Capitolo XII
«Come è il viaggio dal vecchio mondo fino a qui?».
Connor non riusciva ancora a decidere se trovava la curiosità del suo collega Edward estenuante o adorabile. Ma propendeva più per la prima.
Gli faceva piacere che fosse così interessato alla sua vita, ma allo stesso tempo non riusciva a capire come facesse a dar fiato così tanto spesso alla bocca mentre trasportavano sacchi pesanti da una zona di lavoro all'altra.
Lui faticava perfino a respirare, e non aveva neanche la forza di pensare certe volte. Eppure Edward non sembrava per nulla provato dallo sforzo di chiacchierare e lavorare insieme.
Non sapeva perché il ragazzo si fosse affezionato così tanto a lui, ma gliene era quasi grato.
In pochi giorni, infatti, il ragazzo dalle origini anglosassoni gli aveva fatto conoscere tutti i colleghi, principalmente i loro coetanei, sotto lo sguardo truce di Kale che continuava a borbottare qualche parola maligna sugli Inglesi.
«Estenuante, lungo, noioso il più delle volte ma soprattutto puzzolente», fu la sua risposta, accompagnata da una smorfia di disgusto.
Non nascose la fatica mentre si asciugava il sudore sulla fronte con la manica della camicia, mentre l'amico continuava: «In che senso puzzolente?».
Forse non si era aspettato una risposta del genere perché agli occhi di Connor parve deluso, con un'espressione così contrita che per un attimo pensò di mentirgli solo per vederlo sorridere.
«Sai, alloggiavamo tutti insieme, in condizioni igieniche pietose...», iniziò con tono normale, salvo poi alzare un po' il tono di voce, proprio nel momento in cui Kale stava passando nella loro direzione: «E poi c'era chi non amava molto lavarsi».
Edward si voltò nella direzione dove lo sguardo di Connor si era posato e s'irrigidì un poco quando incontrò gli occhi furenti di Kale che, per tutta risposta, bofonchiò ancora qualcosa e tirò dritto.
Connor non riuscì a non nascondere un sorriso divertito mentre Edward tornava a fissarlo, scuotendo la testa: «Ora penserà che lo stavo offendendo anche io».
Nonostante Kale fosse il solito maleducato e arrogante anche sul posto di lavoro, Edward appariva sempre molto dispiaciuto per il fatto che non fosse riuscito a stringere amicizia con lui.
E più il tempo passava meno Connor comprendeva.
Con un gesto della mano scacciò le sue parole e sbuffò: «Lascia perdere».
Ma Edward si strinse nelle spalle, prima di tornare a trascinare l'ennesimo sacco di sabbia, seguito dall'amico: «Già non gli sono simpatico, non vorrei dargli un'altra impressione negativa».
«Ma scherzi?», chiese Connor, fermandosi sul posto e fissandolo allibito: «Quello lì ce l'ha con tutti, e fidati che è meglio non averci a che fare».
E lui lo sapeva bene, visto che doveva conviverci. Aveva quasi creduto alle parole ottimistiche del padre, i primi giorni. Un po' perché gli era convenuto, un po' perché aveva altro a cui pensare.
Ma la realtà era un'altra. Più tempo passano insieme e più Kale si mostrava per quello che era. Un egoista prepotente.
«Non lo vedi? Non parla con nessuno», insistette, quando vide di non essere riuscito a convincere Edward.
Ed in effetti era così. Tutti si tenevano alla larga da Kale Murray, lo evitavano come se fosse una violenta malattia trasmissibile.
«Parla con Loran, suo cugino», rispose Edward, come se la sua affermazione potesse giustificare il caratteraccio di Kale.
Connor alzò gli occhi al cielo: «Lui non conta».
Edward si fermò qualche istante per voltarsi a guardare Loran che, proprio in quel momento, si era avvicinato al cugino e stavano scambiando quattro parole in solitaria.
«Però sembra un ragazzo a posto. Con me, almeno, è stato gentile, anche se è molto taciturno».
