Capitolo XIII

«Dove diavolo mi stai portando, Kale?», chiese per l'ennesima volta Loran, stanco di seguire il cugino per tutte le strade di Five Points.

La notte il quartiere si animava di una vitalità diversa rispetto al giorno. Più infida, più guardinga, in un certo senso più farabutta e pericolosa. Molti dei delinquenti sfruttavano l'oscurità per i propri crimini e non era inusuale che alcuni usassero quelle ore per sistemare qualche conto in sospeso.

Loran ne era spaventato ma anche un po' affascinato. Perché tutti avevano una possibilità, e nessuno giudicava ai Five Points.

Kale si fermò per un'istante davanti ad una delle tante case di tolleranza in giro per il quartiere. Uno dei piacere, oltre al bere e allo scommettere, che gli uomini del posto amavano più di qualsiasi altra cosa.

Di fronte alla porta, tre donne, di diverse età, attiravano gli avventori che passavano da quelle parti, urlando loro dolci promesse oppure mettendo in mostra il proprio corpo. Indossavano abiti molto succinti, scollati e provocanti che erano un po' come degli specchietti per le allodole.

Kale le fissò con malizia e lussuria, tastandosi con la mano la tasca dove teneva i soldi, e assaporando il tintinnio delle monete che si scuotevano.

«Sto iniziando a pensare che forse sia meglio pagare sempre per una notte di piacere. Senza troppi pensieri e soprattutto senza doversi trovare una moglie. E' più semplice e, ne sono convinto, più godibile».

Gli era venuta pure la bava alla bocca mentre guardava quelle donne, come se fossero le più belle che avesse mai visto.

Ma Loran invece non provava la stessa attrattiva. Forse perché in realtà non riusciva a smettere di pensare ad una piccola rossa che abitava sotto il suo stesso tetto.

«Non credo che sia la via più facile, mio caro cugino. Forse all'inizio può piacere, poi ci si stanca e si cerca qualcosa di più duraturo».

Kale alzò le spalle, indifferente alle parole che volevano essere serie di Loran: «Vedremo... ma non stasera. Per oggi abbiamo altri piani».

Lo vide tirare un sospiro dispiaciuto mentre lo prendere per il braccio e lo trascinava via. E Loran si lasciò trasportare, senza però mascherare la sua espressione preoccupata. 

Conosceva bene Kale da sapere che lui non si cacciava solo nei guai, lui li andava a cercare, li bramava quasi. Sembrava non poterne fare a meno. 

E già in Irlanda era stato costretto più volte a rimediare ai suoi errori. Altre volte si era ritrovato anche lui nei guai, a causa di Kale. 

Perciò non si aspettava nulla di diverso neanche quella sera, anche se un po' ci sperava.

Kale lo portò in un di quei locali, un po' malfamati ma anche molto affollati, di Five Points. Uno di quei posti, Loran ci giurava, non proprio in regola. 

Dall'esterno sembrava un'abitazione come un'altra, ma il via vai di uomini che entravano e uscivano, ciondolando o spintonandosi, era un segno molto chiaro. Oltre al fatto che dall'interno si potevano sentire grida, incitamenti e guaiti.

Loran seguì ciecamente il cugino nel locale e la prima cosa che sentì fu l'odore di sigari, asfissiante e quasi insopportabile, che per un istante gli ricordarono il padre, grande amante di quel passa tempo.

I ricordi dell'uomo lo colpirono di sorpresa. Era passato così tanto tempo dalla morte della sua famiglia, che ormai faceva fatica anche a ricordarsi dei loro volti.

Ma gli odori, quelli erano ancora impressi nella sua mente e a volte capitava che un particolare profumo richiamasse momenti passati. 

Scosse energicamente la testa, cercando di liberare la mente mentre si guardava attorno. Non era facile, considerato che il fumo era così fitto da impedire quasi di vedere ad un palmo dal naso. 

Gli occhi iniziarono subito a bruciargli mentre soffocava più di una volta un conato di tosse fastidiosa.

Naturalmente il rumore che aveva sentito anche all'esterno, dentro il locale era amplificato. E ciò fu la seconda cosa che i suoi sensi percepirono.

Le orecchie iniziarono a soffrire per il forte frastuono di tutte quelle voci che urlavano a squarciagola. Era perfino difficile intuire che cosa stessero dicendo, ma sembravano degli incitamenti misti a degli insulti molto coloriti, alcuni in gaelico irlandese. 

