Capitolo XIV

Connor indossò uno dei suoi completi migliori, come quello che indossava la domenica per andare in chiesa, ma in casa non aveva uno specchio per poter guardare la sua figura.

Però ricordava vagamente dall'ultima volta che lo aveva indossato, ad un ballo nel suo paese in Irlanda, che l'abito gli calzava a pennello.

Era l'unico abito elegante che possedeva e non avendo avuto tempo, pensò che fosse la scelta migliore anche se ignorava le mode del nuovo mondo.

Aveva passato molto tempo nel tentativo di legarsi al collo la cravatta ben inamidata dalla madre proprio perché non poteva vedersi, e anche perché di solito era sua sorella a fargli il nodo.

E quando era giunto il momento di andare, era riuscito al massimo a darsi una leggera pettinata ai capelli.

Un po' agitato, stirò le pieghe immaginarie sui pantaloni, allacciò il panciotto color vinaccia sopra alla camicia e sistemò la giacca dello stesso colore, prima di lisciarsi i capelli con la mano.

Uscì dall'appartamento che tutto il resto della sua famiglia già dormiva e raggiunse il cantiere in perfetto orario.

Jasper ed Edward lo stavano già aspettando, sotto ad un lampione, anche loro vestiti di tutto punto. Non sembravano neanche degli operai di un cantiere e non appena li vide, Connor tirò un sospiro di sollievo e fu felice di constatare che le mode non era poi tanto diverse.

Edward indossava un completo molto simile al suo, scuro, mentre Jasper aveva optato per qualcosa di un po' più vistoso, di color blu e damascato.

«Che cosa stiamo aspettando?», chiese, guardandosi intorno, curioso. Ma nessuno dei due parlò, Edward si limitò a fare un cenno con il capo dall'altra parte della strada deserta.

E quando si voltò a seguire la direzione indicata, vide una carrozza che si avvicinava, trainata da due cavalli bianchi che si avvicinava con costanza.

Era buio ma più il veicolo si avvicinava più era facile intuire che fosse una carrozza molto grande, più grande di quelle che di solito si vedevano in giro.

Jasper si fece un po' avanti, affacciandosi dal marciapiedi e fece un leggero gesto con la mano, quasi impercettibile, in direzione del cocchiere.

La carrozza si fermò proprio accanto a loro, e Connor poté accettarsi che era davvero grande, con molti posti a sedere all'interno. E sul lato una scritta recitava "Omnibus".

«Una carrozza pubblica, non ne avete in Irlanda?», chiese Edward mentre lanciava al guidatore un paio di monete come pagamento. L'uomo le afferrò con una presa impeccabile e attese che furono tutti dentro.

Connor non rispose alla domanda di Edward, troppo impegnato a restare stupito nel vedere una carrozza così grande da poter tenere, seduti su delle panche di legno l'una di fronte all'altra, almeno una quindicina di persone.

Aveva intravisto veicoli simili, probabilmente le poche volte che aveva visitato una grande città, ma nei piccoli paesini sperduti nelle campagne Irlandesi non avevano mai avuto bisogno di un mezzo simile.

Oltre a loro c'erano altri uomini, tutti vestiti bene, infondo all'abitacolo, mentre loro prendevan posto seduti sulla stessa panca.

Per tutto il breve tragitto Connor non riuscì a fare a meno di tenere gli occhi fissi fuori, sulle strade vivaci della grande città.

Proprio come i Five Points, anche gli altri quartieri erano vivi e per niente spaventati dai pericoli che potevano incombere in qualche vicolo buio.

Scesero in una strada vicino al molo, dove era possibile sentire il rumore delle onde che s'infrangevano sulla terra ferma e sulle navi ormeggiate.

Davanti a loro l'entrata, molto discreta, di un locale. Alcuni uomini erano in piedi di fronte alla porta a vetri, a chiacchierare amabilmente del più e del meno, ma i tre ragazzi non si persero neanche un secondo.

Il posto non doveva essere molto piccolo ma era così stipato, tra persone, tavoli e sedie, che sembrava angusto.