Non certo come te, pensò Connor sorridendo all'amico. Ma non disse nulla riguardo a Loran, riconoscendo che ne sapeva quasi quanto Edward del misterioso cugino Murray.
Indeciso se la cosa potesse sembrargli strana o dargli fastidio, anche lui lanciò un'occhiata a Loran.
Non riusciva ad inquadrarlo e perciò si fidava anche meno. Da Kale e sua madre, che fino a quel momento non avevano nascosto la loro meschinità, poteva aspettarsi di tutto. Ma Loran, invece, era un punto interrogativo.
La domanda che più tormentava Connor ogni volta che si ritrovava a pensare a lui era perché perdesse il suo tempo con Kale.
Lo faceva perché si sentiva in dovere di farlo, essendo parenti? O forse c'era qualcos'altro sotto?
Lui aveva abbandonato tutto e attraversato l'oceano per i suoi familiari, perciò in parte poteva comprendere cosa significasse stare dalla parte di una persona a cui si vuole bene.
Ma si chiedeva anche se avrebbe continuato a difendere un membro della famiglia anche dopo un suo comportamento sbagliato.
Non era certo il tipo da nascondere il suo disappunto, e credeva che neanche Loran fosse così accondiscendente.
Perciò la domanda restava. Cosa spingeva Loran Murray, che di certo non era stupido, ad andare dietro a Kale?
«Guarda, stai alla larga da entrambi... che è meglio», concluse lui, arrivando a pensare che, più perdeva tempo a riflettere sulle dinamiche di famiglia dei Murray e più rischiava di farsi venire un mal di testa.
Edward, che come Connor aveva intuito amava andare d'accordo con tutti, non parve contento della sua risposta. Anzi, per l'ennesima volta, si mostrò dispiaciuto, come se una parte di lui avesse pensato di poter ottenere ottimi consigli dall'amico su come diventare amico di Kale.
Di sicuro aveva sbagliato persona.
«Ehi, vi state risposando?», grugnì con un sorriso un loro collega, Jasper, mentre li superava facendo loro una smorfia.
Edward e Connor si scambiarono una veloce occhiata per poi tornare a lavorare, con più volontà di prima.
Per un po' ci fu una calma assoluta, ma dopo qualche istante Edward tornò all'attacco, evidentemente allergico al silenzio.
«Mi stavi raccontando del viaggio», proseguì, mentre si avvicinavano di nuovo alla pila di sacchi di sabbia e raggiungevano Jasper.
«Sul serio, non è stato emozionante. All'orizzonte non si vedeva che acqua... una distesa infinita di acqua. Dopo qualche giorno il rumore delle onde che s'infrangevano sulla carena della nave iniziava a martellarti nella testa. Ancora adesso, a volte, mi sembra di sentirlo...».
Come a voler dare più significato alle sue parole, Connor si fermò per qualche istante, si guardò intorno e poi continuò: «Eravamo in tanti sulla nave, la maggior parte delle volte stipati nella stiva, e non c'era nulla da fare. Se non pregare di arrivare sani e salvi».
Evitò accuratamente di parlare delle numerose malattie che si rischiava di prendere in quelle condizioni, e dei corpi che ogni giorni buttavano in mare. Credeva che né Edward, né Jasper - che aveva rallentato il passo proprio per stargli accanto e ascoltarlo - volevano quel tipo di verità.
«Per non parlare delle tempeste», continuò: «Ne abbiamo affrontata una molto violenta, che è durata giorni. E' stato orribile, ho creduto di rimettere perfino l'anima la terza notte...»
«Insomma, una bella avventura», commentò Jasper, con un sorriso allegro, prima che Connor si voltasse a guardarlo stranito.
«Il viaggio migliore della mia vita, visto e considerato che è stato il primo... e probabilmente anche l'ultimo», sentenziò sarcastico Connor, dopo aver compreso che Jasper diceva sul serio.
«Io una volta sono stato nel New Hampshire, con la mia famiglia», aggiunse Edward, credendo di aprire una conversazione interessante.
Jasper invece fece un gesto eloquente con la mano e lo prese in giro: «Oh, un viaggio indimenticabile».
