Capitolo IX
Anche se sapeva di dover stare alla larga da tutti gli edifici di proprietà di Malone, Loran non riuscì a resistere a lungo prima di andare a cercare suo cugino.
Un po' perché si sentiva ancora in debito con lo zio, e credeva di aver fallito con il ragazzo, un po' perché Abigail non faceva che piangere ed insistere affinché il nipote lo andasse a cercare.
In più aveva qualcosa di poter offrirle al cugino, con la speranza che accettasse la sua offerta e uscisse da quel losco giro.
Una parte di lui era convinta che fosse troppo tardi per Kale, che ormai le sue mani si erano sporcate fin troppo, e che quindi non ne valeva la pena. Ma poi c'era il Loran ancora attacco ai legami di sangue, e a quella promessa fatta allo zio, che impediva di andare avanti senza provarci ancora una volta.
Una sera ne aveva parlato con Agatha, dopo cena, accennandole qualcosa senza però scendere troppo nei dettagli. Lei non era andata mai d'accordo con Kale e all'inizio sembrò poco interessata al discorso che stava facendo.
Delle sorti del cugino di Loran poco le interessava, anche se si dimostrò molto empatica nel provare un po' di dispiacere per Abigail, ormai distrutta dall'abbandono del figlio.
«Con tutto il rispetto, tua zia non meriterebbe neanche un briciolo di compassione da parte mia... eppure mi dispiace per lei. Un figlio non dovrebbe mai causare così tanto dolore ad un genitore».
Loran le aveva sorriso, riconoscendo in quelle parole la fanciulla buona d'animo di cui si era innamorato e che aveva avuto l'onore di sposare. Agatha era così, riusciva a provare pena anche per chi l'aveva sempre trattata male.
Quando però Loran espresse chiaramente l'intento di voler andare a cercare Kale per parlargli e cercare di convincerlo, per l'ennesima volta, a lasciar perdere Malone, lei cambiò subito atteggiamento.
Si era irrigidita, la sua espressione era diventata di ghiaccio e la sua pelle, già candida di suo, era diventata d'alabastro.
«Non voglio neanche immaginarti nelle vicinanza di quel vile di Malone, è pericoloso Loran e tu sei un bersaglio».
Sembrava inamovibile ed avevano anche finito per discutere. Loran cercava di rassicurarla, promettendole che sarebbe stato attento, ma lei non ne era convinta.
Era felice e compiaciuto di vederla preoccupata per la sua salute, ma allo stesso tempo era irritato dalla sua insistenza. Con le braccia conserte e l'espressione dura in volto, Agatha voleva vincere a tutti i costi quella discussione.
Dopo molti minuti di disaccordo, Loran le sorrise malizioso: «Non dirmi che ti stai preoccupando per me? Ti stai forse affezionando a tuo marito?».
Era evidente che avesse colto nel segno, tanto che la postura di Agatha si rilassò per qualche istante, presa in contro piede da quell'affermazione ormai veritiera. Ma si era ripresa subito, alzando il mento per guardarlo dall'alto della sua compostezza.
Aveva sbuffato e negato con energia: «Non dire idiozie. Anzi, sai che ti dico? Vai pure! Fatti ammazzare! Così sarò libera da questo odioso vincolo matrimoniale».
Loran si era aspettato una risposta così stizzita e la visione della moglie in pieno frustrazione, con il volto rosso e l'aria concitata, quasi lo fece ridere.
Fu costretto a trattenersi, per non urtare la sua sensibilità e non farla arrabbiare ancora di più, prima che lei decidesse di concludere la conversazione e mettersi sotto le coperte. Si era voltato verso il muro, dandogli le spalle, come quasi ogni sera.
Perciò riuscì ad avvicinarsi a lei, piano e senza essere notato, e a chinarsi per sussurrarle: «Ti prometto che non andrò a cercare Kale».
Gli era costato molto farle quella promessa ma quando Agatha si era voltato e gli aveva sorriso, con gli occhi lucidi dalla commozione, pensò che ne era valsa la pena.
Solo che non riuscì a mantenere la parola data a lungo. Anzi, passarono solo due giorno da quella conversazione, quando Loran uscì di soppiatto nella notte, indossando un lungo soprabito nero e un capello rubato al suocero.
Si sentiva a disagio e in colpa per aver mentito a sua moglie, per la prima volta da quando erano sposati, ma non riusciva a dormire da giorni e il volto del cugino lo tormentava.
Si ripeteva che doveva andare avanti con la sua vita, ora che ne stava costruendo una con Agatha, eppure non ci riusciva completamente. Non finché non avesse provato, un'ultima volta, a far ragionare Kale.