Un forte odore di tabacco gli riempì le narici, ma non fu spiacevole, mentre una musica romantica raggiunse le sue orecchie.

Era leggera, eppure sembrava nascondere anche il più alto dei sussurri e il vociare dei presenti.

I suoi occhi furono catturati dal pianoforte, nell'angolo opposto rispetto alla porta, sul quale stava suonando un uomo.

Appoggiata allo strumento, una fanciulla con un lungo vestito dorato, cantava una canzone che Connor non conosceva, con voce soave e con grande maestria. Era quasi immobile, tranne per qualche piccolo gesto, sempre a tempo di musica, che le dava un'aria ancora di più eterea.

I suoi capelli biondi erano elegantemente legati sul capo, i suoi occhi erano grandi e del colore dell'oceano e il suo viso perfetto, incorniciato da due labbra carnose che si piegavano all'insù in un sorriso dolce.

Per qualche istante non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, senza neanche rendersi conto di dove fosse.

Molte persone erano sedute ai tavoli, sorseggiavano da bere, parlavano cordialmente, mentre fumavano i loro sigari e si godevano la musica.

Alcuni sedevano intorno al lungo bancone di legno, lucidato e pulito in modo molto scrupoloso. Dall'altra parte un barista serviva i clienti seduti lì mentre due donne facevano avanti e indietro tra i tavoli.

Jasper e Edward si avvicinarono proprio al bancone, perfettamente a loro agio in quell'ambiente, lanciando solo una breve occhiata adorante alla cantate che non sembrava aver notato nessuno.

Nonostante la maggior parte degli ospiti erano visibilmente più ricchi e altolocati di loro, nessuno sembrava notare troppo la differenza. Anzi, i loro abiti poco costosi, stranamente si abbinavano con quelli di sartoria raffinata degli altri ospiti. Nessuno giudicava, nessuno guardava storto. Tutti erano lì per lasciarsi e godersi una bella serata.

«Ehi, Jackson, versaci tre bicchieri di Whisky», Jasper si sporse dal bancone per attirare l'attenzione del barista, con il suo solito sorriso allegro e con la mano tesa.

Il ragazzo che rispondeva al nome di Jackson, forse un loro coetaneo, vestito con una divisa perfetta, nera e bianca, e ben pettinato, annuì e fece un cenno in sua direzione prima di raggiungerli. Squadrò dalla testa ai piedi Connor, prima di chiedere: «Un vostro amico?».

«Viene dall'Irlanda», affermò Edward, mettendogli una mano sulla spalla.

Il barista continuò a guardarlo con insistenza, quasi fino a farlo sentire un po' in imbarazzo mentre sorrideva e aggiungeva: «Allora dobbiamo fargli assaggiare il nostro Whisky del Kentucky», ammiccò nella sua direzione mentre posava, con fare teatrale quasi, una bottiglia sul tavolo. La targhetta affermava, quasi con vanto, la provenienza di quel Bourbon Whisky di cui il ragazzo sembrava andarne fiero.

Connor era troppo a disagio per gli sguardi, quasi languidi, di Jackson, per questo non rispose a tono, come invece avrebbe tanto voluto.

In silenzio prese anche il bicchiere che gli veniva offerto e ne bevve un sorso, sempre sotto lo sguardo insistente del ragazzo che lo squadrava con espressione strana.

Era la prima volta che si sentiva osservato in modo imbarazzante senza capirne il motivo ma sapeva che il caldo che improvvisamente iniziò a sentire sul volto non aveva nulla a che vedere con la temperatura del locale.

Tirò un sospiro di sollievo quando un altro gruppo di clienti richiamò l'attenzione del ragazzo, che fu costretto ad allontanarsi quasi dispiaciuto perché non era riuscito a farsi dire da Connor cosa pensasse della loro bevanda.

L'espressione preoccupata di Connor non sfuggì all'occhio attento di Jasper che, dandogli una pacca sulla spalla, lo rassicurò: «Tranquillo, Jackson è un po' eccentrico ma è innocuo... E poi mi sa che gli piaci».