Ma Connor ignorò il suo tono divertito e chiese: «New Hampshire?».
«E' uno degli stati federati», cominciò Edward, con un tono di voce simile ad un'insegnante di storia: «Verso il confine con il Canada. Lì ci vive una mia zia... Ci sono tanti immigrati anche da quelle parti, principalmente dal Canada e anche dall'Irlanda».
Sembrava quasi che si aspettasse una reazione allegra da Connor che però non parve molto interessato.
«E tu, Jasper, sei mai uscito da New York?», chiese infine Edward, mostrandosi ancora una volta molto curioso.
L'altro divenne improvvisamente serio, il che era strano visto che passava le sue giornate a ridere di se stesso e degli altri.
I suoi occhi scuri s'illuminarono come quando raccontava una di quelle sue barzellette sconvenienti, ma per il motivo opposto.
«Io no, ma mio fratello è un esploratore... un avventuriero. Viaggia in giro per il mondo, per passione e per lavoro. E' stato in certi posti che noi ci li sogniamo...».
Ed effettivamente l'espressione del ragazzo era proprio come quella di un bambino che immagina il proprio futuro.
«Sarei partito con lui, ma all'epoca era solo un bambino... Mia madre non mi avrebbe mai lasciato andare», sospiro sconfitto, per poi riprendersi subito: «Ma non appena ho soldi abbastanza per farlo, lo raggiungerò. In questo momento credo che sia in India, o forse nella foresta Amazzonica...».
Ci rifletté qualche istante prima di aggiungere ancora con il sorriso: «Purtroppo non possiamo comunicare molto spesso. Ma un giorno sarò lì al suo fianco».
Era bello poter aver un sogno e lavorare sodo con lo scopo di portarlo a termine. Poco importava se poi ci sarebbe riuscito oppure no, intanto aveva uno scopo per cui continuare ad alzarsi la mattina.
L'unico scopo di Connor al momento era quello di andar via da casa dai Murray e, possibilmente, anche dal quartiere.
Un obbiettivo che certe notti gli sembrava impossibile, mentre altre insoddisfacente.
E poi, una volta raggiunto, cosa avrebbe fatto. Sarebbe rimasto a lavorare come operaio di cantiere per tutta la vita?
Doveva ammettere almeno a se stesso che un po' invidiava Jasper, perché avrebbe desiderato anche lui sapere che cosa voler fare del proprio futuro.
«Ma non pensiamo alle avventure di mondi lontani», lo ridestò Jasper dai suoi pensieri: «Quando anche qui in città possiamo divertirci».
L'espressione interrogativa di Connor dovette spingere il nuovo amico ad aggiungere: «Edward non ti ha detto che nel fine settimana ci piace andare in un locale non lontano da qui? Ottima musica, atmosfera rilassata ed è permessa l'entrata anche alle donne».
Connor si voltò a fissare l'amico che parlava troppo prima di dire: «No, Edward apre spesso la bocca ma non dice mai niente d'interessante, a quanto pare», scherzò, facendo sorridere Jasper ed arrossire Edward.
«Sei dei nostri questa sera?», chiese Jasper, dopo aver smesso di ridere.
Il suo primo istinto fu quello di dirgli di sì. Nonostante non fosse un animale notturno, e nonostante in Irlanda era uscito raramente la sera, una parte di lui era curiosa di scoprire il lato oscuro di quella nuova città.
O per lo meno, voleva conoscere la parte meno povera e più spensierata, oltre ai Five Points.
Poi però ebbe un leggero ripensamento e il primo che cercò con lo sguardo fu suo padre.
Fergus Doyle stava lavorando non molto distante da lui, sotto al sole, e non prestava molta attenzione al figlio maschio.
Sicuramente non avrebbe obbiettato se avesse deciso di prendersi una serata di divertimento. Eppure non ne era convinto fino in fondo.
«Andiamo Connor, vedrai che ti divertirai», continuò Jasper dopo qualche secondo si silenzio: «E poi, scusami, ma da quando sei arrivato a New York hai visto solo i Five Points e questo cantiere lurido... Forse è il momento di visitare la città».
