lei era troppo piccola e aveva un ricordo molto meno chiaro, ma Timmy era lì, impresso nella sua mente.
Come quando lo aveva preso in braccio per la prima volta, quello stesso giorno, tenendo con braccia tremanti e non riuscendo neanche a smettere di ammirarlo.
Fu con quella visione che rimase seduta per tutto il tempo della messa, riuscendo perfino a ricordarsi, per la prima volta da quando era arrivati a New York, il suo odore.
Aveva avuto la paura che svanisse dalla sua mente, come se non fosse mai stato nella sua vita, aveva paura che il tempo avrebbe cancellato la sua esistenza, e invece si sbagliava.
Era ancora in grado, se si sforzava, di rivedere le sue guance piene, il suo sorriso da birichino, le sue dita paffutelle e il suo camminare incerto, come una paperella, mentre cercava di raggiungerla sulle rive del fiume, svariati mesi dopo la sua nascita.
Non era più lì, non poteva più stringerlo tra le braccia e sentirlo accanto, come sentiva Connor o Molly, entrambi seduti ai suoi due lati, ma non sarebbe andato mai via del tutto.
Con il cuore più leggero, alla fine della cerimonia uscirono che si il buio era calato sul quartiere e il vento si era alzato quasi con prepotenza.
Agatha si azzardò a guardare sua madre, alla luce fioca di un lampione, e sperò che anche lei potesse sentirsi meglio.
Poi qualcosa attirò l'attenzione di tutti. Dietro ad un palazzo, a pochi metri da loro, una luce rossastra illuminava e creava ombre strane sulla strada e su tutto ciò che colpiva e una nube molto scura si alzava nel cielo, confondendosi con la notte.
Non ebbero neanche il tempo di pensare a cosa stesse succedendo che subito sentirono grida, rumori di vetri in frantumi e l'arrivo dei pompieri, sul loro carretto e con le camicie rosse, li avvisò dello scoppiò di un ulteriore incendio.
Quando Agatha, d'istinto, si voltò a guardare Loran, lo vide pallido, quasi malato, con gli occhi sbarrati dal terrore e abbassando gli occhi, attirata da un movimento, notò che una delle sue mani tremava.
Si accostò a lui, con la stessa cautela che si usa con un animale selvatico, e a bassa voce lo incoraggiò ad incamminarsi, insieme agli altri, a casa.
Spazio autrice:
Buonasera!
Come va?
Capitolo un po' malinconico questo ma secondo me necessario per la famiglia Doyle. Anche se aveva salutato il figlio sulla nave, non gli avevano detto davvero addio ed era giusto farlo... è difficile ma si deve andare avanti. E chissà, forse questo avrà aiutato Maureen ad riprendersi.
A venerdì,
Chiara😘
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