Il sorriso birichino che uscì sul volto del ragazzo lasciò intuire a Connor che intendesse alludere ad un interessamento intimo da parte del cameriere. Ma evitò di chiedere.

«Sì, ma non offendere il suo whisky o potresti essere cacciato via dal locale», aggiunse Edward, con semplicità. Connor lo fissò e subito si chiese se anche lui avesse intuito il significato della parole di Jasper, e quindi non se ne curasse, o se invece non ci aveva fatto caso.

O, se magari se lo ero immaginato. Ma non notò nulla di strano nell'espressione felice dell'amico e quindi decise di lasciar perdere.

Si voltò di nuovo, con in mano il bicchiere che gli era stato offerto e si guardò attorno, interessato e incuriosito.

All'apparenza sembrava un locale per bere come un'altro. Ma chiunque fosse più intuito del normale, avrebbe pensato che non era così.

Connor vedeva ricchi e poveri seduti allo stesso tavolo. Nativi e Immigrati, donne e uomini. Tutti come se non facessero caso al loro stato sociale.

E poi i suoi occhi furono di nuovo catturati dalla bella dama che cantava accanto al pianoforte. Anche lei sembrava perfettamente a suo agio in quell'ambiente, libera di esprimersi come meglio voleva.

Era talmente bella, talmente audace nei suoi sorrisi e nei suoi movimenti, da monopolizzare la sua attenzione e fargli avere le palpitazioni.

«Lei è Cornelia, la sorella del proprietario... Una fanciulla di estrema bellezza», affermò Jasper al suo orecchio, notando che la stava osservando con bramosia.

«È molto brava», constatò Connor, che non voleva sembrare il solito giovanotto interessato solo all'aspetto fisico.

La ragazza che stava osservando era molto più di un bel viso. Lo percepiva che c'era qualcosa in lei di speciale, di unico.

Al punto da fargli dimenticate perfino di avere il cuore spezzato. O di essere mai stato in grado di amare prima che i suoi occhi si fossero posati su di lei.

«Ma non m'innamorerei di lei se fossi in te», il tono di allerta con la quale lo aveva avvisato lo fece drizzare sul posto.

Guardingo, chiese: «Perché? È sposata?».

A quella domanda sia Jasper che Edward scoppiarono a ridere, divertiti, di fronte allo sguardo stranito di Connor.

«Oh, il matrimonio non la fermerebbe di certo...», aggiunse Jasper, voltandosi a guardarla prima che Edward decidesse di continuare: «Lei è un uccello libero, impossibile da ingabbiare... Ama tutti e nessuno allo stesso tempo».

Il tono di voce che aveva usato, voltandosi anche lui a fissarla, sembrava di completa ammirazione e Connor si chiese se ci fosse mai stato del tenere tra i due.

Ma osservando meglio, tra i tavoli, non erano i soli che scrutavano la cantante con adorazione.

«In poche parole lascia una scia di cuori infranti lungo tutta la sua strada», aggiunse Japer, ridendo e confermando ciò che Connor aveva appena intuito.

Le loro parole avrebbero dovuto spaventarlo e fargli fare un passo indietro. Eppure non riusciva a smettere di guardarla, e di pensare che per lei si sarebbe fatto calpestare volentieri il cuore. Di nuovo.

Spazio autrice:

Buonasera! scusate per il ritardo, avrei dovuto pubblicare ieri ma ho avuto da fare e quanto mi sono ricordata che era lunedì (la quarantena inizia a farsi sentire😅) era troppo tardi ed ero troppo stanca per mettermi a revisionare il capitolo.

Questo capitolo è un po' corto, lo so, rispetto agli altri ma visto il mio ritardo, domani ne avrete un altro perché è mercoledì.

Non potevo unirlo a quello precedente, né a quello successivo perché sono proprio scene diverse.

Quindi a domani, con il prossimo capitolo.

Chiara 😘

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