E a quei rumori se ne aggiungevano altri tipicamente animaleschi. Lamenti per lo più, guaiti, squittii e molti altri che per un'istante mandarono in confusione Loran.

Inizialmente non riuscì a vedere nulla, non solo a causa del fumo, ma anche perché la maggior parte delle persone erano stipate tutte al centro della stanza, in circolo. 

Ed erano così tante che gli impedivano di capire che cosa ci fosse in mezzo, la vera causa del loro interesse e del loro sbraitare. 

Kale prese di nuovo il cugino per la manica e, eccitato come non mai, tentò di avvicinarsi al gruppo, facendosi spazio a spintoni per poter vedere cosa stesse succedendo.

«Sbranali, uccidili tutti... Forza, sacco di pulci, fatti valere, ar aghaidh*!».

«Sì, continua così... vogliamo il sangue, il sangue!».

«Prendili, anois anois*, prendilo!».

Sembravano indemoniati mentre agitavano i pugni al cielo, sbavavano, imprecavano e sputavano senza ritegno. Alcuni di loro tenevano in mano qualche banconota, un po' stracciata, che sventolavano con estrema energia.

La curiosità ebbe la meglio sulla reticenza e sul disgusto così ad un certo punto anche Loran iniziò a sgomitare per farsi spazio.

Più si avvicinavano al centro e più un tanfo di morte ed escrementi si faceva intenso, ma ormai Loran aveva il naso quasi del tutto insensibile.

Quando riuscirono finalmente a raggiungere le prime file, si appoggiarono entrambi ad una balaustra in legno, per non cadere a causa degli incessanti scossoni della folla. Il recinto serviva ovviamente a separare gli spettatori dallo spettacolo che si parava davanti.

Un cane, un meticcio un po' spelacchiato e dall'aria arruffata, correva lungo tutto il recinto, abbaiando e digrignando i denti mentre azzannava e addentava dei piccoli roditori.

I topi correvano come pazzi, a destra e manca, cercando solo di salvarsi la vita. Qualcuno, più audace, aveva perfino cercato di difendersi, addentando la coda o le zampe del cane, visibilmente ferito e anche stanco, ma non era servito a nulla.

Loran rimase per qualche istante basito, nonostante avesse dovuto aspettarsi uno spettacolo simile, eppure in cuor suo si chiedeva che cosa ci trovassero tutti gli altri d'interessante. Qual'era il piacere che provavano nel gioire e incitare un povero animale a sbranarne degli altri?

Lui la trovava una scena pietosa e disgustosa, ma quando con la coda dell'occhio intravide l'euforia di suo cugino, ebbe un brivido di terrore.

A dimostrazione di ciò che gli era sembrato d'intuire, Kale si avvicinò per potergli urlare all'orecchio, in modo da farsi sentire sopra le grida disumane: «Non è uno spettacolo incredibile?».

Loran nascose una smorfia e rimase in silenzio, pur di non dire ciò che invece pensava.

«Ti va di scommettere?», aggiunse poi, continuando a strattonarlo per la manica della giacca.

Sembrava un bambino euforico ed eccitato di fronte a qualcosa che non aveva mai visto o provato.

Subito Loran lo fermò, prendendolo per il bavero e portandolo vicino al suo volto per potergli dire: «Sei impazzito? Vuoi sprecare i soldi guadagnati per una stupida lotta tra animali?».

L'espressione gioiosa di Kale subito svanì sul suo volto gonfio, s'irrigidì e si liberò presto della presa del cugino, con uno scatto furente.

«Non fare il guastafeste. Voglio solo divertirmi».

Loran evitò di precisare che poteva trovarsi tanti passatempi migliori, notando che ormai suo cugino aveva deciso. E che c'era poco di cui parlare. 

Il suo sguardo fu attratto di nuovo al centro del locale, dopo aver sentito uno squittio stridulo che lo aveva fatto rabbrividire. 

Il cane aveva schiacciato con una delle sue zampe un povero topo che, dopo qualche secondo di agonia aveva schizzato di sangue il pavimento e aveva smesso di agitarsi. 

Si era distratto solo per qualche istante, ma quando tornò a guardare accanto a sé, nel punto dove doveva esserci Kale, quest'ultimo si era già allontanato.

