Capitolo XL
Agatha si rese conto di non avere un abito adatto da lutto che non fosse quello scuro che aveva indossato alla commemorazione di suo fratello. E non le sembrava appropriato.
Come se in un momento così difficile il suo problema più grande era l'abbigliamento. Lo sapeva che era un pensiero estremamente egoista, eppure non riusciva a smettere di pensarci.
Comprendeva che a Will non sarebbe importato, non solo perché ormai non c'era più, ma anche perché in vita era un ragazzo che non prestava a certe cose.
Ma comunque non riusciva a non considerarsi non altezza. O forse preoccuparsi per il vestito le impediva di tornare alla mente a quella tragica notte.
Il calore, il fumo che le impediva di vedere e respirare, la paura di morire e poi le grida, il trambusto.
Il tutto ciò, ben presente il volto di Loran che si era fatto strada tra le fiamme per andarli a salvare.
Ma anche Will. Non riusciva a togliersi dalla testa il suo volto, gli ultimi istanti della sua vita. E l'espressione che aveva.
Per qualche istante, quando Loran era riuscito a tirarla fuori, aveva sperato che sarebbe stato in grado di aiutare anche Will.
Ma così non era stato, e bella mente avrebbe sempre conservato quel momento come l'ultimo passato insieme al ragazzo.
Una parte di lei faceva ancora fatica ad accettare che non c'era più. Che non lo avrebbe più rivisto sistemare la merce al negozio dello zio o il suo sorriso contagioso.
Ma erano tutti lì a dirgli addio, perché se ne era andato e non sarebbe più tornato.
«Sei sicura di farcela?», la voce gentile e attenta di Connor si fece strada tra i suoi pensieri.
Si voltò a fissarlo e gli permise di prenderla sotto braccio, unica ancora di salvezza per lei in un mare di tristezza e sconforto.
Qualcuno doveva pur accompagnarla al funerale, ed era felice che Connor si fosse offerto volontario.
Con lui non doveva fingere che tutto andava bene, per questo scosse la testa e ammise: «Non credo di farcela, ma devo farlo».
Le gambe le tremavano e sudava freddo, ma si aggrappò con tutte le forze al fratello ed affrontò quel momento così difficile.
Al funerale c'erano molte persone. Gli amici dell'università, che accolsero Agatha quasi fosse una di loro, e anche molte persone che lei aveva conosciuto al negozio.
Tutti, o quasi tutti, i clienti dei Preston erano presenti, pronti a dare l'ultimo saluto al giovane sempre gentile e disponibile.
Agatha si immaginava una folla così numerosa, eppure davanti al gruppo rimase comunque sbalordita e grata.
Si chiede, osservando in silenzio gli altri, cosa li legasse a Will, e quali erano i ricordi più belli che custodivano nel cuore.
Lei lo conosceva da poco tempo, ma era stata una delle prime persone che aveva conosciuto arrivata a New York. E una delle prime ad averla accolta.
Aveva così tanti momenti felici insieme a lui, nonostante il poco tempo, che non sarebbe riuscita a sceglierne uno come migliore.
Ma ciò che le faceva più male era che il loro rapporto aveva iniziato da poco a prendere una piega diversa, più intima e importante.
Aveva da poco iniziato a fantasticare per una vita insieme, da sposati, e le era stata tolta quel opportunità.
Mentre il prete parlava, raccontando di tutte le buone qualità di Will, Agatha alzò gli occhi al cielo e si rese conto che anche lui era triste, proprio come tutti loro.
Faceva freddo, ed era in procinto di piovere, eppure nessuno si mosse, ma restarono lì, stretti intorno alla famiglia e alla bara che lentamente veniva calata all'interno della fossa, dove sarebbe rimasta per sempre.
Doveva far freddo lì sotto e anche se era consapevole che Will non avrebbe provato più nulla, ora che era morto, non riuscì a non provare preoccupazione per lui. Solo nel buio.
Si strinse forte accanto al fratello e nascose il viso nella sua spalla, mentre intorno a lei anche altre persone esprimevano il proprio dolore con un pianto.