Infatti uscì di casa promettendo a se stesso che stava offrendo una possibilità al cugino e che se lui avesse rifiutato di nuovo la sua mano tesa ci avrebbe messo una pietra sopra. Ma ciò ovviamente non lo faceva stare meglio con la sua coscienza che continuava a rinfacciargli l'uscita clandestina.
Non gli fu difficile scoprire dove lavorava Kale, perché nei giorni precedenti aveva chiesto in giro e si era informato. Sembrava, infatti, che il ragazzo stava facendo carriera, tra i malavitosi di Malone, molto in fretta.
E per questo era stato spostato in uno dei locali più grandi e importanti che gestiva l'uomo. Loran preferì non pensare a che tipo di affari giravano da quelle parti.
Pagò un giovane per entrare al suo posto e cercare Kale, mentre lui aspettava nel vicolo sul retro del locale, dal quale provenivano urla. Forse era un altro di quei posti in cui facevano combattere animali per pure svago.
Il freddo imperversava tra le strade, aria di neve iniziava a sentirsi e per sua fortuna non c'erano molti avventori desiderosi di fare una passeggiata da quelle parti. Tutti sapevano che quello era il quartiere di Malone O'Neel.
Dopo svariati minuti, che iniziarono a diventare così tanti che per un istante Loran pensò di andarsene, vide una figura scura girare intorno al palazzo e avvicinarsi a lui. Non si fidava del tutto di suo cugino, perciò rimase in attesa e lontano fino a quando non scorse il viso del familiare, alla penombra della luce lunare.
«Ciao Kale... ti sei fatto crescere i baffi?», erano passate solo qualche settimana eppure il cugino era così cambiato da potersi definire quasi un'altra persona. Forse neanche sua madre Abigail sarebbe riuscito a riconoscerlo al primo colpo.
Lui ignorò il tono affabile e gentile di Loran, si guardò attorno con fare frettoloso e disse senza mezzi termini: «Che sei venuto a fare qui?».
I suoi occhi sembravano scaglionare ogni angolo di quel luogo, la sua mano destra si posava troppo spesso lungo il fianco, come a cercare qualcosa, e il suo cipiglio sembrava crudele e allo stesso tempo desideroso.
Aveva anche perso qualche chilo, nonostante sembrasse più grande e alto di come Loran se lo ricordava. O forse era solo il suo aspetto minaccioso a renderlo più possente.
«Vorrei parlare con te».
«Sì, questo me lo ha detto anche il ragazzino che hai mandato dentro... perché tu sei troppo codardo per entrare», lo canzonò lui, con un lieve sorriso di derisione.
«E visto che sei così intelligente da sapere che è meglio per te non entrare in un locale di Malone», continuò con una punta di disprezzo, come se fosse il suo peggior nemico: «Dovresti sapere che è una pessima idea restare qui».
«Concedimi solo qualche minuto», pregò lui, facendo due passi nella sua direzione ma, non appena tentò di avvicinarsi, Kale si ritrasse quasi ci fosse un fuoco tra i due.
«Malone ti vuole morto... perché non dovrei consegnarti a lui?».
In modo in cui stava insinuando di volerlo consegnare al suo capo, sicuro di vederlo morire, fece rabbrividire Loran che si chiese fino a che punto suo cugino si era perso nella malvagità.
«Perché siamo parenti», gli ricordò lui, incredulo, ma quando Kale gli rise in faccia capì che a lui non importava nulla di tutto ciò. Avrebbe sputato in faccia al suo stesso sangue, per la gloria che gli offriva quel criminale.
«Ho già perso abbastanza tempo con te. Per questa volta ti lascio andare, ma non farti più vedere qui e soprattutto... stammi lontano», si voltò senza neanche guardarlo in faccia per più di qualche secondo ed iniziò ad allontanarsi.
Una persona più arrendevole avrebbe lasciato perdere, tornandosene a casa con la consapevolezza di aver perso. E invece Loran tentò di nuovo, con la sua ultima carta.
«E che mi dici di tua madre?».
Kale si bloccò di sasso, irrigidendosi sul posto ma continuò a dargli le spalle. A Loran non importava se lo guardava oppure no, voleva solo la sua attenzione e l'aveva ottenuta.
«Lo sai che piange tutte le sere prima di andare a letto? Piange per te, perché è preoccupata che un giorno dovrà seppellirti, perché non ti vede da settimane e non sa neanche come stai».
