Capitolo VII

Padre Donovan era stato di parola e nel giro di qualche giorno era riuscito a trovare lavoro non solo per Agatha, ma anche per Loran.

Prima però, la fanciulla era tornata alla drogheria dagli zii di Will, per avvisarli.

Non sapeva ancora quali fossero i loro piani per il futuro, ma lei sentì il bisogno di comunicargli che aveva trovato un nuovo lavoro.

Un po' le dispiaceva, ma allo stesso tempo aveva anche bisogno di soldi. Perché non aveva rinunciato al piano, architettato insieme al fratello, di portar via la famiglia dai Five Points.

Loro avevano appreso la notizia con gioia, felici per il suo nuovo futuro, e per niente turbati.

Anzi, l'aveva anche messa al corrente che forse il negozio non avrebbe mai più riaperto.

Quindi era giusto che Agatha andasse avanti, per la sua strada.

Così il primo giorno di lavoro, riuscì ad andarci a cuore leggero. Anche se continuava ad essere in apprensione per i suoi vecchi datori di lavori.

Anche Loran sembrava agitato, mentre percorrevano il viale che li avrebbe condotti alla loro destinazione, ma era un nervosismo quasi positivo.

Sembrava contento di provare a lei, e anche un po' a se stesso, che era in grado di potersi tenere un lavoro stabile e legale.

Restarono a fissare la casa, all'indirizzo che era stato dato loro da padre Donovan, per qualche istante, osservando dal basso la dimora.

Il quartiere era qualcosa di completamente diverso rispetto ai Five Points.

Pulito, altolocato, abitato da gentiluomini e dame in abiti costosi che salutano tutti in modo molto educato.

In piena città, abbastanza vicino ad ogni punto importante della metropoli, ma circondata lo stesso da un aria quasi "campagnola", nonostante le case fossero tutte attaccate le une alle altre.

«Padre Donovan si è raccomandato di bussare alla porta delle cucine, sotto le scale», annunciò Agatha, che non riusciva a smettere di fissare le grandi finestre bianche e le colonne in stile greco.

Loran si voltò a guardarla e a quel punto anche lei fu costretta a distogliere lo sguardo dalla casa per ricambiare la sua espressione.

Non si dissero nulla, solo un cenno di assenso della testa, prima che Loran si facesse avanti.

Come richiesto da padre Donovan,  Loran bussò alla grande porta in legno sotto i gradini che conducevano all'entrata principale.

Agatha lo raggiunse in tempo per vedere una donna un po' paffuta, con una cuffietta a coprirle u capelli grigi e un espressione seria.

Loran non fece neanche in tempo a pronunciare una parola di saluto che la donna affermò: «Il signore e la signora Murray, immagino...».

Agatha ebbe solo qualche secondo di tempo per pensare a quanto le parole "signora Murray" facessero uno strano effetto alle sue orecchie.

Doveva ancora abituarsi al cambio del suo cognome.

La donna si fece da parte per permettere ad entrambi di entrare con un sorriso poco convincente.

Indossava una sorta di divisa, grigia, con un grembiule un po' sporco, ma all'apparenza sembrava ben curata e molto attenta alle apparenze.

E anche la cucina, dove erano entrati, sembrava un luogo ordinato e ben tenuto.

Un piatto stracolmo di panini al burro era posizionato su un enorme tavolo in quercia al centro della stanza. Ed era proprio dal quel pane che usciva un odore fragrante, in grado di far brontolare lo stomaco di Agatha.

Ai fornelli c'era una giovane cameriera, che stava mescolando qualcosa all'interno di una grossa pentola.

Si voltò leggermente per guardarli, scostò dal volto una ciocca di capelli scuri che, ribelli, erano fuoriusciti dalla cuffietta, sorrise timidamente si due nuovi entrati e poi tornò al suo lavoro.

«Io sono miss Gray, la cuoca di questa casa», continuò la donna, con voce spinosa ma comunque cordiale.

Indicò la ragazza ormai di spalle: «Lei è Delia, e questa è la cucina, dove voi, mis Murray, lavorerete per gran parte del tempo».

Con un gesto della mano indicò il Lugo circonstante e Agatha si guardò ancora intorno.

La cucina era piccola, non come quella che avevano in casa, ma abbastanza grande per poterci lavorare in tre.