Quando giunse il momento di andare a salutare la famiglia, per qualche istante Agatha ebbe paura. Cosa avrebbe detto loro? Sarebbe riuscita a nascondere la disperazione di fronte agli zii o ai suoi genitori?
Si sentiva un'estranea che stava per irrompere con violenza nel dolore altrui, considerato che i suoi genitori neanche la sconoscevano. Ma non riuscì neanche ad avvicinarsi.
Prima ancora che potesse prendere coraggio, infatti, Joe e il fratello iniziarono a litigare davanti a tutti, nel pieno imbarazzo di una situazione già abbastanza difficile.
«Perché hai permesso loro di venire qui? Con che faccia si presentano al funerale di Will?», iniziò lo zio, senza nascondere il suo sdegno, indicando senza timore un gruppo di uomini che si erano da poco allontanati dopo aver consegnato le proprie condoglianze.
Agatha diede loro una breve occhiata e le bastò per capire chi fossero; riconobbe infatti Bill, il capo dei Bowery Boys, gli uomini che tempo addietro si erano presentati la negozio con aria minacciosa.
Ne aveva avuto paura e anche in quell'occasione non sembravano affatto pacifici, tutti intorno al loro leader, che si guardavano intorno sospettosi.
«Chi viene al funerale di mio figlio non è tuo interesse... e loro hanno più diritto dei tuoi cosiddetti amici e stare qui», il padre di Will, che aveva solo l'aspetto simile a quello del ragazzo mentre l'atteggiamento era completamente estraneo, aveva indicato senza messi termini loro due.
Non solo, li aveva perfino guardati dall'alto in basso e in quell'istante sia Agatha che Connor compreso che anche i Bowery Boys li stavano scrutando in quel modo. Come se fossero dei nemici, persone poco gradite.
«Tuo figlio? Tu non sai proprio niente di tuo figlio», aveva iniziato a sbraitare Joe, completamente fuori controllo: «Perché se lo avessi conosciuto davvero, sapresti che quelle persone lì hanno più diritto di chiunque altro a stare qui. Mentre i tuoi amici...», non riuscì neanche a pronunciare la parola "amici" senza nascondere un tono disgustato.
«Il tuo amici sono la causa della morte di tuo figlio».
Lo aveva detto. E improvvisamente calò il silenzio, non solo, calò l'imbarazzo più totale. La madre di Will sussultò, stupita ma anche disgustata, tra un singhiozzo e l'altro, mentre la zia Lucy si tappò la bocca con la mano.
«Come osi accusare persone oneste come Bill e i suoi compagni?», aveva urlato in risposta il padre di Will, prendendo per il bavero della camicia il fratello: «I veri colpevoli lo sappiamo tutti chi sono...».
Non c'era bisogno che l'uomo accusasse con nomi e cognomi, perché era evidente che stava puntando il dito contro qualche esponente dei Dead Rabbits o di qualche altra gang dei Five Points. Oppure se la prendeva più in generale con un immigrato qualsiasi.
Joe non volle ascoltarlo, si liberò dalla sua presa con veemenza e fu quasi sul punto di sputargli addosso mentre concludeva: «Io so solo che i tuoi cari amici sono venuti a minacciare me e la mia famiglia, e questo mi basta».
Poi guardò il fratello dall'alto in basso, come a scandagliare ogni minimo dettaglio, prima di prendere sotto braccio la moglie e allontanarsi da tutti.
Ad Agatha non sfuggì l'ennesima occhiata di disprezzo che dedicarono a lei e al fratello tanto che Connor asserì: «E' meglio andare via».
Non potendo più fare le condoglianze agli zii di Will, e sapendo che i suoi genitori non avrebbero apprezzato il gesto, decise di accontentarlo, molto a disagio dagli sguardi carichi di odio.
Non riusciva a comprendere perché tanto fastidio per la loro presenza. Non stavano facendo nulla di male e fin da quando erano giunti a New York si erano dati da fare per integrarsi ed essere utili alla società.
Eppure c'era una parte dei cittadini che non avrebbero mai accettato la loro presenza, senza alcun motivi preciso.