«Puoi dirle che sto bene, ora che mi hai visto», aveva ribattuto lui, interrompendolo. Era evidente che non volesse restare lì ad ascoltare cose sgradite ma allo stesso tempo non riusciva ad andarsene.
«Magra consolazione per tua madre, andare a dormire ogni notte senza sapere se il figlio vivrà un giorno di più. E inoltre con la consapevolezza che se un giorno verrà ammazzato in un vicolo losco e buio nessuno verrà a bussare alla sua porta per comunicarglielo».
Forse le sue parole, dure ed evocative, smossero un po' l'animo di Kale che si voltò a guardarlo con aria arresa.
«Ti concedo solo due minuti», gli disse sbuffando, mentre cercava di sembrare sicuro di sé e di non essere rimasto toccato dalle sue parole.
Loran sorrise vittorioso e si fece avanti con fare baldanzoso: «Torna a casa Kale», esordì, quasi implorando, ma vedendolo inamovibile continuò a parlare.
«Ho trovato un lavoro onesto, presso una famiglia facoltosa. La paga è buona, le mansioni non sono troppo faticose e l'orario è buono».
«Mi fa piacere per te», lo canzonò Kale con un sorriso divertito, come se trovasse tutto come un gioco.
«Ci sarebbe un posto anche per te, se lo vuoi. Potrei mettere una buona parola per te ed inizieresti a lavorare da lunedì», sapeva che stava rischiando molto, e anche Agatha lo aveva messo in guardia.
Kale non era sempre una persona di cui fidarsi, e se non si fosse comportato bene, a rimetterci sarebbero stati proprio loro due, in quanto parenti. Ma Loran doveva offrirgli quella possibilità, anche se c'era la probabilità di potersene pentire.
Kale finse un certo interesse mentre chiedeva: «Di che lavoro si tratta?».
«Stalliere».
Fu a quel punto che gli rise in faccia, clamorosamente, dimostrandogli tutto il disprezzo che provava per lui e per il suo stile di vita. Fu costretto perfino ad appoggiarsi la mano alle ginocchia, tanto la risata lo piegava in due. Il tutto, ovviamente, sotto lo sguardo attonito di Loran.
«Stalliere?», ribatté dopo essersi ripreso dalle risate ed essersi tirato su: «Ecco da dove proviene la puzza di letame... da te».
Loran non raccolse la palese provocazione del cugino, lo conosceva bene da sapere che era proprio quello che voleva e lui non lo avrebbe accontentato. Ma fu costretto a stringere i pugni con una tale forza da far diventare le nocche bianche, per calmare la rabbia che iniziava a covare dentro.
«Perché mai dovrei scegliere di fare un lavoro così umiliante quando Malone ha da offrirmi molto meglio?».
«Intendi la possibilità di morire dissanguato in una fredda notte? E' questo che preferisci?».
Kale strinse i denti, rabbioso: «Se non ti prendi qualche rischio, non vincerai mai».
Kale era sempre stato un ragazzo desideroso di ottenere tutto facendo il minimo indispensabile, ma negli ultimi tempi era evidentemente peggiorato e Loran stava assistendo al suo declino.
«Io ho già vinto, Kale. Ho tutto ciò che desidero e sono felice. Tu, invece, sei felice?», lo aveva chiesto con un tono stanco e deluso, quasi sapesse già la risposta.
Ma invece di accontentarlo, Kale ignorò la sua domanda, probabilmente un punto dolente, e lo incalzò: «Sei felice perché finalmente ti sei preso Agatha? Ti basta una femmina in calore per essere soddisfatto? Non ti credevo quel tipo di uomo».
«Attento a come parli, cugino» Loran gli untò un dito sul petto: «Non ti permetto di parlare con questi toni di mia moglie».
Nonostante il tono fosse davvero minaccioso, la voce ferma e lo sguardo truce, Kale non si lasciò impressionare dal cambiamento del cugino. Sapeva che sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa per proteggere Agatha, eppure non aveva paura.
Forse perché per strada aveva incontrato minacce ben peggiori del cugino innamorato folle di una fanciulla dai capelli rossi.
Allargò le braccia, sorrise senza essere minimamente preoccupato e fece due passi indietro, allontanandosi quel tanto che bastava da Loran.
«Sai dove trovarmi, se vorrai un confronto... ma ti consiglio di stare alla larga, e di guardarti sempre le spalle. Malone non dimentica».
E detto ciò si voltò per la seconda volta e si allontanò da lui, lasciandolo da solo con i suoi pensieri e i suoi turbamenti.
Aveva ragione, Kale ormai era perso e non c'era più nulla che potesse fare per lui. La cosa pi difficile sarebbe stata dirlo a sua zia.
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