Approfittando del fatto che il cugino non lo stesse guardando, Kale si era avvicinato ad un uomo con il capello che, in piedi sulla balaustra di legno, gridava più degli altri per farsi sentire. 

Loran si mise una mano tra i biondi capelli, sempre in disordine, mentre osservava afflitto il cugino consegnare la maggior parte dei suoi soldi a quell'uomo. 

Una vocina interiori gli diceva che sarebbe andata male, che quello era l'inizio si un grosso guaio, ma in realtà mezz'ora dopo suo cugino tornò trionfante con il doppio delle monete che aveva all'inizio.

Lo aveva fissato con sguardo tronfio e lo aveva sfidato: «Vuoi provarci anche tu? Non è difficile».

«Preferisco non rischiare», gli aveva risposto nell'istante in cui due piccoli galli entravano saltellando nell'arena, prendendo il posto del meticcio. 

Il pavimento era stato ripulito in fretta ma svariate chiazze di sangue, non solo recenti, testimoniavano cosa fosse successo. 

«Uh, ci sono i galli adesso», aggiunse euforico Kale, ma prima che potesse anche solo guardare lo scommettitore, Loran lo prese per il braccio e con una spinta lo accosto a lui al punto da potergli sussurrare: «Adesso basta».

Kale si divincolò dalla sua presa ferrea ed essendo il più grosso tra i due non gli fu difficile liberarsi. 

«Andiamo, Loran, potresti guadagnare abbastanza da fare un regalo ad Agatha».

Lo sapeva che nominare la fanciulla dai lunghi capelli rossi equivaleva a colpirlo sul suo punto più debole, tanto che s'irrigidì e digrignò i denti. 

«Smettila di fare l'idiota», lo redarguì sentendosi improvvisamente più a disagio di prima. Non sapeva neanche dove puntare gli occhi.

Tornò a guardare l'arena, dove i due galli avevano iniziato a scrutarsi, girando intorno e cercando di capire la situazione, sotto l'incitazione di tutti i presenti. 

Ma questa volta fu abbastanza svelto da voltarsi prima che Kale se ne fosse andato: «Se perderai tutti i tuoi soldi cosa dirai a tua madre?».

Se Agatha Doyle era il punto debole di Loran, Abigail Murray era quello di Kale. 

«Ma potrei vincere, come la prima volta», insistette il cugino, che comunque era rimasto fermo sul posto e sembrava più indeciso di prima.

Voltava il suo enorme capo a fissare prima Loran e poi l'uomo delle scommesse, mordendosi il labbro. 

«Credi davvero di essere così fortunato?», lo incalzò Loran, approfittandosi di quel suo momento di incertezza per insinuarsi ancora di più nel suo dubbio.

E poi sorrise: «Vieni, andiamo in un posto più...», non gli venne in mente un singolo aggettivo adatto a quella situazione e così agitò la mano in aria: «... ti offro una birra».

Circondò le larghe spalle del cugino con un braccio, facendo fatica perché lui era più alto, e iniziò a trascinarlo lontano dalla folla. 

Più si avvicinavano alla porta di uscita e più Loran si sentiva sollevato, anche se non era del tutto lontani dai guai. 

Ma proprio quando allungò una mano per afferrare la maniglia ed uscire, una voce conosciuta alle sue spalle gli fece chiudere gli occhi e imprecare sotto voce.

«Tá me go maith*, guadate chi abbiamo qui», Loran si voltò per guardare Malone O'Neel che lo fissava mentre si rivolgeva a due suoi scagnozzi - diversi da quelli dell'altra volta - in piedi dietro di lui. 

«I giovani ragazzi Murray, giusto? Kale e Loran, sono questi i vostri nomi», fece finta di averne il dubbio ma Loran capì subito che in realtà si ricordava perfettamente. 

«Venite, vi offro qualcosa da bere» con un gesto della mano li invitò a seguirlo ma ancora prima che potesse voltarsi, Loran stava dicendo: «Stiamo andando via».

Kale, che si era sciolto dall'abbraccio del cugino non appena Malone era entrato in scena, sorrise e sovrastò le sue parole: «Volentieri».

Fece un passo verso l'uomo, quasi come se non stesse aspettando altro, mentre Loran lo fissava con un misto d'incredulità a rabbia. 