Fu dura abbandonare il funerale, e Will, in modo così brusco, ma non ebbe altra scelta.
Loran si era risvegliato su un letto del New York Hospital. Non aveva compreso bene dove fosse, almeno all'inizio, ma il suo primo pensiero era andato ad Agatha.
Fu tranquillizzato dalle infermiere che lo assistevano e che gli dissero che la ragazza stava bene, che erano passati tre giorni dall'incendio e che lei era tornata a casa con solo qualche graffio.
Per quanto il suo unico desiderio era quello di tornare anche lui al loro appartamento, fu costretto a restare in ospedale per una settimana.
Aveva delle ustioni sul braccio e sul collo che stando al medico gli avrebbero causato delle leggeri cicatrici. Aveva battuto la testa durante l'esplosione, ma la ferita sembrava in via di guarigione e più il tempo passava più le probabilità che ci fossero danni interni diminuivano.
Per il resto, tutti non fecero altro che ripetergli quanto era stato fortunato a salvarsi. E lo sapeva benissimo.
Nell'istante in cui aveva varcato la soglia del negozio, lo aveva fatto con la consapevolezza che poteva non uscirne vivo. Era convinto che il panico avrebbe preso il sopravvento e che non sarebbe riuscito a ingannare il fuoco una seconda volta.
E invece era stato così. Aveva salvato Agatha, la sua priorità, e ne era uscito vito. L'unico suo rammarico era stato quello di non essere riuscito a fare di meglio per Will.
Non per il ragazzo, non lo conosceva abbastanza per piangere la sua morte, ma per Agatha. Sapeva che ne avrebbe sofferto molto e l'unica cosa che voleva in quel momento era cercare di darle un po' di conforto.
Così quando gli diedero il permesso di tornare a casa, non vedeva l'ora di parlare da solo con lei. Di scusarsi per non essere stato in grado di salvare Will e di averla delusa. Non era stato all'altezza delle sue aspettative, e di nuovo non era riuscito a fare ciò che gli era stato chiesto.
Aveva fallito con suo cugino, nonostante la promessa fatta allo zio, e ancora una volta si sentiva inutile e inaffidabile.
Quando però tornò a casa, fu accolto da entrambe le famiglie, che lo stavano aspettando e che avevano preparato per loro un piccolo festeggiamento di ben tornato.
Le ragazze Doyle avevano preparato tutti i suoi piatti preferiti mentre i suoi piccoli cugini avevano addobbato la cucina con pezzi di carta colorati, presi chissà dove, appesi ovunque.
Non appena entrò nell'appartamento i suoi occhi cercarono quelli di Agatha, desideroso di constatare ed avere conferma della sua salute. All'apparenza sembrava in forma, a parte un piccolo graffio sulla guancia, ma sapeva che le vere ferite erano interne.
Lei comunque si profuse in un abbraccio caloroso e sincero che gli scaldò il cuore e lo fece un po' imbarazzare mentre la zia Abigail, in preda ai singhiozzi, non smettere di dire quanto fosse orgogliosa di avere un nipote eroe.
Anche Fergus non smise di ringraziarlo, donandogli tante pacche sulla spalla buona e sorrisi orgogliosi. Perfino Connor fu gentile con lui, anche se si vedeva che gli costava molto. Mentre Maureen non riuscì a non scoppiare a piangere.
A Loran mettevano a disagio tutte quelle attenzione, non era abituato, e oltretutto non era convinto che se lo meritasse davvero.
Will era morto e non gli sembrava giusto che loro festeggiassero. Cercò più volte lo sguardo di Agatha, per capire se anche lei si sentisse a disagio davanti a quella felicità, ma lei evitò accuratamente di guardarlo.
Così, mentre tutti brindavano alla pronta guarigione di Loran, lui le si avvicinò e le sussurrò: «Posso parlarti in privato?».
Per la prima volta Agatha alzò lo sguardo a fissarlo, con un'espressione interrogativa, ma prima ancora che potesse rispondere, qualcuno bussò alla loro porta in modo alquanto insistente.