«Voi vi occuperete di lavare i piatti, pulire l'ambiente e mantenerlo in ordine... Occasionalmente potrete dare una mano a me e a Delia in cucina. Ma per nessuna ragione al mondo dovrete occuparvi della famiglia. Tutto chiaro?».

Aveva parlato con tono solenne, che non ammetteva repliche, e Agatha si limitò ad annuire.

«Bene, ora vi lascio con Delia, c'è quella pila di piatta da lavare. Io nel frattempo condurrò il signor Murray alla stalla, dove gli verrà spiegato il lavoro che dovrà svolgere».

Prima di uscire, e lasciarle da sole, come aveva preannunciato, si fermò davanti alla porta per aggiungere: «Mi siete stati caldamente consigliati da Padre Donovan, ed è solo per l'affetto che nutro per lui che ho deciso di darvi una possibilità».

Il suo sguardo, severo ma giusto, si spostava da Loran ad Agatha in continuazione: «Ma sappiate che la famiglia Johnson pretende il meglio... E se non sarete all'altezza, non mi farò scrupoli a cacciarvi».

Un secondo dopo era uscita da una seconda porta, che doveva sicuramente portare sul retro, lasciando per qualche secondo Loran interdetto.

Lui cercò con lo sguardo gli occhi grandi e dolci di Agatha, prima di seguire la donna fuori.

Solo quando la porta si chiuse con un tonfo, una voce gentile e molto flebile, attirò l'attenzione di Agatha.

«Fa la dura, ma in realtà ha un cuore tenero».

Agatha si voltò per poter guardare in volto Delia, che la stava osservando a sua volta e le riservava un sorriso incoraggiante.

«Piacere di conoscerti, Delia, io sono Agatha. Dove posso trovare la mia divisa?».

Voleva mettersi subito a lavoro, così da non deludere mis Gray.

Anzi, voleva proprio fare una bella impressione subito, al primo giorno.

Loran dovette accelerare il passo per stare dietro alla donna che, in poche falcate, aveva già attraversato il piccolo cortile sul retro per raggiungere la piccola stalla della famiglia.

C'era due cavalli all'interno ognuno del suo box privato, e altri due vuoti, mentre in un angolo c'era una carrozza che un giovane garzone stava pulendo da cima a fondo.

«Signor Guzzetti, signor Guzzetti?», iniziò a chiamare la donna, alzando la voce per essere sentita.

La porta di uno dei box vuoti di aprì e un uomo alto e ben piazzato, dai capelli brizzolati e i baffi uscì con una forca in mano.

«Buon giorno, mia Gray! Avete visto che sole oggi?».

Aveva un aria stranamentw gioviale, con quel suo sorriso sotto i baffi e l'aria da papà.

Ma mis Gray non rispose, si limitò solo ad indicare Loran al suo fianco: «Signor Guzzetti, vi presento il vostro nuovo apprendista, il signor Loran Murray».

L'uomo guardò Loran da testa a piedi, soppesando probabilmente la sua stazza, e poi annuì.

Si avvicinò per allungare una mano e disse: «Chiamami pure Alfonso, ragazzo, con me non servono convenevoli».

Loran strinse la grande mano di Alfonso e sorrise di rimando.

«Bene, ora che ho fatto le presentazioni, vi lascio soli», mis Gray salutò con un cenno del capo e si congedò da loro, tornando in cucina.

«Vieni, ragazzo», lo esortò invece Alfonso, facendogli cenno di avvicinarsi alla carrozza, dove il ragazzino, che avrà avuto al massimo tredici anni, stava passando un panno lucido sul mezzo.

«Lui è mio figlio, Luca, e poi c'è Rupert, che al momento è fuori in carrozza con la signorina... Farai la sua conoscenza quando tornerà».

Il ragazzino fece un cenno del capo in direzione di Loran, che rispose con un sorriso divertito.

E poi Guzzetti gli fece fare un breve giro del luogo, gli fece vedere dove prendere gli attrezzi e cosa fare.

«Il lavoro inizia molto presto perché alla signorina piace uscire in carrozza la mattina e il tuo compito sarà quello di preparare i cavalli per Rupert e assicurarti che sia tutto in ordine e pulito nea carrozza», stava dicendo Alfonso.

Poi abbassò un po' la voce: «È mio figlio che si occupa di pulire le carrozze, ma  preferisco controparte sempre due volte che sia tutto nella norma».

Gli fece l'occhiolino, come se fossero complici, e poi lanciò uno sguardo quasi ammirato per il figlio.