E non gli restò che seguirli tutti quanti, percorrendo il locale, evitando accuratamente la folla che ancora incitava i due poveri galli, con la testa china e sperando di poter uscire da quella situazione al più presto.

Certo avrebbe potuto voltarsi e andarsene, lasciando il cugino alla sua sorte, ma non se l'era sentita. Non dopo tutto quello che i suoi zii avevano fatto per lui, accogliendo in casa quando era solo un bambino e trattandolo come un figlio.

Aveva promesso. Aveva promesso che sarebbe sempre stato al fianco di Kale, anche se all'epoca non si era reso conto di quanto sarebbe stato difficile. 

Malone li condusse fino ad una scala in legno, dall'altra parte del locale rispetto all'entrata e iniziarono a salire uno alla volta. 

O'Neel e i suoi uomini in testa, seguiti da Kale e Loran che chiudeva la fila. Si fermò solo qualche istante a metà del tragitto e si voltò, quasi non potesse farne a meno, ad osservare quello che stava succedendo di sotto.

Distolse immediatamente lo sguardo dallo spettacolo raccapricciante e continuò a salire, sperando che le grida e i lamenti degli animali svanissero.

Il secondo piano di quel locale era piccolo e basso, così Kale e uno degli uomini di Malone, che erano più altri nel gruppo, furono costretti ad abbassare la testa per non sbattere contro il soffitto.

Erano in un piccolo ballatoio, dal quale era possibile osservare la scena di sotto, affacciandosi ad una ringhiera, con le assi di legno un po' logore e la puzza di alcol.

Un tavolo e tre sedie erano l'unico arredamento degno di nota. 

«Questo posto è tuo?», chiese Loran indicando il locale sotto di loro, senza riuscire a nascondere la faccia disgustata. 

«Qui tutto è mio», rispose l'uomo con fare teatrale, un sorriso arcigno e beffardo: «Sedetevi», aggiunse indicando due delle sedie, prendendo posto sulla terza. 

Accavallò le gambe sotto il tavolo, si mise comodo e restò ad osservali con insistenza. Il primo a seguire i suoi ordini fu Kale, seguito da Loran.

I due uomini rimasero invece in piedi vicino alla scala, alle spalle dei due ragazzi, mettendo una certa ansia e preoccupazione nel cuore di Loran.

Si chiese se fosse stata una buona idea seguirlo lassù, dove avrebbe potuto fare loro qualsiasi cosa senza neanche essere notato. Ma cercò di non far trasparire l'agitazione che provava e sorrise perfino mentre Malone riempiva loro due bicchieri di whisky.

«Non temete», continuò a dire lui, con tono stranamente affabile: «Voglio solo parlare di affari».

Con un gesto fluido vece scorrere i bicchiere verso di loro: «Dovete solo ascoltare fino alla fine, sono sicuro che troverete le mie parole molto interessanti».

L'unica cosa che desiderava Loran era alzarsi e andarsene via, il più in fretta possibile, ma non potendo lasciare Kale da solo, si ritrovò a imitarlo mentre prendeva il bicchiere il mano.

«Sláinte*!», augurò Malone, alzando il bicchiere in aria.

«Sláinte!», risposero in coro i cugini, all'apparenza come se fossero un'unica persona. 

In verità, mentre uno sorrideva speranzoso, l'altro aveva il presentimento che si sarebbe pentito di essere lì. 

Spazio autrice: 

Buonasera!

Avrete notato che in questo capitolo ci sono delle parole in gaelico Irlandese, sono in corsetto e seguite da un'asterisco. Di seguito, dopo i miei consueti saluti, vi metto la traduzione. 

In più volevo aggiungere una precisazione per quanto riguarda la pronuncia del titolo. Erano settimane, se non mesi, che cercavo di trovare un sito che mi spiegasse la giusta pronuncia della parola e finalmente sono riuscita a trovarlo.

Perciò, per chiunque fosse interessato, Failte si pronuncia Folità (o qualcosa del genere😅).

Per quanto riguarda il prossimo capitolo, che pubblicherò lunedì, vi annunciò che invece vedremo come avrà passato la serata Connor. 

A lunedì,

Chiara😘

Glossario: 

ar aghaidh: Andiamo!

anois: adesso

Tá me go maith : bene (una frase così lunga per una parola così corta 🤣🤣)

Sláinte: salute (forse questa si era capita dal contesto😅)

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