Per qualche istante rimasero tutti ad osservare l'entrata dell'appartamento, non aspettandosi ospiti, e quando Connor andò ad aprire non nascose la sorpresa e il terrore nel far entrare Malone O'Neel.
Tutti, tranne Kale, s'irrigidirono, mentre il ragazzo salutava il suo capo con un sorriso ingenuo sul volto.
«Che cosa vi porta qui, signor O'Neel?», chiese Fergus facendosi avanti, quasi frapponendosi fra l'uomo e la sua famiglia. Si capiva che non era felice di vederlo.
«L'ho invitato io», tutti si voltarono a fissare Kale che ebbe il coraggio di aggiungere: «Malone è il capo di Loran e voleva sapere come sta».
A quel punto Malone si voltò a fissare Loran, quasi se ne fosse dimenticato: «Vedo che ti stai riprendendo in fretta, ragazzo. Sei forte e molto nobile...».
Sembrava che avesse voluto fare un discorso più lungo, ma in realtà non era per niente interessato a Loran. Non era lì per lui, si capiva bene, anche se passò qualche istante ad osservare gli addobbi e la tavola apparecchiata.
Poi il suo sguardo incontro ciò che stava cercando; Agatha.
Loran, che le era accanto, fece un piccolo passo avanti, con tono minaccioso, ma restò in silenzio e in attesa della prossima mossa di Malone.
«Signorina Agatha, ho saputo che ceravate anche voi nel negozio ma constato con gioia che state bene, e non posso che esserne molto felice».
«Non possiamo dire la stessa cosa del povero signor Will Preston», le parole uscirono dalla bocca di Loran senza che neanche se ne rendesse conto.
Era convinto che dietro all'incendio ci fosse lo zampino di Malone e trovava alquanto squallido da parte sua presentarsi a casa loro con tale spavalderia.
Ma Malone non perse la sua pazienza, anzi, sorrise perfino, sempre rivolto ad Agatha: «Sono venuto a conoscenza della tragica notizia. Il negozio dei Preston era un luogo fondamentale per la nostra comunità qui a Five Points, e il loro lutto è anche il nostro».
Loran provò solo disgusto mentre sentiva le sue parole. All'apparenza sembrava davvero dispiaciuto e addolorato, ma alle orecchie del ragazzo risuonarono solo parole pregne di ipocrisia e malafede.
«E' una tragedia quella che è avvenuta, mia cara Agatha, ma nella vita bisogna essere pragmatici... sono sicuro che voi comprendiate il mio discorso».
Si stava rivolgendo a lei soltanto come se il resto della famiglia neanche fosse presente, e per quanto le sue parole fosse ambigue e poco chiare, il senso poteva essere chiaro alla maggior parte dei presenti.
«La vostra famiglia potrebbe trarre dei vantaggi considerevoli, se voi fosse intraprendente e pragmatica».
A quel punto Fergus si fece di nuovo avanti, in evidente disagio il modo in cui Malone stava osservando la figlia, come se fosse un pezzo di carne da sbranare, e intervenne: «Se non vi dispiace, signor O'Neel, staremo per metterci a tavola».
Non lo disse, ma era ovvio che lui non era invitato al loro pranzo. Per qualche istante i due si osservarono, quasi a volersi fronteggiare con il solo sguardo.
Loran pensò che Malone avesse intenzione di sfidare il padre di Agatha a duello, e tirò un sospiro di sollievo quando invece l'uomo distolse lo sguardo e si allontanò.
Avvicinandosi alla porta, si alzò il capello in direzione delle donne della famiglia e disse soltanto: «Vi auguro una buona serata».
Rivolse un ultimo sguardo eloquente ad Agatha, che la fece raggelare, prima di uscire e lasciarli solo con la strana sensazione che, ancora una volta, non c'era da stare tranquilli con Malone O'Neel.
«Che uomo strano», ruppe il silenzio Abigail: «Che cosa avrà mai voluto dire?».
Nessuno rispose, ma Loran sapeva che più di una persona in quella stana aveva capito le vere intenzioni di Malone.
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