«Va bene, ci sto».
E quando erano di ritorno verso casa, dopo un'ulteriore giornata di lavoro faticoso, Connor decise di dirlo a suo padre. Non poteva farne a meno, visto che vivevano tutti in una stanza e la sua assenza si sarebbe notata.
Approfittò del fatto che i cugini Murray decisero di fermarsi in un localetto malfamato nel quartiere, che gli era stato consigliato da alcuni ragazzi del posto, per bere un po'. E finalmente padre e figlio erano rimasti da soli.
Eppure, quando ne ebbe l'occasione, invece di rivelare le cose come stavano, ebbe paura. Non sapeva neanche lui di cosa, ma conosceva il padre e ricordava ancora la sua reazione quando Agatha gli aveva chiesto di iniziare a lavorare.
Certo lei era una figlia femmina, ma Connor aveva l'impressione che le preoccupazioni di Fergus non fossero dovute solo a motivi prettamente tradizionali.
Non conosceva la città e non si fidava di ciò che avrebbero potuto incontrare in quelle strade sconosciuto.
Più volte ci ripenso, prima di rendersi conto che era un uomo adulto e in grado di poter fare tutto ciò che voleva senza dover dare spiegazioni a nessuno.
«Padre, questa sera vado con alcuni colleghi in un locale... Loro ci vanno spesso e sono stato invitato ad unirmi al gruppo», lo disse marcando con il tono di voce che la sua era solo un informazione e che quindi non stava cercando il suo consenso.
O almeno sperò che fosse quello il messaggio.
In fondo Fergus ribadiva spesso che dovevano integrarsi, fare amicizia, e adeguarsi allo stile di vita del posto poteva essere un buon incentivo.
Lui la prese molto bene, forse perché ignorava le possibili conseguenze di un locale notturno. Gli riservò perfino una pacca sulla spalla mentre lo incitava: «Vai pure, figlio mio, divertiti... Ma non tornare troppo tardi, e stai sempre attento perché la notte la città è più pericolosa».
E mentre lo fissava incuriosito, Connor si chiese se non si fosse sbagliato sul conto del padre.
E poi però il padre aggiunse: «Porta con te anche Kale e Loran, però».
Se lo doveva aspettare, eppure rimase comunque sorpreso. Doveva immaginare che era troppo bello per essere vero
«Chiedetemi tutto, ma non questo», ammise con tono fin troppo malinconico. Come se fosse davvero un dramma doversi portare dietro anche quei due. E un po' lo era.
Ma il padre continuò con la sua paternale: «Connor, sii gentile con loro. Dobbiamo essere uniti, come un'unica famiglia».
«Non siamo una grande e unica famiglia, padre. Noi siamo i Doyle e loro sono i Murray, e fidatevi, anche a loro non importa nulla di noi», rispose stizzito Connor, stanco di sentirlo parlar bene di loro.
«Viviamo insieme, loro ci hanno concesso di avere un tetto sopra la testa, condividiamo tutto... Dobbiamo andare d'accordo», furono le parole del padre, ripetute ormai quasi tutti i giorni da quando erano giunti in America.
Ed era sicuro che Fergus avrebbe iniziato un discorso molto più lungo, e noioso, perciò lo interruppe subito, arrendendosi: «Se vogliono venire, possono farlo... Gliene parlerò quando tornano a casa».
Gli pesava doverlo fare e non lo nascose agli occhi del padre. Sbuffò pure, ma di fronte all'espressione di Fergus, soddisfatta e contenta per aver cresciuto un figlio così rispettoso, non poté non sentirsi orgoglioso.
Per sua fortuna, scoprì in seguito, Loran e Kale non tornarono a casa quella sera. Almeno non in tempo per vederlo uscire.
Spazio autrice:
Buonasera!
Come va? Tutto bene?
Vi do una piccola anticipazione sul prossimo capitolo, che pubblicherò venerdì, e che seguirà uno dei personaggi principali che per il momento è stato più nell'ombra degli altri. Il più misterioso...
Avete capito di chi sto parlando?
A venerdì,
Chiara😘
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top