Per qualche istante  Loran provò una fitta al cuore, pensando al suo di padre.

Lo ricordava come un uomo severo, ma anche apprensivo e amoroso.

Da buon padre, voleva sempre il meglio per i suoi figli. Cercava di condurli sulla retta via, con risolutezza ma allo stesso tempo se la imporsi troppo.

Perché non voleva forzarli, anche se sapeva meglio di chiunque altro quale fosse il meglio per loro.

Loran aveva un bel rapporto con suo padre. Lo stimava, lo considerava un modello.

E aveva l'impressione che anche Luca provasse lo stesso per suo padre.

Lo scoprì quel primo giorno di lavoro, da come il ragazzino guardava il padre, cercando di emularlo.

E da come ci tenesse a fare le cose per bene, solo per compiacerlo.

E capì che Alfonso era un buon padre da come teneva d'occhio il figlio.

Lo redarguiva con tono severo, ma non troppo, quando sbagliava, e gli faceva i complimenti quando era stato bravo.

E ogni suo parola d'incoraggiamento illuminava il giovane e dolce viso di Luca, che tutto felice gongolava.

Loran li osservò per tutto il tempo, tra un lavoro e l'altro, con un po' d'invidia.

«Siete immigrati anche voi?», chiese ad un certo punto ad Alfonso, mentre insieme stavano ripulendo una delle stalle vuote.

Lui si stava occupando degli escrementi, mentre l'uomo stava rifocillando il box di acqua e fieno.

«Io e mia moglie abbiamo affrontato il viaggio, partendo dalla Sicilia, quando era incinta di Luca», sorrise quando nominò alla sua dolce metà.

Ma non era un sorriso allegro, anzi, piuttosto uno triste.

«Il ragazzino è nato qui a New York, ma ho voluto dargli il nome di mio padre».

«È stata difficile? Intendo l'integrazione...».

Loran stava ancora cercando di capire se New York e l'America fosse il luogo ideale per lui.

A volte sentiva di aver fatto in grande errore a partire con i Murray.

M poi si ricordava che era anche grazie a quel viaggio che aveva conosciuto Agatha, e tutto tornava più facile da accettare.

Alfonso lo guardò con espressione profonda, come se avesse già intuito i suoi pensieri.

Lui ci era passato anni prima e un po' si rivedeva in quegli occhi smarriti.

«Con il tempo diventa tutto più facile, figliolo... E poi sei fortunato ad affrontare questo enorme cambiamento insieme a tua moglie. Io purtroppo non sono stato altrettanto fortunato...».

Gli mancò la forza per continuare a parlare per qualche secondo, deglutendo rumorosamente per mandare giù la tristezza.

«La mia adorata Giovanna è morta di parto. E a quel punto ero un immigrato in terra straniera con un bambino da crescere da solo».

Loran avrebbe voluto dirgli che gli dispiace per il suo lutto, e che comprendeva il suo dolore, ma anche lui le parole morirono in bocca e restò in silenzio.

Alfonso sorrise, come se stesse ripensando ad un periodo passato, con gli occhi rivolti ad un altro tempo.

«Quando sono rimasto solo ho perfino pensato di tornare a casa. Non avevo soldi per il viaggio di ritorno, ma avevo già pensato ad un modo per imbarcarmi illegalmente su una nave».

Per qualche istante rimase in silenzio, ancora con gli occhi assorti.

E quando poi tornò alla realtà, la sua espressione si fece più solenne: «Poi mi sono reso conto che non aveva senso. Giovanna, mia moglie, desiderava tanto vivere qui a New York, lei ci credeva al sogno di una vita migliore, e io volevo crederci per lei. E poi Luca è nato qui...».

Loran pensò che avesse finito di raccontare la sua storia, così tornò a spalare la paglia sporca.

Ma Alfonso continuò: «E, alla fine, non posso lamentarmi, la famiglia Johnson sono generosi e degli ottimi datori di lavoro. Posso permettermi cibo e acqua da mettere sulla mia tavola tutti i giorni per me e per mio figlio, e abbiamo sempre in tetto sopra la testa. Siamo più fortunati di altri».

Loran annuì, pensando che in fondo anche lui poteva considerarsi fortunato.

Avrebbe voluto offrire a sua moglie una casa migliore, e un quartiere più sicuro, ma poteva considerare la sua situazione migliore di quella di molti altri.

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